domenica 29 dicembre 2013

Se muore la Provincia di Lecce evviva la Regione Salento

Ormai si dà per scontata l’abolizione delle province. Per risparmiare soldi, dicono. Non ne siamo persuasi, sia che le aboliscano e sia che, abolendole, si risparmi davvero. Stante la Costituzione della Repubblica, quella che si dice la più bella del mondo, che i magistrati per protesta contro chi la voleva in qualche punto ritoccare agitavano come a Pechino le Guardie Rosse agitavano il libretto di Mao, le province non si possono toccare (artt. 114, 118, 128 e sgg.).
La Costituzione non è a convenienza; e, data la sua rigidità, non si presta a manipolazioni pragmatiche: o la si rispetta o non la si rispetta.
Ma, per comodità di ragionamento, mettiamo che le province, con o senza la Costituzione, vengano abolite. Quanto lo Stato risparmierà dalla loro soppressione, stando a quanto si dice, è solo questione di cifre; tutti concordano che lo Stato risparmierà. Abbiamo ragione di dubitare, e non perché abbiamo competenze tali da opporre cifre a cifre, segni a segni, ma perché non sono credibili quelle accreditate dai cosiddetti esperti. I quali, molto spesso, fanno i conti a metà, per la metà che più conviene ai loro ragionamenti.
Nessuno si chiede che cosa accadrebbe con l’abolizione delle province e quali potrebbero essere le conseguenze amministrative, politiche ed economiche. La Fornero, ministra del lavoro – per dire! – fece la riforma delle pensioni e, come il diavolo, fece la pentola ma non il coperchio, così lei si ritrovò dopo la legge con un problema che ancora grida vendetta, quello degli esodati. In Italia si inciampa perché prima di intraprendere un percorso nuovo nessuno esamina i luoghi e le problematiche del tragitto.
Quanto al risparmio, è da tre anni che lo Stato per risparmiare non fornisce più i servizi di una volta; e di benefici non se ne sono visti. Chi non si è accorto che giustizia, sanità, istruzione, ambiente e paesaggio, trasporti hanno perso efficienza, dopo tagli di tribunali, ospedali, scuole, soprintendenze, treni, strutture e personale? Dunque, gli italiani hanno bisogno di prove concrete, che finora nada. Nessuno ha visto una minchia di niente, direbbero i nostri cugini in loquela siciliani.
In realtà la soppressione delle province è un’altra allucinazione collettiva, un fare tanto per fare, perché non si dica che non si fa niente. Si dovrebbero abolire le regioni, invece, non foss’altro che per quanto i loro governi e le loro rappresentanze istituzionali hanno dimostrato in questi anni: inefficienza e sperpero di danaro per vana ostentazione di lusso e di ricchezza e per vergognosi usi e abusi personali.
Non è forse andata avanti lo stesso l’Italia nei ventidue anni in cui le regioni non c’erano? Anzi, se ben guardiamo, i guai finanziari italiani hanno le radici negli anni Settanta, dopo l’istituzione delle regioni. Le risorse accumulate col miracolo economico degli anni Sessanta sono state sperperate negli anni Settanta. E, invece, di prendersela con chi è responsabile del disastro, la classe politica, inefficiente e inefficace, se la prende con le povere province.
Non è questione di campanilismo o, ad essere onesti, pure. Ci chiediamo noi salentini: che cosa accadrà con l’abolizione della Provincia di Lecce sul piano di tutte quelle competenze che ancora oggi sono della provincia, così come previsto dalla Costituzione? Se già prima le proteste per il baricentrismo, che non deriva da baricentro, ma dalla tendenza di Bari di accentrare tutto, erano forti e i sostenitori delle esigenze salentine invocavano l’istituzione della Regione Salento, ora essa è un’autentica rivendicazione di popolo. Non è più la battaglia elitaria che da Ennio Bonea a Paolo Pagliaro ha accompagnato le competizioni elettorali e i movimenti culturali di questi ultimi anni, ma l’irrinunciabile istituzione che deve rispondere alle necessità politiche, amministrative, economiche, organizzative di una “regione” che ha di suo specificità nette ed evidenti.
In questi ultimi vent’anni il Salento è cresciuto, è diventato nel mondo una categoria culturale, e non solo per la pizzica, che certamente ha creato un alone d’interesse importante, ma anche per tante altre sue risorse naturali e potenzialità economiche. Eppure, quando si parla in televisione – ma non c’è da sorprendersi data l’ignoranza di tanti conduttori – di dialetto pugliese si fa riferimento al barese, che sta al leccese o al salentino come i cavoli a merenda. Qualcuno si chiederà: contano tanto la questione linguistica e l’immagine? Sì, bisogna tornare a dare la giusta importanza anche agli aspetti meno venali e materiali della vita.

Finora  la proposta della Regione Salento non ci aveva convinti più di tanto, anzi ci ha trovati perplessi e a volte anche critici. Se le province non fossero minacciate da abolizione, continueremmo ad essere perplessi e critici. Ma ora, davanti al pericolo che effettivamente una classe politica imbelle e sciagurata, abolisca le province, noi salentini protestiamoci Regione. Ne abbiamo tutti i diritti e le ragioni.

domenica 22 dicembre 2013

Napolitano faccia solo il cittadino!


In Italia conviene mordersi le labbra e la lingua prima di dir bene di qualcuno. Confesso di aver più volte elogiato le scelte del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per almeno i suoi primi cinque anni di presidenza. Non mi pento di averlo fatto. Chi fa l’osservatore e l’analista politico così si deve comportare, senza pregiudizi e nella libertà di giudizio, da cambiare eventualmente col cambiare del fatto e dei protagonisti.
Mi rendo conto che da almeno due anni Napolitano esercita il ruolo di Presidente in maniera difforme da quello che prevede la Costituzione e contro la stessa consuetudine. E’ vero anche – va detto a suo beneficio – che taluni suoi predecessori non si sono comportati molto meglio, Cossiga e Scalfaro, per esempio; e che oggi c’è un vuoto politico che lui cerca di riempire come può e come sa. Non è un compito facile né da poter delegare ad altri.
Cossiga, con le sue esternazioni, incominciò a picconare il sistema del quale lui era il vertice. Scalfaro “autorizzò” i giudici a far notificare a Berlusconi un avviso di garanzia mentre questi era in un convegno internazionale a Napoli come Capo del Governo del paese ospitante. Gesti di natura eversiva, fatti passare come normali, anzi meritevoli di medaglie al valore. Perché qui in Italia il metro di valutazione non è quello degli altri paesi a democrazia liberale, che si fondano sul diritto.
Rispetto a Cossiga e a Scalfaro, però, Napolitano almeno non ha compiuto gesti clamorosi; un po’ partenopei sì, facendoli passare come cose fatte alla buona e soprattutto a fin di bene. Si può dire che anche Cossiga e Scalfaro agissero a fin di bene; ma Cossiga era coinvolto nella questione assai grave di Gladio e Scalfaro in quella non meno grave della presunta trattativa tra Stato e mafia. Insomma la compagnia dei suoi due predecessori un po’ dovrebbe inquietare Napolitano, tanto più che oggi lui è chiamato a pagare per l’operato sia del picconatore Cossiga e sia del “colluso” Scalfaro.
Ha incominciato a farla di fuori, come volgarmente si dice, con la nomina di Monti a Senatore a vita nel novembre del 2011, poi con l’incarico allo stesso di fare un governo di tipo assembleare, che rispondesse più che alle Camere al Quirinale, ossia a lui. Ha continuato intervenendo in campagna elettorale agli inizi del 2012 genericamente contro i populismi, ma in specifico contro Grillo e Ingroia, poi facendosi rieleggere e dettando delle condizioni, quindi nominando dei senatori a vita di una ben precisa parte politica, ancorché non dichiarati, e continuando di fatto ad essere lui il referente del governo delle cosiddette “larghe intese”, ormai diventate una barzelletta con le varianti: sottintese, malintese, fraintese e via in invenzioni lessicali parodistiche e caricaturali, di cui noi italiani siamo maestri.
Oggi si pone il problema Napolitano. Con tutto il rispetto che si deve all’uomo va detto che la faccenda è grave, perché siamo in presenza di una persona anziana, la quale non si sente responsabile di fronte a niente e a nessuno. Questa coda presidenziale lo mette nelle condizioni, anche per la debolezza della politica, di comportarsi come vuole, senza preoccupazioni formali. La sua età lo preserva quasi da condanne – beninteso morali e politiche – perché la saggezza popolare dice che vecchi e forestieri possono dire e fare quello che vogliono. Napolitano è una cosa e l’altra: vecchio per gli anni, forestiero per la sua condizione di sopravvissuto in territorio politicamente “straniero” e forse anche un po’ “nemico”.
Cosa ha a che fare lui con le nuove generazioni di politici ormai abbondantemente presenti sulla scena dei partiti politici italiani? E’ un nonno, a cui finora gli manifestano rispetto, se non affetto. Non tutti, a dire il vero. Grillo e Brunetta lo minacciano di impeachment, mentre Marco Travaglio infuria con le sue critiche sul “Fatto quotidiano”. Non riusciranno a scalfirlo. Figurarsi, avevano minacciato sfracelli contro la Cancellieri! Poi i pifferai si sono silenziati.
Ma c’è un punto che non si può assolutamente far passare come  normale, anche se temiamo che, come per gli altri, non accadrà nulla. E’ la sua testimonianza al processo palermitano sulla da lui ereditata spinosa questione della presunta trattativa tra Stato e mafia per le stragi del 1992. Non è ancora chiaro come, quando e dove intende testimoniare.
Solo un atto di coraggio, forte e chiaro, potrebbe restituire agli italiani un minimo di fiducia dopo tutto quello che c’è stato e ancora c’è coi processi politico-mafiosi. Andreotti fu prosciolto da una certa data in poi; i reati degli anni precedenti riconosciutigli andarono in prescrizione. Il che significa che il processo, vero per certi aspetti, fu aggiustato per altri; e comunque Andreotti era colpevole di associazione mafiosa. Scripta manent.
Se qui non si chiarisce il ruolo che ebbe Scalfaro e i suoi collaboratori in quella drammatica stagione, che vide massacrare i giudici Falcone e Borsellino, e attentare ad una serie di edifici simbolo in tutta Italia, la gente ha ragione di convincersi di essere rappresentata e governata da mafiosi. E potrebbe darsi che più che ad essere noi a chiedere l’uscita dall’Europa, sia propria l’Europa a sbatterci fuori perché indegni di stare nel consesso di democrazie che da secoli hanno fatto della legge e del diritto le loro bandiere.

Napolitano può in questa non facile e drammatica situazione dire una parola di verità, restituire agli italiani la fiducia nelle istituzioni. Non il Presidente, perciò, non il “re”; ma Napolitano faccia solo il cittadino di una repubblica fondata sul diritto!

Parole chiave: Napolitano Cossiga Scalfaro Falcone Borsellino Grillo Brunetta

Argomento: Impeachment di Napolitano

domenica 15 dicembre 2013

Renzi, un caso di senilità precoce


Non ha indugiato un attimo Matteo Renzi, stravincitore delle primarie del pd, a dimostrare i segni inconfondibili di una senilità precoce. Precoce, per la verità, il sindaco di Firenze si era già dimostrato. Tu facevi il ministro del fallimento interno ed estero quando io facevo le scuole elementari. Tu facevi questo e quest’altro quando io andavo all’asilo. E via di seguito. Non erano queste le argomentazioni perfino nei confronti dei Casini, dei D’Alema e perfino di politici assai più giovani di questi? Renzi ha costruito la sua immagine di innovatore radicale col certificato di nascita. 
Gli allocchi furbi – mi si passi l’ossimoro – di questo paese hanno fatto finta di credere. Ed eccolo lì, lo zerbinotto fiorentino, formare la sua segreteria con sette femmine e cinque maschi. Sembra la famiglia numerosa di una volta. Ed eccolo convocare alle sette del mattino a Roma la prima sua segreteria. E’ ancora nell’aura della novità promessa. E con tanti “forconi” in giro, che stanno giorno e notte nelle piazze, un po’ di effetto lo fa. A quando lascerà accesa la luce del suo studio per dare ad intendere che lui è sempre al lavoro per il paese?
Ma che fine hanno fatto i suoi proclami di enfant terrible contro la Cancellieri, contro i tentennamenti del governo Letta, contro gli inciuci? Della Cancellieri non si dice più né ai né bai. Doveva fare le valigie; e, invece, è più salda di prima in groppa al cavallo governativo, nonostante il peso, non fisico s’intende, ma morale. Il governo Letta doveva accelerare e svoltare; e, invece, continua con lentezza sui binari morti della stazione napolitana. Quanto agli inciuci, eccone una dimostrazione: ha chiamato Taddei, consigliere economico di Civati, a componente della segreteria e Cuperlo alla presidenza del partito, quando lo sanno tutti, sordi, muti e ciechi, che i tre erano alternativi. Come dire, il palio è finito, si torna ai compromessi e alle soluzioni pasticciate.
Con Renzi l’Italia si sta avventurando in una nuova impresa, che ha fin d’ora tutti i caratteri delle precedenti. Questo è rassicurante per un verso, ma è maledettamente preoccupante per un altro. Non si sta cercando la “diritta via”, per dirla con un altro fiorentino, ma si sta tentando un’altra via storta, sinuosa e accidentata. Renzi, infatti, è un’altra stravaganza, dopo quelle di Bossi, Di Pietro, Berlusconi e Grillo. Il Senatur, che ancora sbraita contro Roma ladrona, si è ristrutturata la casa coi soldi pubblici e ha dato alla Patria un esemplare di fauna urbana come il Trota. Il pubblico ministero di Mani Pulite doveva fare piazza pulita di corrotti e corruttori; è finito senza far nulla, anzi, sospettato di essere lui, a sua volta, corrotto. Berlusconi è naufragato in un mare di scandali che ne hanno deturpato l’immagine di uomo, di politico e di imprenditore. Grillo…beh, Grillo fa ancora il comico e pensa che gli italiani se la cavino coi vaffanculo e quattro risate.
Se non ci vergogniamo di tutto questo, fratelli d’Italia, di che ci vergogniamo?
Forse questa di Renzi è la mamma di tutte le stravaganze. Quando mai una società complessa come la nostra si è lasciata rappresentare e guidare da una minoranza generazionale, ancorché la più propagandata dai media? Potrebbe una squadra di calcio formata tutta da quindicenni vincere la coppa dei campioni contro squadre che hanno nei ruoli calciatori che vanno dai venti ai trenta anni e passa? Via, si può essere creduloni quanto si vuole, ma c’è un limite oltre il quale si è irrimediabilmente fessi.
Napolitano, che ha  88 anni, gli ha telefonato per congratularsi. Renzi non stava neppure nell’utero di sua madre quando Napolitano era uno dei massimi esponenti del Partito comunista e faceva – secondo la lettura renziana degli ultimi cinquant’anni di storia italiana – disastri insieme coi suoi compagni e compari. Per carità, una telefonata di Napolitano nel mercato dell’importanza mediatica vale più di una chiamata di Papa Francesco, assai più inflazionata; ma è una dimostrazione che la politica è intreccio, è rete, è tessuto con gli altri.
Renzi non si è ancora reso conto che i suoi vecchi da rottamare gli stanno cucendo addosso il vestito. D’Alema ha avuto parole di resa e ha convinto Cuperlo ad accettare la presidenza del Pd. Napolitano lo lusinga. Altri faranno altrettanto. In Italia il pericolo non viene mai da chi ti osteggia, ma da chi ti tende la mano, quando altro non può tenderti. Lo fece Marc’Antonio agli assassini di Cesare a sangue ancora fumante e intanto pensava alla resa dei conti di Filippi.
Neppure se Renzi fosse un dittatore potrebbe mai fare tutto quello che ha promesso di fare. Figurarsi in un paese in cui i condizionamenti involontari sono tanti e tali da superare i nemici volontari. Non deve aver studiato molto la storia d’Italia Renzi, se non si è reso conto di come stanno le cose.
Ma, in fondo, non si può pretendere tutto da uno che faceva gli esami di maturità quando Berlusconi lanciava la sua sfida liberale e liberista ai bacucchi della partitocrazia. Salvo che non si tratti di un bugiardo conclamato, uno dei tanti furbastri espressione del sempre prolifico genio italico!
Sarebbe ingeneroso, comunque, attribuire a Renzi il nulla che persiste e che avanza. Non aveva, non può avere, la bacchetta magica. Ma proprio questo dimostra che in politica contano gli uomini, ma contano anche e soprattutto i sistemi e i contesti in cui essi devono operare.

L’invecchiamento di Renzi è cominciato. Per la rottamazione si aspetta solo che si aprano i termini per fare la pratica.

Parole chiave: Renzi Casini D'Alema Cuperlo Napolitano Papa Francesco

Argomento: Renzi è già vecchio 

mercoledì 11 dicembre 2013

Fascisti e comunisti, destini paralleli


Qualche anzianissimo del secolo scorso ricorderà una strofetta che si canticchiava in epoca fascista: “fascisti e comunisti giocavano a primiera e vinsero i fascisti con la camicia nera”. Fascisti e comunisti hanno tutt’altro che giocato, in verità, ma era un modo eufemistico per significare lo scontro fra questi due soggetti della politica e della storia del Novecento. Se si pensa alla fine che hanno fatto gli uni e gli altri si ha ragione di dire che davvero quel secolo è finito, morto e seppellito. Gli uni ingloriosamente ingoiati dal moloch Berlusconi, gli altri non meno ingloriosamente ingoiati dal moloch Renzi; entrambi campioni di un certo tipo di politica preideologica.
Finiti, senza neppure che se ne rendessero conto. I loro dirigenti non hanno saputo prevedere dove portavano certe loro scelte, che, al momento in cui le facevano, sembravano tanto necessarie quanto felici. Le idee di Renzi, in verità, avevano già conquistato una parte degli ex comunisti. Veltroni era un infatuato. D’Alema coglieva qualche aspetto positivo ed era rassicurato dell’abbondanza di olio ideologico che ancora c’era nella lampada comunista.
Una delle qualità di un politico è la lungimiranza, la capacità cioè di vedere per tempo dove va la società e dove porta una scelta invece di un’altra nell’intento di accompagnarla verso i necessari traguardi; un po’ come nel gioco degli scacchi. Gli strumenti per perseguire gli obiettivi sono i partiti, comunque li si voglia chiamare. La loro efficienza è garanzia di buona riuscita politica. Le scelte che li riguarda sono perciò fondamentali. Di qui il perseguimento anche del loro continuo miglioramento, attraverso opportune scelte strategiche. Salvo che queste non vengano fatte consapevolmente per liquidarli, anziché migliorarli.
Quando Gorbaciov introdusse la perestrojka e la glasnost ci fu chi giustamente ravvisò i pericoli che sarebbero derivati al comunismo. Si minimizzò all’epoca, dicendo ma in fondo un po’ di chiarezza, di trasparenza farà bene al partito e alla società. E’ andata a finire come abbiamo visto, col crollo del comunismo, come movimento e come regime.
Per venire alle cose nostre, la nascita di An, voluta da Gianfranco Fini, e il successivo confluire nel Pdl di Berlusconi hanno di fatto dissolto un partito che pure aveva resistito a due guerre perse e a cinquant’anni di persecuzioni, discriminazioni, difficoltà varie. Anche in questo caso si disse che il Msi aveva esaurito la sua funzione storica e che doveva necessariamente tralignare in qualcosa di più democratico e liberale. Pochi ipotizzarono che si sarebbe andati incontro alla morte di un’idea politica ben precisa; e cercarono di salvare il salvabile. Anche qui l’acido berlusconiano ha dissolto il partito di Almirante.
Non diversamente ha fatto il Pci, in tutti i suoi successivi passaggi, dalla Bolognina alla nascita del Pd, attraverso il Pds, Ds e Ulivo, fino ai giorni nostri. Non si volle cercare di vedere quali sarebbero potuti essere gli esiti di un così lento dissolversi a contatto con l’acido del pensiero cattolico-moderato.
Più in generale qualche anno fa ci fu un coro di evviva e di osanna alla morte delle ideologie, senza che a nessuno venisse in mente quale sarebbe potuta essere di lì a non molto la conseguenza sul piano dell’organizzazione e della funzione politica.
La vittoria bulgara di Renzi alle primarie del Pd di domenica 8 dicembre ha fatto dire ironicamente a qualche commentatore politico: un bambino in Italia ha mangiato i comunisti. Giusto per rifare il verso alla battuta secondo cui i comunisti in Russia mangiavano i bambini.
D’Alema, l’ultimo dei resistenti, si è arrabbiato molto in questi ultimi tempi. Non voleva che Renzi corresse per la segreteria, ma per la candidatura a premier. Quando ha capito che il Sindaco di Firenze avrebbe puntato alla segreteria, si era voluto convincere che avrebbe perso, certo che nel partito la maggioranza fosse dei comunisti. Invece Renzi incominciò a vincere coi voti dei tesserati nei congressi sezionali di ottobre e ha stravinto coi voti degli elettori non iscritti al partito. Una vittoria che ha fatto esclamare Civati, con una punta di cordiale risentimento, “e no, così non vale!”. E va bene che il Pd si sputtanò con le tessere “false” nei congressi e si è sputtanato coi voti “mandati” nelle primarie. Ma cosa fatta capo ha. Machiavelli insegnava che l’importante è vincere, perché quel che si ricorda è la vittoria non il modo in cui la si è ottenuta.
Ora, non c’è neppure da chiedersi se Renzi riuscirà o meno a risolvere la crisi politica italiana, tanto è evidente che si tratta di un cachiello, il cui profilo politico non ricorre in nessuno dei pensatori  politici da Aristotele ai nostri giorni. Non riuscirà. Ma c’è un aspetto importante del fenomeno Renzi ed è quello di aver liquidato i comunisti, ridotti ad essere una minoranza dopo essere stati la maggioranza di casa. Una maggioranza, però, fatta di figli di un dio minore, quando benché fossero tantissimi non riuscivano a farsi accettare dal popolo italiano e dovevano mimetizzarsi dietro gli ex/post democristiani.
Quelli che oggi nel Pd non hanno dimenticato chi sono e da dove vengono, parlo dei comunisti ovviamente, ormai ridotti ai minimi termini, se vorranno salvare la loro storia e la loro idea di politica dovranno mettere la questione su binari diversi. Se non lo faranno, lusingati dall’idea di poter vincere le elezioni con Renzi, o spaventati dalla favola che il Paese è sull’orlo del precipizio, perderanno quel poco che gli è rimasto. Se sarà un bene o un male, è cosa da vedersi. Ma così sarà.
Non meglio stanno i fascisti, ormai ridotti a gruppuscoli di protestatari ai limiti delle leggi dello Stato, che sono tutte rivolte ad una ben più pesante damnatio delle idee di una certa destra che ai tempi della Democrazia cristiana erano tutto sommato tollerate se non si configuravano come dichiarato partito fascista organizzato. Oggi è reato parlar male dei negri, delle donne, dei gay, degli ebrei e via di seguito. Quelle che prima erano idee che non si condividevano ma che non si impediva a nessuno di avere oggi sono reati da perseguire. Tra poco ai fascisti non rimarrà neppure la libertà di avere in casa dei libri o delle immagini. E ad impedirglielo non sono i comunisti, coi quali si potrebbe riprendere a “giocare”, ma i socialdemocratici di Bruxelles.

Parole chiave: Fascisti Comunisti Fini D'Alema Veltroni Renzi

Argomento: Fine di fascismo e comunismo 

domenica 8 dicembre 2013

Non si capisce più niente! Siamo tutti brutti, sporchi e decaduti


Chi gliel’ha fatta fare a Napolitano a farsi rieleggere! Il di più – è notorio – è sempre del Maligno. Che qui non è il diavolo, è semplicemente il peggio. E il peggio è il “decadutismo”, ossia la tendenza a far decadere mentre si è a propria volta decaduti. Il fenomeno che oggi in Italia sta devastando il tessuto istituzionale e rischia di gettare il paese nel caos. Una sorta di febbre del bowling, dove tutti sono allo stesso tempo palle e birilli. Mancano i giocatori. Chi non è decaduto, scagli la prima palla!
Diamo uno sguardo. La Corte costituzionale, eletta dal Parlamento, ha sentenziato che la legge detta Porcellum, che ha espresso ben tre parlamenti dal 2006 al 2013, è incostituzionale. Ergo, il Parlamento è illegittimo e illegittimi sono i suoi atti compiuti, compresa la nomina dei giudici della Corte costituzionale, compresa l’elezione bissata del Presidente della Repubblica, compresa la decadenza di Berlusconi, tanto per citare i casi più eclatanti.
Decaduto a chi? – ha ragione di dire il Cavaliere – siete tutti decaduti e figli di decaduti. E, tanto per incominciare, io dichiaro decaduti i Senatori a vita, che, a prescindere dai requisiti, sono stati nominati da un Presidente decaduto. Ma stavano così bene in casa loro, quelle eccellenze! Napolitano, che era già nei guai, li ha voluti compagni al duol.
Altro che sesso degli angeli! Qui non si capisce davvero chi oggi in Italia sia nella legittimità di decidere qualcosa. Potessimo almeno affidarci al Papa, come nel Medioevo!
Chi è senza incostituzionalità scagli il primo voto! Le maddalene possono stare tranquille, non ci sono più voti. E per fortuna! Se no il paese si trasformerebbe in una di quelle battaglie dove tutti scagliano arance o pomodori sugli altri, in un’orgia indescrivibile di feriti veri e apparenti.
Il costituzionalista Michele Ainis, brillante pubblicista, anticipando il Presidente Napolitano, ha detto che il Parlamento è legittimato a svolgere il suo compito e che i compiti già svolti sono altrettanto legittimi. Che si fa – ha detto Ainis con un po’ di macabro umorismo – si uccide il bambino nato per una legge sulla gravidanza assistita poi giudicata incostituzionale? Via, siamo seri.
Già, ma proprio questo è il punto: è possibile essere seri oggi in Italia?  Il Porcellum lo si sta ingrassando da ben otto anni. Dove stavano i giudici della Corte costituzionale, che pare siano tra i più pagati al mondo e che a vederli sembrano i criticoni dei Muppet-show? Dormivano, erano fuori stanza, erano in ferie, erano in licenza per malattia? Non potevano intervenire subito a dichiarare incostituzionale una legge che ha fatto scialacquare destra e sinistra e perfino i grillini, che addirittura volevano perpetuarla? No! Se no che paese straordinario saremmo?
Ora non si sa che cosa possa accadere. I costituzionalisti, che in Italia quanto a numero se la patteggiano coi commissari unici di calcio, ne sparano a iosa. Stanno venendo fuori le cose più strane, più bizzarre e allegre e, come nelle telenovelas, si rimanda il seguito alla puntata successiva, che sarà la pubblicazione della sentenza sulla “Gazzetta Ufficiale”. Tra le ipotesi più esilaranti perfino la decadenza degli eletti col premio di maggioranza per procedere alla sostituzione col criterio dell’assegnazione dei seggi col metodo proporzionale.
Verosimilmente non accadrà nulla. C’è un vecchio principio, cui si appellava Curzio Malaparte, cosa fatta capo ha. Chi c’è c’è, e chi non c’è, se ne faccia una ragione. Questo Parlamento, pur delegittimato dalla sentenza sul Porcellum, continuerà, part-time, però. E’ finito il posto fisso anche per loro, cioè fino a quando non farà una nuova legge elettorale per andare subito dopo al voto.
Sembra una cosa da niente, detta così; invece è una questione maledettamente complicata. In Italia non si pensa mai a trovare soluzioni per il paese e nella prospettiva dell’efficacia di un provvedimento erga omnes, ma si cerca il modo come fottere il prossimo, nella fattispecie, come dicono gli avvocati, escogitare un sistema per vincere le elezioni. Il resto si vedrà. Ma è pensabile che questi signori – si fa per dire – siano talmente fessi da affrettarsi a decadere? Saranno capaci di rimandare tutto alle calende greche!
Bisogna convenire che la situazione benché tragica non è seria. Perfino Prodi è tornato in partita. Aveva detto che non avrebbe votato alle primarie del Pd; è di ieri la sua dichiarazione: andrò a votare. Sai, che notizia rassicurante! Ma la notizia non è senza senso: a Prodi devono aver promesso l’elezione a Presidente della Repubblica, dopo che Napolitano lascerà ingloriosamente la carica. Prodi vota? Se poi sarà veramente votato è da vedersi, ma intanto si può pensare che Napolitano ha deciso di lasciare.
Intanto avanza il nuovo: Renzi, Cuperlo e Civati a sinistra si contendono una carica che ha portato sfiga a chi l’ha ricoperta finora. Epifani a parte, a cui è andata bene proprio perché non aveva grilli per la testa. Fossi in uno dei tre mi attrezzerei di corni e di gobbi. C’è poco da scherzare!
Dall’altra parte il signor Quid, ovvero Alfano, ha presentato il simbolo del suo partito: un quadrato blu con dentro le lettere NC e fuori quadrato la lettera D, Nuovo Centro Destra. Gli sarebbe bastato posporre la D con la C e avrebbe ottenuto Nuova Democrazia Cristiana. Qui, davvero è il colmo! Forza Italia e il Nuovo Centrodestra si sono divisi, intanto dicono di essere alleati e perfino i più alti rappresentanti del Nuovo Centrodestra dicono che il loro leader è Berlusconi.
In questo grandissimo casino il popolo italiano versa in sempre più gravi condizioni economiche. Letta a parte, che dice di sentirsi sempre più forte del giorno prima, ma rimanda il miglioramento al giorno dopo, non c’è chi effettivamente non si nasconde il peggio. Siamo sempre più vicini alla Grecia, con la differenza che noi, men che averla, non la scorgiamo neppure con la fantasia un’alba più o meno dorata. Per noi è notte fonda!

Parole chiave: Napolitano - Consulta - Porcellum - Primarie Pd - Alfano - Berlusconi

Argomento: Incostituzionalità Porcellum


domenica 1 dicembre 2013

Il dopo Berlusconi e la crisi istituzionale


Ciò che sorprende in tutta la vicenda della decadenza da senatore di Berlusconi è che nessuno, dentro e fuori il parlamento e il governo, ha riflettuto sul fatto che i rappresentanti del popolo, dalle elezioni del 2006 alle ultime del febbraio 2013, in quanto espressione di un sistema elettorale incostituzionale – presto l’incostituzionalità la ufficializzerà anche la Consulta – vivono e operano in condizioni di illegittimità sostanziale. Perfino il Presidente della Repubblica Napolitano, per il secondo mandato ricevuto, è espressione di un’assemblea illegittima in radice. Ergo: è un Presidente illegittimo! Ben inteso, questa legge è stata considerata incostituzionale solo dopo che non ha dato gli esiti di governabilità attesi, aspetto che attiene la politica non già il principio. Vedremo quali spiegazioni di merito darà la Consulta.
Questa situazione, assurda in qualsiasi altro paese europeo o dell’occidente moderno, qui in Italia è normale, anzi normalissima. E’ così normale che nessuno ci pensa, nessuno ne parla. Si potrebbe obiettare che si è in presenza di un caso di usucapione; ovvero sì, la situazione è anomala, perfino illegittima, ma siccome sono passati degli anni, ci sono stati parlamenti e governi diversi, frutto di questa legge elettorale, la situazione è da considerarsi normalizzata, o per lo meno tale fino a nuova legge sostitutiva. Esattamente come accade a chi, pur non essendo proprietario di un passaggio, dopo un po’ di anni che passa sempre di lì senza che nessuno lo contesti ne acquisisce il diritto per usucapione. Il porcellum, così viene detto il sistema elettorale padre di questa situazione, ha porcellizzato deputati, senatori e loro estensioni, in alto e in basso loco.
Non entro nel merito della decadenza di Berlusconi, rischierei di ripetermi. Dico solo che è responsabile di comportamenti assolutamente riprovevoli, a livello non solo morale ma anche legale, ma è altrettanto vero che prove i giudici non sono riusciti a trovarne e che da vent’anni subisce la persecuzione della magistratura. Una persecuzione tanto più grave quanto più la magistratura, che se ne è fatto carico, è di parte e nello stesso tempo deficitaria e omissiva di impegno su altri fronti. L’Italia è il paese della mafia e delle mafie; è il paese in gran parte reso invivibile a causa da una parte della malapopolazione che opera a danno della società e dall’altra della magistratura, che, in tutt’altre faccende affaccendata, fra cui l’aspirazione a far politica con e senza la toga, lascia il paese alla mercé di chi lo vuole. In Italia – e completo il pensiero – ci sono delinquenti, malfattori, imbroglioni a tutti i livelli; ma di essi la magistratura se ne occupa proprio quando non ne può fare a meno e spesso proscioglie con una facilità che offende il buon senso. Vedi il caso Cancellieri. Bisognerebbe ricordarsi di quell’amara riflessione fatta circa duemila anni fa dal poeta Ovidio, il quale, relegato a Tomi per i bunga bunga romani, si rodeva il fegato pensando che bene vixit qui bene latuit (visse bene chi ben si nascose). Mettiti a sinistra, magari nasconditi a sinistra, e fotti quanto più puoi, male che ti vada, non ne uscirai con le ossa rotte. Questa è la lezione!
Ma torniamo all’incredibile situazione in cui versiamo. La prima urgenza è di recuperare una condizione di legalità, approvando una nuova legge elettorale e votando immediatamente dopo. Il tempo che i soliti furbi cercheranno di farci perdere, magari in nome di chissà quali urgenze e priorità, potrà servire a loro per crearsi condizioni politico-elettorali di vantaggio. Abbiamo sentito che tutti, sia i tre che si contendono la segreteria del Pd, sia quelli del Pdl, Forza Italia e Nuovo Centro-destra, pongono al vertice delle priorità la legge elettorale. Questo nelle parole. Nei fatti, invece, non pensano affatto né alla legge elettorale né al voto. Il governo Letta promette o minaccia, a seconda dei punti di vista, di durare fino al 2015. E’ probabile che questo non accada, ma intanto si cerca di accreditarlo come possibile. Letta continua a dire ogni giorno di essere più forte del giorno prima, ma rimanda al giorno dopo i miglioramenti dell’Italia. Ha incominciato a dire che qualche miglioramento già si vedeva quest’estate, ora dice che si vedrà nel 2014. Una specie di racconto da Mille e una notte, quando la bella e furba Shahrazad allungava il racconto di notte in notte per non essere giustiziata. Letta, più forte del giorno prima – dice lui – promette il miglioramento al giorno dopo, con la speranza che lo facciano durare.
Le primarie Pd dell’8 dicembre potrebbero dare una prima scossa alla situazione. Se, come si dice, vincerà Renzi, non potrà non accadere nulla. Intendiamoci, non perché si nutra molta speranza in questo banditore della politica – il sacco potrebbe essere pieno di foglie secche, come dice un vecchio proverbio – ma perché gli altri, che a me sembrano assai più attrezzati, dico Cuperlo e Civati, concorreranno a smuovere le acque prima che diventino limacciose. E’ assai probabile che il Governo Letta spiri a gennaio o a febbraio dell’anno prossimo, in modo che si voti a primavera.
Resta l’incognita della legge elettorale. Essendo stato già abolito il porcellum dalla Consulta, in difetto di tempi utili per approvare un’altra legge, probabilmente si voterà col mattarellum. Il che aprirebbe scenari imprevedibili. Quando fu introdotto, infatti, nel 1993, la situazione politica era decisamente diversa dall’attuale. Il primo beneficiario fu proprio Berlusconi che vinse le prime elezioni, nel 1994, col nuovo sistema elettorale.

Giuseppe Maranini, grande costituzionalista, acerrimo nemico della partitocrazia, ammoniva che il sistema elettorale è determinante per la corsa al potere, che c’è un rapporto diretto tra il sistema e il successo elettorale. Non è detto che uno stesso partito vinca le elezioni quale che sia il sistema elettorale. I protagonisti della politica lo sanno ed ecco perché sulla legge elettorale tutti dicono che si deve fare, ma poi tutti perdono tempo. 

Parole chiave: Berlusconi Napolitano Letta porcellum Renzi Cuperlo Civati Maranini

Argomento: crisi istituzionale   

domenica 24 novembre 2013

Berlusconi fine corsa, ma il complotto c'è


Silvio Berlusconi nel corso di questi venti anni si è reso colpevole di numerosi reati, forte dei suoi mezzi per apparire sempre davanti alla giustizia non punibile perché i reati commessi erano difficilmente provabili. Fino a qualche anno fa la giustizia ha sbattuto sempre contro un muro di gomma, vuoi per le leggi ad personam che depenalizzavano i reati, vuoi per i tempi di prescrizione, vuoi per l’abilità degli avvocati, vuoi per testimonianze confezionate e via di seguito. La giustizia nei cinquanta e passa processi contro di lui ha commesso anche l’errore di infilare qualche reato palesemente infondato, contando sui suoi giochi di prestigio; ma l’assoluzione che ne è derivata è stata spesa dal Cavaliere per dimostrare l’accanimento di certa magistratura nei suoi confronti. Il che era poi vero, dato che gli stessi reati compiuti da altri, anche importanti uomini dell’economia nazionale, venivano ignorati o trattati diversamente.
Ciò non toglie che la condotta complessiva di Berlusconi non sia stata quella, a rigore, di un uomo di Stato; ma di uno scavezzacollo straricco e strapotente credentesi in diritto di fare tutto ciò che volesse, ostentandolo perfino come uno status di rivalsa contro i suoi nemici.
Un uomo del genere è politicamente incollocabile. Il suo dichiarato anticomunismo non lo colloca minimamente nel liberalismo, se non in margine alla sua attività di imprenditore; meno ancora a destra, luogo politico e ideologico di chi crede nell’etica dello Stato. Berlusconi ha coinvolto e inquinato tutte le forze politiche sue alleate, fino a fagocitarle.
Ma l’aspetto ancor più grave e devastante è ciò che gli altri sono stati indotti o costretti a fare per abbatterlo; al venir meno alla correttezza istituzionale e al dover negare le ragioni profonde, essenziali, del proprio ruolo pubblico.
Da qualche anno in qua, infatti, i suoi nemici hanno cambiato tattica. Come si dice? Hanno fatto squadra: magistratura + politici + alte istituzioni. Un complotto, anche se non è nato nelle forme liturgiche note alla storia. Diversamente non può essere definito.
Ben inteso, si può anche essere d’accordo sulle finalità “nobili” di questo complotto, ma che di complotto si tratti è indubbio.  
C’è stata una svolta nella tattica della magistratura, che oggi non sta a perdere tempo con le prove o le testimonianze, ma lo condanna e basta. Ha capito che le prove per condannarlo non le avrebbe mai avute e perciò niente prove, ma la presunzione di sistemi criminosi, intesi all’ingrosso. Nella condanna per frode fiscale, per esempio, ha assolto Confalonieri, che era formalmente il responsabile legale di Mediaset, e condanna Berlusconi, che ne era il proprietario. Nella condanna per Ruby, non c’è prova alcuna contro di lui; i testimoni lo scagionano. Dunque i testimoni dicono il falso, così, senza prove per un altro supposto sistema di prostituzione minorile. Vedremo che per il processo per corruzione del senatore De Gregorio la corte giudicante farà lo stesso, dirà che Berlusconi ha costruito un altro sistema di corruzione politica.
Ma, a confermare il lavoro di squadra, concorre la dimensione della condanna. Non si tratta di condanne normali, benevole o malevole, ma di condanne funzionali al suo definitivo abbattimento politico: interdizione ai pubblici uffici, decadenza da parlamentare, incandidabilità, anche per la sopraggiunta legge Severino contro i politici corrotti. Legge, questa, che se fossero stati più attenti i Berluscones avrebbero evitato.
Una magistratura, così operante, non potrebbe reggersi senza il concorso di altri importanti soggetti e se non avesse la moral suasion di chi sta più in alto. Le sinergie in atto contro Berlusconi coinvolgono le alte cariche dello Stato, anche se defilate o formalmente aderenti al rispetto delle competenze. Anche quando, per esempio, senza venir meno al regolamento, il Presidente del Senato, che si muove nella stessa volontà del Capo dello Stato, come del resto tutto l’universo politico e istituzionale italiano, potrebbe concedergli qualcosa rimandando la data del voto del Senato sulla decadenza, s’impunta e dice: niet! Segnale, questo, che non ha bisogno di commento. Al vertice di questa piramide di potere c’è Napolitano. Per capire il ruolo che oggi ha il Capo dello Stato basta, a chi può, leggersi i versi di Dante che descrivono il Padreterno all’inizio del I Canto del Paradiso:  “La gloria di colui che tutto move / per l’universo penetra, e risplende / in una parte più e meno altrove”, con la sola differenza che la gloria di Napolitano oggi penetra e risplende dappertutto allo stesso modo.
Chi, di destra o di sinistra, è fuori dal confronto politico non può non essere contento del fine, abbattimento di Berlusconi, per le ragioni esposte in premessa, ma non può accettare i mezzi coi quali lo si sta abbattendo. Non solo e non tanto per il fatto in sé, ma per quello che produrrà in prospettiva. Soprattutto – ciò che produce più male allo Stato di diritto – è il comportamento della giustizia, chiaramente di parte e in concorso con la politica per far fuori un nemico comune, tanto forte che né la giustizia con le sue armi istituzionali, correttamente usate, né la politica con le sue, le elezioni, sono riuscite in venti anni a sconfiggere.
Berlusconi da un anno a questa parte fa pena; è un uomo finito. La sua fiducia nell’aver qualche riguardo dal Presidente della Repubblica o dai suoi nemici, in cambio della rielezione di Napolitano e del sostegno al governo Letta delle grandi intese, è puerile. Il suo non volersi dimettere e il voler aspettare il voto di decadenza, che secondo lui è una vergogna della quale i suoi nemici continueranno a vergognarsi per chissà quanto tempo, è infantile. Ma quando mai c’è stato qualcuno che si è vergognato in politica? In Italia, poi!
E’ chiaro che non è più compos sui, come dicono gli avvocati; oppure è il solito Berlusconi, giocherellone di fronte al giocattolo che gli si è rotto tra le mani. Nel primo caso bisognerebbe davvero che qualcuno lo aiutasse. Nel secondo, forse si dovrebbe rivedere il giudizio e cercare altrove le cause del suo fenomeno. 

Parole chiave: Berlusconi Magistratura Napolitano

Argomento: Decadenza Berlusconi 

domenica 17 novembre 2013

Berlusconi-Alfano: una scissione burla?


La data è da ricordare: 15 novembre 2013. La componente governativa del Pdl non ha inteso partecipare al Consiglio Nazionale del partito, indetto per sabato 16, in cui si è poi deciso la liquidazione del Pdl e il ritorno a Forza Italia.
I riottosi, guidati da Angelino Alfano, hanno dato vita a gruppi parlamentari autonomi, denominati Nuovo centrodestra. E’ stata di fatto la scissione. L’ennesima nella storia politica di questo paese. Ancora una volta non ne verrà che male.
Ovvio che la gente, portata com’è ad esemplificare, si chieda chi ha torto e chi ha ragione. Non è facile rispondere. Ci sono almeno tre profili da analizzare. Due sono formali, uno è sostanziale.
Primo profilo. Non c’è alcun dubbio che in un partito possano esserci punti di vista diversi, dal confronto escono una maggioranza e una o più opposizioni. Chi vince si assume le responsabilità delle scelte, chi perde deve lealmente stare nel partito e fare di tutto perché la linea scelta dia buoni frutti perché è nell’interesse di tutti. Qui la minoranza, per esemplificare, quella guidata da Alfano, non è stata alle regole e ha lasciato il partito. Dunque: hanno ragione Berlusconi e chi lo segue, hanno torto Alfano e chi lo segue.
Secondo profilo. Non si è trattato di un normale confronto all’interno di un partito che nessuno metteva in discussione, ma di una vera e propria rifondazione: da una parte (Berlusconi) che voleva tornare a Forza Italia; dall’altra (Alfano) che voleva continuare col Pdl. Le due parti hanno preso strade diverse su un piano paritario: nessuna delle due ha ragione e nessuna ha torto.
Terzo profilo. Questo è sostanziale. Una parte (Berlusconi) vuole evitare la sua decadenza da senatore e dunque la sua uscita di scena negoziandola con la fiducia al governo, nell’altrettanto esemplificata conclusione: se decade Berlusconi cade il governo. Cosa che si è sempre detto di voler tenere distinte e fino ad ora sono state tenute distinte, pur con molti mal di pancia. La posizione di stare con Berlusconi senza se e senza ma, se ha un fondamento forte sul piano dell’emotività – il capo è sempre il capo –, è debole sul piano politico, dato che è sotto gli occhi di tutti che Berlusconi è finito, non solo per la decadenza da senatore ma per le tante ghigliottine giudiziarie che gli stanno sul collo. La caduta del governo, poi, non porterebbe nulla di buono né a Berlusconi né al Paese. Sarebbe per tutti una catastrofe da muore Sansone con tutti i Filistei. La componente governativa del Pdl, nella consapevolezza di tutto ciò, non ha ritenuto di stare con Berlusconi, irrimediabilmente perso, e ha deciso di sostenere il governo, limitandosi a piangere la fine di Berlusconi come le prefiche di una volta accompagnavano l’agonia e la morte dell’eroe morente. Un canto funebre, ecco che cosa Alfano era disposto a dare a Berlusconi a risarcimento di ciò che perdeva e come gratitudine di ciò che personalmente da lui aveva ricevuto. Inutile dire che umanamente Alfano doveva perire con Berlusconi. Politicamente ha fatto una scelta diversa nel tentativo di una prospettiva più favorevole per sé e nell’immediato per tenere contento il Presidente della Repubblica Napolitano, unico e solo domino della situazione. I cosiddetti lealisti, da parte loro, stando dalla parte di Berlusconi, sperano di poter trarre un profitto politico dalla sua ricchezza di mezzi e dalla sua forza elettorale, in vista di nuove elezioni, essendo non meno coscienti dei governativi che Berlusconi è finito. Ai canti funebri loro hanno preferito i canti di guerra, ma con l’occhio e la mano sulla cospicua eredità politica.
Ci sarebbe un quarto profilo, quello del risentimento di chi per anni ha dovuto dire sì-sì e no-no, a seconda delle indicazioni di Berlusconi; di chi per anni ha subito anche le sue non sempre generose battute. E’ da credere che Alfano abbia dimenticato di non avere il “quid”? Lui, che peraltro è siciliano? E’ da credere che in tutti questi anni non abbia pensato di dimostrare che lui il “quid” ce l’ha e come? E’ da credere che uno come Quagliarello abbia digerito perfino il dover sostenere in Parlamento che la Ruby fosse davvero la nipote di Mubarak? E’ da credere che uno come Cicchitto, che da sempre si dà arie di grande stratega politico, non abbia nutrito in tutti questi anni il rancore e la speranza di riscatto per la mortificazione di essere un esecutore di ordini? Ci sarebbe da fare un elenco infinito di risentiti in attesa di rivalsa. Le corti sono da sempre luoghi di comodità  e di agi, ma anche di veleni e di fetidezze, per le tante umiliazioni che i cortigiani subiscono dal signore e dai suoi favoriti.
I risvolti umani in certe drammatiche situazioni si spartiscono tanti e tanti, tanti di gratitudine, tanti di risentimento.
Io non credo che il calcolo politico stia solo da una parte, la generosità e la lealtà dall’altra. Quel che oggi deve far pensare tutti, lealisti e antilealisti, per intenderci, è ciò che conduce agli esiti della vicenda. Chi finirà per avere la meglio: i ribelli o i fedeli?
La storia non ha mai premiato i generosi. Dai loro tormentati gesti non hanno mai tratto beneficio. Si dice che il tradimento non esiste in politica. Ma si dicono tante altre cose in politica, come se fosse la giungla, l’azzeramento della civiltà. Bisognerebbe pensare a qualche cura di umanità e di umanesimo. Ripensando la vicenda di Bruto, quello che diede l’ultimo colpo di daga a Cesare, pronto a uccidersi dopo la sconfitta di Filippi, Leopardi si chiedeva se per caso Giove non sieda sempre a tutela degli empi.

Qui non si fa poesia, si fa politica. Al di là delle simpatie o delle antipatie, si cerca di capire dove porterà la rivolta di Alfano, dove la lealtà di Fitto e dove la saggezza di Gianni Letta. L’operazione di Alfano è chiaramente di vertice, non si sa al momento a quale elettorato faccia riferimento. Si conoscono i rimandi di vertice, non quelli di base. Se la storia non ha raccontato finora frottole, Alfano e compagni andranno incontro alla sconfitta, dopo la bella fiammata di successo di questi giorni; andranno a tener compagnia a Bruto a Filippi. Tutti i profeti armati – insegna Machiavelli – vinsono, i disarmati ruinorno. A meno, come è opportuno sospettare, non si tratti alla fine di una scissione burla…alla Berlusconi.

Parole chiave: Berlusconi Alfano Scissione Forza Italia Nuovo Centrodestra

Argomento: Nuovo centrodestra

martedì 12 novembre 2013

Su Salernitana-Nocerina: il calcio, i soldi, i tifosi


In questo paese ormai – l’Italia dico – non si può fare più un ragionamento libero. Non perché qualcuno ti mandi al confino politico o in carcere; ma perché c’è una sorta di sinedrio di moralisti, i quali leggono dentro le righe per vedere se trovano idee e opinioni in qualche modo difformi dal  pensiero unico dominante, per condannarti come reprobo. Questa gente si indigna un giorno sì e l’altro pure e per tre volte al giorno. S’indigna più volte di quante non si lavi i denti. Grida subito: vergogna, non se ne può più, bisogna prendere provvedimenti seri: tolleranza zero. La corte si adegua subito e da canale televisivo a canale televisivo è un propagarsi infinito, con gli indignati- cavallette che danno l’assalto al campo.
Il calcio, per essere il contenitore popolare più importante, è lo specchio su cui si riflette questo mondo di eterni indignati. Strutturato in senso verticale e orizzontale, dal vertice alla base, dal centro alla periferia, il mondo del calcio, fatto da calci-tranti, non sopporta i re-calcitranti. Tutti si devono adeguare. Tutti, benché diversi nei ruoli e nelle condizioni, devono sottostare.
Da anni ormai si gioca per i soldi. I campionati sono condizionati negli esiti sportivi: alcune squadre giocano il venerdì, altre il sabato, altre la domenica ed altre il lunedì successivo; alcune a mezzogiorno e mezzo, altre alle quindici, altre alle diciotto, altre alle venti e quarantacinque. Pensiamo solo un attimo che valore si potrebbe dare ad una gara di atletica o di ciclismo con gli atleti e i ciclisti che per la stessa gara fanno le loro prestazioni in giorni diversi, in orari diversi e in condizioni diverse.
A lor signori, i padroni del pallone, tutto questo sembra legittimo. Ove è lampante che lo fanno per i diritti televisivi, che producono fiumi di soldi. Sanno che ormai il calcio non ha più niente di sano e di sportivo. Ma intanto continuano a far soldi, ad insistere. Non dico che è solo il nostro paese, ormai è il sistema. E si potrebbe pure rispondere: e mo’ che si può fare? Così va il mondo.
Ma il mondo non è fatto solo di quattro faccendieri, che trasformano tutto in pecunia e tutto subordinano agli affari: è fatto anche di gente sana, pulita, appassionata, tifosa, che crede e si arrabbia – e fa bene ad arrabbiarsi quando pensa di aver subito un’ingiustizia. Chi fa gli erutti quando parla sarà pure un maleducato, avrà pure qualcosa sullo stomaco, ma non significa che ha torto.
Il calcio è fatto principalmente dai calciatori, i quali sono sottoposti a sforzi incredibili per essere pronti a giocare in qualsiasi ora, con qualsiasi temperatura, sotto il sole o la neve, il vento e la pioggia. Come soldati sul Piave: tacere e andare avanti. Si dice: prendono tanti soldi. In parte è vero; ma vale per pochi. La stragrande maggioranza sì e no riesce a mettere insieme quanto gli serve quando smette per crearsi un’attività lavorativa. Se tutto gli va bene, perché qualcuno lascia la pelle, qualcun altro la salute o l’integrità fisica. E ci sono casi in cui i calciatori non sono neppure pagati, come poveri operai dipendenti di un’azienda in fallimento.
Poi ci sono i tifosi, i quali si pretende che vadano allo stadio, paghino un fottìo di soldi per il biglietto e debbano comportarsi come spettatori ad un concerto sinfonico: non devono urlare più di tanto, non devono usare parolacce, non devono sfottere gli avversari, non possono inveire contro i calciatori e gli arbitri; non possono esporre striscioni offensivi. Insomma si pretende che i tifosi non facciano più i tifosi, ma i fedeli in pellegrinaggio a Loreto o a Monte Sant’Angelo.
Giudizi morali soltanto nei loro confronti? Macché! Punizioni di ogni tipo, fino all’interdizione di andare allo stadio, alla chiusura delle curve, all’impedimento di seguire la squadra in trasferta. Sono stati inventati perfino reati nuovi, come il razzismo territoriale. Dire “Forza Vesuvio, erutta e sommergi i napoletani” è reato, come è reato se si dice che “Giulietta era una zoccola e Romeo un cornuto”. Sfottò, che, da che calcio è calcio, è stato sempre fatto.
Per concludere, il calcio, che è dei calciatori e del loro pubblico, è diventato appannaggio degli affaristi, i quali escludono quanti non si comportano come educande.
Per tornare a Salernitana-Nocerina, partita a rischio, come spesso accade per antiche rivalità tra i tifosi, che spesso si picchiano anche fuori della partita, occorre porsi delle domande; ma non le solite, quelle che hanno già la risposta. Come quella dei tanti Varriale: sono delinquenti.
Perché l’accaduto di domenica è grave, solo perché i tifosi della Nocerina hanno minacciato di morte i loro giocatori se fossero scesi in campo per giocare? Solo perché i calciatori hanno fatto finta di infortunarsi per obbedire ai loro tifosi? Certo, non sono belle cose, né a vedersi né a sentirsi. Ma vogliamo chiederci per quale ragione una partita di calcio fatta per lo sport e per i suoi appassionati, deve escludere una componente per ridurre l’evento ad un puro fatto di soldi?  Per quale motivo non consentire ai tifosi, che evidentemente non tutti sono ultras, di seguire la propria squadra? Si può concepire una partita di calcio senza i sostenitori di una delle due squadre?
Ecco, a queste domande occorrerebbe dare una risposta. L’episodio di Salernitana-Nocerina deve essere utilizzato in senso risolutivo dei problemi che hanno ingabbiato il calcio in un sistema di mero profitto. E’ arrischiato ipotizzare le ragioni che hanno indotto i calciatori a stare coi loro tifosi invece di essere in linea col regolamento o con l’etica dello sport, ma non escluderei che alla base del loro comportamento possa esserci stata anche una protesta non proprio ortodossa. O meglio: mi piacerebbe che così fosse stato. 

Parole chiave: Nocerina Calcio Affari Soldi Tifosi

Argomento: Salernitana-Nocerina

domenica 10 novembre 2013

Pd-congressi: che sputtanamento!


Di tessere fasulle nel Pd, fatte a chicchessia – verrebbe di ricordare il “chicche” e “sia” di Totò – per gonfiare i consensi congressuali dei candidati Pd ai vari livelli dirigenziali se ne parlava da tempo, al punto che uno dei candidati alla segreteria nazionale, Cuperlo, aveva suggerito di stoppare il tesseramento. Tanto è stato poi fatto tra mille polemiche e mugugni. E sì perché ormai chi aveva da ingrassarsi si era ingrassato, alla napoletana: chi ha avuto, ha avuto” con quel che segue.
Renzi, che da qualche anno viene proposto agli italiani come il puer della quarta egloga di Virgilio, il “bombardino” di Firenze, fa il superiore dicendo che lui non si occupa di regole ma di fatti. In realtà è il solito furbo, che tace quando gli conviene tacere e parla, anche troppo, quando gli conviene parlare. Per lui la Cancellieri si doveva dimettere. Ma è stato bene attento a dirlo non durante i giorni di discussione, ma dopo, quando ormai il caso era stato archiviato con non poco imbarazzo di tutti. Se non ha sollevato lo scandalo delle tessere, vuol dire che a lui andava bene.        
Il fenomeno delle tessere ha rievocato il similare fenomeno della Democrazia cristiana, quando i suoi vari ras locali tesseravano pure i morti per giungere al confronto congressuale con un nutrito pacchetto di “consensi”. Ma francamente lo spettacolo offerto dal Pd dei giorni scorsi ha superato il limite della decenza. Un fenomeno che ha riguardato l’intero territorio nazionale e si aggira tra il 15 e il 20 % dei congressi sezionali. Non è volgare retorica se lo si paragona a quanto provoca un pozzo asettico che tracima coi suoi liquami e inonda il condominio.
La puntata di “Virus”, la trasmissione di Nicola Porro su Rai Due, dell’8 novembre ha mostrato l’indecente spettacolo con dovizie di particolari, dai comuni di Tricase e Alessano del più profondo Sud, ad alcuni comuni del più alto Nord piemontese, alla stessa Torino, ad altri comuni del Lazio, tra Roma e Frosinone, in una “unità d’Italia” incredibile nella furbizia più spicciola e idiota.
Ma come si può giungere a tanto? Un erogatore di soldi si apposta ad una cinquantina di metri dalla sezione dove avviene il tesseramento. Delle persone, “chicche” e “sia”, passano da lui, ritirano quindici euro, e poi vanno in sezione a ritirare la tessera, che dà diritto a partecipare a tutte le votazioni di partito. Le stesse, intervistate, hanno detto candidamente che non capivano niente di politica, che erano lì solo per fare un favore ad un amico, che non conoscevano neppure il nome del segretario nazionale del partito, che non sapevano perché si prestavano a quell’invereconda operazione e via di seguito. Sono andate a tesserarsi perfino persone notoriamente di destra e perciò avversarie; e tanto, per fare il favore all’amico o al compare. Ovvio che chi da sempre appartiene al partito inorridisca di fronte all’insulso spettacolo e si rifiuti di ritirare una tessera, che è ormai distintivo di vergogna.
La malattia del Pd è una vera e propria epidemia, che non risparmia nessuno e che mostra, ancora una volta, che in questo paese ormai è tempo di nerbate. Appena si incomincia a sperare in qualcuno o in qualcosa, ecco che avviene il peggio meno immaginabile.
Non sono passati che pochissimi mesi dall’incredibile spettacolo dei 101 che dopo aver partecipato ad una standing ovation pro Prodi per eleggerlo presidente della repubblica lo impallinano come neppure i cecchini democristiani degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso riuscivano a fare. Non si è ancora spenta l’eco della squallida figura che ha fatto il ministro Cancellieri, donna nella quale gli italiani avevano riposto tanta fiducia, ed ecco l’ennesimo spettacolo dei furbi del Pd che come cavallette danno l’assalto al partito. E dire che nei loro slogan si rifanno niente meno che all’«Italia giusta». Non hanno neppure il senso del ridicolo.
Questa gente, che si propone come alternativa a Berlusconi e addirittura alle larghe intese di Letta, sta dimostrando il peggio di un paese che sorprende sempre nello spostare l’asticella del sopportabile. Non si capisce come possa riuscire Renzi o chi altri a governare il paese quando tutti dimostrano di non riuscire a gestire i propri impulsi a frodare i loro stessi amici di partito.
Ma, a ben riflettere, quanto sta accadendo nel Pd è quasi una sorta di nemesi storica, dopo le abbuffate di vent’anni di antiberlusconismo all’insegna della predicata decenza, del rispetto della legge. Quando si credeva che ormai il mostro fosse finito, invece di prepararsi a dimostrare la recuperata salute pubblica, ecco l’abbandono sconsiderato ad ogni forma di indecenza, quasi a dimostrare che in questo paese finalmente si è tutti uguali, sia pure nella schifezza.
E’ probabile che ancora una volta il superamento del difficile momento politico che sta vivendo il Pd stia nella scissione, più volte preconizzata da Cacciari. Se non saranno gli ex democristiani a lasciare il Pd agli ex comunisti; saranno gli ex comunisti a lasciare il Pd agli ex democristiani. Solo così è possibile che ognuno torni a parlare in maniera chiara sapendo che chi ascolta si riconosce nel suo stesso vocabolario. Pensare di costruire un partito con linguaggi e comportamenti diversi è come ripetere l’errore della torre di Babele.

Nel Pd ormai non si capiscono più. Ma mentre gli ex democristiani hanno conservato intatte le abitudini dei loro padri, gli ex comunisti stentano a riconoscersi perfino tra di loro. Ecco perché lo spettacolo indecoroso delle tessere deve servire ad un coraggioso rinsavimento, prima che l’epidemia si trasformi in pandemia.      

domenica 3 novembre 2013

Cancellieri, il ministro che non t'aspetti


Chi l’avrebbe mai detto! Anna Maria Cancellieri, il ministro di giustizia del governo Letta, il ministro degli interni del governo Monti, il prefetto di ferro, con più cuore ma non con meno rigore del più famigerato “prefetto di ferro” di Mussolini, si è rivelato il più berlusconiano dei politici in circolazione. Ma come si può? Prendi il telefono, ti rivolgi ad un alto funzionario del ministero per far uscire dal carcere  la tua amica Gloria Ligresti, la stessa  titolare dell’azienda di cui era manager il figlio, solo qualche mese fa benservito con tre milioni e mezzo di euro di liquidazione. Incredibile! Una, due, tre volte incredibile!
Ma, dopo il primo attimo di incredulità, diciamo pure amara, perché nella vita bisogna pur credere in qualcosa e in qualcuno, si realizza che il caso è tipicamente italiano. Può anche accadere altrove, beninteso,  ma altrove un minuto dopo essere stato scoperto il ministro responsabile si dimette senza che nessuno glielo chieda o glielo imponga.
La Cancellieri doveva rassegnare le dimissioni, dopo aver chiesto scusa agli italiani. Non aveva altro da fare, per due ragioni, semplici e immediate, quando non ce ne fossero altre. La prima è per come lei era stata finora percepita dal Paese; la seconda perché c’è in piedi la questione colossale di Berlusconi con la giustizia, che rende i comportamenti dei politici a rischio-paragone.
Davvero infantili le ragioni che adduce la Cancellieri, che scomoda addirittura la Costituzione. Dovere di ministro, motivo umanitario, la Costituzione che vuole che il carcere sia educativo e non punitivo e via di questo passo, fino, magari, al “Deo lo vult” dei cavalieri crociati. Ma sono scuse, semplicemente per non compiere un atto, che dovrebbe stare in chi è ministro, come un gesto previsto e scattante per automatismo in circostanze del genere: dimettersi. Avrebbe dovuto dire: cittadini ho compiuto un gesto che non dovevo compiere da ministro quale finora ho dimostrato di essere; lascio perché un motivo non meno importante dell’etica civile mi ha suggerito di compiere un gesto umanitario. Non mi sento meno ricca di prima, ma, al contrario, assai più ricca, perché ho dimostrato che anche un ministro della Repubblica, inappuntabile, ha un cuore, che non lede ma arricchisce la donna che sono, il ministro che sono stato. Non lo ha fatto, accampando scuse da italianuzza, che, più che senso dello Stato o buon cuore, ha famiglia.
Sorprende che lei non capisca o faccia finta di non capire che la questione nella quale si è cacciata è assai più grande della cosa in sé. Troppe commistioni tre le due donne, tra le due famiglie; troppo alto il livello economico e sociale delle stesse per non pensare che certe cose accadono, oggi come ieri, tra potenti, ricchi, privilegiati. Quante persone non marciscono in carcere in attesa di giudizio, malate, se non nel corpo, nello spirito al punto che ne traggono le conseguenze suicidandosi? O queste cose la Cancellieri non le sa? Quando pensa alla Costituzione come appiglio per rimanere al suo posto, pensi invece allo spirito tante volte invocato della Costituzione che garantisce a tutti i cittadini italiani gli stessi diritti, le stesse opportunità.
Ora troveranno casi di intervento umanitario per dimostrare che lo stesso atteggiamento il ministro l’ha avuto in precedenza per altri. Ma se pure riescono a trovare migliaia di casi risolti in questo modo, non sminuisce affatto la gravità del suo gesto. Chi sta in alto non può aggrapparsi se non ad appigli più alti, non più bassi.
Probabile, comunque, che se la passi liscia, perché in Italia la giustizia, in ogni sua forma, è strabica. Cancellieri non è Berlusconi. L’avesse compiuto lui un interessamento del genere, apriti terra e inghiottiti Cesaria, come si dice da noi, nel Salento. 
Già è scattato in suo favore il Procuratore  capo di Torino Caselli per sostenere che tutto è avvenuto in piena regola e che l’intervento del ministro è stato del tutto inutile, perché già la procedura per far uscire dal carcere la Ligresti era stata avviata.
Solo il Movimento 5 Stelle ha chiesto immediatamente le dimissioni, annunciando una mozione di sfiducia individuale nei suoi confronti. Gli altri hanno dato il via ad una serie di caroselli ipocriti e strumentali.
I radicali addirittura sfruttano il caso per riprendere la questione dell’amnistia e dell’indulto. Quelli del Pd vogliono sentirla in aula prima di decidere se si deve o meno dimettere, come se lei non avesse già detto quello che aveva da dire. Ricordiamo che il ministro Josefa Idem di questo stesso governo si dimise per molto meno. Ma quella è tedesca di nascita! Conterà pure qualcosa.
Quelli di Scelta civica, cui la Cancellieri appartiene, dicono che è tutto in regola e che si sta montando un caso per mettere in difficoltà il governo. Perfino la Lega vuole attendere la discolpa parlamentare della rea.
E quelli del Pdl? Per loro la Cancellieri non ha fatto niente di male, si è comportata esattamente come Berlusconi, e perciò se passa come regolare il suo intervento per scarcerare la Ligresti, deve passare l’intervento di Berlusconi per scarcerare la Ruby. Tutto è negoziabile, perfino la retroattività delle cose oltre che delle leggi. Secondo i pidiellini, dato che ora si salva la Cancellieri, si provveda a rivedere il caso di Berlusconi e della Ruby, che ha già avuto una prima sentenza di condanna. La retroattività per il Pdl non serve se condanna, ma serve e come per assolvere. Ma come si fa, parafrasando il poeta Tonino Guerra di un famoso spoot televisivo, ad essere così fessi?

Parole chiave: Cancellieri  Item   Ligresti Giustizia  Dimissioni

Argomento: Caso Cancellieri

domenica 27 ottobre 2013

Giustizia: la riforma impedita


In una democrazia i fattori di difesa dalla degenerazione dovrebbero prima di tutto esserci e poi essere efficienti ed efficaci. In genere questi fattori sono i cittadini che per intelligenza, studio ed esperienza allertano le istituzioni quando è superato il livello di guardia della tenuta democratica. In Italia questi fattori ci sono; purtroppo non sono considerati. Oggi non valgono neppure quanto valsero le oche del Campidoglio, le quali, starnazzando, permisero alle sentinelle romane di respingere i Galli di Brenno, quello del “Guai ai vinti”, che gli scolaretti di una volta già conoscevano benissimo alle Elementari.
Cosa vanno dicendo queste volontarie guardie disarmate della democrazia? Che c’è un gravissimo problema, quello di un potere dello Stato, la magistratura, che di fatto ha esautorato gli altri poteri. «La dilatazione del potere discrezionale della magistratura, diventata, con le sue sentenze in nome del popolo, il nuovo “sovrano assoluto”; che ha spogliato, di fatto, il Parlamento dell’esercizio della sovranità popolare e vanifica il potere del governo di gestire il Paese; unifica in sé tutti e tre i poteri dello Stato (legislativo, esecutivo, giudiziario) che dovrebbero restare separati e divisi secondo il moderno costituzionalismo» (Piero Ostellino, Corsera del 23.10). Si può anche non essere d’accordo e pensare anzi che la giustizia italiana sia la migliore del mondo. Sta di fatto che quello che accade, in continuità di casi, è di una gravità enorme.
L’ultimo caso che fa veramente imbestialire – indignarsi oggi fa ridere – è quello dell’aereo DC 9 dell’Itavia, che la notte del 27 giugno 1980 scoppiò in cielo e s’inabissò nel mare di Ustica, portando con sé 81 innocenti vittime.
Dopo anni di analisi e perizie la magistratura, nei suoi tre gradi di giudizio, appurò che l’aereo ebbe un collasso strutturale. La colpa fu scaricata sulla compagnia aerea e sul suo titolare Aldo Davanzali, accusato di servirsi di “bare volanti”. Per quanto fin dall’inizio il Davanzali, cercasse di dimostrare che a colpire l’aereo era stato un missile – lo sapevano tutti che era stato un missile – grazie a tutta una serie di depistaggi, che vide coinvolti anche alti ufficiali dell’aeronautica militare, la magistratura gli diede torto. Il danno fu enorme, l’azienda, che era un fiore all’occhiello nazionale, un punto di riferimento di tante altre compagnie aeree, perfino estere, fu annientata.
Ora, a distanza di oltre 33 anni, la Corte di Cassazione (sezione civile) ha sentenziato che effettivamente l’aereo fu colpito da un missile, mentre nello spazio aereo attraversato infuriava una battaglia che coinvolgeva una ventina di aerei militari: nato, americani, inglesi, francesi, libici e italiani. La Corte di Cassazione non è una corte che viene da un altro pianeta, è parte organica dello stesso ordinamento giudiziario, lo stesso che aveva sentenziato in maniera completamente diversa.    
Di fronte ad un simile caso, viene di fare alcune considerazioni.
La prima è che spesso in Italia una parte della magistratura si oppone ad un’altra parte. Una condanna, l’altra assolve o viceversa, per cui non si capisce bene quale delle due abbia ragione, a nocumento della giustizia che resta aleatoria e affidata ad una serie di imponderabilità. Spesso il calcolo che viene fatto sui tempi e le sentenze è considerato organico all’esito finale. Una corte assolve, sapendo che dopo ce ne sarà un’altra che condanna, o viceversa. Lazzaroni e avvocati che li difendono hanno bisogno di una simile giustizia come i pesci hanno bisogno dell’acqua e gli uccelli dell’aria. Male che vada al colpevole, non è mai il male che avrebbe avuto da una giustizia meno calcolatrice e più rapida. Si sa che quando un delinquente la fa franca c’è sempre un onesto cittadino che viene penalizzato. In Italia è diffusa l’idea di una giustizia che conviene ai delinquenti; una giustizia dalla quale i buoni cittadini si tengono alla larga fino a rinunciare a volte dal ricorrervi. Bisognerebbe – se già non c’è – configurare il reato di uso calcolato e strumentale della giustizia. Il colpevole di simile reato non andrebbe condannato, ma castigato. Che è cosa un po’ diversa. Non sparirebbero del tutto prepotenti e canaglie, ma ce ne sarebbero di meno in circolazione. E sarebbe già tanto.   
La seconda è terribilmente più grave. Quando ad essere preso di mira è il titolare di un’azienda la magistratura non fa distinzione alcuna tra il titolare, che può essere colpevole o innocente, e l’azienda che dalla vicenda giudiziaria ne esce distrutta. Quando si parla di aziende si parla di importanti aspetti economici e sociali che riguardano singoli cittadini nell’immediato e più in generale e mediato il paese intero. Sicché i dipendenti di quell’azienda, assolutamente innocenti, finiscono per perdere il lavoro, vanno a pesare sullo Stato, che a sua volta da quell’azienda non incassa più le tasse. La giustizia in Italia, annientando le aziende, penalizza i dipendenti, impoverisce il paese. E’ una giustizia di stampo ottocentesco, che vede in un titolare d’azienda il padrone, il nemico di classe da abbattere.
La terza è che a fronte di simili ingiustizie nessuno paga. Chi risarcisce i danni ai Davanzali titolari dell’Itavia e di altre aziende? E se pure lo Stato li risarcisce con qualche milione di Euro, che cosa in effetti risarcisce, atteso che certi danni non sono risarcibili?
Dovrebbero pagare quei giudici che hanno mal sentenziato. Ma è un problema complicato, perché se un magistrato deve sentenziare con la spada di Damocle dell’errore giudiziario che gli taglia il collo appena alza la testa, non è sereno nelle valutazioni. Il rimedio in questo caso sarebbe peggio del male. Non esiste una soluzione semplice, evidentemente, tenendo conto anche che siamo in Italia, dove tutto viene travisato dalla diabolicità degli italiani, giudici e non; ma è indubbio che una riforma della giustizia è indilazionabile.
La riforma della giustizia, come ogni altra riforma, deve essere fatta dal Parlamento, il quale opera nella sfera del legislativo in nome del popolo italiano, tanto quanto fa la magistratura nella sfera del potere giudiziario, partendo proprio dal fatto che i due poteri devono essere separati e che la magistratura deve limitarsi ad applicare le leggi. I magistrati possono operare in nome del popolo italiano in quanto ricevono le leggi fatte dal Parlamento eletto dal popolo italiano. Senza il Parlamento la magistratura non potrebbe mai pronunciare sentenze “in nome del popolo italiano”.
D’altra parte il magistrato non può dire come magistrato obbedisco, ma come cittadino ho il diritto di esprimere il mio parere, di riunirmi in organismo politico e di lottare perché la riforma non si faccia. Il magistrato, nel momento in cui ricorre ad espedienti pirandelliani, non è più materia di diritto, ma di psicanalisi.  

Parole chiave: Democrazia  - giustizia  -  riforma – Itavia -  strage di Ustica


Argomento:  Riforma della giustizia

mercoledì 23 ottobre 2013

Ma che Napolitano e Napolitano, qui neppure il Padreterno!


L’On. Daniela Santanché ha detto papale papale che il Presidente della Repubblica Napolitano ha tradito il patto con Berlusconi. La Santanché non usa il politically correct e fa bene, perché – lo dico in italiano – il politicamente corretto altro non è che l’ipocrisia vasellinata.
Ma di quale patto parla la Santanché? Della grazia che Napolitano avrebbe promesso a Berlusconi in cambio di alcune “carinerie” politiche, per esempio la rielezione alla Presidenza della Repubblica, per esempio il governo di larghe intese. Com’è sotto gli occhi di tutti, le “carinerie” di Berlusconi ci sono state, la grazia di Napolitano no. Di qui l’arrabbiatura e lo sfogo della signora, detta la pitonessa. Il giornale di Antonio Padellaro, “Il Fatto quotidiano”, per aver ripreso con una certa enfasi le rimostranze della Santanché si è buscata un’accusa da Napolitano di pubblicare “ridicole panzane”. Cosa che ha imbestialito Padellaro, che è andato dalla Gruber a farsi le sue ragioni.
Con tutta la simpatia per la Santanché e il rispetto per Padellaro, le cose sostenute dall’una e riprese dal giornale dell’altro, sembrano proprio delle panzane.
E’ perfino inutile dire che non c’è stato nessun patto, né scritto né orale, se per patto s’intende una cosa che va fatta almeno in due. Il “patto”, se così di può dire, c’è stato, ma soltanto a livello di desiderio di una sola delle due parti, quella di Berlusconi. Il quale avrà fatto questo ragionamento: io ora mi dimostro comprensivo, generoso e disinteressato con l’unico che in questa mia situazione mi può salvare. Se gli concedo un po’ di cose, importanti per giunta, lui capirà e si disobbligherà come si deve, come fanno gli uomini di mondo, ai quali non occorre nessuna carta scritta e nessun accordo formale. Probabilmente Berlusconi non ha pensato a nessuna grazia, ma ad un aggiustamento delle cose in sede giudiziaria; alla grazia non si doveva neppure arrivare. La grazia, infatti presuppone una domanda e la dichiarazione di pentimento. Berlusconi, invece, fin dalla sentenza di condanna della Cassazione, ha gridato alla persecuzione, protestandosi totalmente innocente. Indirettamente Berlusconi, prodigandosi per il bene del Paese e comportandosi nel modo apprezzato da Napolitano, ha reso omaggio ad una tipologia politica da lui distante, quella del politico che mette il Paese prima di tutto e soprattutto.
Niente! I suoi nemici giurati hanno fatto finta di non capire. Hanno ripetuto come un mantra: le istituzioni, la Presidenza della Repubblica, il governo delle larghe intese sono una cosa, le vicende giudiziarie di Berlusconi un’altra. Dunque pollice in alto al Berlusconi politico, pollice in basso al Berlusconi condannato.
Capito, Napolitano ha capito, ma ha fatto finta anche lui di non capire. Era di tutta evidenza, infatti, che da uno come Berlusconi non c’è da attendersi nulla se non in cambio di qualcosa. Nessun patto tra l’uno e l’altro; ma sicuramente Napolitano ha capito e ha cavalcato la cosa.
Ma su che cosa Berlusconi fondava la sua fiducia in Napolitano? Che cosa avrebbe potuto fare il Presidente della Repubblica per lui?
Secondo Berlusconi non doveva essere condannato. Come avrebbe fatto Napolitano ad evitargli la condanna sarebbero stati affari suoi. In un paese in cui lo Stato fa trattative perfino con la mafia pur di raggiungere il bene del Paese o di evitargli il peggio, non è capotico pensare che possa anche aggiustare una sentenza in quella zona nascosta degli incontri e delle intese tra poteri dello Stato, in nome della ragion politica. Detto in parole povere il Presidente della Repubblica avrebbe dovuto convincere i giudici della Cassazione che per il bene del Paese, per non creare ulteriori motivi di incertezza politica e di crisi in un passaggio politico molto delicato, occorreva assolvere Berlusconi.
Senza essere ipocriti – non ce lo consentono le nostre conoscenze storiche e politiche – tanto è possibilissimo. Il punto è che è mancata la volontà politica. Napolitano non se l’è sentita in un momento in cui perfino le condizioni atmosferiche in Italia sono condizionate da Berlusconi.

Ma sarebbe bastata l’assoluzione di frode fiscale a salvare Berlusconi? Non avrebbe compiuto Napolitano un gesto, che gli sarebbe rimasto a disonore, del tutto inutile? Berlusconi oggi è come aggredito da una serie di tumori giudiziari, contro cui non c’è assolutamente nulla da fare. L’assoluzione gli avrebbe dato un altro po’ di tempo, ma nulla più. Né questo tempo gli sarebbe servito ad aggiustare le cose nel Pdl nella prospettiva di un suo ritiro dalla scena politica. Basta riflettere su quello che dice e quello che fa per farsi l’idea di un uomo che non vuole uscire, che non intende “mollare”, quasi che la sua età non fosse già al limite e le sue condizioni giudiziarie non fossero tante e tutte aggressive. Nessun Napolitano potrebbe fare nulla per Berlusconi oggi. Se ne dovrebbero fare una ragione tutti, lui e i suoi sostenitori, alfaniani o lealisti che siano.

Parole chiave: Napolitano Berlusconi Santanché Padellaro governo grazia  panzane

Argomento: La grazia a Berlusconi 

domenica 20 ottobre 2013

Monti, Montezemolo, Passera e i dilettanti della politica


Il berlusconismo ha fatto molte vittime, puntualmente registrate a quell’ufficio brevetti che è la stampa antiberlusconiana. Una tipologia di vittime, però, è sfuggita all’attenta rassegna che iniziò con Montanelli ed è giunta a Travaglio, via Scalfaro, Scalfari e Scalfarotti vari. Sono le vittime degli apprendisti stregoni. Coloro, cioè, che hanno pensato di fare i “Berlusconi”: se è riuscito lui, perché non dovrei riuscire io?  
Tutto iniziò con la discesa in campo del Cavaliere. Pochi credevano al suo successo. S’infrangerà – pensavano – contro gli scogli sui quali cantano le sirene del potere. Invece Berlusconi fu più bravo perfino di Ulisse, che secondo il racconto di Omero, si fece legare dai suoi marinai all’albero della nave per godere del canto senza rimanerne vittima. Berlusconi sentì, si fermò e prese a bordo perfino le sirene. Insomma, sconfisse tutto e tutti e per vent’anni se l’è goduta tenendo in ambasce i suoi nemici, i quali per potergli infliggere qualche colpo hanno dovuto squalificare se stessi e l’istituzione che rappresentavano, vedi alte cariche dello Stato, vedi magistratura.
Berlusconismo significa passare attraverso i cinque stadi dell’uomo ipotizzati dal Verga: da Padron ‘Ntoni Malavoglia all’Uomo di lusso. E va bene che alla fine si rimane vinti: è il destino dell’uomo; e di Berlusconi in quanto uomo.
Il berlusconismo, però, è un fenomeno assai più complesso di quanto non dica la sua confezione, consiste, visto appunto di fuori, nel mettersi in proprio a fare politica da parte di chi politico non è: imprenditori, manager, magistrati, intellettuali. Categorie, queste, che in genere hanno in uggia i “politici di professione” che si muovono nel “teatrino della politica”. Molti hanno tentato di fare lo stesso. Nessuno è riuscito.
Mario Monti, per non sembrare un berlusconiano copione, è disceso in politica dicendo, però, di essere salito; come se bastassero le parole a cambiare le cose, a trasformare la Fossa delle Antille nell’Everest. Ora si è accorto che la mamma aveva ragione a sconsigliarlo di mettersi in politica. Alle prime difficoltà il Professore ha fatto non come un politico avrebbe fatto, ma come in genere fa uno che in politica non sa stare: ha lasciato il suo partito, formato da quattro gatti istruiti e similberlusconiani e se n’è andato, chiamandoli ingrati e traditori. In verità il Professore, nominato da Napolitano Senatore a vita “di scopo”, si era adontato per essere riuscito a malapena alle elezioni di febbraio a raggiungere la soglia per portare qualcuno in Senato. Ma come? – avrà pensato – Berlusconi che in politica “è disceso” è riuscito a prendere ancora una caterva di voti e io, che invece “sono salito”, sono stato così maltrattato? In realtà Berlusconi con la politica è salito davvero, mentre Monti è sceso, altrettanto davvero. In ragione del fiasco elettorale – la politica si è vendicata nei suoi confronti – Monti è finito nello spazio grigio di chi non conta nulla. La vera ragione del suo abbandono sarebbe questa.
Luca Cordero di Montezemolo, altro Berlusconi fallito, ha tagliato la corda prima. Pensava di raggiungere chissà quale vetta con la sua “Italia Futura”. E’ sparito, purtroppo con tutta la sua Ferrari, che da tre anni ormai morde la polvere della Red Bull e della Mercedes.
Ora è la volta di Passera, l’ex ministro montiano, che non volle candidarsi alle elezioni di febbraio, in disaccordo sulle metodologie elettorali da seguire. Già manager di Poste Italiane e gran commis di importanti aziende, ha annunciato di voler scendere in campo. Ha fatto come fece Achille – oggi è giornata di eroi omerici – che decise di scendere in campo dopo la morte dell’amico Patroclo e si mise ad urlare per il dolore e per la rabbia contro i troiani, che secondo Omero si spaventarono assai. Ma in Italia dell’urlo di Passera non si è accorto nessuno. Figurarsi quanto se ne fottono gli italiani di uno che alla fine del 2011 fu posto al governo come si mette un pupazzo nel presepe.
Quel che questi signori, affetti da berlusconite acuta, non vogliono o non sanno capire è che in un sistema democratico i voti li dà il popolo, ossia i milioni di elettori appartenenti a tutte le età da diciotto anni in poi, a tutte le categorie sociali, a tutte le condizioni economiche. I vari Montezemolo, Passera e colleghi possono certamente aspirare a qualche carica importante se a darla è un ristretto numero di persone loro pari, che so, un consiglio di amministrazione, una lobbie bancaria. Ma se a decidere sono gli elettori, quali possibilità hanno? Nessuna.
Questi signori sono digiuni non solo di politica, ma anche di conoscenze storiche e dei fondamentali di sociologia. Non riescono ad uscire dal loro ristretto ambito e pensano di contare nel paese quanto contano nei loro consigli di amministrazione. In questa loro convinzione trovano nei giornali, che sono in gran parte di loro proprietà, lo specchio delle brame della matrigna, di fronte al quale ricevono le risposte che vogliono. 
Berlusconi, checché se ne dica, era un politico prima ancora di scendere in politica. Se ne avesse o meno contezza, è un altro discorso. Era un animale politico con tutte le attrezzature che servivano. A lui non piacerà essere paragonato a Gramsci e sicuramente Gramsci si rivolterà nella tomba se paragonato a lui; ma è gramscismo quando si dice che prima di avere il consenso politico della gente è necessario acculturarla. E che cosa ha fatto Berlusconi? Esattamente questo: quella gente è stata raggiunta e convinta da lui attraverso la cultura televisiva e calcistica, espressa dagli spettacoli della Tv commerciale e della squadra di calcio del Milan. E’ attraverso questo tipo di cultura che Berlusconi è diventato quello che è diventato. Ma i Monti, i Montezemolo, i Passera chi li conosce fuori da quel mondo in cui operano da protagonisti assoluti, senza cioè ricevere approvazione o consenso popolari? Ed essi, che sanno del mondo che è fuori da quei loro confini?
La crisi italiana è certamente economica, in dipendenza anche di crisi internazionali; ma la vera e più grave crisi è la mancanza di una classe politica capace; è l’inadeguatezza di un sistema politico che non consente di esprimere al paese un’élite in grado di governare in maniera stabile ed efficace. Altro che Monti, Montezemolo o Passera! 

Parole chiave:  Monti  Montezemolo  Passera  Berlusconismo

Argomento: Crisi di sistema

giovedì 17 ottobre 2013

Priebke, il negazionismo e altri circenses


Se si chiedesse ad una persona di qualsiasi intelligenza se un morto, chiunque sia stato e qualunque cosa abbia fatto in vita, meriti rispetto e cristiana sepoltura, non avrebbe nessuna difficoltà a rispondere assolutamente sì. Ma se si chiede alla stessa persona, subito dopo, se il morto Eric Priebke, il cosiddetto boia delle Ardeatine, meriti rispetto e cristiana sepoltura, con altrettanta sicurezza risponde assolutamente no.
Se si chiedesse ad un intellettuale, ad uno storico, se si può negare o affermare una verità non sulla base della ricerca e dell’analisi dei fatti ma sulla base di una legge dello stato che impone una risposta istituzionale, risponderebbe con assoluta convinzione di no. Ma se allo stesso storico si chiede se si può negare una verità perché ritenuta lesiva degli ebrei, con altrettanta prontezza risponde di sì e aggiunge: anche perché gli ebrei non possono avere torto!
Dunque,  fra gli uomini non conta la verità, la sincerità, l’intelligenza, la coerenza, la deontologia e quant’altro si acconci in casi del genere, conta la banalità del comune sentire fatto legge, l’interesse immediato della politica, la convenienza di stare nel dominio del pensiero unico.  
Qualcuno potrebbe pensare che il contesto in cui queste ipotizzate persone si pronunciano è una dittatura; invece no, è un paese che si dice democratico, è l’Italia.
Quanto è accaduto coi funerali di Eric Priebke è vergognoso. Nessuno degli indignati per una ventilata messa in suo suffragio è cristiano? Nessuno ha mai letto un verso di Dante Alighieri? Nessuno ha mai sentito il motto latino parce sepulto? E il Papa, il buon Francesco, quello che bacia a tutto spiano, che caracolla come un contadino al termine di una lunga faticosa giornata di lavoro, quello che parla col buon senso di un parroco di campagna, che ama stare con la povera gente che soffre, non ha saputo niente a proposito della morte e dei funerali di Eric Priebke? E se sì, neppure lui, colto – si dice! – gesuita ha mai letto Dante?
“Orribil furon li peccati miei – dice Manfredi nel III del Purgatorio – ma la bontà infinita ha sì gran braccia, / che prende ciò che si rivolge a lei. / Se ‘l pastor di Cosenza, che a la caccia / di me fu messo per Clemente allora, / avesse in Dio  ben letta questa faccia, / l’ossa del corpo mio sarieno ancora / in co del ponte presso a Benevento, / sotto la guardia de la grave mora. / Or le bagna la pioggia e move il vento…”. Sintetizzo: orribili furono i miei peccati, ma la misericordia di Dio è infinita e abbraccia quanti a lei si affidano. Se il vescovo  di Cosenza che mi fu messo alle calcagna da papa Clemente avesse saputo scorgere in Dio questo aspetto, io sarei ancora nella mia tomba. E invece ora il mio corpo è esposto alle ingiurie dell’acqua e del vento…
Manfredi, figlio di Federico II, si riconosceva peccatore; ed altrettanto ha fatto Priebke se è vero che era un cristiano che periodicamente si avvicinava a Dio con la comunione. Tedesco l’uno, tedesco l’altro. Avversato l’uno, avversato l’altro. Francesco come Clemente! Nulla è cambiato. La politica prima di tutto, soprattutto, überalles!   Oltre perfino Dio.
Ora in Italia si apprestano ad introdurre il reato di negazionismo. Non si pensi ad un generico negazionismo. No, ci mancherebbe altro! Se si dicesse: io nego che Mussolini sia stato un grande statista, evviva, si risponderebbe: meriti un premio. Se si dicesse: io nego Dio, la Vergine, i Santi, e chi se ne fotte si risponderebbe. No, il negazionismo non è uguale per tutti. Il negazionismo che si vuole punire è quello che riguarda tutto ciò che in qualche modo, riferentesi alla persecuzione degli ebrei nel corso del secondo conflitto mondiale, si discosti dalla vulgata ebraica. Sicché, addio ricerca storica, addio intelligenza critica, tutto è stato già acclarato e nulla può essere detto contro la riammessa “bestia trionfante”.
Su Priebke c’è poco da aggiungere. Egli stesso ha raccontato davanti a tutti di aver eseguito un ordine in tempo di guerra. Fu un mostro? Dirlo in tempo di pace è la cosa più semplice e più facile di questo mondo. Punì l’attentato di Via Rasella dove furono uccisi in un agguato più di trenta soldati tedeschi, giovanissimi. Se ha un senso chiamarlo boia, è quello politico.
Ma gli italiani dovrebbero sapere, i tanti ignorantissimi italiani dovrebbero sapere che il generale Enrico Cialdini, cui sono intitolate vie, piazze ed elevati monumenti in tutta Italia, eroe del Risorgimento, nel 1861 fece radere al suolo di notte due paesi in provincia di Benevento, Pontelandolfo e Casalduni, massacrando giovani, vecchi, donne e bambini, provocando un migliaio di vittime, paesi ritenuti responsabili dell’agguato e della morte di 41 bersaglieri nel corso di quella guerra, mai riconosciuta come tale, detta lotta al brigantaggio.
Non si ricordano questi tristi episodi per rinfocolare odi, ma semplicemente per ricordare che in guerra c’è una ragione che prescinde dalla volontà del singolo; che la guerra va combattuta per vincerla. Se poi si uccide anche per il piacere di uccidere e non solo o non tanto per senso del dovere è cosa che attiene la coscienza individuale, non facilmente inverabile dagli uomini.
Personalmente ritengo che la persecuzione degli ebrei, come qualsiasi altra persecuzione, esercitata solo per l’appartenenza ad un popolo o ad una razza, è abominevole. Purtroppo nel corso dei millenni e anche in tempi a noi vicini ci sono state persecuzioni orribili, compresa quella degli ebrei, ma anche degli armeni, ma anche dei curdi. C’è poco da negare. Negarlo è da mentecatti. Ma proibirlo per legge è come proibire per legge qualsiasi malattia o disturbo mentale. E’ un obbrobrio tanto grave quanto grave si ritiene sia quello di negare che la persecuzione ci sia stata. La legge sul negazionismo non va contro gli ignoranti e i fanatici che negano ora questo ora quel gravissimo fatto, ma penalizza lo storico, il ricercatore, l’intellettuale che non pone mai limiti alla ricerca della verità. E non li pone per principio e per prassi.

Ci si potrebbe chiedere perché in Italia si introduce questa legge. Un po’ per scimmiottare altri paesi e un po’ per sedare la gente. Il negazionismo rientra tra le tante manifestazioni di buonismo, di propaganda politica. Sono gli illusori risarcimenti per i reali danni che gli italiani subiscono ogni giorno per una politica scellerata che dura da almeno cinquant’anni, per le condizioni di ristrettezza economica in cui vivono, per i tanti arrangiamenti in tutti i settori della vita sociale. Sono dosi di oppio distribuite attraverso divagazioni mediatiche: accoglienza degli immigrati, casi quotidiani di femminicidio, quote rose obbligatorie nelle liste elettorali, continue cerimonie per ricordare eventi emotivamente coinvolgenti, amnistia e indulto per i carcerati, tutto ciò insomma che distrae la gente dai problemi più urgenti e brucianti della vita. Sono i nuovi circenses.     

Parole chiave: Priebke  Negazionismo  Cialdini  Brigantaggio  

Argomento: Propaganda politica