domenica 26 agosto 2012

Monti avant-arrière



Al Meeting di Rimini, domenica, 19 agosto, Monti ha detto che vede l’uscita dalla crisi, una variante della luce in fondo al tunnel di qualche settimana prima. Nna ‘nticchia meno ottimista di lui il suo Ministro per lo Sviluppo Corrado Passera, quello che alcuni anni fa risanò le Poste, intese come finanziaria, e precipitò le Poste, intese come servizi. Oggi le Poste sono in attivo, ma per ricevere una lettera o un avviso è una scommessa. I postini son tutti impiegati di concetto agli sportelli e gli sportellisti sono tutti direttori o facenti funzione; e i direttori in pensione, non sostituiti con pari grado. Personale a perdere, come i vuoti di certe bevande. Conseguenza: non ci sono più postini, ne vengono assunti a tempo e sbattuti di qua e di là nei paesi. Sono giovani, spesso giovanissimi e per di più con diploma o laurea. Ma torniamo al Monti ottimista. Può essere che lui veda l’uscita. Ma la vede solo lui, non il Paese, che retrocede su tutti i fronti; non i giovani, che vivono senza prospettive. Passera aggiunge che tutto dipende da noi, da come sappiamo servire il governo dei salvatori della patria. Passera dice che Monti ha evitato che l’Italia venisse commissariata. E da quando uno Stato sovrano rischia di essere commissariato? Da quando, lo dice la storia, ossia dai tempi del feudalesimo, da quando il sovrano toglieva il feudo ad un suo vassallo e lo assegnava ad un altro. Purtroppo è quanto è accaduto all’Italia, con la sostituzione di Berlusconi con Monti, per ordine di quel sovrano che è oggi la finanza europea coi suoi intendenti e comites, che sono i mercati, le agenzie di rating, le banche, le compagnie di assicurazioni e quelle petrolifere. Se si continua così, prima o poi verrà qualcuno che farà marciare il Paese “contro Giuda e contro l’oro”. E gli italiani staranno con lui, come sempre! 
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Ma il Passera, esempio di sconcordanza grammaticale di un articolo maschile con un nome femminile – peggio le femmine di famiglia per inevitabili allusioni –, a Rimini ha detto delle cose per le quali gli ostili al suo governo del precedente governo si convincono sempre più di essere stati degli allocchi a lasciare bellamente che Passera e compagni prendessero il loro posto. Ha detto che gli ultimi vent’anni sono stati di disastro e che meno male per Monti. Purtroppo questi ministri tecnici ci costringono a tornare sugli stessi argomenti: segnano loro il passo, lo segniamo pure noi. Ma di quale Italia parla Passera? Può essere che Monti abbia salvato l’Italia, ma è un’Italia astratta, che non esiste, perché quella che esiste, che è sotto gli occhi di tutti, proprio salva non è. Lo dicono tutti i dati che quotidianamente vengono pubblicati. Lo dicono i terribili fatti che accadono, non ultimi, se pure lo sono in ordine di tempo, gli incendi e le stravaganze di una magistratura che collabora agli “incendi” – a casa bruciata diamo fuoco!, dice un vecchio motto popolare –  ordinando di chiudere la più grande acciaieria d’Europa perché inquinante, con la perdita nell’immediato di ventimila posti di lavoro e in prospettiva con la dipendenza dalla Cina di acciaio e di chissà quante altre cose.
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Oggi la Patrizia Todisco è la Giovanna d’Arco della magistratura. Va tutelata, dicono alcuni esponenti dell’Anm (Associazione nazionale magistrati), perché è sotto minaccia da parte di politici e giornalisti. La Todisco – lo ripetiamo – ha fatto il suo dovere, come dovrebbe fare ogni operatore all’interno delle istituzioni dello Stato. Ma eccepiamo. La magistratura tarantina, che ordina la chiusura dell’Ilva perché inquina, dovrebbe spiegare dove è stata e che cosa ha fatto in tutti questi anni di inquinamento. Possibile che non le sia mai arrivata nessuna denuncia da parte di cittadini singoli, di enti e di associazioni? Perché non è intervenuta sul nascere del fenomeno? Se lo avesse fatto si sarebbe evitato l’inquinamento dell’area con grande danno di allevatori e coltivatori, si sarebbero evitate tante morti per tumori causati dalle materie inquinanti, si sarebbe evitato il drammatico dilemma di oggi “lavoro o morte”. La magistratura in Italia ha gravissime colpe in ogni settore della vita nazionale. Non interviene mai, nonostante l’obbligatorietà dell’azione penale, quando è il momento di intervenire e lascia che alla fine le situazioni incancreniscano, al punto che solo un intervento d’autorità, con mortificazione delle istituzioni, può risolvere il problema. Non c’è cittadino italiano che non si sia ormai convinto che rivolgersi alla magistratura non serve a niente, è un perdere tempo. Immagino che tanti agricoltori della zona di Taranto e di Statte, tanti mitilicoltori del Mar Piccolo, tanti cittadini abbiano inviato migliaia di denunce in questi anni. E la magistratura che ha fatto? Ha taciuto. Ha lasciato fare. Perché così si usa in Italia. I primi a non vedere, a non sentire e a non parlare sono i magistrati e i loro più diretti collaboratori: carabinieri, polizia di stato, guardia di finanza. Ma questi almeno operano, quando operano, per ordine ricevuto! E i magistrati, quando?  
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E intanto per il governo Monti inizia la campagna elettorale per la riconferma. L’agenzia di rating Moody’s ha detto, martedì, 21 agosto, che l’Italia insieme con Spagna e Portogallo saranno fuori crisi entro il 2013 se, però, faranno le brave, ossia se continueranno nella politica intrapresa di contenimento della spesa e di riforme. Più esplicita l’agenzia di rating Fitch. Il suo direttore operativo ha detto che Monti “ha tanta credibilità. Rischi se lui lascia”. Si tratta di interferenze gravi nella vita politica di un Paese che ormai di sovrano ha il solo debito. Gli italiani si troveranno a votare l’anno venturo sotto il ricatto dell’Europa e delle agenzie di rating. Ecco, allora, esplicitato il Passera che pontifica dalla tribuna del Meeting di Rimini pressappoco così: questi ultimi venti anni sono da buttare con tutti i suoi protagonisti, ora ci siamo noi, noi del governo Monti, a salvare l’Italia. Lo dicono anche le agenzie di rating. Avete visto mai? Siamo passati dalle televisioni di Berlusconi alle agenzie di rating, con la differenza che quelle almeno, come obiettivi da colpire, avevano un volto e un recapito, queste, invece, sono coperte dalla rete di Sigfrido, sono invisibili, non si sa chi siano e dove stiano.
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Continua l’avant-arrière del governo sulla riduzione delle tasse. Il Ministro del Lavoro Elsa Fornero ha detto al Meeting di Rimini che al prossimo Consiglio dei Ministri (24 agosto) si discuterà dell’ipotesi di ridurre le tasse dei lavoratori nel quadro dei provvedimenti per la crescita. Dopo l’anticipazione della “Repubblica” sull’argomento e la smentita mediata di Monti, ecco che il governo torna alla carica. Si ha l’impressione che questo governo o per lo meno alcuni dei suoi ministri stiano facendo di tutto per avere un futuro politico. E’ il caso di Corrado Passera, della Fornero, della Cancellieri e di Giulio Terzi. Sembrano aver preso gusto. L’appetito – si sa – vien mangiando e il detto meju cumannari cca futtiri non vale solo in Sicilia. Alla storica Scuola Siciliana dei poeti del Duecento si deve aggiungere la Scuola Siciliana dei politici del Duemila. Al Meeting, poi, è come mettersi in vetrina. Ha ragione don Sciortino di “Famiglia Cristiana”, a dire che “Comunione e Liberazione” non dovrebbe prestarsi a simili speculazioni. Dalla tribuna di Rimini sono passati tutti in questi anni e tutti sono stati applauditi. Mac Luhan diceva che il mezzo è il messaggio. E il luogo no? Il Meeting di Rimini, peraltro, è una cosa e l’altra.  Di lì non si può non promettere e promettere, salvo poi smentite. E, puntualmente, dal lunghissimo Consiglio dei Ministri del 24 agosto – pare sia durato nove ore – è uscita l’autosmentita: ogni crescita deve essere supportata dal rigore, ossia dalla disponibilità di danaro. E Grilli, Ministro delle Finanze, ha sentenziato: non c’è un soldo!

domenica 19 agosto 2012

Monti, i tedeschi e l'Euro a tutti i costi


 Se i nostri “Mari”, Monti e Draghi, sono per salvare l’Euro a tutti i costi, c’è in Europa chi la pensa diversamente. Uno che ritiene che l’Euro sia fallito e che occorra trovare una strada nuova è il tedesco Markus Kerber, professore di finanza e membro dell’Europolis di Berlino. Kerber ha firmato uno dei sei ricorsi  contro il fondo salva Stati e ha fatto di recente un altro ricorso alla Corte Costituzionale tedesca. E’ convinto che il fondo salva Stati, se venisse approvato, potrebbe costare alla Germania qualcosa come 3.700 miliardi di Euro. Per capirci, il 150 % del Pil tedesco. Per capirci meglio, il debito pubblico italiano è intorno ai 2.000 miliardi di Euro. La prospettiva lo spaventa, pensa che la Germania perderebbe la sovranità fiscale. Dice che Monti è titubante, la Merkel “un’anziana leader della gioventù comunista, senza un’idea”; paragona Barroso a Breznev “senza un mandato democratico” e considera Van Rompuy “un sonnifero”. Insomma ne ha per tutti. Non mi sento di dargli torto. Però se fossi tedesco mi chiederei se per caso il benessere della Germania non sarebbe derivato anche dalle difficoltà degli altri stati, in particolare della Grecia, della Spagna, dell’Italia e della Francia. Forse noi italiani avremmo più ragione di lui di prendercela con l’Euro, con chi lo ha voluto e con chi lo difende. 
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Il quotidiano ex Scalfari “la Repubblica” di giovedì, 15 agosto, annuncia che il governo Monti si prepara a ridurre il carico fiscale. La notizia non può che far piacere. Monti non replica subito. Lo fa il giorno dopo. Pressappoco: “ma quale riduzione! Vengono prima i conti. E’ certamente un obiettivo, ma è presto per parlarne. Non ho voluto replicare subito per non guastare il ferragosto agli italiani”. Ma ha taciuto veramente per non rovinare la festa più di quanto non fosse rovinata? Qualche ragionevole dubbio c’è. Qualche suo ministro avrebbe ventilato questa idea. Ma chi? Monti li ha chiamati a raccolta per sapere. Se la notizia alla “Repubblica” non è venuta da lui, allora è venuta da qualche buontempone. Sta di fatto numero uno: per ora di ridurre il carico fiscale non se ne parla. Sta di fatto numero due: questo governo, che per essere formato da tecnici, dovrebbe dare prove di serietà, ogni tanto si produce in autentiche stravaganze. A meno che…mi viene il dubbio che la notizia della riduzione del carico fiscale non se la sia inventata “la Repubblica”, come una forma di suggerimento ad un governo che avrebbe bisogno di qualche sostegno popolare. Così “la Repubblica” da giornale-partito si promuove a giornale-governo.
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Quando il gatto non c’è i topi ballano. Vecchio proverbio popolare. Che l’Italia sia in anarchia politica lo prova il fatto che i “topi” l’hanno messa a fuoco. I dati degli incendi di quest’anno sono spaventosi: 240.000 ettari bruciati, l’80 % in più rispetto all’anno scorso. Dati fino al 16 agosto. Fino al termine dell’estate arriveremo al 100 %. Circa la metà sono dolosi, l’altra metà è dovuta alla insipienza di gentaglia che se ne fotte di tutto e di tutti, gentaglia che non legge, che non sente, che non vede, che non sa. Gli incendi hanno lambito città come Roma e Palermo. E’ una sfida ai poteri costituiti. I roghi hanno devastato le solite regioni, in primis Puglia, Lazio, Campania, Sicilia. E’ la prova provata che quello di Monti non è un governo vero, è una rappresentanza in un periodo di vacatio. L’anarchia politica che stiamo conoscendo in Italia somiglia a quella che una volta vivevano certe monarchie, quando, invece di avere un successore certo e atteso al re defunto, non si sapeva chi fosse a succedergli, dato che il figlio designato era un mentecatto. Siamo in democrazia, non si parla di un erede, ma di eredi, purtroppo tutti mentecatti. Basta vederli e ascoltarli, un giorno sì e l’altro pure! 
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L’altro assurdo allegro-tragico è la vicenda dell’Ilva di Taranto. Un gip, che significa giudice per le indagini preliminari, ha deciso di chiudere la più grande acciaieria d’Europa perché inquina e mette a rischio la salute dei cittadini. Fosse il forno a legna del vicino di casa che non ha a norma i filtri del comignolo si potrebbe capire. Ma qui sono in gioco ben altri e assai più macroscopici interessi economici, nazionali e sociali. La eroina magistrata di turno, la gippa,  è una certa Patrizia Todisco. Non si discute l’operato della Todisco, che evidentemente si è comportata in maniera ineccepibile. C’è una situazione di pericoloso continuato inquinamento che ha procurato già decine e decine di morti. E’ giusto che la magistratura intervenga; caso mai avrebbe dovuto farlo prima. Ma come si può mettere in mano ad una sola persona il destino di ventimila posti di lavoro, la sopravvivenza della siderurgia italiana, la credibilità del nostro sistema industriale? Qui altri non hanno fatto il loro dovere. Altri, come il governo, i proprietari, gli ispettori deputati al compito. Eppure i precedenti virtuosi in Italia non mancano, da prendere ad esempio. Si tolga d’autorità l’azienda ai suoi proprietari disonesti e incapaci e si proceda come in un paese civile con dei commissari che garantiscano ai cittadini lavoro e salute. Esattamente così – se qualcuno non se lo ricorda – nacque l’Iri durante il fascismo.
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Ma Monti insiste coi suoi immaginari percorsi di guerra, un modo per non fare quelli di pace. In un’intervista a Tempi (8 agosto) se l’è presa ancora una volta con l’evasione fiscale e per la prima volta attacca i giudici che esagererebbero con le intercettazioni telefoniche e giudica “grave” il conflitto tra la Presidenza della Repubblica e la Procura di Palermo. Sull’evasione fiscale non ha torto in via di principio, ma ritenere che sia stato questo il male peggiore dell’Italia è dire una colossale minchiata. Il male dell’Italia non è consistito nei soldi non entrati (evasione fiscale) ma nei soldi usciti (sperperi, tangenti, assistenzialismo indebito, frodi di ogni tipo). Ancora oggi è in piedi il criminoso sistema degli abusi del finanziamento pubblico dei partiti e ancora si insiste a salvare i politici coinvolti. Si colpisce Lusi per non colpire Rutelli; si colpisce Belsito per non colpire Bossi: si colpisce sempre il più fesso per non colpire il più furbo. Sulle intercettazioni telefoniche siamo di fronte ad un vero e proprio Stato spione che gestisce le spiate a suo uso e consumo. Va bene spiare Berlusconi e puttane, non va bene spiare la Presidenza della Repubblica e trattativisti, sia pure in maniera indiretta. Con la “bella” differenza che le puttane di Berlusconi non hanno ammazzato nessuno, i trattativisti Stato-mafia hanno ammazzato il giudice Borsellino.
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Chiude la settimana 13-19 agosto una dichiarazione che non fa piacere al nostro Monti. Il Ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha detto che chi specula sulla fine dell’euro evidentemente si sbaglia, ma ha aggiunto che i governi europei interessati sbagliano pure loro a non considerare che l’Euro possa fallire e che meglio farebbero a pensare ad un piano di emergenza. Al di là delle parole, che pure contano, non c’è nessun dubbio sul fatto che i governi più accorti già da tempo pensano a risposte concrete all’ipotesi fallimentare dell’Euro. Chi forse è votato anima e corpo all’Euro è il governo italiano, che, a quanto pare, deve aver dimenticato la nostra tradizione, secondo cui “si vis pacem para bellum”, come dire “si vis Eurum para posteurum”. Strano che a ricordarcelo sia un tedesco! 

mercoledì 15 agosto 2012

Vittorio Zacchino, 50 anni di storiografia salentina


Conta 456 pagine il volume di Vittorio Zacchino, Il Salento nella Storia del Mezzogiorno moderno e contemporaneo, curato da Mario Spedicato per la collana “Quaderni de l’Idomeneo” della Sezione leccese della Società di Storia Patria per la Puglia (Lecce, Edizioni Grifo, 2012). Ha per sottotitolo “Scritti scelti in occasione dei suoi 50 anni di attività scientifico-storiografica”. In copertina “Gente del Sud” di Lionello Mandorino. 
Quaranta dei cinquant’anni zacchiniani un po’ mi riguardano, gli ultimi trenta coincidono con la sua collaborazione a “Brogliaccio Salentino”, in… presenza mia.
Incontrai la prima volta Zacchino a Taurisano in occasione delle Celebrazioni vaniniane del 1969 e a Galatone per quelle galateane dello stesso anno. Vittorio avrebbe stabilito una sorta di rapporto non dico privilegiato con Taurisano ma significativo, sia perché aveva insegnato due anni a Taurisano e aveva amici e colleghi sia perché padrino dei due convegni fu Antonio Corsano, il taurisanese ordinario di Storia della Filosofia all’Università di Bari.
Lo reincontrai qualche anno dopo per le scale, io scendevo, lui saliva, in casa di Nicola Vacca, lo storico che a mio avviso ha segnato il punto più alto degli storici locali non di professione. Vacca era un medico, alla storia si era avvicinato per passione con risultati eccellenti, avendo frequentato a Napoli Benedetto Croce e Fausto Nicolini. Frequentavo saltuariamente la sua casa. Collaboravo a “Voce del Sud” e per don Nicola appartenevo alla “parrocchia” di Ernesto Alvino, un suo vecchio e mai negletto avversario degli anni Trenta e Quaranta in epoca fascista. Vacca mi aveva incaricato di recuperargli una sua nota sulla Casa natale di Vanini, letta in occasione delle Celebrazioni vaniniane, una testimonianza mai più ritrovata, e di procurargli delle foto di alcuni trulli in agro taurisanese. Per Vittorio, invece, la casa di Nicola Vacca era la sua scuola.
Gli ultimi trent’anni posso dire di averli “condivisi” con Vittorio, essendo stato lui generoso collaboratore, coi suoi 62 interventi, di “Presenza Taurisanese”. Una collaborazione consolidata dall’affetto personale. In occasione dei suoi ultimi due compleanni in multipli di dieci, sessant’anni e settant’anni, mi sono divertito a scrivergli delle anacreontiche in dialetto taurisanese, da lui gradite.
Il Prof. Spedicato ha detto delle cose importanti su Zacchino, che mi sento di condividere. Vorrei solo aggiungere qualcosa sulla sua Bildung. Lo Zacchino di questo suo libro è diverso da quello dei suoi primi passi, pur fatti sotto l’ala di studiosi come Nicola Vacca e Oronzo Parlangeli, quando ancora non aveva ben individuato il suo percorso storiografico di settore e batteva strade diverse.
Si può dire che Zacchino rappresenti per certi aspetti la storia della storiografia salentina non professionista di questi ultimi cinquant’anni, intendendo con questa locuzione la storiografia motivata, nata e svolta fuori dalle università ed accademie dove in genere si formano gli storici di professione. La storiografia non professionista ha colmato in questi cinquant’anni non poca distanza da quella professionista e Zacchino ne costituisce un percorso esemplare. Essa ha determinato trasformazioni perfino sociologiche e antropologiche nell’ambito dei microambienti paesani, dove l’intellettuale era una figura polivalente con un ruolo molto tipizzato.
Agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso, quando Zacchino incominciò la sua marcia di avvicinamento alla storiografia importante, chi rappresentava la cultura del paese e se ne faceva interprete e carico erano in genere il maestro di scuola, l’insegnante di scuola media, il parroco, qualche medico. Questo tipo di intellettuale finiva per occuparsi di tutto: di politica, di filosofia, di letteratura, di lingua, di arte, di archeologia, di architettura, di numismatica, di tutto quello che il territorio e la sua storia occasionalmente offrivano, con esiti evidentemente discutibili. E tuttavia molte di quelle ricerche hanno consentito di conoscere, di ricostruire, di correggere la storia di personaggi e fatti, di municipi e di classi sociali dei secoli precedenti. I loro autori hanno svolto un compito surrogatorio, in quanto hanno coperto spazi di ricerca che gli storici di professione, rivolti alla grande storia, trascuravano quando non disdegnavano. Fino a quando, con la rivoluzione storiografica degli Annales, queste opere si sono dimostrate particolarmente importanti e gli storici di professione, convertiti o vocati al metodo di Febvre, Bloch e Braudel, ne hanno riconosciuto il valore e se ne sono serviti. Ancora oggi – se vogliamo – sono le stesse figure professionali, docenti per lo più di scuole superiori e di licei, ad occuparsi prevalentemente della storia locale, oggi ampliata fino a lambire confini regionali e macroregionali. Basta guardare alla produzione libraria di questi ultimi cinquant’anni.
Quale la differenza, però, con la storiografia di cinquant’anni fa? Quelle figure di studiosi erano rimaste inalterate per più di due secoli, perpetuando metodiche amatoriali e approssimative. Da cinquant’anni a questa parte, qui nel Salento, come Ennio Bonea ha sostenuto nei suoi studi sul “Salento Sub Regione”, in particolare “La svolta” del 1993, a contatto con l’Università e la stampa quotidiana, prima assenti, e la televisione, a partire da quegli anni sempre più pervasiva ed incidente, questi studiosi hanno perfezionato i metodi di ricerca e di rielaborazione critica, mentre il rifiorire delle sezioni di Storia Patria e lo sviluppo dell’editoria hanno offerto sollecitazioni ed opportunità importanti, facendo crescere tutto l’ambiente, la cultura e soprattutto il modo di fare cultura. Nelle sezioni di Storia Patria la collaborazione tra storici di professione e storici per passione – ma a questo punto si potrebbe anche dire storici interni all’università e storici esterni – è diventata più sistematica e continua. Ne è nato un rapporto simbiotico. Per un verso l’incontro ha determinato un arricchimento interno di spunti di ricerca e di contenuti, per un altro la partecipazione di metodologie  ha conferito più scientificità al prodotto storiografico esterno.     
Vittorio Zacchino è sicuramente tra gli storici più rappresentativi di questo processo; è uscito dalla tipizzazione ed ha raggiunto una sua fisionomia. Egli è presente in quasi tutte le iniziative editoriali di questi cinquant’anni, a partire da “Voce del Sud” di Ernesto Alvino a “La Tribuna del Salento” di Antonio Maglio, Ennio Bonea e Aldo Bello, dalla “Gazzetta del Mezzogiorno” al “Quotidiano di Lecce” al “Corriere del Mezzogiorno”, dalla “Zagaglia” di Mario Moscardino a “Sallentum”, da  “Studi Salentini” a “Studi Storici Meridionali”, da “Contributi” ai “Bollettini” delle varie sezioni di Società di Storia Patria, a “Brogliaccio Salentino”.  Avvalendosi di autentici maestri, storici, filosofi e linguisti di professione, si è perfezionato e ha prodotto opere sempre più importanti e vicine alla professionalità storiografica. Questa sua raccolta di scritti, curata da Spedicato, docente di storia moderna all’Università del Salento e Presidente della Sezione di Lecce della Società di Storia Patria per la Puglia, che copre gran parte dei suoi cinquant’anni di storiografia, lo dimostra. E si potrebbe dire, con una battuta, che “la sua storia non finisce qui”.

domenica 12 agosto 2012

Monti e l'a-parlamentarismo


Continua Monti con la politica dei ricatti. A quelli interni, rivolti ai soggetti politici (partiti) ed economici (Confindustria e sindacati): non urlate ché vi sentono i mercati che fanno aumentare lo spread; ha aggiunto quelli esterni rivolti ai partner europei (diciamo tedeschi): se non ci aiutate il prossimo governo potrebbe essere euroscettico. Ora, in un’intervista al settimanale tedesco “Der Spiegel”, ha detto di essere preoccupato per la crescita in Italia di un diffuso e crescente sentimento antitedesco per via del rifiuto della Germania di andare incontro agli altri partner europei in difficoltà. Non un aiuto finanziario – dice Monti – ma un aiuto morale chiediamo alla Germania. Ma sappiamo benissimo – lo sappiamo noi, ma lo sanno anche i tedeschi – che l’aiuto di cui l’Italia presto potrebbe aver bisogno è proprio finanziario. In questo senso fa pressione su di noi per chiederlo il Presidente francese Hollande, il quale è convinto che se l’Italia si aggiunge alla Spagna nel chiedere soccorso finanziario il quadro europeo potrebbe rasserenarsi e i mercati non attaccherebbero il suo paese, che viene dopo il nostro nella lista dei bisognosi. Ma i ricatti di Monti sono davvero molli, non spaventano nessuno, rivelano semmai la sua inadeguatezza politica nell’affrontare un problema, la cui soluzione non sta solo nelle cifre da incolonnare in addizione o in sottrazione.
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Ma il vero casino Monti l’ha creato, sempre nell’intervista a “Der Spiegel”, con l’affermazione che è qui di seguito: “Se i governi dovessero lasciarsi completamente imbrigliare dalle decisioni del Parlamento senza preservare un loro spazio di manovra, sarebbe più probabile la disintegrazione dell’Europa di un’integrazione più stretta”. Queste parole possono essere variamente intese, ma su un loro preciso significato c’è poco da discutere ed è quello, che da qualche tempo è perfino oggetto di studio da parte di esperti di politica, ossia il rapporto tra esecutivo e legislativo in un mondo in cui il tempo per prendere decisioni utili e tempestive è sempre più rapido rispetto a quello del parlamento che diventa perciò, nel rapporto, sempre più lento. Ci dovrebbe essere – ha spiegato Monti – una certa flessibilità. Qualcosa del genere la disse Berlusconi quando le opposizioni lo attaccarono per il fatto che ricorreva sempre più spesso al decreto legge e al voto di fiducia, che – come si sa – sono strumenti per eludere i tempi lunghi del Parlamento. La stessa cancelliera tedesca Angela Merkel disse qualcosa del genere qualche tempo fa: “come posso avere una tattica negoziale a Bruxelles, se devo spiegare prima tutto al Parlamento?”. Si tratta evidentemente di un problema diffuso da affrontare in sede di ripensamento della democrazia. A proposito di voti di fiducia, con quello di oggi, 7 agosto, sulla Spending rewiev, Monti ne ha ottenuti ben 34 in meno di nove mesi di governo, in media quattro al mese, uno la settimana. Il voto di fiducia – si sa – è l’accettazione di una scelta di governo senza discuterla, che già di per sé rende inutile il parlamento, ovvero la democrazia, ovvero i partiti, ovvero il voto.
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Ma aver espresso quel pensiero in un’intervista ad un giornale tedesco è stata da parte di Monti un’imprudenza, nel momento in cui sempre più chiaro appare il contrasto tra la Germania di Merkel e il resto dei paesi europei, i quali incominciano a riconoscersi negli stessi interessi predicati dai due “Mari” italiani Monti e Draghi. Recentemente i tedeschi sono stati quasi costretti a dire tra i denti che le iniziative prese dalla Bce rientrano nel suo mandato, dopo che si erano spinti ad ammonirla di non superare i limiti di quel mandato. Le reazioni scomposte dei tedeschi alla provocazione di Monti dimostrano quanto siano nervosi. Hanno scomodato ancora una volta Berlusconi, che, a loro dire, avrebbe fatto scuola in tema di a-parlamentarismo, tanto da influenzare uno come Monti. Qualcun altro è stato ancora più rozzo, alludendo alle condizioni dell’Italia in questa crisi finanziaria. Attacchi che vanno ben oltre la pur ragionevole ragion politica del momento. E’ chiaro che i tedeschi che rispondono a muso duro a Monti pensano di farsi sentire dalla Merkel.
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Ma neppure gli italiani sono da meno in questo rigurgito di nazionalismo pro Monti. Specialmente dal centrodestra, forse perché piccati dal riferimento alla “inenarrabilità” dell’esperienza Berlusconi. Da Brunetta a Frattini, è un coro di “Forza Mario!”. Galli della Loggia è arrivato perfino a scrivere cose che forse neppure il caldo torrido di questo agosto può giustificare. Ha attaccato quelli che in Italia criticano Monti. “pochi politicanti da quattro soldi prestatisi anche questa volta, come spesso capita, a fare da cassa di risonanza alle maldicenze d’Oltralpe” (Non è solo questione di soldi, Corsera del 7 agosto 2012). Poco è mancato che non parlasse di disfattismo, come ai bei tempi del Duce. Non è come dice lui. Al di là del numero di quanti criticano Monti o dell’opportunità di farlo valgono le ragioni della critica, che sono rispettabilissime. La questione è di fondo, è strutturale. Appare sempre più chiaro che la democrazia va rivista, va ripensata in presenza di situazioni completamente diverse da quelle nelle quali questa democrazia è nata. In un paese in cui le opposizioni parlamentari si pongono come obiettivo prioritario la caduta del governo è del tutto legittimo che il governo rivendichi spazi in cui le opposizioni parlamentari non arrivino a nuocere. E’ una lesione della democrazia? Certo! Ma anche il voler far cadere il governo a tutti i costi, anche a danno del paese, è una lesione, forse assai più grave. Nel momento in cui il capo del governo è un membro del supergoverno europeo e si potrebbe dire membro del partito della grande finanza internazionale, che decisioni può prendere se poi deve fare i conti col suo parlamento? Non ci si vuole rendere conto che qui tutto ormai è in discussione.
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Ed ecco che l’eco della minchiata “derspiegeliana” non si è spenta che in un’altra intervista sul sito del Wall Street Journal, risalente ad un mese fa ma pubblicata solo oggi, 7 agosto, Monti ne ha sparata un’altra delle sue. Ma è davvero vecchia di un mese? Ha detto che se fosse rimasto Berlusconi al governo lo spread sarebbe salito a 1.200. Ma dico io, si può essere più maldestri di così? Poi ha chiamato Berlusconi per scusarsi e dire che la frase è vera ma fuori contesto assume un’altra dimensione. Berlusconi, che sulle affermazioni e sulle smentite si è rivelato uno spregiudicato maestro, ha fatto finta di capire. Ma il PdL è in subbuglio. La Santanché, a “In onda”, ha chiesto la testa di Monti e sollecitata da Filippo Facci ha detto che il numero di chi vuol fare la festa a Monti nel PdL cresce sempre di più. Poi, alla domanda se pure Berlusconi vuole farla finita con Monti, se n’è uscita con un “sa, Berlusconi è più responsabile di me”. Il punto è che Monti deve essersi convinto che può dire e fare quello che vuole, come un sovrano assoluto, da ab-solutus, ossia staccato, non dipendente, sciolto. E difatti da chi dipende? Formalmente dai partiti e dal parlamento, ma questi finora gli hanno dato sempre la fiducia a prescindere, laddove per prescindere s’intende obbedire all’altro sovrano assoluto, che è Napolitano. E’ tradizione in Italia, con qualche eccezione, che i presidenti della Repubblica, una volta eletti, dipendano più da Domineddio che dagli uomini.
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Nella stessa intervista al Wall Street Journal Monti critica la concertazione, ritenendola la causa di moltissimi mali. Ora, che la concertazione, esercitata anche in maniera eccessiva, possa essere stata causa di qualche male è fuor di dubbio. Ma è altrettanto fuor di dubbio è che essa appartiene alla nostra democrazia, che vuole che le grandi scelte strategiche si facciano d’accordo anche con le parti sociali rappresentate dai sindacati. Critichiamo pure gli eccessi, ma qui si attacca un metodo di confronto democratico esteso. Monti sempre più si dimostra insofferente di tutti i soggetti democratici, dai partiti al parlamento, dai sindacati alla Confindustria. Non attacca ancora i giornali, ma solo perché gli sono quasi tutti in favore.  E se dovesse attaccarli non ci sarebbe da meravigliarsi se essi si coprissero il capo di cenere e masochisticamente si mettessero carponi per ricevere meglio gli assestati colpi di frusta.

domenica 5 agosto 2012

Monti e la luce in fondo al tunnel

In procinto di partire per la sua tournée europea Monti si è detto fiducioso: non siamo ancora fuori ma vedo una luce in fondo al tunnel. Francamente stupisce questa nota di ottimismo. Tutti i dati economico-finanziari sono negativi: cresce il debito pubblico, cresce la disoccupazione, cresce il costo della vita, diminuisce la produttività, molte aziende chiudono. L’ultima ad essere messa in liquidazione la gloriosa Richard Ginori. C’è stata – è vero – in questi ultimissimi giorni la scossa del presidente della Bce Mario Draghi, che ha dato ossigeno alle borse e ha fatto diminuire lo spread, cui sono seguite le dichiarazioni di Hollande e Merkel in difesa strenua dell’Euro; ma tutto questo può essere episodico, un sussulto fisiologico in uno stato di crisi profonda. Alla dichiarazione di ottimismo Monti ha fatto seguire la solita ammonizione: se i partiti litigano lo spread aumenta, riferendosi alla zuffa tra i partiti per la legge elettorale. Sarà pure vero che lo spettacolo offerto dalla politica non lasci ben sperare né ai mercati né a noi, ma che si voglia tacitare il dibattito, pur balordo, con la minaccia del mau-mau mi ricorda quella dell’uomo cattivo che le mamme una volta facevano ai bambini discoli.
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La Bundesbank ha stoppato l’iniziativa di Mario Draghi di fare di tutto per salvare l’Euro. Nei giorni scorsi aveva espresso fiducia nel ruolo imparziale della Bce. Dopo è arrivata la doccia fredda. La Bce – hanno fatto sapere da Frankfurt – non vada oltre i limiti del suo mandato. Un brutto segnale arrivato in un momento in cui c’era bisogno di fiducia e di ottimismo, mentre Monti cercava di convincere i partner europei che l’Italia non ha bisogno di aiuti ma che potrebbe aver bisogno dello scudo antispread. E’ la prima volta che Monti ipotizza tale eventualità. La sortita di Draghi era arrivata come un elettrochoc in tutto l’ambiente e aveva fatto ben sperare in una più consistente ripresa. Ora nuovamente tutti a seguire l’andamento dello spread. Monti, intanto, a Helsinki, parlando davanti alla Confindustria finlandese ha usato la sua tecnica ricattatoria del mau-mau. Attenti – ha detto – che se qui lo spread non scende e la situazione non migliora nonostante gli sforzi che l’Italia ha fatto e fa non si esclude che il suo prossimo governo possa essere euroscettico. Una minaccia! In Italia i suoi modi di fare funzionano. In Europa sarà più complicato, anche perché non c’è nessun Casini tedesco o francese a far da campana e a estendere coi suoi rintocchi a martello i lugubri messaggi.
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Dopo la grande abbuffata di Monti sulle prime pagine dei quotidiani, c’è una sorta di astinenza. Monti figura ancora sulla prima pagina del “Corriere della Sera”, il suo grande sponsor, ma nelle vignette di Giannelli. Come dire? Mettiamola sul ridere. La verità è che ormai l’hanno capito tutti, tranne forse Casini, che la cura Monti ha soltanto lenito saltuariamente il dolore, si è trattato di un analgesico, ma non ha prodotto alcun effetto sull’organismo. Anche il suo ondivagare su scetticismo (percorso di guerra) ed ottimismo (luce in fondo al tunnel) è segno di un esaurimento della carica. Se non si va subito a votare è perché i politici si stanno dimostrando più ondivaghi dei tecnici, con le loro quotidiane liti e col rivelarsi pezzi estranei e non compatibili di un presunto puzzle. Non solo disaccordo sulla legge elettorale, ma anche sulle alleanze. Casini ha detto che lui balla da solo, poi dopo le elezioni non esclude di accordarsi col Pd, il quale fa coppia fissa con la Sel di Vendola, il quale a sua volta ritiene il liberismo di Casini il diavolo. Non si capisce davvero che coalizione potrebbe venir fuori. Ma intanto dov’è andato a finire il bipartitismo delle alleanze preelettorali, che avrebbero dovuto far scegliere gli elettori: o con gli uni o con gli altri, o col centrodestra o col centrosinistra? Di questo passo va a finire che si continuerà con Monti anche dopo le elezioni.
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L’esempio che questa classe dirigente, tecnica + politica, sta dando sul piano dell’informazione non ha precedenti per confusione, indeterminatezza, truffaldinità. Un giorno si fa credere che l’Italia non ha bisogno di aiuti, un altro si profila una richiesta dello scudo anti-spread, un altro ancora che possiamo farcela da soli, senza commissariamenti e grecità e ibericità varie. Forse tutto questo agitar di battagli stordisce la gente per farle raggiungere “cinquanta sfumature” di fessagginità. Forse, a questo punto, erano da preferire le veline del Minculpop di cui parlano i sacerdoti della democrazia antifascista. Almeno si rideva o si piangeva e ci si prendeva per fessi tutti insieme beatamente. Quanto sta accadendo in Italia di questi tempi nel campo dell’informazione sarà materia di studio da parte di esperti, tanta è la complessità del fenomeno. Non si sa che dire o non si sa come non dire quel che si vorrebbe dire? Questo è il problema! L’informazione, con le sue stravaganze e contraddizioni, intrattiene come i romanzi di Pitigrilli e di Sibilla Aleramo. Su uno stesso giornale si legge che l’Italia se chiede l’intervento del fondo salva-Stati perde una buona parte di sovranità (Galli della Loggia) impattando contro l’art. 11 della Costituzione, una pagina dopo si legge che l’Italia non perderà niente che altri Stati della Comunità non perdano (Catricalà, sottosegretario alla presidenza del consiglio). Chi ha ragione?
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Ammettiamolo! Siamo alla fine di una grande infatuazione, quella degli Stati Uniti d’Europa, che ha caratterizzato l’intero secondo dopoguerra. Ma non illudiamoci. Nessuno degli attuali governanti, tecnici o politici che siano, lo ammetterà mai, dal momento che essi sono gli eredi di quelli che vollero questa Europa. Come sempre accade in situazioni del genere sarà un estraneo a questo tipo di democrazia e di Europa a risolvere il problema, a far uscire la nazione dal labirinto nel quale è prigioniera. Non utopia regressiva, nel senso che si vuole tornare alle nazioni pre-comunitarie, ma sicuramente una diversa ristrutturazione delle stesse, che sia il “già fu” declinato con “ciò che è”. La riscoperta di Carlo Marx, quale si registra per ora a livello di studio, nel bel mezzo della crisi economico-finanziaria, è un segnale eloquente; può voler dire che è necessario ripensare il passato, recuperare tutte le risorse. Anche per questo Monti si è rivelato fin dall’inizio la persona meno adeguata a guidare l’Italia, perché è incapace di pensar politico. I suoi provvedimenti si sono limitati a trovare soldi colpendo i cittadini (pensioni, Imu), ma nulla ha fatto sul versante dello sviluppo e della crescita. L’Italia dà oggi l’idea di una malata incurabile che rispetto al novembre 2011, inizio del governo Monti, ossia del ricovero, ha solamente nove mesi in più di vita ma con la prognosi inchiodata al giorno del ricovero. E allora la luce che vede Monti in fondo al tunnel somiglia tanto a quella che si dice vedano i moribondi nel momento di incoscienza assoluta un attimo prima del trapasso.