domenica 25 marzo 2012

Monti e i prossimi cazzi amari

Sull’accordo sul mercato del lavoro tra governo e parti sociali semplicemente non c’è accordo. Basta con la cultura consociativa – ha detto Monti – nessuno può mettere il veto. Non è soltanto la Camusso, però, la trinariciuta segretaria generale della Cgil, che si oppone, ma tutta la sinistra. Pier Luigi Bersani, con cui Monti ha avuto una telefonata dallo stesso definita “difficile”, a “Porta a Porta” di Bruno Vespa, mercoledì sera, 21 marzo, ha detto che Monti con lui non può fare come ha fatto coi sindacati “prendere o lasciare”, anche se non ha detto che nell’eventualità dovesse farlo lui romperebbe. Si dice per dire, allora. Monti gli può toccare pure il naso, che tra ragazzi era l’estremo atto di sfida prima di passare alle “mazzate”. Monti comunque è avvisato. E – come si dice – uomo avvisato mezzo salvato. A sinistra sono proprio incazzati, e lui lo sa. E lo sa anche Napolitano, che si è speso perché si trovasse l’accordo. Gli interventi del Capo dello Stato, tosti all’inizio e lacrimevoli alla fine, non sono piaciuti a sinistra. Il capogruppo dell’IdV Belisario ha detto che “il monito del capo dello Stato rischia di diventare un ritornello stonato se rivolto solo ai sindacati e non anche al governo”. Per il segretario di Rifondazione comunista Ferrero le parole di Napolitano sono “gravi e fuori luogo” e ha perfino richiamato fantasmi del passato come la crisi del ’29 che spianò la strada al nazismo. Il sindacalista della Cgil Cremaschi ha definito l’intervento di Napolitano “profondamente sbagliato nei toni e nel linguaggio” dato che lui “non è un monarca”. Oliviero Diliberto si è fatto riprendere sorridente accanto ad una donna che indossava una maglietta su cui era scritto “Fornero al cimitero”. Una cosa che, complice la rima, riporta agli anni di piombo, quando sui muri si leggeva “camerata, basco nero, il tuo posto è al cimitero”.
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In soccorso di Monti non c’è solo Napolitano. Il PdL si è mobilitato ed è corso coi suoi pezzi grossi a proteggere sia Monti che Napolitano dagli attacchi della sinistra. Alfano, Cicchitto, Schifani si sono seriamente preoccupati. La facciata è la difesa di Napolitano, l’interno è la propria posizione politica. Il PdL, infatti, è sulle posizioni del governo e se in seguito alla levata di scudi della sinistra Monti dovesse cedere ne andrebbe di mezzo la sua autorevolezza. Apparirebbe chiaro che a salvare i lavoratori dal diktat di Monti e della Fornero sarebbe stata la sinistra. Per il PdL sarebbe una sconfitta intollerabile. Sulla questione del lavoro si stanno delineando i due schieramenti di sempre: da una parte il centrodestra che vuol far apparire il governo Monti la prosecuzione del governo Berlusconi e il centrosinistra che vuole marcarne la profonda discontinuità; in mezzo il terzo polo, che, con Casini si sbraccia in favore di Monti, e con Fini svolge il ruolo del super partes, arrivando a stigmatizzare il comportamento dell’esecutivo perché continua a non mostrare sensibilità verso le prerogative del Parlamento.
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In buona sostanza che cosa si contesta di questo accordo o disaccordo sul mercato del lavoro? La licenziabilità dei lavoratori. Si ammette che la modifica dell’art. 18 contiene importanti novità, accettabilissime, ma, secondo la Cgil e la sinistra, sulla licenziabilità contiene anche una trappola per i lavoratori. Va bene che valga per tutti, statali esclusi; va bene l’apprendistato che diventa contratto di ingresso dei giovani al lavoro; vanno bene i nuovi ammortizzatori; va bene il divieto delle dimissioni in bianco delle donne. Non va bene il licenziamento per motivi economici, che potrebbe diventare il motivo prevalente per sbarazzarsi di un dipendente fastidioso e sgradito. Il licenziamento per discriminazione, se provata, obbligherebbe il datore di lavoro al reintegro del licenziato. Per il licenziamento per motivi disciplinari decide il giudice, che può disporre il reintegro o un’indennità da un minimo di 15 ad un massimo di 27 mensilità. Il licenziamento per motivi economici, comporta solo l’indennità senz’altro. Per le sinistre c’è il rischio che ogni licenziamento sia fatto passare per motivi economici. Ma il vero punto del contrasto è il rovesciamento dei rapporti di forza tra il lavoro e l’impresa. Secondo le sinistre, così modificato l’articolo 18 altererebbe l’equilibrio in favore dell’impresa. Tutto questo appare assai più grave, dopo tutta una serie di provvedimenti (leggi pensioni) approvata in danno dei lavoratori. Si coglie, insomma, una sorta di politica reazionaria da parte del governo che trova giustificazione nella grave condizione di crisi finanziaria da cui si sta cercando di uscire.
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Non v’è dubbio che è in corso una fase reazionaria. Come definirla? Si dice che oggi non ci sono le condizioni che c’erano quando l’art.18 fu introdotto (Statuto dei Lavoratori, 1970); e si dice il giusto. Allora c’era il sole e il bel tempo. Oggi piove, c’è il vento e fa freddo. Vogliamo cautelarci? Ciò non significa che bisogna chiamare le cose con nomi diversi dalla condivisa nomenclatura per non farle capire alla gente. Un cappotto è un cappotto, non può essere un accappatoio. Il governo Monti pone dei problemi. Di fronte a quanto sta avvenendo e davanti alla forbice tra quello che dice la propaganda e quello che mostra la realtà, sorgono almeno due interrogativi. Il primo: fino a che punto il clima di paura di fallimento, alla greca per intenderci, è giustificato? Non è che per caso si sta facendo come gli antichi re che facevano dire agli aruspici e agli indovini ciò che loro avevano già deciso di fare, per far passare le loro decisioni come volere degli dei? Secondo: ma è poi vero che tanti provvedimenti impopolari e contropopolari e in danno della gente sortiranno effetti positivi e quando? Ci sono generazioni, nate tra gli anni Ottanta e i Novanta del secolo scorso, oggi con più di trent’anni, che stanno per essere bruciate: senza lavoro e senza prospettive di pensione. Sono come condannate alla morte sociale. E’ lecito o no chiedersi: che cosa sta facendo il governo per queste generazioni? Nulla, non sta facendo nulla. Si dice: stiamo lavorando per i nipoti! Ma se pure fosse vero, sarebbe una rassicurazione accettabile? Qui, intanto, c’è gente che sta male; e ancora il peggio deve venire. Ancora le misure adottate dal governo non hanno fatto sentire i loro morsi sulle famiglie, quando accadrà, saranno cazzi amari.
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La settimana 19-24 marzo si chiude con una sorta di sfida all’OK Corral che è il Parlamento. Monti è deciso a non modificare il suo testo di legge sul mercato del lavoro. Il “salvo intese” non è assimilabile al “Salva Italia”, è riferito al rapporto del governo col Capo dello Stato. Lo ha detto a Cernobbio: “Sulla riforma non accetto incursioni”. Le critiche che gli rivolgono dalla Lega lo rendono più determinato e reattivo. Ha risposto con durezza a Maroni e per Maroni a Tremonti, il quale aveva sempre sostenuto che l’economia italiana stava meglio perfino della tedesca. Un Monti, insomma, più che mai deciso. Il suo ragionamento è semplice e lapidario, a conferma che la sua è una “dittatura”: mi hanno chiamato per sanare il Paese, questo comporta misure che vadano nella direzione dell’interesse generale; la concertazione, i compromessi hanno rovinato il Paese. Ipse dixit!

domenica 18 marzo 2012

Monti e la tela del ragno

Governo Monti, un passo indietro. Novembre 2011. Si ipotizzava un governo che avesse dei tecnici in alcuni ministeri chiave, in specie in quelli dell’economia, per lasciare ai politici i ministeri più importanti per la fisiologia dello Stato, per intenderci interni, esteri, difesa. Non fu possibile, per il veto del Pd, che vedeva in un simile governo troppi elementi di continuità col precedente. Tanto avrebbe danneggiato il centrosinistra. Dunque la politica, la stessa politica, che tanto disastro aveva provocato fino a quel momento, pretese di procurarne ancora. Così il governo Monti nacque con un difetto di fabbrica: alcuni ministri importanti (Monti, Fornero, Passera) ed altri che non c’entravano a niente (Cancellieri, Severino, Di Paola, Terzi), ministeri, questi, che in genere devono essere guidati da politici, non solo perché legittimati dal popolo ma perché esperti delle specifiche faccende. Il difetto sta in questi ultimi. Senza offesa: ma che fanno tanti pellegrini in luoghi dove sarebbero necessari autentici conoscitori della politica a tutti i livelli? Ed ecco che un Terzi, ex ambasciatore, combina disastri in politica estera, come i casi dei due Marò in India, di Rossella Urru rapita in Algeria e del povero Lamolinara ucciso in Nigeria. Ed ecco un inutile Riccardi che esprime gratuito disprezzo per la politica. Ed ecco una Severino che, non avendo altro da fare in un governo tecnico, cerca di fare qualcosa in un terreno che non le compete, perché è politico. E si potrebbe continuare con questo Carro di Tespi che è il governo Monti. Quanti pasticci combineranno ancora?
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Periodicamente Ernesto Galli Della Loggia ricorda sul “Corriere della Sera” che siamo in una fase di progressivo assottigliamento di sovranità nazionale. Ciò che in Europa ha sospeso o accantonato la politica “ancor più dell’economia è la perdita (consapevolmente quanto incautamente accettata) di sovranità da parte dello Stato nazionale. […] alla lunga, l’assottigliamento della sovranità nazionale rischia di privare della sua ragion d’essere la stessa democrazia, la stessa sovranità popolare. […] Democrazia e Stato nazionale sono cose per più aspetti sovrapposte”. E via di questo passo. Dixit Galli Della Loggia (Democrazia e sovranità statale – 12 marzo). Non si può non dargli ragione. D’altra parte nello stesso giorno a Milano, Hotel Smeraldo, l’Associazione “LeG” (Libertà e Giustizia) di Gustavo Zagrebelsky ha tenuto un convegno sul tema “Dipende da noi - Senza Politica non c’è Democrazia”, con grandi interventi, tra cui quelli di Concita De Gregorio, Roberto Saviano, Giuliano Pisapia, Umberto Eco e ovviamente dello stesso Zagrebelsky. Intendiamoci, da destra e da sinistra si ribadisce in premessa la condivisione del lavoro di Monti, ma intanto con stringenti ragionamenti (Galli Della Loggia) e manifestazioni riprese poi in diretta da qualche televisione (L’Infedele di Gad Lerner su “La Sette”) lo si indebolisce. L’iniziativa di Zagrebelsky ha già raccolto 35.000 firme per rifondare i partiti e la democrazia e per far approvare il decreto anticorruzione. Tutto bello e importante. Ma per Monti non è certo rassicurante.
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Tutto agita le acque intorno alla barchetta montiana. Alfano e Bersani non fanno che confrontarsi duramente, direttamente su alcuni problemi (giustizia e Rai) indirettamente su Monti. Il direttore di “Repubblica” Ezio Mauro ha chiesto a Monti se per caso alla radice del suo governo non c’è stata un’intesa con Berlusconi di non toccare giustizia e Rai. Una domanda irriverente ed offensiva; ma in rebus. Mauro ha detto che quello di Monti è un governo a responsabilità limitata. Chiaro il concetto, ma infelice l’espressione: tutti i governi in democrazia sono a responsabilità limitata, se no che ci stanno a fare il Parlamento e tutte le altre istituzioni? Lo stesso Monti aveva detto, ospite di Fabio Fazio, che della Rai si sarebbe prima o poi interessato. Sta di fatto che Monti sui due spinosi problemi, dopo aver fatto marcia indietro, ha voluto dare soddisfazione alla “Repubblica” e ha indetto un nuovo vertice coi partiti che lo sostengono per la sera di giovedì, 15 marzo. Si parlerà anche di Rai. Sì – ha commentato Alfano – ma solo all’ultimo punto dell’agenda! Appare chiaro ormai che il destino di Monti sta nella tela politica che gli stanno tessendo intorno. Come una mosca lui in questa rete, in cui forse si trova fin dall’inizio, si vede sempre più avviluppato e immobilizzato dai ragni della politica.
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Infelice Alfano! Noi del PdL – ha detto – appoggiamo Monti con “opere ed omissioni”. Non sorprende tanto il tono catechistico, quanto l’outing fatto. Va bene per le opere, che sarebbero sempre quelle che avrebbe voluto fare il governo Berlusconi, ma perché le omissioni? Detta da un siciliano è come esibire la “carta d’identità”. Le omissioni – ha precisato Alfano – sono le cose che non diciamo per non creargli problemi”. Eh no, caro Alfano. Le omissioni, comunque usate, sono negative, evocano situazioni inaccettabili, fanno parte del trio delle tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo. Nessun governo – salvo che non si sia in guerra – vale una sola omissione. Potevi non dirlo, Alfano, dato che non potevi non pensarlo. Probabilmente Alfano cerca di dimostrare di avere quel “quid” che Berlusconi gli rimproverava di non avere. Ma le parole, specialmente quando non sono richieste, tradiscono una condizione che forse è meglio tener debitamente nascosta. C’è un comune senso di decenza come un comune senso del pudore. Si sa che i politici omettono, dicono bugie, ritrattano, a seconda delle circostanze; ma non possono davvero ammettere pubblicamente che il loro modo di essere in politica è fatto di omissioni e bugie.
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Davvero non si capisce in che cosa la situazione italiana stia migliorando in concreto. Tutti i dati rivelano un peggioramento della situazione, mentre aumenta il costo della vita, il prezzo della benzina è arrivato a due euro al litro, è aumentata l’Iva, calano i consumi, aumenta la disoccupazione. Sì, ogni giorno si gioisce per il calo dello spread, per l’andamento delle borse, ma se ci chiediamo che si mangia oggi dobbiamo registrare ancora digiuno. Va sempre più prendendo consistenza che i miglioramenti dell’Italia nei mercati internazionali siano dovuti ad una sorta di fiducia, per ora vuota di concreti miglioramenti, di cui gode Monti. E’ proprio vero che la saggezza popolare non sbaglia neppure per gli ambiti più internazionali: àggi nòmina e bbìnni citu dice un vecchio proverbio salentino, appunto godi di buona fama e puoi anche vendere aceto per vino.
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Finalmente il vertice a Palazzo Chigi tra Monti e i tre segretari di partito c’è stato. Sei ore di colloqui e, come Alfano aveva preteso, di giustizia si è parlato solo per dire che era tardi (le due di notte) e dunque non si sarebbe più parlato per quella sera. Che si è detto? Casini dalla Gruber a Otto e Mezzo su “La Sette” di venerdì, 16, si è limitato a girare intorno alle cose. Non ha voluto ammettere che l’accordo è solo di facciata. Bersani ha tenuto a dire che si sentiva preoccupato, un eufemismo per dire che lui in questa sorta di armonia partitica si riconosce poco; si sente a disagio. C’è da capirlo, è come pensare che quattro maschi, per una qualsiasi congiuntura, debbano dormire in uno stesso letto. Alla fine si coricano, ma è superfluo chiedere loro se e come hanno dormito. Se sono maschi! La stampa, quasi tutta, omaggia e sprizza fiducia in questo strano corso della politica, si fa per dire, di oggi. I governi, in Italia, cadono dopo una consultazione elettorale. Tutto dipenderà dai risultati delle prossime amministrative. Se l’esito per qualcuno non sarà quello sperato…addio Monti, non proprio manzoniano.

domenica 11 marzo 2012

Monti, il riccio della politica

Tra volpi e leoni – diceva Niccolò Machiavelli – il principe deve essere volpe e leone. Chiara l’antifona. La politica è un luogo abitato da volpi e da leoni, il buon politico deve essere indifferentemente, a seconda della circostanza, ora volpe ed ora leone. Con la democrazia il bestiario politico si è affollato. Mario Monti, per esempio, che bestia è? Sembra fuori dalla visione politica del Machiavelli, dato che lui non solo rifiuta la categoria del politico – la mamma mi raccomandò di tenermi lontano dalla politica, io sono un tecnico – ma per diventare Capo del Governo, massima espressione del potere politico, non ha avuto bisogno di compiere atti tali da ricondurlo ad una delle due categorie politiche machiavelliane: l’astuzia e la forza. Anzi Napolitano, lo ha nominato proprio per imporre una tregua alle numerosissime volpi e ai numerosissimi leoni che avevano trasformato la politica in un circo equestre impazzito. Monti ha tutte le caratteristiche del riccio, che con lui entra nel bestiario politico. Lo dimostra tutte le volte che viene in qualche modo minacciato, direttamente (Bossi lo chiama traditore del Nord e gli dice che il Nord gli farà la “festa”) o indirettamente (il movimento no tav gli replica di non essere affatto intimidito dalle sue dichiarazioni). Allora si chiude in quel suo essere “tecnico” e mette fuori gli aculei, ossia le competenze tecniche, e si chiude a riccio. Ma la politica oggi si è enormemente complicata, anche i ricci potrebbero avere i loro problemi.
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“Credo che il nostro Paese richieda per un lungo periodo, almeno per l’intera prossima legislatura, un governo «tipo Monti»”. Dixit Michele Salvati sul “Corriere della Sera” di lunedì, 5 marzo. Ora si può essere anche più realisti del re, ma non si può essere più Salvati – con tutto il rispetto – di Salvati. Secondo lui Monti dovrebbe durare fino al 2018, perché c’è bisogno di “Un disegno che, nelle sue linee essenziali, non è né di destra, né di sinistra, che non riguarda la democrazia, ma le precondizioni della democrazia, quegli orientamenti comunemente condivisi che sono necessari affinché la dialettica tra i partiti possa svolgersi senza esasperazioni dannose” (Una seconda ricostruzione). Come se un Paese fosse un calciatore di pallone che si è rotto il menisco e ha bisogno di un certo periodo per rieducare l’arto! Secondo Salvati bisognerebbe ricostruire i menischi d’Italia, che se li è rotti. A leggere certe cose ci sarebbe da fare l’elogio dell’analfabetismo. Non si vuole capire che tutto nella realtà è come è e diversamente non potrebbe essere. Il grande Hegel, che lo ha spiegato molto bene, è odiato perché non confutato. Così in Italia la democrazia è come è stata, è come è; se non ci piace lo spettacolo, cambiamo registro: affidiamoci a un Monti, come ci siamo affidati. E poi dicono che il consenso a Mussolini e al fascismo non era autentico!
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Invece Monti deve stare attento a non toccare i fili dell’alta tensione politica. Alfano gli ha fatto saltare il vertice con PdL, Pd e UdC di mercoledì, 7 marzo, in cui si sarebbe dovuto parlare tra l’altro di giustizia e Rai. Alt – ha detto il segretario del PdL – finché si parla di economia, sviluppo e lavoro va bene; giustizia e Rai sono di competenza dei partiti e del Parlamento. Nulla da eccepire alle ragioni di Alfano. Il governo Monti tenta di allargarsi. Lo fa sua sponte o perché è indotto da equilibri politici? Io dico la seconda. Il Pd non è contento del governo Monti, che in buona sostanza sta facendo – e lo dice pure – quello che il governo Berlusconi diceva di voler fare e avrebbe fatto se glielo avessero consentito alleati (Tremonti più Lega) e avversari esagitati (magistrati, informazione in primis). La base e i quadri del Pd si agitano e allora per equilibrare la bilancia (tanto al PdL, tanto al Pd), ecco che nel vertice di cui sopra si deve parlare anche di giustizia e Rai, dopo che c’era stato già un abboccamento informale dei rappresentanti di Pd e UdC con la ministra di giustizia Severino. Marcia indietro, niente più vertice. Il ministro della cooperazione Andrea Riccardi ha avuto parole dure: “ecco la politica che mi schifo”; poi ha chiesto scusa. Ma l’incidente non è senza conseguenze. Il governo Monti non entri nella stanza della politica o avrà brutte sorprese!
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E tre! Dopo il caso Cesare Battisti, rifiutatoci dal Brasile perché in Italia non c’è giustizia seria e si perseguitano i dissidenti politici (queste le ragioni del Presidente Lula e del suo successore); e dopo il caso dei due marò del Reggimento San Marco antipirateria, imprigionati in India perché avrebbero ucciso due pescatori indiani; ecco il terzo caso di schiaffi all’Italia in mondovisione: l’ingegnere Franco Lamolinara rapito in Nigeria insieme con un collega inglese è stato ucciso nel corso di un blitz ordinato dal governo inglese per liberare gli ostaggi, di cui non si era dato avviso al nostro governo. Facciamo pure le nostre rimostranze. Che altro dovremmo fare? La guerra al Brasile, all’India e alla Nigeria? Rompere i rapporti diplomatici con l’Inghilterra? Ma gli schiaffi sono schiaffi e riceverli sotto gli occhi del mondo intero non è cosa. Quel che gli italiani non vogliono capire è che il rispetto degli altri è qualcosa che si matura nel tempo, attraverso comportamenti culturali. Se si continua a dare al mondo intero spettacoli di insulso antitalianismo ad ogni piè sospinto, come si può pretendere che gli altri ti rispettino? Gli italiani che il mondo conosce sono quelli dei film di Mario Monicelli, esibiti come pavidi e cialtroni; della magistratura democratica che sputtana il Capo del Governo senza mai riuscire a condannarlo; delle pagine di storia vergognose, come l’8 settembre e gli incredibili massacri di Cefalonia e Rodi, di cui meniamo vanto perfino. Ecco, allora, che l’Italia agli schiaffi che riceve non può andare oltre un ahi!, magari ripetuto o prolungato.
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La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza che condannava il Sen. Marcello Dell’Utri a sette anni di reclusione. Non c’erano sufficienti prove per condannare, il processo va rifatto. Ecco, qui mi va di dire che “per fortuna che Monti c’è”; se ci fosse stato Silvio la canea dei condannaioli a prescindere avrebbero inscenato un altro “se non ora, quando?”, con conseguente sputtanamento internazionale. Difatti i soliti Flores d’Arcais, Travaglio, Di Pietro e “processionisti della condanna prima di tutto” hanno incominciato a inveire contro la sentenza della Cassazione. Non erano quelli che dicevano che le sentenze vanno rispettate? Sì, sì, certo; ma solo quando vanno nella direzione dei loro desiderata. Non so se Dell’Utri è colpevole o innocente; ma mi viene di fare due obiezioni. La prima è che la giustizia deve condannare quando ha le prove, anche se è convinta “di suo” della colpevolezza dell’imputato. La seconda è che il reato di concorso esterno in associazione mafiosa è come la plastilina: lo puoi provare e lo puoi confutare quando vuoi e come vuoi, facendogli assumere tutte le forme possibili e immaginabili. Solo chi non conosce la vita sociale nel Mezzogiorno d’Italia può considerare prova di colpevolezza una stretta di mano o un abbraccio, la partecipazione ad una cerimonia di nozze o l’offerta di un caffè in un bar. Nel Mezzogiorno d’Italia i mafiosi possono essere tutti e nessuno, li puoi incontrare perfino al cimitero, in ospedale o in chiesa. La vita sociale nel Sud è un rischio di mafia. Che facciamo? Stiamo in clausura oggi per evitare la reclusione domani?

domenica 4 marzo 2012

Monti e la grosste Koalition

C’è uno spread tra Italia e Germania di cui non si parla, è quello tra la grosse Koalition (grande coalizione) della Merkel e la grösste Koalition (grandissima coalizione) di Monti. La grande coalizione parlamentare tedesca che sostiene la Cancelliera ultimamente si è assottigliata, in seguito ai provvedimenti salva-Grecia. Mentre la grandissima coalizione parlamentare italiana, la grande abbuffata parlamentare, regge, anzi voci insistenti vorrebbero che l’esperienza Monti andasse oltre il 2013. Quel che disturba un normale cittadino educato alla democrazia e magari “perseguitato” per un suo diverso modo di leggere la storia del fascismo e della dittatura è tutto questo consenso ad una situazione politica quanto meno anomala. Possibile che gli italiani siano così pecoroni? Non si disconosce la necessità di sospendere la normale routine politica italiana, di cui non si ha certamente nostalgia, per i suoi risvolti di rissa continua, estesa dalle aule parlamentari a quelle dei tribunali, alle piazze e ad ogni luogo urbano e forse anche domestico, ma sorprende negativamente che da destra a sinistra non c’è nessuna voce che si spende per la democrazia e più in generale per la politica. Neppure i cosiddetti oppositori, la Lega e l’IdV, sembrano dolersi più di tanto per la sospensione del dibattito democratico; oppositori nel merito più che nel metodo. E, invece, dovrebbero esserlo di più nel metodo che nel merito, dato che l’Italia di una cura forte, per uscire dalla crisi, comunque aveva bisogno.
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E veniamo all’ipotesi Monti “due”. Sarebbe possibile? Escluso che si possa sospendere anche la Costituzione, che all’art. 60 recita: «La Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica sono eletti per cinque anni. // La durata di ciascuna Camera non può essere prorogata se non per legge e soltanto in caso di guerra», non resta che pensare ad una conferma di Monti anche dopo il rinnovo del Parlamento nella primavera del 2013. A questa ipotesi ha messo del suo lo stesso Presidente del Senato Schifani. Ipotesi non del tutto peregrina, salvo che è subordinata alle variabili elettorali, che nessuno al momento può prevedere. Sotto sotto un pensierino lo fa pure Monti, il quale ha così commentato le voci: «Se facciamo molto bene il lavoro con i miei colleghi di governo, non penso che sia molto probabile che mi chiedano di restare» (dichiarazione del 29 febbraio). Intanto la Rosi Bindi, presidente del Pd, ha detto che Monti deve durare fino alla scadenza naturale delle Camere e poi si deve riprendere col progetto del suo partito. E’ certa che le prossime elezioni le vincerà il centrosinistra. Ma, con sua buona pace, è una delle tante variabili possibili. Vorrei vederla la Bindi in presenza di un successo del centrodestra se non sarebbe favorevole ad un Monti sine die!
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La vicenda dei due marò del Reggimento San Marco ha dell’incredibile e dà l’esatta misura dei limiti del governo dei tecnici di Monti. A prescindere dal fatto se sono stati i due militari che hanno sparato nella convinzione che sull’imbarcazione indiana ci fossero dei pirati, comunque uomini armati, delle due l’una: o vale l’extraterritorialità delle acque in cui è accaduto il fatto o non vale. Nel primo caso l’Italia dovrebbe far rispettare le leggi internazionali; nel secondo caso dovrebbe dimostrare che non sono stati i due militari italiani ad uccidere i due “pescatori” indiani. Da quanto vediamo e sentiamo viene di farci l’idea che sono stati i due militari italiani a sparare sul peschereccio indiano in acque territoriali indiane. Se così non dovesse essere allora il comportamento dell’Italia non è paragonabile neppure a quello che in una circostanza simile potrebbe assumere Cipro o Malta. Davanti al mondo stiamo facendo la pessima figura di uno Stato che non riesce a farsi rispettare, dando l’idea di sprovvedutezza e debolezza. Altro che il bunga-bunga di Berlusconi! Lo zitti-zitti e quieti-quieti di Monti è ancor più mortificante. Speriamo, a questo punto, che il caso si risolva col rilascio dei due militari. I quali, acque internazionali o meno, se hanno sparato per difendere la nave hanno fatto la madre di tutto il bene, a mamma tu bbonu, diciamo noi salentini in dialetto.
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Altra dimostrazione dell’incapacità di affrontare i problemi sul piano politico da parte del governo Monti è quanto sta accadendo in Val di Susa, dove i movimenti no tav si stanno scatenando per impedire il necessario ampliamento del cantiere per la costruzione della linea ferroviaria Torino-Lione. I responsabili del movimento hanno capito che il governo è debole e dunque stanno calcando la mano. L’incidente del leader del movimento caduto dal traliccio, Luca Abba, lo sfottò di un altro manifestante al carabiniere, il blocco delle autostrade per impedire il passaggio degli automezzi, l’attacco alle forze dell’ordine con lancio di pietre e di altri oggetti, sono episodi gravissimi, specialmente se accaduti in sequenza; vogliono evidenziare una strategia di soluzione. E difatti i sindaci contrari che affiancano il movimento no tav, con la più grande dabbenaggine di questo mondo, proponevano una tregua: fermiamo il movimento no tav e fermiamo il cantiere; ossia una resa da parte dello Stato. Nessuno invoca l’esercito, come fa il leghista Maroni, ex ministro dell’interno, per risolvere fisicamente la questione; ma, a questo punto, lo Stato dovrebbe dare un segnale di forza e dimostrare che non arretra di fronte a chi vuole impedire che si realizzi un’opera ritenuta assolutamente necessaria. Monti dixit: i cantieri devono andare avanti, il dissenso è libero. Sì, ma qui si tratta d’altro e a fermare le violenze non bastano le parole.
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Angelo Panebianco sul “Corriere della Sera” del 2 marzo (La polveriera iraniana) solleva un altro aspetto della debolezza del governo Monti e di tutti i governi europei di fronte al rischio guerra che di qui a qualche mese potrebbe riproporsi in termini altamente drammatici anche per l’Europa, ossia l’attacco preventivo che Israele potrebbe sferrare contro l’Iran per impedirgli di dotarsi di ordigni nucleari. Tutti presi da spread e borse, mercati ed euro, debiti sovrani e decreti salva-stati, i governi europei non pensano che la polveriera iraniana potrebbe, scoppiando, far ricadere sulla nostra economia conseguenze disastrose, come il rincaro del petrolio e il conseguente aumento incontrollato dei prezzi. Effetto disastroso in un momento in cui la benzina alle stazioni di servizio non costa davvero il resto di un lavaggio automatico. Anche qui, mano alla pistola? Israele fa bene, anche sulla scorta di precedenti circostanze, prevenire l’attacco del nemico colpendolo per primo. Ma i governi europei dovrebbero prodigarsi, in maniera seria e pesante, per scongiurare non l’attacco di Israele ma la causa di questo attacco, inducendo in ogni modo il governo iraniano a desistere dal dotarsi di armi atomiche, facendogli capire che con Israele c’è tutto il mondo occidentale, come fecero con quei poveri disgraziati di Saddam Hussein e Gheddafi. Purtroppo i governi europei passano il loro tempo a contarsi e a ricontarsi i soldi che hanno in tasca e “d’altro non cale”.
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A Bruxelles è stato firmato l’accordo sul Fiscal compact da parte di tutti i Paesi dell’Unione, Inghilterra e Repubblica Ceca escluse. In che consiste? Nell’impegno di tutti i membri dell’Unione a tenere il bilancio entro i termini stabiliti. Ma già la Spagna si è tirata fuori, sforando di 1,4. Non c’è stato niente da fare. Come non ci sarà niente da fare se altri Stati si troveranno costretti a fare lo stesso per gli interessi del proprio Paese. Si continua in Europa a non voler considerare che questa baracca europea non può reggere, in difetto di un governo europeo, di una banca europea, aggiungerei di uno Stato europeo. La sovranità – lo hanno sempre spiegato gli esperti di filosofia del diritto – non è divisibile, non è riducibile, non è modificabile. La sovranità è come Dio.