domenica 21 ottobre 2018

Tre giorni surreali e tre uomini in barca




Mi è venuto di pensare in questi giorni di comiche politiche nazionali ad un romanzo del 1889, a Tre uomini in barca dello scrittore inglese Jerome K. Jerome. E’ un libro umoristico con qualche episodio esilarante.
Che c’entra con le nostre cose? C’entra, pur con una piccola variante, siccome andare in barca da noi è anche una metafora, significa andar d’accordo. E mi viene di pensare subito per l’uno e l’altro significato, il letterale e il metaforico, ai nostri tre uomini al governo: Luigi Di Maio, Matteo Salvini e Giuseppe Conte, rispettivamente due vice-presidenti e un presidente del consiglio, i quali, appunto, vanno in… barca. Lo hanno dimostrato di recente nella comica faccenda del decreto fiscale.
Nella conferenza stampa dopo il Consiglio dei Ministri del pomeriggio del 20 ottobre, in cui è stato trovato l’accordo su questo decreto, detto della “pace sociale” e invece stava per essere motivo di guerra politica, Salvini ha esordito definendo surreali gli ultimi tre giorni. Nel corso dei quali, ancora una volta, Di Maio ha fatto la figura molto simile a quella di Renzo nei Promessi Sposi, quando se la prese con don Abbondio e col suo latinorum. E’ di tutta evidenza che Di Maio avverte una certa inadeguatezza nell’esercizio politico relativo al ruolo che si è ritagliato. Altrimenti non avrebbe minacciato di rivolgersi alla Procura per un documento da lui stesso vergato, sua ipsa manu.
Mettiamo che abbia avuto ragione nel merito – il che sarebbe tutto da dimostrare – nella faccenda della manina del peccato, della mano cioè che avrebbe, a suo dire, manipolato il testo in direzione condono generalizzato a tutti gli evasori fiscali, ci chiediamo: perché non chiamare subito Salvini per chiedere spiegazioni e trovare una composizione?
Le risposte sono due. La prima, potrebbe essersi sentito preso per il culo da Salvini – volgariter – e, arrabbiatosi, ha pensato: mo ti mostro io di che sono capace!
La seconda potrebbe essersi accorto di non aver seguito come doveva il testo del decreto e, non volendo ammettere di essere stato quanto meno leggero, l’ha buttata sull’acido.
Nell’uno come nell’altro caso, emerge la sua malafede e dalla figura del pirla o, come noi al Sud diciamo, della testa di cazzo, non si salva. E’ vero, può presentarsi davanti ai suoi e menar vanto: volevano fotterci, ma noi ce ne siamo accorti e abbiamo reso pan per focaccia.
Ma quanti si accontenteranno della pezza a colore? E’ la seconda volta che Di Maio grida alla manina! alla manina! La prima volta insinuò alludendo alla manina di qualche funzionario del Ministero; la seconda è andato oltre, dicendo da subito che la questione era politica. Almeno in questo ha dimostrato – se è stata sua l’idea di metterla sul politico! – di far capire che non intendeva impelagarsi in questioni di chi è stato a manipolare il testo e che tagliava corto. Questo decreto così com’è non lo vogliamo. Dunque o lo si corregge o nada!
Tante parole sono volate in questi tre giorni. Alcune le ha dette di Maio, altre Salvini. Il capo dei leghisti in un primo momento ha preso in prestito una frase di Curzio Malaparte: cosa fatta capo ha! dalla celebre Ballata dell’Arcitaliano. Come dire: ormai è andata così e non se ne parli più. Ma quando ha capito che l’altro, Di Maio, avrebbe creato problemi al governo, ha lasciato che la "cosa" perdesse il "capo". Resta tuttavia che nulla accade a caso e nulla passa senza lasciare conseguenze.
La prima conseguenza è che fra i due è finita la fase delle smancerie, non si fidano più l’uno dell’altro. E quando due soci in affari non si fidano gli affari vanno in malora.
Intanto a rendere sempre più surreale l’ambiente politico italiano è il diffondersi di un’epidemia che si ha ragione di definire di tipo psichiatrico. Alcuni giornalisti e intellettuali – vedi Andrea Scanzi e Maria Giovanna Maglie – difendono  a spada tratta il governo Di Maio-Salvini, ma solo dopo aver premesso di non appartenere a quei partiti e di non condividerli. E, allora, perché li difendono?
O si vergognano di dire di condividerli, perché taluni comportamenti sono oggettivamente e universalmente da condannare; o li difendono, pur non condividendoli, per fare un dispetto a quanti del Pd o di Forza Italia rappresentano i falliti d’antan, responsabili del disastro in cui versa il Paese.
Ma sembra cosa sensata? Per non parlare del cane diceva il titolo del romanzo di Jerome. Noi potremmo dire: per non parlare dei cani.

giovedì 18 ottobre 2018

Un anno fa la scomparsa di Donato Valli




Il 18 ottobre dell’anno scorso se ne andava Donato Valli, nella sua Tricase, dove era tornato a vivere da qualche tempo.
Lo conobbi al mio primo anno d’Università, quando era fra gli assistenti di Aldo Vallone con Ennio Bonea e Luigi Manna e lavorava alla Biblioteca centrale dell’Università, poi con insegnamento di Bibliografia e Biblioteconomia. La sua ambizione era la cattedra di italianistica, che avrebbe conseguito un po’ di anni dopo. All’epoca aveva già prodotto importanti saggi su Girolamo Comi, Luigi Fallacara, Clemente Rebora, Umberto Saba e Piero Bigongiari, raccolti nel volume Saggi sul Novecento poetico italiano in una collana diretta da Aldo Vallone e Mario Marti. Un libro che Vallone ci avrebbe fatto studiare per l’esame di Letteratura Moderna e Contemporanea.
Per la malattia che lo aveva colpito negli ultimi anni aveva un po’ abituato l’ambiente culturale salentino e gli amici alla sua assenza da eventi e iniziative, nelle quali per decenni era stato protagonista assoluto. Mario Spedicato aveva cercato di coinvolgerlo nelle iniziative della Società di Storia Patria, senza mai riuscire a vincere le resistenze della signora Enza, che intorno al suo Donato aveva steso una rete di solida protezione. E, tuttavia, la notizia della sua morte destò in tutti dolore e commozione.
Valli è stato il dominus della cultura salentina per circa un cinquantennio, dagli anni Settanta del Novecento fino agli inizi degli anni Dieci del Duemila. Dalla Biblioteca provinciale alla cattedra universitaria di Letteratura Moderna e Contemporanea, dalla codirezione de L’Albero dell’Accademia Salentina di Lucugnano al Rettorato, alla Biblioteca Salentina di Cultura, alla Società di Storia Patria, attraverso studi critici pubblicati con editori locali e nazionali, sui più importanti autori italiani, convegni di studio, conferenze, presentazioni di libri e di mostre, non solo nello specifico della critica letteraria. Ne sono testimonianza i tre volumi Aria di casa, in cui ricorrono in gran parte i suoi interventi per così dire extra moenia, per indicare scritti e discorsi fatti per le più varie circostanze fuori dell’ufficialità accademica. Un esempio di docente universitario aperto alla società e alle pubbliche istituzioni; un signore ed un amico che non sapeva mai dire di no.
Ebbe per sodali e collaboratori studiosi di altissima elevatura, da Aldo Vallone a Mario Marti, da Oreste Macrì all’insubre Maria Corti, da Nicola G. De Donno a – negli ultimi anni – Antonio Lucio Giannone e Carlo Alberto Augieri.
Resta a tutt’oggi il critico e lo storico di Girolamo Comi per eccellenza, di cui ha curato l’opera poetica e di cui custodiva il Diario di Casa, che avrebbe dovuto pubblicare cinquant’anni dopo la di lui morte, a partire da quest’anno, essendo morto il poeta-barone nel 1968.
Valli è stato un esempio di intellettuale integralisticamente organico, avendo volto la sua azione culturale alla promozione della sua terra, valorizzandone risorse umane e materiali. Un’opera, che ha attraversato il suo impegno di critico letterario ed è andata oltre. Tre i punti fondamentali del suo straordinario vissuto: la produzione critica, il Rettorato decennale, nel corso del quale l’Università si è arricchita di nuove facoltà, uscendo da una fase di formazione, e la sua disponibilità ad offrire il suo contributo a quanti glielo chiedessero, sia per una presentazione di libro, sia per l’organizzazione di un evento.
Se avesse avuto anche maneggio politico – era cattolico e dunque democristiano – avrebbe potuto raggiungere traguardi assai più alti, a cui forse lui non voleva neppure arrivare. La politica, infatti, la viveva con molto disagio, ma allo stesso tempo ne era attratto, forse per il ricco ambiente tricasino in cui viveva, dove c’erano i Codacci Pisanelli e i De Benedetto, l’uno ministro della Repubblica, l’altro presidente della Provincia. La politica l’avrebbe vissuta anche con sofferenza estrema, per le note vicissitudini giudiziarie nelle quali si ritrovò per la sua buona fede. In una lettera, che non cito testualmente per non perdere tempo a trovarla, poiché non ricordo l’anno, confessò che le scorrettezze in politica non sono solo di chi le compie ma anche di chi le vede e non le denuncia; e si doleva di non averlo fatto quando avrebbe dovuto. Ma era anche un uomo pratico e sapeva che nella vita non si può inciampare ad ogni pietra.
Aveva un carattere che appariva burbero. Solo un meccanismo di difesa, il suo. Dietro la scorza c’era una persona cordialissima e profondamente umana, che sapeva apprezzare anche quello che non condivideva se gli riconosceva giustezza di propositi e di ragioni.
Il suo ricordo, unitamente a quello di tanti altri dell’ambiente, Vallone, Politi, Marti, Macrì, Rizzo, Donato Moro, De Donno, Pisanò, ci richiama ad una realtà, quella delle forme di cultura letteraria, che non è più la stessa di prima. Gli studi letterari stanno cedendo terreno agli studi storiografici, sociologici, politici ed economici. L’irruzione invasiva dei socials e di altre tecnologie della comunicazione ha cambiato il costume, i rapporti, gli interessi. La cultura letteraria si è ristretta sempre più in una ridotta, in cui i pochi sopravvissuti vivono come nella Fortezza Bastiani. La percezione è che la cultura letteraria non è più l’élite dell’intellighenzia, ma una forma residuale di un mondo che sta precipitosamente cambiando. Forse il Salento non avrà più una stagione letteraria come quella che ha caratterizzato il Novecento. Ma le sue figure più imponenti, e fra queste Donato Valli, restano esempi e richiami di difficile elusione e lasciano ben sperare.

domenica 14 ottobre 2018

Governo: dopo il voto di scambio, il ricatto




In Italia, da sempre luogo di sperimentazioni politiche, si sta affermando in maniera continua e pacchiana un nuovo modo di far politica. Intesa, questa, non come soluzione dei problemi del Paese, ma come processo di conquista di consenso elettorale. Il cosiddetto populismo nasce proprio di qui. Se tu vuoi il consenso dell’elettore devi parlare e agire come l’elettore parla e se potesse agirebbe pure. Tante espressioni volgari, arroganti, tracotanti, continuamente ripetute da Salvini e in maniera più soft da Di Maio, lasciano cogliere lo scarto tra le parole e il perché del loro uso. Come se chi le pronuncia volesse far capire che, pur potendo usare un modo diverso di esprimersi, usa quello apposta perché di maggiore effetto con la gente.
Ovvio che dietro le parole ci sono i fatti, ci dovrebbero essere i fatti. Le tre grandi promesse del governo pentaleghista sono abrogazione della legge Fornero sulle pensioni, abbassamento delle tasse con la flattax e il reddito di cittadinanza. Tre obiettivi che, stando al far di conto, come da sempre funzionano le cose, sono irraggiungibili, salvo che non si voglia far precipitare il Paese nel disastro di qui a poco. Ma – dice Salvini, il più ostinato a volere l’abrogazione della Fornero – più dicono che questa legge non si tocca e più io la tocco.  Che ricorda il ritornello di quella canzoncina del bambino discolo: ma io che sono Carletto, la faccio nel letto, per fare un dispetto a mamma e papà. Mamma e papà siamo noi, paese Italia.
A dire il vero un po’ di infantilismo in quel Salvini c’è. Forse bisognerebbe prevedere per il futuro un’équipe di psicologi nei più importanti palazzi del potere.
Di Maio fa lo stesso: più si cerca di far capire che il reddito di cittadinanza, oltre che impossibile per mancanza di soldi, è una grandissima minchiata e più lo pone come condizione per non far cadere il governo e tornare al voto. Che, secondo lui, significherebbe un autentico plebiscito per il suo partito.
Siamo in presenza, almeno dai modi usati, di autentici boss della malavita: o fai questo o per te è la fine. Dopo il voto di scambio di massa, ora il ricatto di massa.
Il buon Bernardone – se è lecito un riferimento colto in questo mondo di barbari felicemente incolti – era un mercante di Assisi; pagò un riscatto a quei tempi importante per riavere il figlio Francesco che era stato catturato dai perugini, ma quando si accorse che questo prendeva soldi e merci dalla bottega per distribuirli a quanti si trovavano a passare di lì, lo cacciò via, per evitare il fallimento. Perché delle due l’una: o il lavoro, fonte di crescita e di progresso, o lo sperpero che è l’inizio del disastro. L’esempio riporta al XII secolo, ma non è cambiato nulla. Dare denari, che peraltro non ci sono, a persone per non farle lavorare, in nome di un malinteso senso di giustizia distributiva, è una serie di dannosissime balordaggini. Dice: ma lo ha promesso in campagna elettorale. E, allora? Siccome deve mantenere la promessa è lecito buttare il Paese in una rovina, che inevitabilmente finirà per coinvolgere in primis proprio quelli che si era voluto favorire? Se così dovesse accadere questi due signori si stanno candidando al Premio Masaniello.
Ci sono poi, ma il poi non ha affatto significato temporale, quelli che, pur oggi in minoranza, non ne vogliono sapere di fare la fine che si paventa. Siamo in democrazia, è vero, e dovremmo rispettare le regole del gioco. Se hanno vinto degli scellerati, dovremmo accodarci alle loro scelleratezze? Ma qui è in gioco la sopravvivenza di un Paese che ha raggiunto da tempo un buon livello di progresso e di benessere, a cui legittimamente non si vuole rinunciare. Quando è in gioco il benessere conseguito si ha ragione anche di non essere pedissequo osservatore di leggi suicide.
La situazione non è per niente facile. Si tratta di salvare la faccia a chi si vanta di averla messa per ottenere certi risultati e nello stesso tempo salvare la condizione generale del Paese, che non può rinunciare ad alcune condizioni acquisite: l’Europa e l’Euro, garanti della nostra condizione di Paese avanzato.
E’ una difficile impresa, nella quale le persone più autorevoli, ad iniziare dal Presidente della Repubblica Mattarella, si preoccupano anche di salvare la faccia alla democrazia mentre cercano di esercitare la loro moral suasion nelle due direzioni. 
L’obiettivo è di stemperare le tre grandi mete di questo governo: aggiustare e non abrogare la legge Fornero, estendere la flattax che già esiste per alcune categorie, rimpinguare il reddito di inclusione. Non sarebbe una sconfitta per il governo, ma mezza sì; mentre per il Paese sarebbe una mezza vittoria. 
Chiudere questa prima partita con un pareggio non sarebbe male. Per vincere o per perdere c’è sempre tempo.         

domenica 7 ottobre 2018

Il mondo sottosopra di Silvestro Seccato




Silvestro Seccato, pensionato da qualche anno, in buona salute, persona di garbo e sensata, abitudinario fino all’ossessione, avverte una  certa inquietudine. Dalla televisione ha appreso che in giro ci sono malintenzionati che cercano i bensensati e gli abitudinari per torcer loro il collo.
Ha paura. E’ un timido. Il suo motto è stato sempre: piegati giunco, che passa la piena. Pensa di adeguarsi al nuovo corso di cose; in fondo, che gli costa? Provaci, Silvestro! Ed incomincia subito dai primi gesti domestici.
Ecco, dice, ora mi verifico nella condizione voluta dal nuovo ordine, pardon, disordine delle cose. Sono un malsensato…sono un malsensato…sono un malsensato. Bisogna iniziare proprio così, col ripetersi ciò che si vuole diventare.
Le scarpe estive dismesse, dove le metto? Naturalmente nella scarpiera. Ma no! Son proprio un fesso. Questo è buonsenso, se lo sa il grillino o il leghista sono fottuto; mo le metto nel frigorifero. Ecco, accanto alle mozzarelle…ah, già, le mozzarelle non possono stare nel frigorifero; le metto sotto il cuscino del divano. Meno male che mi son ravveduto in tempo. E le scarpe che ho ai piedi? Già, ma queste cazzo di scarpe come me le son messe? Guarda un po’, la destra al piede destro e la sinistra al piede sinistro. Da non crederci, sono proprio un inguaribile benpensante. Cerco guai, senza avvedermene. Ma se me le scambio di piede, come faccio a camminare? Sarà una tortura. Mo ci provo. Caracolla…saltella…come camminasse sulle spine.
Esce e…peggio non gli poteva andare! S’imbatte in un corteo in favore degli onesti “prima di tutto”. Li guarda ai piedi, hanno tutti le scarpe al posto giusto. Chiede prudentemente a uno che se ne sta in disparte preoccupato. Ma non dovrebbero portare le scarpe al contrario? No, almeno questo lo capiscono, gli risponde quello. Ma camminano in maniera ordinata! Sì, ma non per scelta, sono come pecore, si muovono d’istinto. Ma non sembrano degli scalmanati! No, sono perfettamente clonati, uno uguale all’altro. Ma se ci vedono, si accorgono che siamo quelli di…prima, ci aggrediscono… E noi cerchiamo di non farci notare. Si risolleva un po’. C’è ancora qualcuno che …ragiona. Ecco, un’altra parola sbagliata, che è meglio non pensare proprio.
Torna a casa, ma la porta è chiusa. Dall’interno la moglie gli grida di entrare dalla finestra, è più in linea col cambiamento. Sì, dal comignolo come la befana!, le risponde e subito si porta la mano alla bocca come a strozzarsi la battuta di buonsenso. Poi si sobbarca a fatica, ha una certa età. Ma non lo deve neppure pensare. Dicono che perfino la condizione di anziano è nel mirino dei malsensati. Va in cucina; ma non c’è più il frigorifero. La moglie – ah, le donne, sono sempre più preveggenti – ha pensato bene di metterlo dove prima c’era il barbecue in giardino, sotto il grande albero di noce. E il barbecue? Boh, vedremo. Avrà pensato che almeno il giardino non lo si può spostare dove vogliono gli antibensensati. Ma, allora, ha benpensato? Sorte nostra, se lo vengono a sapere chi ci salverà?  Gli viene un dubbio: dove avrà sistemato il letto? Rientra in casa. Cerca la camera da letto, ma non la trova, al suo posto c’è il garage.
Carlettaaa, mi dici come faccio ad entrare la macchina in questo nuovo garage? Ma, caro, non la devi entrare, sei proprio irrecuperabile. La lasci fuori, il vecchio garage è la nuova camera da letto, le vecchie gomme consumate sono i materassi e quelle vecchie batterie esauste i cuscini. Sapessi che piacere!
Il povero Silvestro è smarrito, non capisce più niente. Gli viene dentro come una bolla d’acqua. Si precipita nel bagno. Bagno? Al posto del water e del bidè c’è il barbecue. E tutt’intorno gli attrezzi da giardinaggio.
Come hai fatto a cambiare tutto così in fretta, Carlaaa? Ma perché urli? Mi son fatta aiutare dai Di Peio, sai, il papà e la mamma del nuovo sottosegretario ai giochi di quartiere, quello delle cinque stelle. E loro ti hanno aiutata? Certo, vedessi che partecipazione! Non facevano un passo senza ricordarmi dei grandi benefici del cambiamento.
Ha come l’impressione di un incubo. A forza di sentire tutte le sere in televisione urlare sulla Fornero, sul reddito di cittadinanza, sulla riduzione delle tasse, sui migranti, sulla ricostruzione del ponte a Genova, sul governo del cambiamento, sulle opposizioni che non ci sono, Renzi Martina Zingaretti…ma vaffanculo, non riesce più a distinguere la realtà dal sogno. E si mette a sperare che sia davvero un sogno per indigestione di …cazzolate. Da Cazzola!