giovedì 13 febbraio 2020

L'Anpi e la verità storica




L’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia) ha ragione ad impennarsi contro la commemorazione delle vittime delle violenze slave in danno degli italiani della Venezia Giulia, dell’Istria e della Dalmazia alla fine della seconda guerra mondiale, tra il 1943 e il 1945. Quelle vittime, in quanto prodotte dal comunismo slavo con l’appoggio di quello italiano, rimandano ad una parte politica sommariamente definita fascista, che oggi, a dire degli anpisti, ha rialzato la testa e contende l’esclusivismo vittimistico, che tanta rendita finora ha prodotto alle sinistre.
Quelle vittime, pur in difetto di documentazione completa, si possono quantificare in 4/5mila, che, sommate alle 350mila costrette a lasciare le loro case e le loro terre, cacciate dalla “pulizia etnica” slava e non difese dai nuovi governanti italiani, danno l’idea di una dimensione biblica. Vittime negate o nascoste per decine e decine di anni dall’establishment politico italiano arcocostituzionale nonostante le insistenze per ricordarle di una sola parte politica, quella appunto che rimanda sempre alla destra sommariamente definita fascista.
Ha ragione l’Anpi perché qui si scoperchia il pentolone delle verità nascoste, delle rendite fasulle di bugie e mistificazioni che hanno costruito una verità storica che voleva essere granitica e che rischia invece di andare in frantumi.
Quest’anno l’Anpi si è particolarmente distinta con iniziative che vanno da convegni e pubblicazioni a dichiarazioni estemporanee di suoi rappresentanti sparsi in tutta Italia, allo scopo di chiarire una volta per tutte che se violenze ci furono da parte degli slavi nei confronti degli italiani, violenze e soprusi c’erano stati prima da parte degli italiani nei confronti degli slavi. Dunque, un pareggio di violenze e tutti in pace. C’è stato perfino chi ha dato del maleinformato al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per aver ricordato quelle tragiche vicende.
Il fatto che un po’ dappertutto ci siano state prese di posizione e dichiarazioni anpiste contro il “Giorno del Ricordo”, delle vittime infoibate per intenderci, significa che è partito da una centrale l’ordine di dire no a riconoscimenti paritari, nella più bella tradizione comunista degli ordini e dei contrordini. Ne tragghiamo la lezione: le vittime del fascismo non possono essere equiparate alle vittime del comunismo, senz’altra ragione se non quella che ricorda il gallo Brenno a Roma: vae victis!
Ma c’è un’altra più profonda ragione di quella per così dire propagandistico-utilitaristica, di lucro politico; c’è che gli eredi del comunismo non ci stanno a far apparire i loro padri finalmente per quello che erano, senza voler generalizzare: barbari i partigiani slavi, traditori della patria e del proprio sangue i partigiani italiani.
E’ accaduto anche a Lecce, dove gli anpisti hanno avuto parole negazioniste verso l’intitolazione di una via a Norma Cossetto, la cui tragica vicenda – fu torturata violentata e uccisa – non può non mettere in chiaro di che pasta fossero i partigiani, quelli che oggi si insiste ad associare a Bella ciao, ovvero ad una visione falsificante della storia, ad una sorta di edulcurato pseudoromanticismo, tutto languore e sacrificio estremo “sotto l’ombra d’un bel fior”. Quel fiore negato alle migliaia di italiani infoibati, cioè uccisi e scaraventati nelle foibe, molti ancora vivi mentre precipitavano.
Ma hanno ragione anche perché commemorare le vittime delle foibe, delle popolazioni giuliane, istriane e dalmate, italianissime, sicuramente più di tante altre popolazioni italiche, significa attingere colpe e responsabilità e scoprire che Palmiro Togliatti, capo mitico dei comunisti italiani, ordinò ai partigiani delle Brigate Garibaldi di obbedire ai partigiani slavi e di sparare su quanti in Italia, fascisti o antifascisti che fossero, si opponevano alle mire espansionistiche di Tito. Capitò ai partigiani bianchi della Osoppo, che furono eliminati solo perché non vollero sottostare agli ordini di Tito e dei suoi valvassini italiani e si opposero all’occupazione di territori italiani da parte degli slavi. Fosse stato per quei partigiani e comunisti italiani, la Jugoslavia poteva penetrare in Italia fino a Udine e oltre.
Certo, fa effetto oggi, benché quei comunisti non ci siano più, sapere chi in Italia ha combattuto per la patria propria e chi per la patria degli altri e vedere come tanti santi della chiesa comunista altro non furono che volgari traditori in nome di un comunismo che oggi fa vergognare più che indignare.
Hanno ragione gli anpisti ad allarmarsi. Sta a vedere – pensano – che ora quelli di destra ci rubano il mestiere e così finisce il monopolio degli olocausti, su cui abbiamo costruito tanti successi elettorali e politici.
Allora, cerchiamo di essere onesti. Norma Cossetto non è un nome qualsiasi, è un nome caro al fascismo. Fu imprigionata, torturata e uccisa perché figlia di un pezzo grosso del fascismo di quelle contrade, perché rifiutò di rinnegare la sua fede politica e la sua famiglia e di aggregarsi ai partigiani. Inutile negare certe evidenze. La questione dei confini orientali dell’Italia e di quel che accadde in quelle terre negli anni 1943-45, se messa in libertà, non può che arrecare danno all’immagine della sinistra. Intitolare luoghi pubblici a quelle vittime lievita il loro ricordo e nello stesso tempo perpetua la vergogna dei responsabili. L’Anpi lo sa benissimo, è stata sempre materia sua.
Per evitare una simile condizione l’Anpi dovrebbe convincersi che è tempo di guardare a quegli eventi con onestà e condivisa pietas. Altro è il discorso storiografico, che deve continuare in altre sedi, come è giusto che sia, ma sempre all’insegna della verità e non dell’utilità politica.