domenica 24 aprile 2011

Spataro tra Cascini e Lassini

Le ultime sparate nell’ormai furibonda lotta tribale fra magistrati e politici sono, e per temporalità e per antiteticità, quasi un botta e risposta, quelle di Giuseppe Cascini, segretario dell’Associazione Nazionale Magistrati, e di Roberto Lassini, candidato a Milano in una lista a sostegno del sindaco uscente Letizia Moratti. Gravissima l’una, gravissima l’altra. La grammatica non consente di andare oltre il grado assoluto. Il magistrato ha detto che questo governo [Berlusconi] non ha la legittimità politica e morale per fare alcuna riforma della giustizia. Il candidato milanese del centrodestra ha invece fatto affiggere dei manifesti con su scritto “Via la BR dalle procure”.
Ritenendoli entrambi meritevoli di una severa punizione e non avendo l’opportunità per farlo che ad uno soltanto, punirei il magistrato. Non perché ritenga più grave quello che ha detto lui, ma perché ritengo lui ben più importante. Chi è quel Lassini? Un poveraccio, che gioca al rialzo propagandistico per essere eletto consigliere comunale. Nessuno gli ha dato in consegna qualcosa da custodire e tutelare. Il magistrato, invece, ha tradito la consegna ricevuta ed ha inquinato uno dei beni più importanti su cui si fonda lo Stato: la giustizia, ossia la difesa e l’applicazione della legge.
Nessuno dei due è stato punito, ma contro Lassini si è scatenato l’universo mondo delle opposizioni, politiche, mediatiche e giuridico-corporative.
Dicono che in Italia ci sono magistrati che fanno bene il loro dovere e magistrati che invece non lo fanno. Quale il criterio per distinguere gli uni dagli altri? Il silenzio degli uni, che si comportano come i fanti sul Piave il 24 maggio, “tacere bisognava e andare avanti”; o il rumore degli altri, che fanno comizi come Ingroia o rilasciano dichiarazioni al fulmicotone come Cascini? Non lo sapremo. Sta di fatto che finora nessun magistrato, che farebbe bene il suo dovere, ha espresso una minima critica ad un suo collega che invece il suo dovere non lo farebbe bene.
Questa impossibilità a saperlo emerge ancor più quando fior di rappresentanti del mondo del giornalismo e della cultura si confrontano. Che ci sia contrasto assoluto tra due politici di opposti schieramenti lo si può capire; ma che persista anche e in maniera ancor più marcata fra uomini che dovrebbero, invece, ragionare liberamente, senz’altro interesse che la ricerca della verità, è cosa davvero incredibile. Ma tant’è! In Italia ormai le persone libere si contano sulle dita di una mano e nei loro confronti si applica il monito di Brenno.
Come si fa a non riconoscere che la magistratura è andata abbondantemente fuori del suo seminato e che la politica, da parte sua, sta cercando di sfrattarla perfino dal suo campo? L’antiberlusconismo rende ciechi quanto il filoberlusconismo. Ma la crisi dei rapporti tra magistratura e politica non è dell’era berlusconiana, è precedente e perciò andrebbe analizzata, nella prospettiva di una soluzione per il bene del Paese, fuori da ogni condizionamento berlusconiano.
Recentemente ho letto il libro di uno dei più famosi pubblici ministeri d’Italia, Armando Spataro, che è uno che difende il diritto di sussidiarietà della magistratura sul terreno politico e sociale. Il libro è “Ne valeva la pena. Storie di terrorismi e mafie, di segreti di Stato e di giustizia offesa” (Editori Laterza 2010). Parlerò di questo libro in altra sede. Per ora mi limito a dire che ad un certo punto l’autore ricorda che nel gennaio del 1979, a corpo del giudice assassinato da un commando di “Prima Linea” Emilio Alessandrini ancora caldo, i giudici della Procura di Milano emisero un documento, in cui, dopo aver affermato “la volontà di impegnarsi ancor più nei loro compiti «al servizio della comunità e della democrazia» facevano tre accuse pesantissime, che con l’esercizio giudiziario avevano ben poco a che fare, almeno nella visione classica della suddivisione dei poteri. “La devastazione dell’immagine stessa della legalità – si legge nel documento – derivante dal sommarsi di deficit di direzione politica del Paese, di interessi corporativi, dell’impunità concessa ai gruppi clientelari che hanno strumentalizzato al loro servizio i pubblici poteri e le risorse collettive. Questa degenerazione del sistema ha indotto un perverso meccanismo di avversione verso tutto ciò che è pubblico ed un conseguente isolamento delle istituzioni. Anche di qui la genesi di una illegalità diffusa ed un terreno fertile per il terrorismo […]. Nella generale crisi istituzionale, i magistrati, caricati di sempre maggiori compiti di intervento nella società, ma privi di adeguate possibilità di azione, vengono offerti dalle inadempienze del potere politico come controparte a masse di emarginati nelle situazioni di conflitto più esasperate”. Queste le accuse: prima, il potere politico è degenerato; seconda, la degenerazione ha prodotto l’avversione ad ogni istituzione pubblica tralignata in terrorismo; terza, i terroristi non sono altro che degli emarginati che se la prendono coi magistrati offerti dal potere politico come controparte.
Sarà la deformazione professionale che mi porto dentro, ma da una immediata analisi del testo si evince che già nel 1979, a quindici dalla scesa in campo di Silvio Berlusconi, la magistratura italiana è in rotta di collisione con la politica. Non è qui il caso per dire se aveva torto o ragione, se la si doveva comprendere o meno, data la circostanza, umanamente forte dell’assassinio di un altro magistrato, ma appare di tutta evidenza che le categorie concettuali espresse in quel documento finiscono per giustificare il terrorismo e sembrano quasi uscite dalla penna di estremisti di sinistra in toga. All’epoca era capo del governo Andreotti, che si sarebbe dimesso pochi giorni dopo per costituire di lì a poco il suo quinto governo con socialdemocratici e repubblicani.
Certo il livello di scontro tra magistratura e politica da quando è in campo Berlusconi è salito di livello. Non si fraintenda, non mi riferisco alla qualità del livello, ma all’accresciuta sua degenerazione. Ma non si può in alcun modo far finta di non considerare che in Italia ormai la lotta fra le istituzioni ha assunto forme golpiste, sia per i comportamenti dei magistrati sia per i comportamenti dei politici. Non è un caso e neppure un’imbecillità, come si è voluto farla passare, che uno studioso della caratura di Alberto Asor Rosa proponesse una soluzione esplicitamente antidemocratica ed antiparlamentare; e che Massimo D’Alema, agitando alla Camera la Costituzione, invocasse lo scioglimento delle Camere nonostante in esse ci sia una maggioranza politica che sostiene il governo.
[ ]

domenica 17 aprile 2011

Cambiare i libri di storia o la storia?

Recentemente esponenti politici, anche qualificati, del centrodestra sono tornati alla carica coi libri di storia, in particolare i manuali scolastici, che, a loro dire, sarebbero di sinistra e veicolerebbero propaganda contro la destra. Una propaganda tanto più efficace quanto più rivolta a giovani e spesso integrata da insegnanti di sinistra.
A me sembra un problema serio posto però in modo sbagliato. Anzitutto distinguerei il racconto storiografico dalle problematiche politiche e sociali attuali. Occorrerebbe mettere un limite al racconto storiografico, oltre il quale non è più storia ma attualità politica. Ma si può? Le case editrici, d’accordo con gli autori, specialmente in questi ultimi vent’anni, hanno voluto, invece, allungare il racconto storiografico “fino ai giorni nostri”, formula per legittimare incursioni nel dibattito politico attuale. Il vero problema è questo. E non mi sembra un gran problema. 
Quando si insiste sugli storici di sinistra o sui manuali scolastici di sinistra si abbaia alla luna. Non si può negare che con la sconfitta dei regimi totalitari, spesso degenerazioni dei governi liberali e borghesi dell’Ottocento, si è imposto nel mondo un indirizzo per così dire latamente di sinistra, recepito dal racconto storiografico. Simile racconto ha in sé dei messaggi educativi, tendenti a non far ripetere ai popoli e agli individui le stesse esperienze che caratterizzarono la prima metà del Novecento e furono sconfitte con la Seconda Guerra Mondiale. Sentiamo spesso elevare il valore della memoria ad impedimento a non commettere certi errori del passato, nella formula umanistica di historia magistra vitae. C’è una mobilitazione in questo senso, degna, in verità, di qualsiasi regime politico che voglia difendersi e perpetuarsi.
Contro un simile indirizzo storiografico non si può fare nulla. Non i libri, infatti, si tratterebbe di cambiare, ma la storia stessa; la qual cosa è assurda oltre che impossibile. Semmai dovrebbero essere gli insegnanti ad educare le giovani menti all’esercizio critico. Cosa che non accade, che anzi accade al contrario, perché la gran parte degli insegnanti di storia, essendo di sinistra, si appiattiscono su quello che racconta il libro ed anzi utilizzano i fatti dell’attualità per stabilire improbabili rapporti con gli eventi del passato. La domanda di attualizzare il racconto storiografico fino ai giorni nostri viene proprio da docenti militanti. In questo senso manuali ed insegnanti trasformano la disciplina della conoscenza storica in indottrinamento vero e proprio.
L’obiezione che ci sono anche insegnanti di destra è debole, perché, a parte che ce ne sono pochi, perché la stagione dell’uva non è la stessa del grano, voglio dire che se nella prima metà del Novecento erano di più quelli di destra, nella seconda metà sono diventati di più quelli di sinistra, quei pochi che ci sono devono stare attenti perché le leggi dello Stato in materia di fascismo, nazismo, razzismo, shoah e quant’altro, impediscono libertà di critica. Anche qui, benché in democrazia, sono stati predisposti strumenti giuridici di difesa né più né meno di qualsiasi altro regime politico.
Si dice: ci sono autori di storia che sconfinano nella politica. Questo è vero. “Guida alla storia” di Giardina-Sabbatucci-Vidotto, per esempio, della Laterza, spiega Berlusconi come uno che lega la sua popolarità “ai suoi successi di imprenditore fattosi da sé e sull’appoggio esplicito e implicito delle sue reti televisive”, al fatto di essere proprietario del Milan, “la società di calcio più forte del momento”, e subdolamente illustra la pagina con un Silvio Berlusconi che guarda Silvio Berlusconi mentre si rivede in uno spot televisivo. Tecniche di propaganda pura. “Codice storia” di De Luna-Meriggi-Tarpino (Paravia) insiste sul fatto che Forza Italia è il “partito istantaneo…costruito con stupefacente rapidità da Silvio Berlusconi, proprietario della Fininvest (il più grande gruppo editoriale e televisivo italiano)”, che nel 1994 ben 50 parlamentari berlusconiani vengono da Publitalia “l’azienda del gruppo Berlusconi che gestiva le entrate pubblicitarie”. Non sono che degli esempi. Non tutti, evidentemente, nascondono la propaganda nelle informazioni. “I giorni e le idee” di Feltri-Bertazzoni-Neri (SEI), pur allungando il racconto ai giorni nostri, si limita ad un’esposizione assolutamente asettica e lineare, in cui il lettore non trova nulla né di compiacente né di irritante.
Qui non si tratta di verificare se le notizie fornite dal manuale sono vere o false. Sono vere, ma selezionate, impaginate e proposte in modo strumentale. Su questo non c’è dubbio alcuno. Bisogna sempre diffidare delle ovvietà, delle apparenti inutilità. La domanda che occorre porsi, infatti, è perché uno strumento di studio, com’è un libro di testo scolastico, fa una cosa superflua, aggiungendosi ai tenta media che quotidianamente forniscono le stesse informazioni attingendole dal dibattito politico. La risposta è che attraverso un libro scolastico si amplia l’area di diffusione di certe argomentazioni politiche e nello stesso tempo si conferisce crisma di verità alle stesse.
E’ questo che il centrodestra contesta. Ma che cosa si può fare a parte il rumore, che già di per sé pone il problema? Nulla, perché non si può imporre né agli autori né alle case editrici né agli insegnanti limiti e modalità di trattazione della disciplina. Agli autori si può far capire che la storia non può essere ridotta ad ancilla ecclesiae, quale ne sia la natura. Agli insegnanti si può solo, o da parte degli studenti o da parte delle famiglie, chiedere che stiano attenti a non scegliere manuali a rischio, che in classe non si producano in discorsi propagandistici per non turbare la serenità del processo educativo e il rapporto di fiducia che hanno con gli studenti, che evitino di creare incidenti che vanno a nocumento della scuola. Per il resto le cose non possono andare che così. Ieri c’erano i manuali di Pietro Silva e di Gioacchino Volpe, oggi quelli dei Giardina e dei Camera-Fabietti. I signori del centrodestra fanno prima a cambiare la storia, come del resto hanno già iniziato a fare. E tra qualche anno saranno gli altri a lamentarsi.
[ ] 

domenica 10 aprile 2011

L'Italia e la democrazia dissociata

Il partito delle elezioni anticipate si allarga come una macchia d’olio su una pezza unta e bisunta. Ma è l’opzione di chi non riesce ad immaginare una soluzione pur che sia di fronte allo spettacolo miserabile che offre oggi la politica in Italia. E’ come una sorta di panico, che contagia; che nessuno, però, cerca almeno di spiegare, non tanto per sapere da dove venga, quanto per avere qualche idea chiara su dove porti.
A che servirebbe votare oggi? Qui non si tratta di cercare la risposta giusta come nel gioco dei pacchi. E’ rimasto l’ultimo da aprire, sicuramente contiene la soluzione. Apriamolo! Qui si sa perfettamente che la risposta elettorale – lo dicono i sondaggi – sarebbe un nulla di fatto, che aggraverebbe la situazione. Le elezioni anticipate oggi sono solo una chance per l’opposizione, ossessionata da Berlusconi. L’opposizione, ovviamente allargata a tutte quelle frange istituzionali, economiche, politiche e sociali, a servizio permanente effettivo contro il Caimano. Neppure l’assedio afroeuropeo all’Italia impietosisce questi salvatori di una patria immaginaria, la loro; ed anzi godono nel vedere aggredita da tutte le parti la patria reale, quella dell’odiata maggioranza berlusconiana. Nella più bella tradizione italiana, purtroppo!
Non ci sono interessi comuni. Non c’è una patria comune. Non ci sono leggi comuni. Non c’è neppure un vocabolario comune, dato che ogni parola assume un significato diverso a seconda se detta dagli uni o dagli altri. Quel che conta è infliggere un danno all’odiato nemico. Si fa finta di ignorare che la nostra democrazia è davvero singolare. Da noi maggioranza e opposizione non dirigono il Paese, ognuna dalla posizione che gli elettori hanno loro assegnato. Ma l’una vince e tenta di governare, mentre l’altra fa di tutto per non farla governare, per far cadere il governo. La nostra è una democrazia dissociata.
Ora, nella rissa che si è venuta a determinare in questi ultimi tempi, il Presidente della Repubblica, dall’alto del suo colle, minaccia di sciogliere le camere – e come può? Ha forse una Costituzione di riserva? – se i rissanti non la smettono di offrire lo spettacolo indecoroso in Parlamento e nelle piazze.
Sarebbe, invece, questo il momento per il Presidente della Repubblica di colmare un vuoto, di dire una parola che non considerasse tutti nel buio dell’Ecclesiaste, perché oggi più che mai occorre distinguere per il bene del Paese. Napolitano dovrebbe capire che il problema prioritario del Paese va oltre l’utile di questa o di quella parte politica. Dovrebbe avere il coraggio di indicare un’uscita di sicurezza in una direzione pur contraria ai suoi personali convincimenti politici. E’ stato ed è un uomo di sinistra. Chi lo nega o lo tace è un ipocrita. Per il bene del Paese dovrebbe spingere, perché la situazione oggi questo richiede, verso una soluzione favorevole alla destra. Aver vinto le elezioni non è un fatto da poco in democrazia! Napolitano dovrebbe prenderne atto fino in fondo.
Lo vedono tutti che la Camera dei Deputati è una bolgia perché c’è un Presidente che da più di un anno non svolge più il suo compito nell’imparzialità istituzionale. E se pure lo facesse – e non lo fa, essendo un capo di partito – è recepito come di parte e dunque è causa di continui disordini. Si dice che l’ordinamento non prevede nulla in merito e che nessuno può mandar via un presidente che non è più super partes. Ma si può accettare una democrazia che non ha i più elementari anticorpi? Se c’è un vuoto – e c’è! – perché chi in questo momento è al di sopra degli altri non si assume l’iniziativa di colmarlo per far tornare un minimo di calma parlamentare e politica?
Risposta: perché, così facendo, ossia inducendo Fini a lasciare la Presidenza della Camera, motivo di guerriglia parlamentare, favorirebbe Berlusconi. E tutti sappiamo che Napolitano non è certo amico politico di Berlusconi.
Ma ha forse altre carte in mano il Presidente Napolitano? Non ne ha. E se pure avesse quella, del tutto improbabile, perché nelle due camere il governo ha la maggioranza dei voti, delle elezioni anticipate, sarebbe un favore del tutto inutile alla parte politica che si ostina a non riconoscere a chi ha vinto le elezioni il diritto di governare il Paese. La guerriglia si riproporrebbe all'indomani del voto.
Si dirà: ma c’è un governo che non fa nulla se non leggi ad personam per evitare che Berlusconi venga condannato. Sorvoliamo sul fatto che il governo non faccia nulla. Lo si può dire di tutti i governi in qualsiasi momento del loro operato. E’ uno slogan-cimarra, si gonfia e si sgonfia da sé, lasciandosi dietro un sibilo. Importante, invece, è la questione della riforma della giustizia, che si vuole ad ogni costo impedire.
Bene, per la giustizia, ci sono validissimi motivi per una degna ed opportuna riforma, ci sono le condizioni per farla. Lo hanno sempre detto tutti, a destra e a sinistra. Ma l’opposizione, oggi, immemore di quello che ha sempre detto, la vuole impedire perché la riforma in taluni suoi passaggi favorisce in questo momento il Premier. Che sia così è indiscutibile. In effetti la questione del processo breve o la prescrizione abbreviata per gli incensurati, di per sé buone ed opportune novità, oggi favoriscono Berlusconi. Ma è sufficiente questo, per impedire la riforma, per sacrificare gli interessi del Paese, per scatenare la guerriglia in aula, mobilitare le piazze? E’ un atteggiamento, questo, assai più politicamente criminoso di quello della maggioranza, tanto più che come è indiscutibile l’utile immediato per Berlusconi altrettanto indiscutibile è che si vuole abbattere Berlusconi attraverso la via giudiziaria. Tutti, da una parte e dall’altra, fingono di giocare a carte coperte quando sanno perfettamente le carte che hanno in mano gli altri.
La battaglia che maggioranza e opposizioni stanno ingaggiando sulla questione giustizia è qualcosa di sporco nella forma e di estremamente grave nella sostanza, danneggia il Paese nel suo insieme e i singoli cittadini. Ma, mentre il governo, pur con tutti i suoi calcoli pro-Berlusconi, la riforma la vuole fare, le opposizioni ad altro non sono interessate che a far cadere il governo, del tutto aliene dai problemi veri della gente. Che essa, poi, dimostri sempre più sfiducia nei confronti delle istituzioni, come dicono i sondaggi, posto che siano attendibili, non deve ringalluzzire nessuno, ma deve impensierire tutti, perché, in ultima analisi, democrazia o non democrazia, chi comanda è il popolo.

domenica 3 aprile 2011

Mantovano, la parola data e le dimissioni

Le dimissioni da Sottosegretario all’Interno da parte di Alfredo Mantovano, ex Msi ed ex An, nonché esponente di primo piano di Alleanza Cattolica, sono state salutate da parte delle sinistre riunite, come tutto ciò che in qualche modo va contro Berlusconi e il governo, con commenti positivi. Sicuramente Mantovano non aveva bisogno delle unzioni morali degli avversari, false quanto le proverbiali promesse cretesi. La sua storia basta e avanza. E dico anch’io che la parola data da un uomo d’onore, quale un Sottosegretario è o dovrebbe essere, quale Alfredo Mantovano è, va rispettata. Tuttavia io non gli dico: bravo, così si fa!
Mi spiego. L’errore di Mantovano non è nelle sue dimissioni. Nella situazione in cui si era cacciato le dimissioni erano inevitabili. E gli auguro di avere in tempi futuri, non molto lontani, ricadute da questo suo gesto non solo di aumentato prestigio ma anche di più prestigiose cariche pubbliche.
Il suo errore sta nell’aver dato la sua parola che nella tendopoli di Manduria non sarebbero arrivati altri migranti oltre quelli che erano già arrivati.
Mantovano doveva sapere che l’Italia, in seguito alla crisi libica, è in una situazione disastrosa, imprevedibile, dagli esiti più vari. Il suo governo ha la gravissima colpa di non aver saputo evitare la crisi o di non averla gestita in modo che le conseguenze più nefaste ricadessero sull’Italia. Ed è paradossale che proprio un governo, in cui forte è la componente della destra più tradizionale, la destra missina e nazionalista, si sia comportato come il più pavido governo democristiano di stampo doroteo. Per giunta, il governo Berlusconi, per le note vicende giudiziarie, è ancor più impelagato in situazioni che definire inestricabili è come parlare per eufemismi.
Mantovano lo sapeva e lo sa meglio di altri. Ma, quando la situazione è grave, compromettersi in promesse di difficile mantenimento, o si pecca di ingenuità o si vuole imboccare la via dell’uscita, che nel nostro caso equivale alla diserzione. Mi dispiace dirlo: ma il gesto di Mantovano non può spiegarsi che in un contesto di diffuso malcontento e di comportamenti isterici, che serpeggiano ed esplodono negli ambienti della destra, nella consapevolezza diffusa ormai tra i suoi rappresentanti che i più genuini portati politici ed ideologici risultano negati o vanificati da fumose modernità. Il nazionalismo, inteso come rispetto della nazione e dei suoi interessi, va sapientemente adeguato ai tempi, non rinnegato.
Perché Mantovano non doveva promettere nulla, ma doveva limitarsi a fare opera di convincimento e di aggiustamenti in itinere, come poi in buona sostanza è accaduto con le fughe, consentite o meno, dei migranti dalla tendopoli? Perché lui sa che l’Italia non è la Germania o l’Austria e neppure la Svizzera. In quei paesi non si sarebbe mai permesso che un’invasione simile di stranieri si verificasse. Non a caso Berlusconi ha parlato di tsunami. L’Italia, e non solo per condizioni fisiche, si è trovata investita da questo tsunami umano come il Giappone da quello naturale.
In una situazione d’emergenza sono emerse tutte le approssimazioni e le improvvisazioni, tutti i difetti e tutti i possibilismi del nostro essere italiani. Siamo come la Torre di Pisa, bella e interessante perché pendente; fosse diritta, come una guglia gotica, varrebbe poco.
Noi non faremo mai come i francesi, che respingono i migranti; e non lo facciamo vuoi per indole umanitaria vuoi per una sorta di complesso che abbiamo nei confronti degli altri. Di fronte alla patente violazione da parte francese degli accordi di Schengen sulla libera circolazione dei cittadini in Europa, nessun ministro o politico italiano, neppure delle opposizioni, dove ci sono i sedicenti depositari di tutte le virtù umane e politiche, ha alzato la voce per una condanna. Gli italiani, in genere, alzano tanto la voce tra di loro che quando la devono alzare contro stranieri l’hanno già persa.
Quanto allo spettacolo, davvero miserabile, offerto dall’Italia a Lampedusa, c’è solo da dire anche qui: è il “bello” dell’Italia! Non si può pretendere di diventare asburgici dall’oggi al domani, da borbonici e savoiardi che siamo stati. E, guarda caso, che proprio dal Lombardo-Veneto asburgico, oggi leghista, vengono le proposte più serie e più dure.
Il governo – avrebbe riconosciuto Mantovano, buon ultimo dopo i fli-fli di Fini – è troppo schiacciato sulle posizioni della Lega. Ma è questa una colpa? Io direi che oggi, al netto dei calcoli berlusconiani di tenersi buoni i leghisti, chi veramente ha un’idea di destra, dovrebbe fare come la Lega. Niente migranti in Lombardia? Allora, niente migranti in Puglia, in Campania, in Calabria, in Sicilia. Allora il governo si troverebbe schiacciato non sulle posizioni della Lega ma della Nazione.
Il gesto di Mantovano, perciò, nobile nella forma, è insignificante nella sostanza politica, mentre priva il governo di un’importante figura di uomo perbene. E questo è un danno, che avrebbe fatto meglio ad evitare al governo e al paese!
[ ]