sabato 25 giugno 2022

Aborto in Usa. Conseguenze in Italia?

A vedere e a sentire come in Italia è stata considerata la sentenza della Corte Suprema statunitense – il “Corriere della Sera” le ha dedicato le prime sei pagine di sabato, 25 giugno – che demanda ad ogni singolo Stato dell’Unione la materia abortiva, cancellando la sentenza del 1973 che liberalizzava l’aborto su tutto il territorio nazionale, c’è quasi da preoccuparsi che abbia ricadute anche in Italia, dove la materia è regolata dalla Legge 194 del 22 maggio 1978. Questa legge si consacrò con il superamento del referendum abrogativo del 17 maggio 1981. Si può dire che a parte gli ostacoli frapposti da alcuni medici che si appellano all’obiezione di coscienza essa funzioni regolarmente, per come regolarmente si intende in Italia. La sentenza americana ha destato scalpore ed è stata occasione perché si riproponesse, almeno a livello di discussione, la materia con tutte le sue conseguenze divisive. Mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia della Vita, ha accolto con interesse la sentenza, giudicandola positivamente per poter riconsiderare l’intera questione, in un momento in cui risuona sempre più insistentemente l’allarme per il calo delle nascite. La Chiesa, evidentemente, è attenta non solo ai principi ma anche alle problematiche politiche e sociali. Superfluo dire che in Italia tutti i partiti per così dire progressisti si sono indignati per la sentenza americana, che riporta al “medioevo” la questione dell’aborto. Nel centrodestra le risposte sono state caute. Salvini della Lega ha detto di difendere sempre la vita ma che sull’aborto l’ultima parola, quella decisiva, spetta alla donna, prendendo le distanze dal suo compagno di partito Simone Pillon, cattolico ultraconservatore, organizzatore dei Family Day, che invece ha esultato. Giorgia Meloni, reduce dal suo ormai famigerato discorso in Spagna a favore della famiglia tradizionale, ha fatto dei distinguo tra la situazione americana e quella italiana e ha concluso che non è suo intendimento abrogare la 194. Le femministe di tutto il mondo sono subito scese sul piede di guerra ribadendo che si tratta di un diritto acquisito e che non si può tornare indietro. Quale la loro ragione di fondo? Il fatto che ognuno può disporre liberamente del proprio corpo. Detto così, non ci sarebbe neppure da discutere. Ma si può pretendere di godere di certe libertà quando sono in gioco valori e diritti individuali anche di altri e si pongono in conseguenza anche problemi nazionali e sociali di primissima importanza? La donna, incinta, può disporre di qualcosa che non è soltanto sua? La creatura che ha in grembo ha o non ha il diritto di nascere? È stata o no concepita con un’altra persona, a cui spetta il diritto di genitorialità paterna, tale e quale a quello della madre? Sono domande che non possono essere liquidate dalle pretese unilaterali delle femministe, secondo cui del proprio corpo le femmine possono disporre in assoluta libertà, senza neppure interrogarsi sugli aspetti ambientali del ricorso all’aborto, se accade in famiglia fra genitori conviventi o fuori dal matrimonio o dalla convivenza. Non si può considerare l’aborto alla stregua di un qualsiasi intervento chirurgico. L’aborto non è un’ulcera, è l’assassinio di una creatura a cui si nega il diritto di nascere. Quel che impedisce i politici di ragionare senza impedimenti e paraocchi sulla questione dell’aborto è il doversi sottoporre al voto. In un paese democratico il popolo vota, le donne che peraltro sono in maggioranza votano. Di qui l’interesse della politica di non mettersi contro l’elettorato, soprattutto femminile. Se non fosse per questo, sull’aborto ci sarebbe poco da discutere, tanto è evidente la giustezza del criterio che chi è generato, fatti salvi alcuni casi, fra cui quello di essere il frutto di una violenza, ha il diritto di nascere e di vivere. Poi ci sono gli effetti collaterali. In tutto l’Occidente liberal-socialdemocratico l’aborto, insieme a tutte le pratiche contraccettive e alle problematiche dell’Lgbt, ha determinato una crisi demografica non più trascurabile. Ormai in alcuni paesi europei negli ultimi anni il numero dei morti ha superato quello dei nati. Questo comporta grossi problemi di varia natura, da quelli etnico-culturali – molti popoli perdono progressivamente la loro identità anche a causa delle immigrazioni – a quelli economici e sociali. Questo ogni essere umano dovrebbe considerare, di essere un aborto mancato e ringraziare i propri genitori di averlo messo al mondo, di averlo accudito e fatto crescere. Essere contro l’aborto indiscriminato è anche un modo di dimostrare loro la propria riconoscenza.

sabato 18 giugno 2022

La Meloni non s'illuda e si prepari

Negli ultimi tempi Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, ha compiuto due sortite che hanno fatto discutere e che oggettivamente pongono dei problemi, una in conseguenza dell’altra. La prima è stato il suo intervento spagnolo a sostegno della candidata di Vox, il partito dell’estrema destra spagnola. L’enfasi del discorso della Meloni in Andalusia a difesa dei valori tradizionali in materia di famiglia, di genere e di omosessualità (problematiche Lgtb), ha provocato dure reazioni in Spagna e in Italia. Gli avversari hanno ripreso la solita solfa del neofascismo e l’hanno additata come un serio pericolo per la democrazia e per le conquiste dei diritti individuali della persona. Letta, segretario Dem, è stato particolarmente duro. Bersani, tra i leader di Articolo Uno, si è meravigliato come una persona intelligente e moderata come Guido Crosetto possa difendere e sostenere la Meloni, le cui sortite, al di lui parere, andrebbero mostrate continuamente per ricordare agli italiani con chi hanno veramente a che fare. Di qui la pronta risposta della Meloni, che, evidentemente preoccupata, ha denunciato l’aggressione mediatica dei suoi avversari perché potrebbe provocare il gesto inconsulto di qualche fuori di testa contro di lei. Ricordiamo che alcuni anni fa vittima del fuori di testa di turno fu Silvio Berlusconi, che, all’apice dei suoi successi elettorali e politici, fu colpito con una statuetta sulla faccia e sfregiato e solo per un caso non gli andò peggio. La tempistica di quanto è avvenuto – dopo il successo elettorale di FdI alle elezioni del 12 giugno – ripropone puntualmente il film che chi ha l’età e la memoria ha già visto tutte le volte che il Msi aumentava i suoi voti in occasione di qualche consultazione elettorale. Partivano subito in quarta per denunciare il partito di Almirante come un partito fascista che poteva mettere in pericolo la democrazia. E subito iniziavano o riprendevano le inchieste giornalistiche e le indagini della magistratura, che tenevano in travaglio il partito fino al suo attenuarsi elettorale e alla scomparsa del pericolo. Il “gioco” ha sempre funzionato. La Meloni, che pure viene dal Msi, lo sa bene. Oggi l’attaccano perché secondo i sondaggi il suo è il primo partito del Paese e il Centrodestra potrebbe vincere le prossime elezioni politiche. Lei è convinta che in simile eventualità, per accordi interni allo schieramento – chi prende un voto in più – le toccherebbe l’incarico per formare il governo. In verità questa soluzione oggi non è più contemplata neppure dai suoi alleati. Antonio Tajani, coordinatore di Forza Italia, ha ricordato che l’incarico per formare il governo lo dà il Presidente della Repubblica a chi ritiene lui di darlo. Figurarsi che possano pensare della Meloni a capo del governo i suoi numerosi e agguerriti avversari. Figurarsi a quali espedienti essi potrebbero arrivare pur di scongiurare una simile evenienza. Giorgia Meloni dovrebbe prendere atto di questa realtà e non prestarsi alle solite strumentalizzazioni finalizzate a delegittimare lei e il suo partito. C’è un’Italia assai diversa da quella che fanno emergere i sondaggi, peraltro mutevoli, un’Italia che non è tutta nei partiti. Con questa Italia bisogna fare i conti, e non è facile per un partito come quello della Meloni a rischio di delegittimazioni. Oggi sono tutti pronti a riconoscere in lei una donna intelligente e una leader capace, ma i suoi avversari aggiungono subito dopo che sul suo partito grava la damnatio fascista, un difetto di natura, come si vede nella fiamma del vecchio partito inclusa nel nuovo simbolo. Il fatto che gli avversari si attacchino ad un’inezia del genere la dice lunga. Significa che non lasciano nulla di intentato pur di metterla in difficoltà. Di qui la necessità per la Meloni di usare un linguaggio chiaro ma non irritante e soprattutto rispettoso. Giustamente essa fa bene a preoccuparsi che qualche sconsiderato la prenda di mira, ma proprio per questo occorre usare toni meno perentori ed enfatici. Sappiamo quanto certi temi legati ai diritti individuali siano sensibili ed oggi per nulla negoziabili soprattutto da parte di chi ha già goduto di leggi e di situazioni favorevoli. Occorre inoltre guardarsi attorno e all’interno perché non ci siano infiltrazioni e provocazioni come è accaduto nel passato, neppure tanto lontano. Se qualche saluto fascista è motivo di allarme, figurarsi se dovesse venir fuori, artatamente creato, qualcosa di più consistente. La strada della Meloni è diventata ardua proprio perché ha incontrato il favore di un certo elettorato. Il successo in politica va di pari passo coi problemi e più ci si avvicina alla scadenza elettorale più aumentano i rischi, come del resto da più parti si dice. La Meloni è avvisata.

sabato 11 giugno 2022

Referendum giustizia: chi ci capisce qualcosa...

Domenica, 12 giugno, gli italiani sono chiamati a referendum sulla giustizia. Giustizia sì o giustizia no? Macché! Quesiti quasi incomprensibili, dalle risposte varie e contraddittorie, aventi come costante una posizione contro la magistratura, colpevole a volte di fare un uso improprio ed eccessivo di alcune norme, che, prese in sé, sono delle buone, ottime norme. Sono cinque i quesiti a cui dovranno dare una risposta con un sì o con un no. Da quanto si è potuto capire dai vari dibattiti dedicati, in verità pochi e solo nell’ultima settimana, la materia è difficile e controversa e richiederebbe una ben diversa conoscenza delle problematiche. L’elettore medio non è in condizioni di capire le ragioni dei quesiti né la bontà delle tesi per l’abrogazione o meno delle norme esistenti. Di qui due atteggiamenti di fondo: o non votare proprio per non far raggiungere il quorum, posizione questa dei contrari ai referendum voluti dalla destra e dai radicali, o votare a tutti e cinque i quesiti con un sì politico, come suggerito dalle forze politiche proponenti. L’impressione diffusa è che questi referendum siano del tutto inutili, anche perché è in corso di approvazione la riforma della Ministra della Giustizia Marta Cartabia, che affronta e risolve taluni di questi quesiti. Cerchiamo lo stesso di dare un contributo di chiarimento, cercando di entrare nel merito dei quesiti, ma senza suggerire risposte. Da persone libere ci rivolgiamo a persone libere. Nel primo, scheda rossa, si chiede di abrogare la legge Severino, quella per la quale Silvio Berlusconi decadde da Senatore. Questa legge vuole che chi è condannato in primo grado per reati gravi sia incandidabile e se già eletto decada dalla carica. Chi si oppone, si appella alla presunzione di innocenza dell’accusato fino ai tre gradi di giudizio, con la condanna passata in giudicato. Sarebbe pure giusto, se non che prima che si arrivi a sentenza definitiva in Italia passano molti anni e può capitare che la lentezza della giustizia italiana vanifichi la norma. I garantisti dicono sì all’abrogazione; i giustizialisti dicono no. Nel secondo quesito, scheda arancione, si chiede di abrogare alcune norme in materia di misure cautelari, nella fattispecie quella che consente al giudice di tenere in carcere o agli arresti domiciliari l’accusato che a suo giudizio potrebbe, se libero, reiterare il reato per il quale è sotto processo. Qui, a prescindere dalla bontà della norma, si denuncia un abuso del giudice, il quale, a volte, tiene l’accusato in carcere o agli arresti domiciliari ricorrendo al pericolo della reiterazione solo perché non ha un motivo specifico o per costringere l’accusato a “parlare”. Il rischio qui è che si potrebbe abrogare una norma in sé valida per un modo eccessivo e anomalo di applicarla. La norma è una, poi ci son giudici e giudici. Dovrebbe prevalere il buonsenso. Nel terzo quesito, scheda gialla, si chiede di abrogare la norma che consente ad un magistrato di passare dalla magistratura inquirente (pubblico ministero) a quella giudicante (giudice) nel corso della sua carriera, perché si ritiene che in giudizio la situazione è troppo squilibrata a danno della difesa dell’accusato, appartenendo pubblico ministero e giudice alla medesima categoria (magistratura). Per eliminare lo squilibrio si vorrebbe l’abrogazione della norma dell’interscambiabilità delle carriere: o si è sempre magistrati giudicanti o si è sempre magistrati inquirenti. Il giudice sarebbe sempre terzo in giudizio, equidistante rispetto ad accusa (pubblico ministero) e difesa (avvocato). Nel quarto quesito, scheda grigia, si chiede di abrogare la norma che impedisce agli avvocati di valutare i magistrati nell’esercizio delle loro funzioni. Qui il cittadino elettore è meno coinvolto rispetto ai primi tre quesiti e non avrebbe motivazioni a dare una risposta secca con un sì o con un no, salvo che non opti secondo orientamente politico, fidandosi dei dirigenti del suo partito. Nel quinto quesito, scheda verde, si chiede di abrogare la normativa che riguarda la nomina a membro del Consiglio Superiore della Magistratura. Lo scopo è di impedire il formarsi delle correnti in seno al Consiglio, come è accaduto fino ad oggi, con le conseguenze che il caso Palamara ha evidenziato. Anche in questo quesito il cittadino elettore è poco coinvolto, trattandosi di materia legata alle dinamiche interne all’ordine giudiziario. Ma, a riflettere, dei cinque quesiti è il più importante, perché da quel che è emerso – il caso Palamara, appunto! – il Consiglio Superiore della Magistratura è il centro dove la giustizia diventa questione di uomini, di pericolose alleanze e di lobbie di potere, qualcosa che non è difficile accostare ad altre assai note “cupole”.

sabato 4 giugno 2022

Putiniano a chi?

Una volta li chiamavano utili idioti. Erano quelli che in perfetta buona fede finivano con dichiarazioni e comportamenti per favorire gli avversari. Esattamente come accade oggi in piena guerra contro l’Ucraina da parte di Putin. In Italia ce ne sono molti. Essi si ribellano se li chiami putiniani. Putiniano a me? Io condanno l’operato di Putin senza se e senza ma, rispondono risentiti. E aggiungono: ritengo tuttavia che inviare armi agli ucraini per difendersi è sbagliato perché non si fa altro che allungare i tempi della guerra con tutte le tragiche conseguenze di distruzione e di morte. Essi partono dal convincimento che la guerra gli ucraini sono destinati a perderla e perciò a questo punto tanto vale finirla coi combattimenti. Se tanto fosse stato dall’inizio, la Russia avrebbe chiuso la partita al massimo dopo una settimana. Invece le cose sono andate diversamente grazie al coraggio e alla determinazione degli ucraini ma anche e soprattutto per gli aiuti in denaro e in armi ricevuti dall’Occidente, Italia compresa. Senza volerlo i nostri utili idioti avrebbero favorito le mire di Putin, sarebbero stati di fatto dei putiniani di risulta. Non si può escludere tuttavia che nella loro mente agisca anche una sorta di egoismo. Pensano in fondo che i russi e gli ucraini potrebbero vedersela tra di loro ed escludono che la faccenda interessi anche gli altri paesi europei, che a causa della guerra versano tutti in gravi situazioni. Un egoismo tenuto attentamente nascosto perché indecente oltre che insostenibile. Ma non tutti i putiniani sono degli utili idioti. Molti di essi sanno perfettamente quello che dicono e quello che fanno, pur cercando di non apparire sfacciatamente e scandalosamente al servizio gratuito del dittatore russo. Di qui le loro premesse di antiputinismo per sostenere nel prosieguo dei loro ragionamenti le ragioni di Putin. Alcuni fra i politici italiani, Matteo Salvini e Giuseppe Conte, inseguono i sondaggi che danno a più del 50% quelli che non vogliono che l’Italia invii armi all’Ucraina. Si adeguano al pensiero di base, politicamente irresponsabile. Si sa che il popolo non vuole le guerre, che la gente si preoccupa delle condizioni economiche proprie e se queste si sono aggravate per la guerra in corso si comprende benissimo la sua contrarietà a che questa continui. Ma possono dei politici ragionare come ragiona l’uomo della strada, che ha dei limiti oggettivi di conoscenza e non ha responsabilità alcuna? L’uomo della strada può anche non considerare che l’Italia si trova incardinata in un sistema di alleanze dal quale trae anche tanti benefici e protezioni – si pensi ai miliardi del Pnrr e alla sua sicurezza in quanto membro della Nato – dal quale non può entrare e uscire a suo comodo e piacimento. I politici, invece, non possono ignorare la situazione e quando propongono di sfilarsi dalle decisioni dei partner europei dimostrano di non avere il senso delle cose, di cercare solo consensi elettorali per le vicine e prossime elezioni. Essi per meri scopi di bottega elettorale finiscono per fare scelte che di fatto vanno a favorire Putin e a danneggiare l’immagine dell’Italia in Europa e nel mondo. Essi sono dei putiniani, utili sicuramente alla causa russa ma non per idiozia bensì, privi di scrupoli, per calcolo. Poi ci sono i putiniani di complemento alla Michele Santoro e alla Marco Travaglio. Pure essi, come tutti gli altri, mettono in premessa di condannare Putin, ma poi ne difendono le ragioni, un po’ per incapacità congenita di sposare una causa nazionale o quale che fosse – penso a Travaglio – e un po’ per antico antiamericanismo – penso a Santoro. Travaglio, pur di “andare contro”, come già ha fatto coi no vax, ora fa il no ucraina, passando per il no all’America, no all’Europa, no a Draghi. Si esalta nell’insulto e nella delegittimazione. Per lui il “governo dei migliori” – così chiama ironicamente il governo Draghi – è un governo di “pippe”. Ma finora non si è capito Travaglio con chi va, chi rappresenta e chi sono i politici italiani che non sono “pippe”. Michele Santoro ha colto l’occasione della guerra in Ucraina per spazzolare il suo antiamericanismo e per riproporsi dopo un lungo letargo e qualche tentativo di recuperare visibilità. Ma non mancano neppure – e questi sono davvero incomprensibili – quelli che da destra – penso a Franco Cardini – non vedono l’orrore delle imprese putiniane e si indignano per la risposta dell’Occidente. Anche qui emerge un antiamericanismo datato, che, però, di fronte alla gravità della situazione, avrebbe dovuto spogliarsi di antiche avversioni e di sempre vive ragioni ideologiche. Per fortuna la destra politica, quella che oggi ha in Giorgia Meloni la sua leader, ha assunto una posizione lineare e coerente. Almeno quella!