martedì 29 ottobre 2019

Dall'ipse dixit costituzionale all'ipse dixit elettorale




Gran brutto affare quando in politica si ricorre all’ipse dixit di un documento, si tratti pure della Carta costituzionale, per giustificare un’azione che si avverte in sé non convincente o addirittura fraudolenta. Dovrebbe essere il contrario: l’ipse dixit sì ma per andare in favore dell’elettorato, se non vogliamo dire del popolo. Il ricorso ai documenti servono sempre a garantire ordine, giustizia, rispetto delle maggiorenze vere. Quando si cercano maggioranze farlocche in Parlamento, pur di non passare la parola all’elettorato, prima o poi la reazione arriva. Ci sono paesi in cui si risponde subito con sollevazioni di massa favorite oggi dai social. Ne abbiamo viste e ne vediamo tante nel mondo. Buon per noi che in Italia si risponde con lo strumento della democrazia, ossia col voto. E questo è segno di crescita e di maturità democratica. All’ipse dixit costituzionale si risponde con l’ipse dixit elettorale. In Umbria è accaduto proprio questo.
Sotto sotto la coalizione di centrosinistra, fresca di improbabili intese parlamentari e condivisioni governative, sperava di farcela in Umbria; o forse si trovava in quella condizione psicologica nella quale si confonde il reale con l’immaginario desiderato e ci si convince che l’illusorio possa realizzarsi. I centrosinistri non si sono svegliati dopo la mazzata del 27 ottobre solo perché non chiudevano occhio da qualche tempo.
Continuava a fare sogni beati, invece, il “machiavellico” Renzi, il quale si è tenuto alla larga dall’Umbria per poter poi dire: io non c’ero e dunque non mi sento sconfitto. Si vanta Renzi, ma Machiavelli ammoniva che “i profeti disarmati conviene che ruinorno”. E lui si può considerare armato con una truppa di lanzichenecchi, trovati come Pietro l’Eremita trovò i crociati, strada facendo? Via, si rifaccia i conti. Non confonda la tattica con la strategia. In Umbria ha vinto il centrodestra, non chi del centrosinistra non si è fatto vedere per non condividere la sconfitta. Il suo comportamento non porta da nessuna parte e, diciamolo pure, è stato un po’ vigliacco. Comunque i “suoi” elettori hanno votato; e non certamente per i partiti del centrodestra.
A malincuore si era esposto Giuseppe Conte, ma mettendo le mani avanti: il risultato elettorale umbro – aveva detto alla vigilia – non determina niente in campo nazionale. In fondo vota una regione, l’Umbria, che ha un bacino elettorale quanto la provincia di Lecce, appena il 2 % dell’intero corpo elettorale. Ha confermato la stessa valutazione dopo. Gli umbri ringraziano, i leccesi per ora snobbano.
Invece il voto umbro un piccolo terremoto, sia pure a scoppio lento e ritardato, finirà per farlo. Non facciamoci prendere per un verso dall’ansia e per un altro da frettolose amnesie.
L’elettorato umbro “leccese” non ha detto niente di nuovo, ha confermato il voto europeo, ha ribocciato l’incredibile mala intesa Pd-5S, ha dato una scoppola alla leadership di Di Maio, potrebbe aver detto anche che quel Beppe Grillo elogiatore del caos, che vuole togliere il voto agli anziani, incomincia a stare sui coccodrilli anche a chi era abituato ad accettarlo come comico.
Tutto questo potrebbe portare a conseguenze serie per Conte. Il quale è sì un “trovatello”, come lo considera Sgarbi, ma la famiglia allargata che lo ha adottato, Grillo-Di Maio-Zingaretti-Renzi-Speranza, potrebbe disfarsene come un rasoio bic.
Tutto questo potrebbe accadere, solo i tempi e i modi sono incerti. Il governo Conte non può durare, perché dopo l’ipse dixit che lo ha partorito è arrivato l’ipse dixit che ne ha decretato la morte. Vada l’imbroglio una volta, ma non due. Il popolo di centrodestra che vota ambisce ad un cambiamento legittimo, non ha altri grilli per la testa, men che meno violare la Costituzione.
Dopo l’estate pazza di Salvini è cresciuta e si è rafforzata l’idea che a destra certi energumeni ignorano che ci sia una Carta costituzionale che regola la vita politica. Non è che siano mancati i motivi per crederci, a dire il vero, ma tanto non basta a far sì che la sinistra si senta l’esclusiva depositaria del verbo e del garbo costituzionale. E’ vero che l’uomo di destra di oggi in genere non ha l’urbanitas e la pietas indispensabili ad un uomo politico; spesso è rozzo e matamoro. Ma la destra in Italia ha anche una storia di rispetto dello Stato di diritto assai più e meglio della sinistra; anzi, per tradizione la destra per gran parte della storia unitaria nazionale si è identificata con esso, fascismo a parte. Quando le cose si sono messe male la destra ha sempre guardato alla mamma di tutte le leggi. Così Sidney Sonnino, che nella crisi di fine Ottocento suggerì di tornare allo Statuto quando le istituzioni, monarchia-governo-parlamento, avevano perso i limiti delle loro competenze e tendevano ad invadere l’una il campo dell’altra.
Certo, i politici di destra di oggi non vengono più dalla classe sociale di un tempo; non hanno più la stessa educazione. Ma oggi chi ce l’ha? E le buone maniere sono sufficienti per ben governare? Nessuno può pensare davvero di costruire una proposta politica senza avere un vero progetto. Non sono più i tempi del montanelliano “turiamoci il naso e votiamo Dc” e a Berlino si parla di monumenti alla riunificazione, non più di muri. Oggi il naso gli elettori se lo soffiano per tenerlo ben aperto e avvertire i malsani miasmi della politica. Forse i repentini cambiamenti d’umore dell’elettorato dipendono anche da questo.

venerdì 25 ottobre 2019

Grillo: voto agli anziani no, ai sedicenni sì




Rivoluzioni grilline. Il grillismo si sta rivelando sempre più un impasto di becerume popolare furbo e irresponsabile, accolto da una caterva di infingardi che ipocritamente si nascondono dietro virtù volterriane. C’è perfino gente che ritiene Grillo una risorsa della democrazia. Ci sono esperti, perfino accademici, che si sono autopromossi a suoi esegeti e spiegano puntualmente le sue stronzate come una volta i filosofi spiegavano il concetto di sostanza e i giuristi quello di sovranità.
Grillo è partito una ventina d’anni fa come comico con vocazione politica. E fin qui nihil novi. Da che mondo e mondo i comici battono sempre quella strada. Qui i fessi sono a piantagioni, ha pensato. Evviva, quando è tempo si miete! Infatti, puntualmente ripreso dai media e diffuso, è diventato propositivamente politico, in un crescendo di violenza e volgarità. Ne è nato un movimento, cosiddetto Cinque Stelle, che ha conquistato il consenso degli italiani ed è andato al potere. Le sue orde, che avrebbero dovuto aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno all’olio si sono fatte sardine pur di starci dentro. Luigi Di Maio, sedicente capo ma è solo in seconda e più tempo passa scala, dice: siamo postideologici, stiamo con chiunque pur di stare. Avesse avuto un po’ più di scuole avrebbe detto Hic sumus et hic manebinus optime, come era uso quando i politici di un certo livello occupavano il posto che ora occupa lui. Ma il senso lo ha reso benissimo anche con parole sue. Dice che sarà al governo per altri dieci anni, con chiunque, more meretricio, pur di stare. Lui dice: per fare. In realtà per gestire il potere, pur non avendo né arte né parte. I grillini stanno nei ministeri come in automobili che vanno da sé.
Se cinque stelle vuol dire cinque questioni o cinque temi, il numero è riduttivo. In Italia temi e questioni sono più numerosi delle stelle di Negroni. Un cielo di stelle! Ma a parte la dimensione vera dei mali che ci sono nel nostro paese, le stelle grilline dovrebbero essere almeno sei. La sesta sono loro, il loro capo, la loro incompetenza, la loro ottusa e inconsapevole prevaricazione.
Quel potere, così violentemente attaccato da Grillo, si sta rivelando lo stesso di sempre e chi prima lo attaccava, sia pure in maniera sconcertante, oggi non sa che fare. Non resta loro che dire apertamente: scusate, abbiamo sbagliato, siamo come tutti, coi vaffanculo rovesciati, o fingersi totalmente scemi. Grillo ha scelto una via di mezzo, offrendo di sé l’equivoca raffigurazione di un rimbambito ad angolo giro. Oggi si finge fesso. E che altro può fare, dopo i disastri che ha provocato?
Fra le ultime trovate del vecchio buffone, ormai agli sgoccioli del compos sui, due fanno davvero pensare quanto ingiusta fosse la società di un tempo che per molto meno internava in manicomio dei poveretti. Una, travestitosi da jocker ha fatto l’elogio del caos e poi quasi subito dopo ha lanciato la più stravagante delle stronzate. Due, ha detto che bisognerebbe togliere il voto agli anziani, dato che essi non sanno vedere oltre se stessi, dimenticandosi, fra l’altro, di controllare la sua carta d’identità. C’è un rapporto tra l’elogio del caos, il voto ai sedicenni e l’esclusione dal voto degli anziani? E’ innegabile.
Il caos è stata la solita provocazione di Grillo per introdurre la proposta. Ora se è il caso o meno di dare il voto ai sedicenni ci sta pure che se ne parli; proporre di toglierlo agli anziani è da codice penale e da pedate con scarpe chiodate in culo, come quelle con cui una volta Palmiro Togliatti voleva prendere Alcide De Gasperi.
Grillo in buona sostanza propone di abolire il suffragio universale, violando tutte le dichiarazioni dei diritti dell’uomo e del cittadino di tutto il mondo, compresa la Costituzione italiana. Essa già agli artt. 2 e 3 riconosce “i diritti inviolabili dell’uomo”, tra questi il diritto di voto, che l’art. 48 così precisa: “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. […] Il diritto di voto non può essere limitato”. Quale democrazia può oggi negare il suffragio universale senza negare se stessa e far precipitare la società a tempi d’antico regime?
Ma c’è un altro aspetto dell’incredibile trovata grillina, quello del razzismo. Se è razzista il tifoso che allo stadio alza il braccio al saluto romano o fa buu al calciatore nero della squadra avversaria, se è razzismo offendere o burlarsi di un diverso, che cosa è la proposta di togliere il voto a milioni di cittadini solo perché essi hanno raggiunto una certa età? Ecco, Grillo vuole mettere un limite ad un diritto che la Costituzione impedisce espressamente (art. 48).
Eppure nessuno si allarma, nessuno chiede interventi dall’alto, dove risiede la vigile scolta della Costituzione. Sembra che valga il criterio di chi uccide: ucciderne uno è assassinio, ucciderne cento in guerra è un atto di eroismo, meritevole di medaglie. Così in politica: negare un diritto ad una persona è reato, negarlo a centinaia e a milioni è una proposta intelligente.
Si vuole passare dai Consigli degli Anziani di una volta ai Consigli dei Cachielli oggi. Un’involuzione che lasciata scorrere come processo normale, addirittuta progressivo verso un presunto miglioramento, finiremo per doverci affidare all’intelligenza artificiale dei robot. Una prospettiva sicuramente da preferire a quella di Beppe Grillo. 

domenica 13 ottobre 2019

Il governo del come fare i soldi



Tra le stravaganti ragioni che avrebbero indotto Matteo Salvini a farsi protagonista di una delle meno comprensibili crisi di governo che si siano mai verificate in Italia ce n’è una che lascia ancor più perplessi. Si è detto che Salvini ha avuto paura di affrontare la manovra economica di fine 2019, annunciata da tutti come il momento della verità di un governo, 5S-Lega, che aveva speso moltissimo per Quota 100 e Reddito di Cittadinanza ed ora non sapeva come trovare 23mld per evitare l’aumento dell’Iva. Salvini, insomma, se la sarebbe fatta sotto e avrebbe preferito filarsela per non affrontare una situazione che sembrava proibitiva.
Francamente è una spiegazione troppo infantile e spicciativa, benché tra i suoi sostenitori ci fosse uno come Massimo Cacciari, fine pensatore ed esperto amministratore, essendo stato sindaco di Venezia. Intanto il governo non era formato dal solo Salvini e del successo o dell’insuccesso della manovra ne avrebbero risposto collegialmente. E poi, davvero il governo Conte “uno” sarebbe stato meno abile del governo Conte “due”? Ne dubitiamo.
Giuseppe Conte, appena dopo il varo del suo nuovo governo, quando ancora aveva il vestito del precedente, è uscito in televisione e ha annunciato di aver trovato i 23mld di euro per scongiurare l’aumento dell’Iva. Era come uno che si era allontanato per cercare un oggetto smarrito e, avendolo ritrovato, lo annunciava trionfante e felice. Eureka!
E’ venuto spontaneo di pensare: ma dove cazzo li ha trovati 23mld, dove li aveva? In realtà i soldi ancora non esistevano, esistevano i rubinetti dai quali farli scorrere. Da che mondo è mondo, monarchie o repubbliche, dittatori o democraticissimi presidenti, quando lo Stato ha bisogno di soldi i suoi responsabili ricorrono alle tasse, aumentando le vecchie e inventandosene di nuove, fino alla patrimoniale, che di tutte è la più diretta e odiosa. Essa, infatti, colpisce il patrimonio immobiliare e finanziario dei cittadini, indipendentemente da quanto essi guadagnino col proprio lavoro. Lo fa in maniera brutale, semplicemente prendendosene una parte in percentuale, come fanno rapinatori e scippatori. I politici sanno che parlare di patrimoniale non conviene per non perdere il consenso dei ceti medi, quelli che nel bene e nel male in Italia sono elettoralmente decisivi. E quando non possono fare a meno dal ricorrerivi la chiamano diversamente. In Italia, per esempio, di patrimoniali ce ne sono già due, c’è l’Imu e c’è l’imposta di bollo.  
Dove Conte avrebbe dunque trovato i 23mld per scongiurare l’aumento dell’Iva? Probabilmente i suoi esperti ricercatori di soldi “nascosti” erano già a lavoro per mettere insieme se non proprio tutti i 23mld almeno la gran parte, in modo da potergli far dire vittorioso: ce l’abbiamo fatta. In realtà questi soldi non erano in nessun cassetto ma erano nei rubinetti dai quali farli scorrere, ovvero le tasche degli italiani. Ci sono imposte e imposte, ci sono tasse e tasse. Il non aver aumentato l’Irpef e alcune altre tasse più immediatamente percebili non significa aver rinunciato a tutta una serie di prelievi, che altro non sono che le inflazionatissime mani nelle tasche dei cittadini. Se ne sono sentite tante in proposito: tasse sulle merendine, tasse sui telefonini, tasse sui biglietti d’aereo, aumento del prelievo fiscale dalle vincite dei giochi di Stato e via cercando e ricercando. Alla fine i cittadini saranno tartassati; e quel che non pagano a olio pagano a grano, secondo un vecchio modo di dire popolare.
Si dirà: sempre meglio che l’aumento dell’Iva, che avrebbe provocato guasti più seri all’economia. Sì, ma non dite, signori politici, con insistenza psittacistica, “non abbiamo messo le mani nelle tasche degli italiani”, perché dirlo non è solo una bugia ma un’offesa all’intelligenza della gente. Il cittadino fa presto ad accorgersi che i conti alla fine non quadrano.
Il guaio è che queste tasse non saranno sufficienti a risolvere il problema, perché comunque sempre di danaro promesso si tratta. E’ come una volta facevano certi agricoltori che compravano e s’indebitavano promettendo ai creditori che avrebbero pagato alla raccolta. Lo Stato non ha i soldi, prevede che li possa raccogliere. Il governo, perciò, ha bisogno di avere credito in Europa; ha bisogno cioè di poter pagare non coi soldi ma con altre cambiali, probabilmente da rinnovare alla scadenza. Il vento europeo ora volge in suo favore, sono tutti di “famiglia” sinistrorsa. Ci si augura che quel vento possa volgere anche in favore dei cittadini, anche di quelli incazzatissimi con Salvini.