domenica 30 marzo 2014

L'Italia delle assurdità: corruzione, evasione fiscale, tagli e democrazia


In Italia è in corso, propagandato come una rivoluzione, un colossale raggiro degli italiani. Si tratta della spending review, che dovrebbe portare nelle casse dello Stato qualche miliardo di euro nel giro di qualche anno. Detta papale-papale: tagli di spesa in ogni settore della pubblica amministrazione, della difesa, della sicurezza, della sanità, dei trasporti, della scuola e della …stessa democrazia con la soppressione del Senato e delle Provincie. Nello stesso tempo: privatizzazioni, dismissioni, vendite di immobili dello Stato. Insomma, una situazione di fallimento indecoroso e completo.
A fronte di questa campagna di “cenci alla patria” per racimolare qualche spicciolo, quasi fossimo in tempo di guerra, ci sono due fenomeni criminali, che fanno pensare a vite da nababbi, a mattinieri tuffi nel denaro alla Paperon de’ Paperoni. Fenomeni che da soli, se non esistessero, basterebbero a giustificare una tendenza opposta del governo, e cioè una spending review al contrario per sovrabbondanza di disponibilità. I due fenomeni sono corruzione ed evasione fiscale, i cui dati hanno dell’incredibile.
La Corte dei Conti ha quantificato il costo della corruzione in 60 miliardi all’anno (dico sessanta). L’evasione fiscale, secondo Alan Friedman (Ammazziamo il gattopardo) ammonta a 150 miliardi all’anno; per Stefano Liviadotti, uno specialista della materia che scrive per “L’Espresso”, ammonta a 180 miliardi all’anno (dico centottanta). Lo si legge nel suo libro Ladri. Gli evasori e i politici che li proteggono. Ogni anno solo per queste due anomalie l’Italia è sotto di una cifra che si aggira, anche a volerla contenere, intorno ai 200 miliardi di euro (dico duecento). Se li avesse a disposizione potrebbe estinguere il debito pubblico in pochi anni, potrebbe aumentare e migliorare l’esercito, la marina, l’aeronautica, la sicurezza; potrebbe migliorare sanità, istruzione, trasporti, protezione civile e quant’altro; potrebbe tagliare le tasse ad attività imprenditoriali e commerciali; potrebbe garantire un minimo di reddito a tutti i cittadini; potrebbe fare dell’Italia, per dirla col Veltroni di qualche anno fa, un Paese normale.
Ma non voliamo con ali di cera! Sappiamo che il governo non ha la bacchetta magica per risolvere problemi così annosi come corruzione ed evasione fiscale e che pertanto, nell’impossibilità di poter avere nell’immediato tanti miliardi, è giocoforza procedere a vendersi perfino le mutande. Ma se non possiamo volare, non possiamo neppure rinunciare a camminare. E allora, quando senti che dalla vendita delle famigerate auto blu si ricavano 200 milioni, che dai tagli alla difesa si ricavano tre miliardi, che dalla riduzione delle forze dell’ordine si incassano 700 milioni, e via elemosinando, che c’è da pensare? Che siamo un Paese fallito, un Paese che non riesce ad evitare sperperi di centinaia di miliardi all’anno ed è costretto a barattarsi per poche decine di miliardi nell’arco di alcuni anni. Un Paese che mette a rischio la sicurezza, che mette in crisi servizi strategici, che impoverisce settori vitali, che dequalifica la vita politica, perché non riesce a fare quello che è semplicemente fisiologico in un Paese normale, è un Paese che non merita di sedere né in G7 né in G20, semplicemente è un Paese da ricostruire. Magari con la forza, con le cattive. Si capisce, con le cattive!, dato che con le buone non si è riusciti a conservare il benessere raggiunto.
Corruzione ed evasione fiscale non sono purtroppo gli unici mali che minano l’Italia. Abbiamo quattro mafie agguerritissime, che fatturano miliardi e miliardi di euro all’anno, che rendono invivibile gran parte del territorio nazionale, che impediscono il naturale scorrere della vita sociale ad ogni livello.
L’incontro di Renzi con Obama ha ancora una volta rimarcato l’inadeguatezza di chi rappresenta l’Italia. Troppa sottomissione, troppe untuosità, troppa carenza di autoconsiderazione. Non parlo tanto della persona. Figurarsi Renzi, che è tronfio di boria! Parlo dell’immagine offerta dell’Italia, aggredita da epidemie sociali intollerabili, rappresentata da gente approssimativa perfino nei comportamenti esteriori, ormai allo stremo della propria fiducia. Ricordiamo l’onesto Letta piangersi addosso e autocommiserarsi ogni volta che incontrava i pari grado stranieri.
Non è né facile né bello riconoscere dei fallimenti, ma se non si può non vedere il disastro economico e finanziario, sociale e civile, perché rifiutarsi di stabilire un rapporto tra ciò che effettivamente abbiamo e i modi che lo hanno prodotto? Se a tanto siamo arrivati attraverso una democrazia degenerata, perché non considerare, accanto ad una revisione della spesa, anche una revisione della nostra democrazia?

Forse è quanto stiamo facendo con provvedimenti dolorosi, che sembrano però più dettati dal bisogno immediato dell’oggi che da  consapevole progetto per il domani.

domenica 23 marzo 2014

Riuscirà Renzi a rottamare anche i miti e gli dei dell'Olimpo?


Mi chiedo sempre più spesso se la mia avversione-confessa a Matteo Renzi, che è poi quella di tanti italiani, per il modo come il personaggio si propone, non costituisca pregiudizio al suo valore sostanziale e soprattutto ai risultati concreti del suo operato politico. In altri termini, l’antipatia per l’uomo può condizionare la capacità critica dell’analista politico? La risposta non può essere che problematica.
Dico in limine perché sono avverso. Più volte penso alla saggezza degli antichi e ai loro miti, su cui generazioni e generazioni di giovani per millenni si sono formate. Saggezza e miti educavano e maturavano gli uomini, a cui i più anziani passavano il testimone per guidare i comuni destini in continuità di valori e di costumi. Il mito di Fetonte, che chiede e ottiene dal riluttante padre, il Dio-Sole, di guidare il carro e finisce per imperizia col rovesciarlo incendiando cielo e terra, vale come monito di prudenza, a non affidare mai compiti ardui a giovani inesperti e spericolati. Mi chiedo: non vale più un simile monito? Il mito della fanciulla Aracne che si ritiene insuperabile nell’arte del ricamo tanto da sfidare la stessa dea Atena e da questa viene battuta e trasformata per punizione in ragno, vale come monito a non essere presuntuosi. Non vale più questo monito?
Renzi si è proposto in maniera spavalda e presuntuosa: tu non servi, tu sei da rottamare, tu già eri vecchio quando io facevo le elementari e via ingiuriando, sfottendo e sbruffonando, in una visione manichea basata sulla contrapposizione bene/gioventù-male/anzianità.
Ora, può essere che Renzi faccia eccezione, che non faccia la fine di Fetonte o di Aracne; resta il fatto che è un gran maleducato, uno che ancora non si capisce bene se gli abbiano affidato il potere per infingardaggine e ignavia o per furbizia e vendetta, per vederlo fallire e poter dire: mo’, quello da rottamare sei tu. Resta che la saggezza degli antichi non può fallire e dunque o Renzi dimostra che lui non è Fetonte e il carro del Sole lo guida meglio del rottamato suo padre o siamo un Paese di scellerati a fidarci di un gradasso fiorentino che potrebbe portarci al disastro completo.
Mi spingo a dire che se fossi vissuto ai tempi del fascismo – ipotesi che in genere non mi piace fare – non escludo una mia avversione a Mussolini, che pure per molti aspetti apprezzo, proprio per quel suo proporsi marionettistico, che doveva far ridere e invece entusiasmava. Ho vissuto l’era berlusconiana e mi pregio di aver sempre stigmatizzato i comportamenti di Berlusconi assolutamente indecorosi, cafoneschi, spesso volgari, pur apprezzandone le doti di politico e soprattutto di imprenditore.
Torno alla domanda iniziale, per riformularla. Si può avversare un uomo politico per la sua faccia e per i suoi comportamenti, apprezzandone il pensiero e l’azione? E soprattutto può un uomo politico che contravviene alle millenarie regole della vita riuscire bene nei fatti che riguardano i pubblici interessi?
In un’intervista con Emanuele Macaluso, apparsa su «L’Espresso» del 20 marzo, a firma di Marco Damilano, l’anziano dirigente comunista definisce una «caricatura…l’interclassismo al cioccolatino», il tentativo di Renzi di governare con Landini e Squinzi. Francesca Donato, presidente del Progetto Eurexit, ospite di «Ballarò» di Giovanni Floris di martedì, 18 marzo, ha detto che Renzi con la Merkel ha fatto come quell’operaio che al suo datore di lavoro dice: da oggi lavoro gratis e non mi prendo un solo giorno di ferie, ci stai? In Europa si è ripetuta giovedì, 20 marzo, la scena disgustosa del sorrisetto complice tra Barroso e Van Rompuy, ad imitazione di quella tra Sarkozy e la Merkel due anni e mezzo fa, una volta per Berlusconi, un’altra per Renzi.
Ora non mi piace farmi forte con quanto dicono e fanno gli altri, ma non posso non considerarmi meno impensierito sapendo che c’è gente che la pensa allo stesso modo su certe cose. Fermo restando che tanto la coppia Sarkozy-Merkel per Berlusconi quanto la coppia Barroso-Van Rompuy per Renzi si sono comportate alle stregua dei due personaggi derisi, ma in maniera gratuitamente offensiva per l’Italia.
La stampa italiana – per fortuna non tutta – ha enfatizzato l’incontro di Renzi con la Merkel. Addirittura ho letto sul «Nuovo Quotidiano di Puglia» del 20 marzo, a firma di Adelmo Gaetani, che la Merkel dovrebbe ascoltare i suggerimenti di Renzi se non vuole fare la fine degli altri. Non so che dire. Anche le parole smettono di significare e si mettono a ridere o a piangere.
Io dico che a vederla in faccia la Merkel mentre ascoltava Renzi sembrava stupita, ma non favorevolmente, bensì come quelle “vittime” di scherzi a parte, quando non sanno se ciò che sta accadendo è vero o è tutto una messa in scena.

Il guaio è che se dovesse fallire Renzi, a causa dell’impreparazione della classe politica – se ancora ce n’è una in Italia! – rischiamo davvero chissà quale avventura. E’ questa la ragione per la quale occorre sperare che Renzi, contravvenendo alle certezze di certa millenaria cultura, riesca a dar torto ai miti e a rottamare perfino gli dei dell’Olimpo.

domenica 16 marzo 2014

Renzi, molto rumore per nulla? Speriamo di no


Si possono nutrire mille perplessità su Matteo Renzi. In verità chi è abituato a parlare, commentatori e analisti, le esprime. Altri preferiscono concedere qualche prudente apertura di credito. Altri ancora – e sono i più – tacciono, preferiscono il silenzio, che è vaso vuoto in cui al momento opportuno mettono l’opportuno e il conveniente.
Perplessità – dicevo – tante, ma non si può dire che non stia mantenendo le promesse, in primis il rumore di tanti annunci e dichiarazioni. Il punto è se il rumore possa far pensare per associazione di idee a quell’opera di William Shakespeare Molto rumore per nulla e lì esaurirsi. Il sacco di Renzi è pieno e fa rumore, ma può essere che sia stato riempito di stoppie secche. Speriamo di no; speriamo che almeno si possa dire di qui a qualche tempo tanto rumore, è vero,  ma qualche cosa è stata fatta.
Il diretto interessato dice che i suoi provvedimenti (riduzione Irpef con dieci miliardi di euro distribuiti a dieci milioni di cittadini che percepiscono un reddito inferiore a 1.500 euro mensili a partire da maggio), il taglio dell’Irap del 10 %, piani scuola, casa, e soprattutto la garanzia della copertura finanziaria, è la cosa più di sinistra che sia stata mai fatta negli ultimi vent’anni.
Il suo alleato di maggioranza e di governo Angelino Alfano, leader del Nuovo Centro-destra, dice che si tratta di provvedimenti di chiara matrice liberale e di destra. Dovrebbero mettersi d’accordo, almeno per dividersi le cose, una a te e una a me. Ché, se le cose sono le stesse, non possono essere allo stesso tempo rosse e azzurre per il principio di non contraddizione. Va bene che questo principio non è applicabile in politica, ma comunque un certo valore orientativo ce l’ha.
Romano Prodi ha sottolineato come le iniziative di Renzi trovino giudizi entusiastici da parte di chi in altri tempi era irriducibilmente critico nei confronti del governo, riferendosi al suo. «Feci anch’io un taglio del cuneo fiscale da sette miliardi di euro – ha detto – ma il giorno dopo gli sputarono sopra. La Confindustria mi attaccò dicendo  che non serviva a nulla. Oggi invece c’è un senso  da ultima spiaggia e il Paese è più disponibile ad ascoltare» (La Stampa, 15 marzo 2014). Si coglie un pizzico di amarezza in queste parole, ma dicono il vero.
La legge elettorale, Italicum a metà, per la Camera sì, per il Senato no – quest’ultimo è stato messo in coma farmacologico e di qui a qualche tempo tirerà le cuoia – è come uno strumento buono fino a quando non viene usato, fino a quando cioè non si creano le condizioni per doverlo usare. Per ora si può dire di tutto e di più. Alfano vorrebbe il voto di preferenza, per ovvi motivi di convenienza elettorale; ma su questa strada c’è l’ostacolo Berlusconi, col quale Renzi ha raggiunto un accordo che finora ha tenuto, pur col taglio del Senato.
E’ certo, tuttavia, che questa spada di Damocle sulla testa del Senato, è una furbata: non si voterà fino a quando non sarà risolto il problema della sua trasformazione (abolizione del bicameralismo perfetto), ma risolvere la questione del Senato non è cosa che si fa in quattro e quattr’otto; e dunque Renzi si è assicurato un bel po’ di tempo, diciamo tutta la legislatura.
Non è stata ben evidenziata dai media la dichiarazione di Renzi sull’Europa: vanno bene le obiezioni europee al nostro piano di riforme – ha detto con la solita aria spavalda – ma ricordi l’Europa che anche lei deve cambiare. Alle viste una più generale rottamazione? Il Demolition-man, come è stato tradotto dagli inglesi l’italiano rottamatore, potrebbe ambire al ruolo di Grande Rottamatore. Pare che in questo gli sia compagno il francese Hollande, che nei confronti della Germania, oggi egemone, ha sempre avuto qualche punta d’invidia.
Ma la vera novità di Renzi è la sua toscanità. I toscani, in qualunque ambito operino, si propongono con una smisurata autostima, al punto da ritenersi indispensabili e bastevoli da soli a coprire con la loro sagoma tutto lo scenario operativo e competenziale. Da Dante Alighieri, il quale nel 1300 diceva se a Roma dal papa non vado io, chi va? e se a Firenze non resto io, chi resta?, agli Indro Montanelli e Curzio Malaparte dei nostri tempi, sempre in voga e sempre ad avere ragione esclusiva e assoluta, è una galleria di megalomani e di presuntuosi, sebbene geniali.
Qui, con Renzi, ci troviamo in presenza di una caricatura – mi sbaglierò e sarei felice di ammettere che mi ero sbagliato, ma a me tale appare questo Renzi con tutte le sue furbizie e con tutto il culo smisurato che si ritrova, per cui tutto sembra congiurare a suo favore – rispetto ai soliti grandi toscani che conosciamo. Ha detto che se gli italiani non troveranno i soldi, ovvero gli ottanta euro nella busta paga di maggio, «Renzi è un buffone». E ancora «Se non dovessi riuscire nel mio progetto mi ritirerò dalla politica». Probabilmente ne farà altre di affermazioni simili, in stile pubblicitario “soddisfatti o rimborsati”. Figurarsi! A me sembra che il bombardino di Firenze ignori la storia – quando l’avrebbe studiata? – o che abbia un io talmente ipertrofico da lambire la patologia. 
In Europa è accolto con l’etichetta consueta. Chiunque vada a rappresentare un Paese è accolto col massimo riguardo. Forse bisognerebbe provocare qualche capo di Stato o di governo europeo, come fanno ogni tanto in Italia quelli della “Zanzara”, per sapere cosa effettivamente pensano di questo personaggio, che sembra uscito da uno di quei lontani periodici per ragazzi di una volta che erano “L’Intrepido” e “Il Monello”. Comunque sia, Renzi un po’ intrepido e un po’ monello lo è, a prescindere. 

domenica 9 marzo 2014

L'insostenibile vaghezza di essere italiani


“La grande bellezza”, il film di Paolo Sorrentino premiato con l’Oscar quale miglior film straniero, è uno di quei racconti che si possono leggere in molti modi per ricavare altrettante impressioni o certezze. Lo stesso titolo può essere riferito o alle immagini di Roma, alcune veramente bellissime e inedite, o inteso nel significato antifrastico del termine. Alle suggestive “cartoline” romane fa riscontro nel film una carrellata di caricature, di trovate barocche, vuote di contenuto ma sorprendenti e meravigliose nell’aspetto esteriore, in una parola di “bruttezze”. Come dire a qualcuno: è la vita, bellezza!, dopo che gli hai rifilato una fregatura. Sorrentino ha voluto stupire, sorprendere, meravigliare.
“E’ del poeta il fin la meraviglia / chi non sa far stupir, vada alla striglia” diceva il suo conterraneo Giambattista Marino nel Seicento. Un secolo e una cultura terribilmente oggi di ritorno, attuali, come provano i tanti fenomeni privati e pubblici, individuali e collettivi di questa Italia di inizio millennio.
In Europa questo genere di messaggio non incanta più nessuno. Al Festival di Cannes il film di Sorrentino è stato quasi snobbato. Ma l’America è l’America! E gli ha assegnato l’Oscar.
La stampa e la televisione italiane hanno esultato, quasi l’Italia avesse rovesciato lo spread rispetto alla Germania e fossimo noi a dettar legge economica; come se la Nazionale di Calcio avesse battuto il Brasile in finale e pareggiato il conto dei titoli mondiali.
Le istituzioni si sperticano ancora  in attestati di riconoscenza al regista napoletano, nuovo salvatore della patria: “quindi trarrem gli auspici…”.
Di preoccuparci, invece, non ci passa per la mente. Ed è proprio questo il punto. Rappresenta la “bellezza” di Sorrentino la situazione italiana di oggi? L’Italia della debolezza politica, della crisi sociale, dei suicidi per fallimenti e disoccupazione, della privazione dei giovani di un avvenire esistenziale, della perdita dei valori morali e civili, del degrado in cui versa la vera grande bellezza italiana dei beni culturali? Rappresenta l’Italia che non riesce a farsi rispettare dall’India e lascia marcire colà due militari italiani colpevoli di aver fatto il loro dovere? No, assolutamente.
Allora il film di Sorrentino è solo una maschera grottesca in sé e nell’uso, soprattutto nell’uso che si vuole fare e che si sta facendo. Una maschera assolutamente inopportuna, degradante, offensiva. Può essere che quell’Italia rappresentata esista davvero; ma se pure fosse, sarebbe un’Italia da tenere nascosta, come si nascondono i quadri e gli specchi nelle case segnate dal lutto. 
L’America, premiando il film, ha voluto premiare gli italiani, il nostro modo di reagire alla gravissima crisi che ci tormenta ormai da anni e ci tormenterà per altri decenni. Ha voluto premiarci per il nostro modo di essere e di vivere, tra il superficiale e il leggero, lo svagato e “alla me ne fotto”. Mentre l’Italia delle bellezze passate cade a pezzi, noi, invece di preoccuparci di arginare il fenomeno, facciamo film per mostrare al mondo quanto siamo decaduti e decadenti.
Ancora una volta ha trionfato il becerume incartato di bello e di luci, per farlo piacere. Siamo nella scia dei grandi registi italiani, alla Monicelli più che alla Fellini o alla De Sica, che propone il nostro modo di riderci addosso e con ciò  di far ridere gli altri anche nelle tragedie e nell’epica delle guerre. Come a voler ribadire che noi italiani, in qualunque situazione ci troviamo, siamo sempre quelli di “Amici miei”. Quelli che Churchill disse che affrontano una partita di calcio come una guerra e una guerra come una partita di calcio.
Tra tutti i nostri film premiati con l’Oscar  questo è di sicuro il più mortificante, anche perché oggi non c’è neppure l’entusiasmo di altri tempi. Penso al dopoguerra di De Sica o al miracolo economico degli anni Sessanta di Fellini, quando crearono capolavori di alta rappresentatività italiana. Tempi di sofferenza e di speranza, di realizzazioni da raggiungere (De Sica) o raggiunte (Fellini).
Il film di Sorrentino ci condanna ad essere visti come gente che affronta tutto con ignavia, che si compiace dei propri fallimenti, che gode del suo essere nulla, che inneggia al più infame dei nichilismi: a quello che fa del nulla piacere e vanto.
L’Oscar assegnato ad un film simile contiene un messaggio inaccettabile: noi americani vogliamo salvare gli italiani così come sono, ci servono per svariare il tempo, per dimenticare le cose serie, per stordirci. Italiani, conservatevi: siete belli, stupendi. Voi, non i vostri beni, che vanno in malora, siete il vero  patrimonio dell’umanità.

Avremmo voluto dire: no, grazie!

domenica 2 marzo 2014

Renzi, è iniziata la gara a chi gli fa la festa


Ospite di Lilly Gruber su “La Sette” venerdì sera, 28 febbraio, c’era Paolo Crepet, lo psichiatra. Il quale si è detto entusiasta di Matteo Renzi e ha aggiunto di trovare insopportabile il fatto che lo si critichi. Perché il telepsichiatra tiene tanto all’ex sindaco di Firenze? Ma perché Renzi è giovane, ambizioso ed è fuori dei vecchi schemi di destra, di sinistra, che non significano più niente. Lasciamolo fare, non giudichiamolo prima che faccia; se poi sbaglia, ce ne facciamo una ragione. Questo l’assunto dello psichiatra, come se tutta l’Italia debba assistere – non si capisce per quale castigo di Dio – alle performance di un novizio che gioca col fuoco e rischia d’incendiare la casa. Crepet avrebbe anche potuto spiegare, da psichiatra, perché Renzi si presenta in Senato con le mani in tasca, perché si fa sorprendere in pose defatiganti, sdraiato sui banchi, ora con in bocca la penna ora la cravatta, ora senza niente ma con la bocca semiaperta come un mezzo ebete. Maleducazione? Disagio? Che almeno lo psichiatra avesse dato una spiegazione, giusto per capire!   
Non so se gli italiani la pensino su Renzi come Crepet. Non so quanti italiani salirebbero su un aereo sapendo che il pilota è giovane, ambizioso e fuori degli schemi indicati dalle rotte e dalle coordinate, della prudenza e del galateo.
E’ come un giocatore di biliardo Renzi, che si prende burla degli altri giocatori; sbruffa: ora mi tiro questo ed ora mi tiro quest’altro, e puntualmente, benché non sappia tenere la stecca in mano, gli riescono i filotti dichiarati. Renzi fa filotto anche se colpisce la biglia con il manico della scopa. Più che di Renzi c’è da fidarsi del suo culo.
Al netto di una certa antipatia che si può legittimamente avere per un simile personaggio, velleitario di successo, arrogante e presuntuoso, ci sono ragioni politiche serie che mi convincono di preoccuparmi, solo nella mia dimensione di cittadino italiano che ama il proprio Paese, la propria società, la propria nazione; che ha un alto concetto dello Stato e della politica e che non la pensa come Crepet, ma sente di avere il diritto di impedire a Renzi di fare quello che gli passa per la mente sulla pelle degli altri.
Prima ragione di preoccupazione. Matteo Renzi è diventato capo del governo senza essere neppure deputato, senza essersi mai presentato a capo di un partito o di una coalizione per essere votato. Dunque, è espressione di un potere che non viene dal popolo, come democrazia vuole al suo livello più essenziale. Si dice: siamo in uno stato di eccezionalità, di emergenza, di crisi. E’ vero, ma perché ci si affida al primo sbruffone che si presenta senza avere i titoli? Titoli intendo legittimazione popolare, senza cui non si può parlare di democrazia? Renzi è stato voluto da un partito che ha, voto più voto meno, la stessa forza elettorale del Movimento 5 Stelle e del Centrodestra. Altro che premio di maggioranza, qui siamo in presenza di asso-raccogli-tutto.
Seconda ragione di preoccupazione. La sua nomina a capo del governo è una trovata di poteri, che non hanno volto, denominazione e responsabilità, i quali vogliono impedire al Paese di votare. Si dice: non c’è una legge elettorale che garantisca un esito utile alla formazione di un governo stabile e duraturo. Dobbiamo avere nostalgia di Andreotti e della sua filosofia del governare con la crisi? Il fatto è che la questione della legge elettorale è una colossale presa in giro. Non si può votare perché non c’è la legge ma non si fa la legge perché non si vuole votare. La tattica ricorda quella di Quinto Fabio Massimo, il cunctator, il famoso temporeggiatore che logorò Annibale, fino a quando non maturò Scipione a fare barba e capelli al Cartaginese.
Terza ragione di preoccupazione. Il governo Renzi rischia di trasformare un governo di emergenza in una formula politica duratura. Difatti si dice che questo governo durerà fino al termine della legislatura. Ma se una parte dell’opposizione, il Nuovo Centro-destra, sta nella maggioranza, l’opposizione a questa maggioranza chi la fa davvero? Risposta: Forza Italia, il Movimento 5 Stelle, la Lega. Pare niente? No, pare assai. Ma si dà il caso che l’opposizione di Forza Italia è un’altra presa in giro, perché, nel gioco delle parti Alfano ne recita una e Berlusconi ne recita un’altra, insieme ne recitano un’altra ancora. Il Movimento 5 Stelle è fuori del sistema che rifiuta e combatte radicalmente; dunque politicamente non è spendibile. La Lega è troppo piccola e troppo sola per proporsi validamente a ruolo di opposizione. Si ricorda che l’opposizione ad una maggioranza, per avere credito ed efficacia, deve necessariamente proporsi come fattibile alternativa; in caso contrario può fare opposizione, ma senza prospettive resta sterile.
La quarta ragione di preoccupazione. Che cosa riuscirà a fare un governo, che è quasi universalmente guardato con forti perplessità perfino da chi lo ha voluto – vedi Corriere della Sera e poteri annessi e connessi – a causa delle ragioni dette e per altre, come l’inesperienza del suo capo e l’inevitabile guerra che gli viene fatta dal suo stesso partito? Letta, Cuperlo, Civati staranno con le mani in mano a godersi il folletto fiorentino folleggiare? Non lo credo affatto.

Le durissime parole del sindaco di Roma Ignazio Marino per il ritiro del decreto Salva-Roma sono state definite da Renzi – sentite sentite da quale pulpito! – assolutamente inappropriate. Saranno state pure inappropriate, ma sono nello stile Renzi; e soprattutto sono rivelatrici di un clima di ostilità nei suoi confronti che è già iniziato, coi fischi pubblici e con dichiarazioni poco rassicuranti di alcuni suoi “amici” di partito.