Si possono nutrire mille
perplessità su Matteo Renzi. In verità chi è abituato a parlare, commentatori e
analisti, le esprime. Altri preferiscono concedere qualche prudente apertura di credito. Altri ancora – e sono i più – tacciono, preferiscono il
silenzio, che è vaso vuoto in cui al momento opportuno mettono l’opportuno e il
conveniente.
Perplessità – dicevo – tante, ma
non si può dire che non stia mantenendo le promesse, in primis il rumore di tanti annunci e dichiarazioni. Il punto è se
il rumore possa far pensare per associazione di idee a quell’opera di William
Shakespeare Molto rumore per nulla e
lì esaurirsi. Il sacco di Renzi è pieno e fa rumore, ma può essere che sia
stato riempito di stoppie secche. Speriamo di no; speriamo che almeno si possa
dire di qui a qualche tempo tanto rumore, è vero, ma qualche cosa è stata fatta.
Il diretto interessato dice che i
suoi provvedimenti (riduzione Irpef con dieci miliardi di euro distribuiti a
dieci milioni di cittadini che percepiscono un reddito inferiore a 1.500 euro
mensili a partire da maggio), il taglio dell’Irap del 10 %, piani scuola, casa,
e soprattutto la garanzia della copertura finanziaria, è la cosa più di
sinistra che sia stata mai fatta negli ultimi vent’anni.
Il suo alleato di maggioranza e
di governo Angelino Alfano, leader del Nuovo Centro-destra, dice che si tratta
di provvedimenti di chiara matrice liberale e di destra. Dovrebbero mettersi
d’accordo, almeno per dividersi le cose, una a te e una a me. Ché, se le cose
sono le stesse, non possono essere allo stesso tempo rosse e azzurre per il
principio di non contraddizione. Va bene che questo principio non è applicabile
in politica, ma comunque un certo valore orientativo ce l’ha.
Romano Prodi ha sottolineato come
le iniziative di Renzi trovino giudizi entusiastici da parte di chi in altri
tempi era irriducibilmente critico nei confronti del governo, riferendosi al
suo. «Feci anch’io un taglio del cuneo fiscale da sette miliardi di euro – ha
detto – ma il giorno dopo gli sputarono sopra. La Confindustria mi
attaccò dicendo che non serviva a nulla.
Oggi invece c’è un senso da ultima
spiaggia e il Paese è più disponibile ad ascoltare» (La Stampa , 15 marzo 2014). Si
coglie un pizzico di amarezza in queste parole, ma dicono il vero.
La legge elettorale, Italicum a metà, per la Camera sì, per il Senato no
– quest’ultimo è stato messo in coma farmacologico e di qui a qualche tempo
tirerà le cuoia – è come uno strumento buono fino a quando non viene usato,
fino a quando cioè non si creano le condizioni per doverlo usare. Per ora si
può dire di tutto e di più. Alfano vorrebbe il voto di preferenza, per ovvi
motivi di convenienza elettorale; ma su questa strada c’è l’ostacolo
Berlusconi, col quale Renzi ha raggiunto un accordo che finora ha tenuto, pur
col taglio del Senato.
E’ certo, tuttavia, che questa
spada di Damocle sulla testa del Senato, è una furbata: non si voterà fino a
quando non sarà risolto il problema della sua trasformazione (abolizione del
bicameralismo perfetto), ma risolvere la questione del Senato non è cosa che si
fa in quattro e quattr’otto; e dunque Renzi si è assicurato un bel po’ di
tempo, diciamo tutta la legislatura.
Non è stata ben evidenziata dai
media la dichiarazione di Renzi sull’Europa: vanno bene le obiezioni europee al
nostro piano di riforme – ha detto con la solita aria spavalda – ma ricordi l’Europa
che anche lei deve cambiare. Alle viste una più generale rottamazione? Il Demolition-man, come è stato tradotto
dagli inglesi l’italiano rottamatore, potrebbe ambire al ruolo di Grande Rottamatore.
Pare che in questo gli sia compagno il francese Hollande, che nei confronti
della Germania, oggi egemone, ha sempre avuto qualche punta d’invidia.
Ma la vera novità di Renzi è la
sua toscanità. I toscani, in qualunque ambito operino, si propongono con una
smisurata autostima, al punto da ritenersi indispensabili e bastevoli da soli a
coprire con la loro sagoma tutto lo scenario operativo e competenziale. Da
Dante Alighieri, il quale nel 1300 diceva se a Roma dal papa non vado io, chi
va? e se a Firenze non resto io, chi resta?, agli Indro Montanelli e Curzio
Malaparte dei nostri tempi, sempre in voga e sempre ad avere ragione esclusiva
e assoluta, è una galleria di megalomani e di presuntuosi, sebbene geniali.
Qui, con Renzi, ci troviamo in
presenza di una caricatura – mi sbaglierò e sarei felice di ammettere che mi
ero sbagliato, ma a me tale appare questo Renzi con tutte le sue furbizie e con
tutto il culo smisurato che si ritrova, per cui tutto sembra congiurare a suo
favore – rispetto ai soliti grandi toscani che conosciamo. Ha detto che se gli
italiani non troveranno i soldi, ovvero gli ottanta euro nella busta paga di
maggio, «Renzi è un buffone». E ancora «Se non dovessi riuscire nel mio
progetto mi ritirerò dalla politica». Probabilmente ne farà altre di affermazioni
simili, in stile pubblicitario “soddisfatti o rimborsati”. Figurarsi! A me
sembra che il bombardino di Firenze ignori
la storia – quando l’avrebbe studiata? – o che abbia un io talmente ipertrofico
da lambire la patologia.
In Europa è accolto con l’etichetta consueta. Chiunque vada a
rappresentare un Paese è accolto col massimo riguardo. Forse bisognerebbe
provocare qualche capo di Stato o di governo europeo, come fanno ogni tanto in
Italia quelli della “Zanzara”, per sapere cosa effettivamente pensano di questo
personaggio, che sembra uscito da uno di quei lontani periodici per ragazzi di una
volta che erano “L’Intrepido” e “Il Monello”. Comunque sia, Renzi un po’
intrepido e un po’ monello lo è, a prescindere.
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