domenica 9 marzo 2014

L'insostenibile vaghezza di essere italiani


“La grande bellezza”, il film di Paolo Sorrentino premiato con l’Oscar quale miglior film straniero, è uno di quei racconti che si possono leggere in molti modi per ricavare altrettante impressioni o certezze. Lo stesso titolo può essere riferito o alle immagini di Roma, alcune veramente bellissime e inedite, o inteso nel significato antifrastico del termine. Alle suggestive “cartoline” romane fa riscontro nel film una carrellata di caricature, di trovate barocche, vuote di contenuto ma sorprendenti e meravigliose nell’aspetto esteriore, in una parola di “bruttezze”. Come dire a qualcuno: è la vita, bellezza!, dopo che gli hai rifilato una fregatura. Sorrentino ha voluto stupire, sorprendere, meravigliare.
“E’ del poeta il fin la meraviglia / chi non sa far stupir, vada alla striglia” diceva il suo conterraneo Giambattista Marino nel Seicento. Un secolo e una cultura terribilmente oggi di ritorno, attuali, come provano i tanti fenomeni privati e pubblici, individuali e collettivi di questa Italia di inizio millennio.
In Europa questo genere di messaggio non incanta più nessuno. Al Festival di Cannes il film di Sorrentino è stato quasi snobbato. Ma l’America è l’America! E gli ha assegnato l’Oscar.
La stampa e la televisione italiane hanno esultato, quasi l’Italia avesse rovesciato lo spread rispetto alla Germania e fossimo noi a dettar legge economica; come se la Nazionale di Calcio avesse battuto il Brasile in finale e pareggiato il conto dei titoli mondiali.
Le istituzioni si sperticano ancora  in attestati di riconoscenza al regista napoletano, nuovo salvatore della patria: “quindi trarrem gli auspici…”.
Di preoccuparci, invece, non ci passa per la mente. Ed è proprio questo il punto. Rappresenta la “bellezza” di Sorrentino la situazione italiana di oggi? L’Italia della debolezza politica, della crisi sociale, dei suicidi per fallimenti e disoccupazione, della privazione dei giovani di un avvenire esistenziale, della perdita dei valori morali e civili, del degrado in cui versa la vera grande bellezza italiana dei beni culturali? Rappresenta l’Italia che non riesce a farsi rispettare dall’India e lascia marcire colà due militari italiani colpevoli di aver fatto il loro dovere? No, assolutamente.
Allora il film di Sorrentino è solo una maschera grottesca in sé e nell’uso, soprattutto nell’uso che si vuole fare e che si sta facendo. Una maschera assolutamente inopportuna, degradante, offensiva. Può essere che quell’Italia rappresentata esista davvero; ma se pure fosse, sarebbe un’Italia da tenere nascosta, come si nascondono i quadri e gli specchi nelle case segnate dal lutto. 
L’America, premiando il film, ha voluto premiare gli italiani, il nostro modo di reagire alla gravissima crisi che ci tormenta ormai da anni e ci tormenterà per altri decenni. Ha voluto premiarci per il nostro modo di essere e di vivere, tra il superficiale e il leggero, lo svagato e “alla me ne fotto”. Mentre l’Italia delle bellezze passate cade a pezzi, noi, invece di preoccuparci di arginare il fenomeno, facciamo film per mostrare al mondo quanto siamo decaduti e decadenti.
Ancora una volta ha trionfato il becerume incartato di bello e di luci, per farlo piacere. Siamo nella scia dei grandi registi italiani, alla Monicelli più che alla Fellini o alla De Sica, che propone il nostro modo di riderci addosso e con ciò  di far ridere gli altri anche nelle tragedie e nell’epica delle guerre. Come a voler ribadire che noi italiani, in qualunque situazione ci troviamo, siamo sempre quelli di “Amici miei”. Quelli che Churchill disse che affrontano una partita di calcio come una guerra e una guerra come una partita di calcio.
Tra tutti i nostri film premiati con l’Oscar  questo è di sicuro il più mortificante, anche perché oggi non c’è neppure l’entusiasmo di altri tempi. Penso al dopoguerra di De Sica o al miracolo economico degli anni Sessanta di Fellini, quando crearono capolavori di alta rappresentatività italiana. Tempi di sofferenza e di speranza, di realizzazioni da raggiungere (De Sica) o raggiunte (Fellini).
Il film di Sorrentino ci condanna ad essere visti come gente che affronta tutto con ignavia, che si compiace dei propri fallimenti, che gode del suo essere nulla, che inneggia al più infame dei nichilismi: a quello che fa del nulla piacere e vanto.
L’Oscar assegnato ad un film simile contiene un messaggio inaccettabile: noi americani vogliamo salvare gli italiani così come sono, ci servono per svariare il tempo, per dimenticare le cose serie, per stordirci. Italiani, conservatevi: siete belli, stupendi. Voi, non i vostri beni, che vanno in malora, siete il vero  patrimonio dell’umanità.

Avremmo voluto dire: no, grazie!

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