“La grande bellezza”, il film di
Paolo Sorrentino premiato con l’Oscar quale miglior film straniero, è uno di
quei racconti che si possono leggere in molti modi per ricavare altrettante
impressioni o certezze. Lo stesso titolo può essere riferito o alle immagini di
Roma, alcune veramente bellissime e inedite, o inteso nel significato
antifrastico del termine. Alle suggestive “cartoline” romane fa riscontro nel
film una carrellata di caricature, di trovate barocche, vuote di contenuto ma
sorprendenti e meravigliose nell’aspetto esteriore, in una parola di
“bruttezze”. Come dire a qualcuno: è la vita, bellezza!, dopo che gli hai
rifilato una fregatura. Sorrentino ha voluto stupire, sorprendere,
meravigliare.
“E’ del poeta il fin la
meraviglia / chi non sa far stupir, vada alla striglia” diceva il suo
conterraneo Giambattista Marino nel Seicento. Un secolo e una cultura
terribilmente oggi di ritorno, attuali, come provano i tanti fenomeni privati e
pubblici, individuali e collettivi di questa Italia di inizio millennio.
In Europa questo genere di
messaggio non incanta più nessuno. Al Festival di Cannes il film di Sorrentino
è stato quasi snobbato. Ma l’America è l’America! E gli ha assegnato l’Oscar.
La stampa e la televisione
italiane hanno esultato, quasi l’Italia avesse rovesciato lo spread rispetto
alla Germania e fossimo noi a dettar legge economica; come se la Nazionale di Calcio
avesse battuto il Brasile in finale e pareggiato il conto dei titoli mondiali.
Le istituzioni si sperticano
ancora in attestati di riconoscenza al
regista napoletano, nuovo salvatore della patria: “quindi trarrem gli
auspici…”.
Di preoccuparci, invece, non ci
passa per la mente. Ed è proprio questo il punto. Rappresenta la “bellezza” di
Sorrentino la situazione italiana di oggi? L’Italia della debolezza politica,
della crisi sociale, dei suicidi per fallimenti e disoccupazione, della
privazione dei giovani di un avvenire esistenziale, della perdita dei valori
morali e civili, del degrado in cui versa la vera grande bellezza italiana dei
beni culturali? Rappresenta l’Italia che non riesce a farsi rispettare
dall’India e lascia marcire colà due militari italiani colpevoli di aver fatto
il loro dovere? No, assolutamente.
Allora il film di Sorrentino è
solo una maschera grottesca in sé e nell’uso, soprattutto nell’uso che si vuole
fare e che si sta facendo. Una maschera assolutamente inopportuna, degradante,
offensiva. Può essere che quell’Italia rappresentata esista davvero; ma se pure
fosse, sarebbe un’Italia da tenere nascosta, come si nascondono i quadri e gli
specchi nelle case segnate dal lutto.
L’America, premiando il film, ha
voluto premiare gli italiani, il nostro modo di reagire alla gravissima crisi
che ci tormenta ormai da anni e ci tormenterà per altri decenni. Ha voluto
premiarci per il nostro modo di essere e di vivere, tra il superficiale e il
leggero, lo svagato e “alla me ne fotto”. Mentre l’Italia delle bellezze
passate cade a pezzi, noi, invece di preoccuparci di arginare il fenomeno,
facciamo film per mostrare al mondo quanto siamo decaduti e decadenti.
Ancora una volta ha trionfato il
becerume incartato di bello e di luci, per farlo piacere. Siamo nella scia dei
grandi registi italiani, alla Monicelli più che alla Fellini o alla De Sica,
che propone il nostro modo di riderci addosso e con ciò di far ridere gli altri anche nelle tragedie
e nell’epica delle guerre. Come a voler ribadire che noi italiani, in qualunque
situazione ci troviamo, siamo sempre quelli di “Amici miei”. Quelli che
Churchill disse che affrontano una partita di calcio come una guerra e una
guerra come una partita di calcio.
Tra tutti i nostri film premiati
con l’Oscar questo è di sicuro il più
mortificante, anche perché oggi non c’è neppure l’entusiasmo di altri tempi.
Penso al dopoguerra di De Sica o al miracolo economico degli anni Sessanta di
Fellini, quando crearono capolavori di alta rappresentatività italiana. Tempi
di sofferenza e di speranza, di realizzazioni da raggiungere (De Sica) o raggiunte
(Fellini).
Il film di Sorrentino ci condanna
ad essere visti come gente che affronta tutto con ignavia, che si compiace dei
propri fallimenti, che gode del suo essere nulla, che inneggia al più infame
dei nichilismi: a quello che fa del nulla piacere e vanto.
L’Oscar assegnato ad un film
simile contiene un messaggio inaccettabile: noi americani vogliamo salvare gli
italiani così come sono, ci servono per svariare il tempo, per dimenticare le
cose serie, per stordirci. Italiani, conservatevi: siete belli, stupendi. Voi,
non i vostri beni, che vanno in malora, siete il vero patrimonio dell’umanità.
Avremmo voluto dire: no, grazie!
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