domenica 29 dicembre 2013

Se muore la Provincia di Lecce evviva la Regione Salento

Ormai si dà per scontata l’abolizione delle province. Per risparmiare soldi, dicono. Non ne siamo persuasi, sia che le aboliscano e sia che, abolendole, si risparmi davvero. Stante la Costituzione della Repubblica, quella che si dice la più bella del mondo, che i magistrati per protesta contro chi la voleva in qualche punto ritoccare agitavano come a Pechino le Guardie Rosse agitavano il libretto di Mao, le province non si possono toccare (artt. 114, 118, 128 e sgg.).
La Costituzione non è a convenienza; e, data la sua rigidità, non si presta a manipolazioni pragmatiche: o la si rispetta o non la si rispetta.
Ma, per comodità di ragionamento, mettiamo che le province, con o senza la Costituzione, vengano abolite. Quanto lo Stato risparmierà dalla loro soppressione, stando a quanto si dice, è solo questione di cifre; tutti concordano che lo Stato risparmierà. Abbiamo ragione di dubitare, e non perché abbiamo competenze tali da opporre cifre a cifre, segni a segni, ma perché non sono credibili quelle accreditate dai cosiddetti esperti. I quali, molto spesso, fanno i conti a metà, per la metà che più conviene ai loro ragionamenti.
Nessuno si chiede che cosa accadrebbe con l’abolizione delle province e quali potrebbero essere le conseguenze amministrative, politiche ed economiche. La Fornero, ministra del lavoro – per dire! – fece la riforma delle pensioni e, come il diavolo, fece la pentola ma non il coperchio, così lei si ritrovò dopo la legge con un problema che ancora grida vendetta, quello degli esodati. In Italia si inciampa perché prima di intraprendere un percorso nuovo nessuno esamina i luoghi e le problematiche del tragitto.
Quanto al risparmio, è da tre anni che lo Stato per risparmiare non fornisce più i servizi di una volta; e di benefici non se ne sono visti. Chi non si è accorto che giustizia, sanità, istruzione, ambiente e paesaggio, trasporti hanno perso efficienza, dopo tagli di tribunali, ospedali, scuole, soprintendenze, treni, strutture e personale? Dunque, gli italiani hanno bisogno di prove concrete, che finora nada. Nessuno ha visto una minchia di niente, direbbero i nostri cugini in loquela siciliani.
In realtà la soppressione delle province è un’altra allucinazione collettiva, un fare tanto per fare, perché non si dica che non si fa niente. Si dovrebbero abolire le regioni, invece, non foss’altro che per quanto i loro governi e le loro rappresentanze istituzionali hanno dimostrato in questi anni: inefficienza e sperpero di danaro per vana ostentazione di lusso e di ricchezza e per vergognosi usi e abusi personali.
Non è forse andata avanti lo stesso l’Italia nei ventidue anni in cui le regioni non c’erano? Anzi, se ben guardiamo, i guai finanziari italiani hanno le radici negli anni Settanta, dopo l’istituzione delle regioni. Le risorse accumulate col miracolo economico degli anni Sessanta sono state sperperate negli anni Settanta. E, invece, di prendersela con chi è responsabile del disastro, la classe politica, inefficiente e inefficace, se la prende con le povere province.
Non è questione di campanilismo o, ad essere onesti, pure. Ci chiediamo noi salentini: che cosa accadrà con l’abolizione della Provincia di Lecce sul piano di tutte quelle competenze che ancora oggi sono della provincia, così come previsto dalla Costituzione? Se già prima le proteste per il baricentrismo, che non deriva da baricentro, ma dalla tendenza di Bari di accentrare tutto, erano forti e i sostenitori delle esigenze salentine invocavano l’istituzione della Regione Salento, ora essa è un’autentica rivendicazione di popolo. Non è più la battaglia elitaria che da Ennio Bonea a Paolo Pagliaro ha accompagnato le competizioni elettorali e i movimenti culturali di questi ultimi anni, ma l’irrinunciabile istituzione che deve rispondere alle necessità politiche, amministrative, economiche, organizzative di una “regione” che ha di suo specificità nette ed evidenti.
In questi ultimi vent’anni il Salento è cresciuto, è diventato nel mondo una categoria culturale, e non solo per la pizzica, che certamente ha creato un alone d’interesse importante, ma anche per tante altre sue risorse naturali e potenzialità economiche. Eppure, quando si parla in televisione – ma non c’è da sorprendersi data l’ignoranza di tanti conduttori – di dialetto pugliese si fa riferimento al barese, che sta al leccese o al salentino come i cavoli a merenda. Qualcuno si chiederà: contano tanto la questione linguistica e l’immagine? Sì, bisogna tornare a dare la giusta importanza anche agli aspetti meno venali e materiali della vita.

Finora  la proposta della Regione Salento non ci aveva convinti più di tanto, anzi ci ha trovati perplessi e a volte anche critici. Se le province non fossero minacciate da abolizione, continueremmo ad essere perplessi e critici. Ma ora, davanti al pericolo che effettivamente una classe politica imbelle e sciagurata, abolisca le province, noi salentini protestiamoci Regione. Ne abbiamo tutti i diritti e le ragioni.

domenica 22 dicembre 2013

Napolitano faccia solo il cittadino!


In Italia conviene mordersi le labbra e la lingua prima di dir bene di qualcuno. Confesso di aver più volte elogiato le scelte del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per almeno i suoi primi cinque anni di presidenza. Non mi pento di averlo fatto. Chi fa l’osservatore e l’analista politico così si deve comportare, senza pregiudizi e nella libertà di giudizio, da cambiare eventualmente col cambiare del fatto e dei protagonisti.
Mi rendo conto che da almeno due anni Napolitano esercita il ruolo di Presidente in maniera difforme da quello che prevede la Costituzione e contro la stessa consuetudine. E’ vero anche – va detto a suo beneficio – che taluni suoi predecessori non si sono comportati molto meglio, Cossiga e Scalfaro, per esempio; e che oggi c’è un vuoto politico che lui cerca di riempire come può e come sa. Non è un compito facile né da poter delegare ad altri.
Cossiga, con le sue esternazioni, incominciò a picconare il sistema del quale lui era il vertice. Scalfaro “autorizzò” i giudici a far notificare a Berlusconi un avviso di garanzia mentre questi era in un convegno internazionale a Napoli come Capo del Governo del paese ospitante. Gesti di natura eversiva, fatti passare come normali, anzi meritevoli di medaglie al valore. Perché qui in Italia il metro di valutazione non è quello degli altri paesi a democrazia liberale, che si fondano sul diritto.
Rispetto a Cossiga e a Scalfaro, però, Napolitano almeno non ha compiuto gesti clamorosi; un po’ partenopei sì, facendoli passare come cose fatte alla buona e soprattutto a fin di bene. Si può dire che anche Cossiga e Scalfaro agissero a fin di bene; ma Cossiga era coinvolto nella questione assai grave di Gladio e Scalfaro in quella non meno grave della presunta trattativa tra Stato e mafia. Insomma la compagnia dei suoi due predecessori un po’ dovrebbe inquietare Napolitano, tanto più che oggi lui è chiamato a pagare per l’operato sia del picconatore Cossiga e sia del “colluso” Scalfaro.
Ha incominciato a farla di fuori, come volgarmente si dice, con la nomina di Monti a Senatore a vita nel novembre del 2011, poi con l’incarico allo stesso di fare un governo di tipo assembleare, che rispondesse più che alle Camere al Quirinale, ossia a lui. Ha continuato intervenendo in campagna elettorale agli inizi del 2012 genericamente contro i populismi, ma in specifico contro Grillo e Ingroia, poi facendosi rieleggere e dettando delle condizioni, quindi nominando dei senatori a vita di una ben precisa parte politica, ancorché non dichiarati, e continuando di fatto ad essere lui il referente del governo delle cosiddette “larghe intese”, ormai diventate una barzelletta con le varianti: sottintese, malintese, fraintese e via in invenzioni lessicali parodistiche e caricaturali, di cui noi italiani siamo maestri.
Oggi si pone il problema Napolitano. Con tutto il rispetto che si deve all’uomo va detto che la faccenda è grave, perché siamo in presenza di una persona anziana, la quale non si sente responsabile di fronte a niente e a nessuno. Questa coda presidenziale lo mette nelle condizioni, anche per la debolezza della politica, di comportarsi come vuole, senza preoccupazioni formali. La sua età lo preserva quasi da condanne – beninteso morali e politiche – perché la saggezza popolare dice che vecchi e forestieri possono dire e fare quello che vogliono. Napolitano è una cosa e l’altra: vecchio per gli anni, forestiero per la sua condizione di sopravvissuto in territorio politicamente “straniero” e forse anche un po’ “nemico”.
Cosa ha a che fare lui con le nuove generazioni di politici ormai abbondantemente presenti sulla scena dei partiti politici italiani? E’ un nonno, a cui finora gli manifestano rispetto, se non affetto. Non tutti, a dire il vero. Grillo e Brunetta lo minacciano di impeachment, mentre Marco Travaglio infuria con le sue critiche sul “Fatto quotidiano”. Non riusciranno a scalfirlo. Figurarsi, avevano minacciato sfracelli contro la Cancellieri! Poi i pifferai si sono silenziati.
Ma c’è un punto che non si può assolutamente far passare come  normale, anche se temiamo che, come per gli altri, non accadrà nulla. E’ la sua testimonianza al processo palermitano sulla da lui ereditata spinosa questione della presunta trattativa tra Stato e mafia per le stragi del 1992. Non è ancora chiaro come, quando e dove intende testimoniare.
Solo un atto di coraggio, forte e chiaro, potrebbe restituire agli italiani un minimo di fiducia dopo tutto quello che c’è stato e ancora c’è coi processi politico-mafiosi. Andreotti fu prosciolto da una certa data in poi; i reati degli anni precedenti riconosciutigli andarono in prescrizione. Il che significa che il processo, vero per certi aspetti, fu aggiustato per altri; e comunque Andreotti era colpevole di associazione mafiosa. Scripta manent.
Se qui non si chiarisce il ruolo che ebbe Scalfaro e i suoi collaboratori in quella drammatica stagione, che vide massacrare i giudici Falcone e Borsellino, e attentare ad una serie di edifici simbolo in tutta Italia, la gente ha ragione di convincersi di essere rappresentata e governata da mafiosi. E potrebbe darsi che più che ad essere noi a chiedere l’uscita dall’Europa, sia propria l’Europa a sbatterci fuori perché indegni di stare nel consesso di democrazie che da secoli hanno fatto della legge e del diritto le loro bandiere.

Napolitano può in questa non facile e drammatica situazione dire una parola di verità, restituire agli italiani la fiducia nelle istituzioni. Non il Presidente, perciò, non il “re”; ma Napolitano faccia solo il cittadino di una repubblica fondata sul diritto!

Parole chiave: Napolitano Cossiga Scalfaro Falcone Borsellino Grillo Brunetta

Argomento: Impeachment di Napolitano

domenica 15 dicembre 2013

Renzi, un caso di senilità precoce


Non ha indugiato un attimo Matteo Renzi, stravincitore delle primarie del pd, a dimostrare i segni inconfondibili di una senilità precoce. Precoce, per la verità, il sindaco di Firenze si era già dimostrato. Tu facevi il ministro del fallimento interno ed estero quando io facevo le scuole elementari. Tu facevi questo e quest’altro quando io andavo all’asilo. E via di seguito. Non erano queste le argomentazioni perfino nei confronti dei Casini, dei D’Alema e perfino di politici assai più giovani di questi? Renzi ha costruito la sua immagine di innovatore radicale col certificato di nascita. 
Gli allocchi furbi – mi si passi l’ossimoro – di questo paese hanno fatto finta di credere. Ed eccolo lì, lo zerbinotto fiorentino, formare la sua segreteria con sette femmine e cinque maschi. Sembra la famiglia numerosa di una volta. Ed eccolo convocare alle sette del mattino a Roma la prima sua segreteria. E’ ancora nell’aura della novità promessa. E con tanti “forconi” in giro, che stanno giorno e notte nelle piazze, un po’ di effetto lo fa. A quando lascerà accesa la luce del suo studio per dare ad intendere che lui è sempre al lavoro per il paese?
Ma che fine hanno fatto i suoi proclami di enfant terrible contro la Cancellieri, contro i tentennamenti del governo Letta, contro gli inciuci? Della Cancellieri non si dice più né ai né bai. Doveva fare le valigie; e, invece, è più salda di prima in groppa al cavallo governativo, nonostante il peso, non fisico s’intende, ma morale. Il governo Letta doveva accelerare e svoltare; e, invece, continua con lentezza sui binari morti della stazione napolitana. Quanto agli inciuci, eccone una dimostrazione: ha chiamato Taddei, consigliere economico di Civati, a componente della segreteria e Cuperlo alla presidenza del partito, quando lo sanno tutti, sordi, muti e ciechi, che i tre erano alternativi. Come dire, il palio è finito, si torna ai compromessi e alle soluzioni pasticciate.
Con Renzi l’Italia si sta avventurando in una nuova impresa, che ha fin d’ora tutti i caratteri delle precedenti. Questo è rassicurante per un verso, ma è maledettamente preoccupante per un altro. Non si sta cercando la “diritta via”, per dirla con un altro fiorentino, ma si sta tentando un’altra via storta, sinuosa e accidentata. Renzi, infatti, è un’altra stravaganza, dopo quelle di Bossi, Di Pietro, Berlusconi e Grillo. Il Senatur, che ancora sbraita contro Roma ladrona, si è ristrutturata la casa coi soldi pubblici e ha dato alla Patria un esemplare di fauna urbana come il Trota. Il pubblico ministero di Mani Pulite doveva fare piazza pulita di corrotti e corruttori; è finito senza far nulla, anzi, sospettato di essere lui, a sua volta, corrotto. Berlusconi è naufragato in un mare di scandali che ne hanno deturpato l’immagine di uomo, di politico e di imprenditore. Grillo…beh, Grillo fa ancora il comico e pensa che gli italiani se la cavino coi vaffanculo e quattro risate.
Se non ci vergogniamo di tutto questo, fratelli d’Italia, di che ci vergogniamo?
Forse questa di Renzi è la mamma di tutte le stravaganze. Quando mai una società complessa come la nostra si è lasciata rappresentare e guidare da una minoranza generazionale, ancorché la più propagandata dai media? Potrebbe una squadra di calcio formata tutta da quindicenni vincere la coppa dei campioni contro squadre che hanno nei ruoli calciatori che vanno dai venti ai trenta anni e passa? Via, si può essere creduloni quanto si vuole, ma c’è un limite oltre il quale si è irrimediabilmente fessi.
Napolitano, che ha  88 anni, gli ha telefonato per congratularsi. Renzi non stava neppure nell’utero di sua madre quando Napolitano era uno dei massimi esponenti del Partito comunista e faceva – secondo la lettura renziana degli ultimi cinquant’anni di storia italiana – disastri insieme coi suoi compagni e compari. Per carità, una telefonata di Napolitano nel mercato dell’importanza mediatica vale più di una chiamata di Papa Francesco, assai più inflazionata; ma è una dimostrazione che la politica è intreccio, è rete, è tessuto con gli altri.
Renzi non si è ancora reso conto che i suoi vecchi da rottamare gli stanno cucendo addosso il vestito. D’Alema ha avuto parole di resa e ha convinto Cuperlo ad accettare la presidenza del Pd. Napolitano lo lusinga. Altri faranno altrettanto. In Italia il pericolo non viene mai da chi ti osteggia, ma da chi ti tende la mano, quando altro non può tenderti. Lo fece Marc’Antonio agli assassini di Cesare a sangue ancora fumante e intanto pensava alla resa dei conti di Filippi.
Neppure se Renzi fosse un dittatore potrebbe mai fare tutto quello che ha promesso di fare. Figurarsi in un paese in cui i condizionamenti involontari sono tanti e tali da superare i nemici volontari. Non deve aver studiato molto la storia d’Italia Renzi, se non si è reso conto di come stanno le cose.
Ma, in fondo, non si può pretendere tutto da uno che faceva gli esami di maturità quando Berlusconi lanciava la sua sfida liberale e liberista ai bacucchi della partitocrazia. Salvo che non si tratti di un bugiardo conclamato, uno dei tanti furbastri espressione del sempre prolifico genio italico!
Sarebbe ingeneroso, comunque, attribuire a Renzi il nulla che persiste e che avanza. Non aveva, non può avere, la bacchetta magica. Ma proprio questo dimostra che in politica contano gli uomini, ma contano anche e soprattutto i sistemi e i contesti in cui essi devono operare.

L’invecchiamento di Renzi è cominciato. Per la rottamazione si aspetta solo che si aprano i termini per fare la pratica.

Parole chiave: Renzi Casini D'Alema Cuperlo Napolitano Papa Francesco

Argomento: Renzi è già vecchio 

mercoledì 11 dicembre 2013

Fascisti e comunisti, destini paralleli


Qualche anzianissimo del secolo scorso ricorderà una strofetta che si canticchiava in epoca fascista: “fascisti e comunisti giocavano a primiera e vinsero i fascisti con la camicia nera”. Fascisti e comunisti hanno tutt’altro che giocato, in verità, ma era un modo eufemistico per significare lo scontro fra questi due soggetti della politica e della storia del Novecento. Se si pensa alla fine che hanno fatto gli uni e gli altri si ha ragione di dire che davvero quel secolo è finito, morto e seppellito. Gli uni ingloriosamente ingoiati dal moloch Berlusconi, gli altri non meno ingloriosamente ingoiati dal moloch Renzi; entrambi campioni di un certo tipo di politica preideologica.
Finiti, senza neppure che se ne rendessero conto. I loro dirigenti non hanno saputo prevedere dove portavano certe loro scelte, che, al momento in cui le facevano, sembravano tanto necessarie quanto felici. Le idee di Renzi, in verità, avevano già conquistato una parte degli ex comunisti. Veltroni era un infatuato. D’Alema coglieva qualche aspetto positivo ed era rassicurato dell’abbondanza di olio ideologico che ancora c’era nella lampada comunista.
Una delle qualità di un politico è la lungimiranza, la capacità cioè di vedere per tempo dove va la società e dove porta una scelta invece di un’altra nell’intento di accompagnarla verso i necessari traguardi; un po’ come nel gioco degli scacchi. Gli strumenti per perseguire gli obiettivi sono i partiti, comunque li si voglia chiamare. La loro efficienza è garanzia di buona riuscita politica. Le scelte che li riguarda sono perciò fondamentali. Di qui il perseguimento anche del loro continuo miglioramento, attraverso opportune scelte strategiche. Salvo che queste non vengano fatte consapevolmente per liquidarli, anziché migliorarli.
Quando Gorbaciov introdusse la perestrojka e la glasnost ci fu chi giustamente ravvisò i pericoli che sarebbero derivati al comunismo. Si minimizzò all’epoca, dicendo ma in fondo un po’ di chiarezza, di trasparenza farà bene al partito e alla società. E’ andata a finire come abbiamo visto, col crollo del comunismo, come movimento e come regime.
Per venire alle cose nostre, la nascita di An, voluta da Gianfranco Fini, e il successivo confluire nel Pdl di Berlusconi hanno di fatto dissolto un partito che pure aveva resistito a due guerre perse e a cinquant’anni di persecuzioni, discriminazioni, difficoltà varie. Anche in questo caso si disse che il Msi aveva esaurito la sua funzione storica e che doveva necessariamente tralignare in qualcosa di più democratico e liberale. Pochi ipotizzarono che si sarebbe andati incontro alla morte di un’idea politica ben precisa; e cercarono di salvare il salvabile. Anche qui l’acido berlusconiano ha dissolto il partito di Almirante.
Non diversamente ha fatto il Pci, in tutti i suoi successivi passaggi, dalla Bolognina alla nascita del Pd, attraverso il Pds, Ds e Ulivo, fino ai giorni nostri. Non si volle cercare di vedere quali sarebbero potuti essere gli esiti di un così lento dissolversi a contatto con l’acido del pensiero cattolico-moderato.
Più in generale qualche anno fa ci fu un coro di evviva e di osanna alla morte delle ideologie, senza che a nessuno venisse in mente quale sarebbe potuta essere di lì a non molto la conseguenza sul piano dell’organizzazione e della funzione politica.
La vittoria bulgara di Renzi alle primarie del Pd di domenica 8 dicembre ha fatto dire ironicamente a qualche commentatore politico: un bambino in Italia ha mangiato i comunisti. Giusto per rifare il verso alla battuta secondo cui i comunisti in Russia mangiavano i bambini.
D’Alema, l’ultimo dei resistenti, si è arrabbiato molto in questi ultimi tempi. Non voleva che Renzi corresse per la segreteria, ma per la candidatura a premier. Quando ha capito che il Sindaco di Firenze avrebbe puntato alla segreteria, si era voluto convincere che avrebbe perso, certo che nel partito la maggioranza fosse dei comunisti. Invece Renzi incominciò a vincere coi voti dei tesserati nei congressi sezionali di ottobre e ha stravinto coi voti degli elettori non iscritti al partito. Una vittoria che ha fatto esclamare Civati, con una punta di cordiale risentimento, “e no, così non vale!”. E va bene che il Pd si sputtanò con le tessere “false” nei congressi e si è sputtanato coi voti “mandati” nelle primarie. Ma cosa fatta capo ha. Machiavelli insegnava che l’importante è vincere, perché quel che si ricorda è la vittoria non il modo in cui la si è ottenuta.
Ora, non c’è neppure da chiedersi se Renzi riuscirà o meno a risolvere la crisi politica italiana, tanto è evidente che si tratta di un cachiello, il cui profilo politico non ricorre in nessuno dei pensatori  politici da Aristotele ai nostri giorni. Non riuscirà. Ma c’è un aspetto importante del fenomeno Renzi ed è quello di aver liquidato i comunisti, ridotti ad essere una minoranza dopo essere stati la maggioranza di casa. Una maggioranza, però, fatta di figli di un dio minore, quando benché fossero tantissimi non riuscivano a farsi accettare dal popolo italiano e dovevano mimetizzarsi dietro gli ex/post democristiani.
Quelli che oggi nel Pd non hanno dimenticato chi sono e da dove vengono, parlo dei comunisti ovviamente, ormai ridotti ai minimi termini, se vorranno salvare la loro storia e la loro idea di politica dovranno mettere la questione su binari diversi. Se non lo faranno, lusingati dall’idea di poter vincere le elezioni con Renzi, o spaventati dalla favola che il Paese è sull’orlo del precipizio, perderanno quel poco che gli è rimasto. Se sarà un bene o un male, è cosa da vedersi. Ma così sarà.
Non meglio stanno i fascisti, ormai ridotti a gruppuscoli di protestatari ai limiti delle leggi dello Stato, che sono tutte rivolte ad una ben più pesante damnatio delle idee di una certa destra che ai tempi della Democrazia cristiana erano tutto sommato tollerate se non si configuravano come dichiarato partito fascista organizzato. Oggi è reato parlar male dei negri, delle donne, dei gay, degli ebrei e via di seguito. Quelle che prima erano idee che non si condividevano ma che non si impediva a nessuno di avere oggi sono reati da perseguire. Tra poco ai fascisti non rimarrà neppure la libertà di avere in casa dei libri o delle immagini. E ad impedirglielo non sono i comunisti, coi quali si potrebbe riprendere a “giocare”, ma i socialdemocratici di Bruxelles.

Parole chiave: Fascisti Comunisti Fini D'Alema Veltroni Renzi

Argomento: Fine di fascismo e comunismo 

domenica 8 dicembre 2013

Non si capisce più niente! Siamo tutti brutti, sporchi e decaduti


Chi gliel’ha fatta fare a Napolitano a farsi rieleggere! Il di più – è notorio – è sempre del Maligno. Che qui non è il diavolo, è semplicemente il peggio. E il peggio è il “decadutismo”, ossia la tendenza a far decadere mentre si è a propria volta decaduti. Il fenomeno che oggi in Italia sta devastando il tessuto istituzionale e rischia di gettare il paese nel caos. Una sorta di febbre del bowling, dove tutti sono allo stesso tempo palle e birilli. Mancano i giocatori. Chi non è decaduto, scagli la prima palla!
Diamo uno sguardo. La Corte costituzionale, eletta dal Parlamento, ha sentenziato che la legge detta Porcellum, che ha espresso ben tre parlamenti dal 2006 al 2013, è incostituzionale. Ergo, il Parlamento è illegittimo e illegittimi sono i suoi atti compiuti, compresa la nomina dei giudici della Corte costituzionale, compresa l’elezione bissata del Presidente della Repubblica, compresa la decadenza di Berlusconi, tanto per citare i casi più eclatanti.
Decaduto a chi? – ha ragione di dire il Cavaliere – siete tutti decaduti e figli di decaduti. E, tanto per incominciare, io dichiaro decaduti i Senatori a vita, che, a prescindere dai requisiti, sono stati nominati da un Presidente decaduto. Ma stavano così bene in casa loro, quelle eccellenze! Napolitano, che era già nei guai, li ha voluti compagni al duol.
Altro che sesso degli angeli! Qui non si capisce davvero chi oggi in Italia sia nella legittimità di decidere qualcosa. Potessimo almeno affidarci al Papa, come nel Medioevo!
Chi è senza incostituzionalità scagli il primo voto! Le maddalene possono stare tranquille, non ci sono più voti. E per fortuna! Se no il paese si trasformerebbe in una di quelle battaglie dove tutti scagliano arance o pomodori sugli altri, in un’orgia indescrivibile di feriti veri e apparenti.
Il costituzionalista Michele Ainis, brillante pubblicista, anticipando il Presidente Napolitano, ha detto che il Parlamento è legittimato a svolgere il suo compito e che i compiti già svolti sono altrettanto legittimi. Che si fa – ha detto Ainis con un po’ di macabro umorismo – si uccide il bambino nato per una legge sulla gravidanza assistita poi giudicata incostituzionale? Via, siamo seri.
Già, ma proprio questo è il punto: è possibile essere seri oggi in Italia?  Il Porcellum lo si sta ingrassando da ben otto anni. Dove stavano i giudici della Corte costituzionale, che pare siano tra i più pagati al mondo e che a vederli sembrano i criticoni dei Muppet-show? Dormivano, erano fuori stanza, erano in ferie, erano in licenza per malattia? Non potevano intervenire subito a dichiarare incostituzionale una legge che ha fatto scialacquare destra e sinistra e perfino i grillini, che addirittura volevano perpetuarla? No! Se no che paese straordinario saremmo?
Ora non si sa che cosa possa accadere. I costituzionalisti, che in Italia quanto a numero se la patteggiano coi commissari unici di calcio, ne sparano a iosa. Stanno venendo fuori le cose più strane, più bizzarre e allegre e, come nelle telenovelas, si rimanda il seguito alla puntata successiva, che sarà la pubblicazione della sentenza sulla “Gazzetta Ufficiale”. Tra le ipotesi più esilaranti perfino la decadenza degli eletti col premio di maggioranza per procedere alla sostituzione col criterio dell’assegnazione dei seggi col metodo proporzionale.
Verosimilmente non accadrà nulla. C’è un vecchio principio, cui si appellava Curzio Malaparte, cosa fatta capo ha. Chi c’è c’è, e chi non c’è, se ne faccia una ragione. Questo Parlamento, pur delegittimato dalla sentenza sul Porcellum, continuerà, part-time, però. E’ finito il posto fisso anche per loro, cioè fino a quando non farà una nuova legge elettorale per andare subito dopo al voto.
Sembra una cosa da niente, detta così; invece è una questione maledettamente complicata. In Italia non si pensa mai a trovare soluzioni per il paese e nella prospettiva dell’efficacia di un provvedimento erga omnes, ma si cerca il modo come fottere il prossimo, nella fattispecie, come dicono gli avvocati, escogitare un sistema per vincere le elezioni. Il resto si vedrà. Ma è pensabile che questi signori – si fa per dire – siano talmente fessi da affrettarsi a decadere? Saranno capaci di rimandare tutto alle calende greche!
Bisogna convenire che la situazione benché tragica non è seria. Perfino Prodi è tornato in partita. Aveva detto che non avrebbe votato alle primarie del Pd; è di ieri la sua dichiarazione: andrò a votare. Sai, che notizia rassicurante! Ma la notizia non è senza senso: a Prodi devono aver promesso l’elezione a Presidente della Repubblica, dopo che Napolitano lascerà ingloriosamente la carica. Prodi vota? Se poi sarà veramente votato è da vedersi, ma intanto si può pensare che Napolitano ha deciso di lasciare.
Intanto avanza il nuovo: Renzi, Cuperlo e Civati a sinistra si contendono una carica che ha portato sfiga a chi l’ha ricoperta finora. Epifani a parte, a cui è andata bene proprio perché non aveva grilli per la testa. Fossi in uno dei tre mi attrezzerei di corni e di gobbi. C’è poco da scherzare!
Dall’altra parte il signor Quid, ovvero Alfano, ha presentato il simbolo del suo partito: un quadrato blu con dentro le lettere NC e fuori quadrato la lettera D, Nuovo Centro Destra. Gli sarebbe bastato posporre la D con la C e avrebbe ottenuto Nuova Democrazia Cristiana. Qui, davvero è il colmo! Forza Italia e il Nuovo Centrodestra si sono divisi, intanto dicono di essere alleati e perfino i più alti rappresentanti del Nuovo Centrodestra dicono che il loro leader è Berlusconi.
In questo grandissimo casino il popolo italiano versa in sempre più gravi condizioni economiche. Letta a parte, che dice di sentirsi sempre più forte del giorno prima, ma rimanda il miglioramento al giorno dopo, non c’è chi effettivamente non si nasconde il peggio. Siamo sempre più vicini alla Grecia, con la differenza che noi, men che averla, non la scorgiamo neppure con la fantasia un’alba più o meno dorata. Per noi è notte fonda!

Parole chiave: Napolitano - Consulta - Porcellum - Primarie Pd - Alfano - Berlusconi

Argomento: Incostituzionalità Porcellum


domenica 1 dicembre 2013

Il dopo Berlusconi e la crisi istituzionale


Ciò che sorprende in tutta la vicenda della decadenza da senatore di Berlusconi è che nessuno, dentro e fuori il parlamento e il governo, ha riflettuto sul fatto che i rappresentanti del popolo, dalle elezioni del 2006 alle ultime del febbraio 2013, in quanto espressione di un sistema elettorale incostituzionale – presto l’incostituzionalità la ufficializzerà anche la Consulta – vivono e operano in condizioni di illegittimità sostanziale. Perfino il Presidente della Repubblica Napolitano, per il secondo mandato ricevuto, è espressione di un’assemblea illegittima in radice. Ergo: è un Presidente illegittimo! Ben inteso, questa legge è stata considerata incostituzionale solo dopo che non ha dato gli esiti di governabilità attesi, aspetto che attiene la politica non già il principio. Vedremo quali spiegazioni di merito darà la Consulta.
Questa situazione, assurda in qualsiasi altro paese europeo o dell’occidente moderno, qui in Italia è normale, anzi normalissima. E’ così normale che nessuno ci pensa, nessuno ne parla. Si potrebbe obiettare che si è in presenza di un caso di usucapione; ovvero sì, la situazione è anomala, perfino illegittima, ma siccome sono passati degli anni, ci sono stati parlamenti e governi diversi, frutto di questa legge elettorale, la situazione è da considerarsi normalizzata, o per lo meno tale fino a nuova legge sostitutiva. Esattamente come accade a chi, pur non essendo proprietario di un passaggio, dopo un po’ di anni che passa sempre di lì senza che nessuno lo contesti ne acquisisce il diritto per usucapione. Il porcellum, così viene detto il sistema elettorale padre di questa situazione, ha porcellizzato deputati, senatori e loro estensioni, in alto e in basso loco.
Non entro nel merito della decadenza di Berlusconi, rischierei di ripetermi. Dico solo che è responsabile di comportamenti assolutamente riprovevoli, a livello non solo morale ma anche legale, ma è altrettanto vero che prove i giudici non sono riusciti a trovarne e che da vent’anni subisce la persecuzione della magistratura. Una persecuzione tanto più grave quanto più la magistratura, che se ne è fatto carico, è di parte e nello stesso tempo deficitaria e omissiva di impegno su altri fronti. L’Italia è il paese della mafia e delle mafie; è il paese in gran parte reso invivibile a causa da una parte della malapopolazione che opera a danno della società e dall’altra della magistratura, che, in tutt’altre faccende affaccendata, fra cui l’aspirazione a far politica con e senza la toga, lascia il paese alla mercé di chi lo vuole. In Italia – e completo il pensiero – ci sono delinquenti, malfattori, imbroglioni a tutti i livelli; ma di essi la magistratura se ne occupa proprio quando non ne può fare a meno e spesso proscioglie con una facilità che offende il buon senso. Vedi il caso Cancellieri. Bisognerebbe ricordarsi di quell’amara riflessione fatta circa duemila anni fa dal poeta Ovidio, il quale, relegato a Tomi per i bunga bunga romani, si rodeva il fegato pensando che bene vixit qui bene latuit (visse bene chi ben si nascose). Mettiti a sinistra, magari nasconditi a sinistra, e fotti quanto più puoi, male che ti vada, non ne uscirai con le ossa rotte. Questa è la lezione!
Ma torniamo all’incredibile situazione in cui versiamo. La prima urgenza è di recuperare una condizione di legalità, approvando una nuova legge elettorale e votando immediatamente dopo. Il tempo che i soliti furbi cercheranno di farci perdere, magari in nome di chissà quali urgenze e priorità, potrà servire a loro per crearsi condizioni politico-elettorali di vantaggio. Abbiamo sentito che tutti, sia i tre che si contendono la segreteria del Pd, sia quelli del Pdl, Forza Italia e Nuovo Centro-destra, pongono al vertice delle priorità la legge elettorale. Questo nelle parole. Nei fatti, invece, non pensano affatto né alla legge elettorale né al voto. Il governo Letta promette o minaccia, a seconda dei punti di vista, di durare fino al 2015. E’ probabile che questo non accada, ma intanto si cerca di accreditarlo come possibile. Letta continua a dire ogni giorno di essere più forte del giorno prima, ma rimanda al giorno dopo i miglioramenti dell’Italia. Ha incominciato a dire che qualche miglioramento già si vedeva quest’estate, ora dice che si vedrà nel 2014. Una specie di racconto da Mille e una notte, quando la bella e furba Shahrazad allungava il racconto di notte in notte per non essere giustiziata. Letta, più forte del giorno prima – dice lui – promette il miglioramento al giorno dopo, con la speranza che lo facciano durare.
Le primarie Pd dell’8 dicembre potrebbero dare una prima scossa alla situazione. Se, come si dice, vincerà Renzi, non potrà non accadere nulla. Intendiamoci, non perché si nutra molta speranza in questo banditore della politica – il sacco potrebbe essere pieno di foglie secche, come dice un vecchio proverbio – ma perché gli altri, che a me sembrano assai più attrezzati, dico Cuperlo e Civati, concorreranno a smuovere le acque prima che diventino limacciose. E’ assai probabile che il Governo Letta spiri a gennaio o a febbraio dell’anno prossimo, in modo che si voti a primavera.
Resta l’incognita della legge elettorale. Essendo stato già abolito il porcellum dalla Consulta, in difetto di tempi utili per approvare un’altra legge, probabilmente si voterà col mattarellum. Il che aprirebbe scenari imprevedibili. Quando fu introdotto, infatti, nel 1993, la situazione politica era decisamente diversa dall’attuale. Il primo beneficiario fu proprio Berlusconi che vinse le prime elezioni, nel 1994, col nuovo sistema elettorale.

Giuseppe Maranini, grande costituzionalista, acerrimo nemico della partitocrazia, ammoniva che il sistema elettorale è determinante per la corsa al potere, che c’è un rapporto diretto tra il sistema e il successo elettorale. Non è detto che uno stesso partito vinca le elezioni quale che sia il sistema elettorale. I protagonisti della politica lo sanno ed ecco perché sulla legge elettorale tutti dicono che si deve fare, ma poi tutti perdono tempo. 

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Argomento: crisi istituzionale