domenica 28 giugno 2015

Immigrazione e terrorismo: il morbo infuria


Basta davvero l’onestà a conciliare i cittadini con la politica? Ne dubito. Se pure la gran parte dei politici diventasse di colpo onesta – la qual cosa non sta né in cielo né in terra, almeno in Italia – ciò non basterebbe a far trovare nei cittadini un minimo di fiducia nella politica. Essa pare sempre più una gabbia di matti.
Prendiamo l’immigrazione. I capi di governo europei si riuniscono a Bruxelles e approvano una risoluzione secondo la quale nei prossimi due anni quarantamila immigrati devono essere distribuiti ai vari paesi europei, i quali però non hanno l’obbligo di accettarli. E che significa? Significa esattamente quello che è oggi lo spettacolo a cui stiamo assistendo e cioè che Francia, Austria, Inghilterra ed altri diranno: non è chiaro se si tratta di profughi o di immigrati per lavoro, perché voi italiani, che avete l’obbligo di accertarlo non lo avete accertato.
Renzi, che vende coriandoli dalla mattina alla sera, è soddisfatto perché – dice lui – ha trionfato l’Europa della solidarietà e non dei muri, alludendo a quello che gli Ungheresi vogliono innalzare lungo il confine con la Serbia. E poi – aggiunge, rivoltosi alla sua sinistra – non dobbiamo temere di usare parole come rimpatrio; chi non è in regola va rimpatriato. Parla come Bossi e Fini.
Vi sembra chiaro? Vi sembra logico? E’ la follia pura. Si spendono tanti quattrini per mantenere una flotta nel Mediterraneo per accogliere gli emigranti e poi se ne spendono altrettanti per riportarli indietro. Ma, insomma, questi emigranti vanno aiutati o no? Ma soprattutto è giusto e sostenibile che per ogni emigrante si spendano 40 euro al giorno, per svariati milioni di euro all’anno, mentre i cittadini italiani riescono a malapena a sbarcare il lunario? Fino a che punto si può ostentare ricchezza mentre non si ha di che vivere? E poi, quanti di questi emigranti, sono terroristi che vengono in Europa per compiere attentati e tagliare teste a pacifici cittadini? Sono domande, che indipendentemente se la gente se le pone con più o meno consapevolezza ognuno le sente nell’incertezza del vivere quotidiano. Intanto, mentre a Bruxelles chiacchierano a vuoto, l’Europa viene invasa da tanti soggetti, provenienti dalle più disparate parti del mondo, che finiranno per alterare l’identità dei popoli europei. E’ messo in conto questo? E’ probabile che alcuni se lo augurino addirittura; ma ci sono altri che non sono dello stesso avviso.
Ernesto Galli Della Loggia, in un suo editoriale del 24 giugno sul “Corriere della Sera”, dice che l’Italia, che non fa figli, ha bisogno degli emigranti che invece li fanno. “Degli immigrati – dice – noi abbiamo bisogno; altrimenti nel giro di pochi decenni la nostra economia si fermerà, e saremo condannati a divenire una società di vecchi poveri, senza pensione, isterilita, priva di energie vitali, di creatività. […] Senza l’immigrazione ci avvieremmo ad una lenta ma irreparabile scomparsa”. Poi aggiunge: “Noi tutti vogliamo invece che l’Italia viva. E che lo faccia restando il Paese che conosciamo e che si è costruito nei secoli della sua tormentata e lunga storia. Vogliamo legittimamente, insomma, restare italiani” (Il realismo saggio sui migranti). E quale è la sua ricetta? “L’obiettivo – dice – è di fare degli immigrati altrettanti nuovi italiani”.  
Ora, dico io, si può essere così contraddittori e incongruenti? Come si può rimanere gli italiani che siamo sempre stati con componenti etniche che si aggiungono in quantità crescenti? Non è solo questione di terrorismo, di bande di ragazzi che armati di machete assalgono controllori dei treni o carabinieri o vigili urbani; di rom che deturpano il decoro urbano e inquinano la convivenza civile della popolazione; di paesaggio, che non è certo europeo, nel momento in cui dovunque ti volgi vedi neri, indiani, cinesi, asiatici. Tutti questi potrebbero anche diventare dei buoni “italiani”, magari più onesti e rispettosi della legge degli italiani-italiani. Ma con essi l’Italia non potrebbe più essere il Paese che è sempre stato. Sarebbe un’altra Italia.
Galli Della Loggia sembra scrivere molto spesso su commissione della ditta “Corriere della Sera”, in genere per rabbonire, per tranquillizzare quelli che secondo lui “sono meno favoriti dal punto di vista socio-culturale”. Per lui la questione si risolve tranquillizzando la gente meno provveduta.
E, invece, perché non fare un discorso più consequenziale? Gli italiani non fanno figli? Bene, occorre convincerli a farli, con una saggia politica demografica, impedendo unioni civili, matrimoni fra gay, favorendo le nascite con premi e facilitazioni, dando il reddito di famiglia alle donne sposate, a tutte. Solo così si può crescere in italianità e rimanere italiani.
Si dirà: ma questo è fascismo! Chiamatelo come volete, ma è il solo rimedio alla gravissima crisi che sta sconvolgendo l’Italia e l’Europa tutta. Bisogna avere il coraggio di liberarsi delle parole scomode, delle parole tabù e affrontare i problemi con sano realismo. Se le parole non piacciono se ne possono trovare di nuove.
Il terrorismo intanto si sta scatenando. Gli attentati di venerdì 26 giugno, hanno dimostrato che ormai non basta difendersi, ma occorre attaccare, andare ad affrontare i terroristi sul loro stesso campo e far loro capire che gli “infedeli” non sono solo quelli che fanno satira politica e religiosa, che vanno a visitare i musei, che si prendono il sole sulla spiaggia, ma sono anche quelli che hanno fatto la storia del mondo lottando con coraggio, disposti a riprendere le armi per difendere la loro gente, la loro civiltà, il loro benessere così faticosamente raggiunto.  

domenica 21 giugno 2015

Fabrizio Corona, ovvero l'arroganza della misericordia


Fabrizio Corona è stato scarcerato. L’hanno avuta vinta loro: gli eroi del mondo televisivo, del gossip, del chiacchiericcio su amanti, tossicodipendenti, omosessuali, tatuati, balestrati, teppisti, arroganti estorsori, costruttori di scandali. Fabrizio Corona, noto alle cronache giornalistiche e televisive per le sue estorsioni, per i suoi crac finanziari, per le sue smargiassate, per le sue minacce pubbliche, per gli insulti alla gente, ai magistrati, è stato affidato alla Comunità di don Mazzi per essere recuperato dalla tossicodipendenza. Paradossalmente un vizio, che dovrebbe ancor più legarlo al tavolaccio e al silenzio, lo fa uscire dalla galera e lo mette ancora una volta al centro della scena, agli onori degli altari neopagani, dove si consumano riti tossici per la salute pubblica.
Il suo mondo ha esultato; e subito le televisioni hanno ricominciato a riproporlo in tutte le salse: nudo, vestito, seminudo, con le sue svergognatissime fans che lo abbracciavano, se lo stringevano, lo baciavano. Sembrava uno liberato dopo un lungo sequestro da parte di terroristi.
Il nostro mondo, che è opposto al suo, è stato costretto invece ad ingoiare amaro e considerare che purtroppo per quell’universo di valori in cui crede non c’è più niente da fare. Oggi trionfa un mondo misto di imbecille violenza, di blesa arroganza, di diabolica misericordia e di infinita fede nel recupero anche di un avanzo di galera, non solo e non tanto inutile quanto e soprattutto dannoso all’umanità.
Dicono che si sia pentito. E di che? E quanto vale socialmente un pentimento che in nulla differisce dalla sua solita arroganza, dai suoi soliti tatuaggi, dalla sua solita spavalderia, dalla sua immagine di bullo che può fare e dire tutto quello che vuole, tanto nessuno gli può fare niente. Pentito? E quando e come lo dimostra?
Per prima cosa la sua scarcerazione, se veramente dovuta a considerazioni caritatevoli, doveva rimanere segreta, proprio per l’alta tossicità del personaggio e dei suoi trascorsi. Invece è apparsa subito come una nuova messa in scena del solito film, anzi di un remake, con i suoi ammiratori che si chiedono: ma se questo è pentito davvero, è una iattura, siamo fottuti; e gli altri: questo finge di essere pentito, è l’ennesima fregatura sociale.
Pur lasciando da parte le migliaia e migliaia di detenuti che sono in carcere per reati minori dei suoi, c’è da dire che un trattamento del genere non si giustificherebbe nemmeno ad un ricercatore che libero potrebbe scoprire il farmaco per guarire dalla sla o dai tumori. Figurarsi per uno che se non ci fosse sulla faccia della terra si registrerebbero meno obbrobri, cattiverie e malvagità.
Ma lo scandalo non si ferma al bullo incoronato, all’untore, si allarga come nei più bei casi di contagio, e coinvolge personaggi dello spettacolo, i quali hanno fatto addirittura petizioni di grazia, televisioni che hanno ospitato appelli come se si trattasse di evitare la pena capitale ad una povera donna rea di non essere islamica ma cristiana, come è pure accaduto.
Si è detto: ma è giusto che un povero giovane che è rimasto vittima di se stesso – e che significa vittima di se stesso? – debba fare tanti anni di galera in regime di 41 bis quasi fosse un altro Totò Riina?  Certo che è giusto! Giustissimo! E i tanti, di cui nessuno sa niente solo perché non sono diventati i nuovi eroi dello spettacolo, non stanno in carcere, non stanno scontando la loro pena? Questa domanda se la fa il cittadino che lavora con sacrifici, che paga le tasse, che rispetta la legge, che si condanna all’anonimato perché mai si sogna di commettere qualcosa di spettacolarmente eclatante. O questo cittadino non conta più niente nella società? E’ una pietra che non serve neppure ad alzare di un millimetro la costruzione del muro?   
La verità è amara. Oggi non sei nessuno se non sei un delinquente, un ladro, un assassino, un trans, un omosessuale, un diverso. Non sono io che metto insieme tutte queste categorie, ma è la società che ha nei loro confronti il medesimo trattamento, pietoso misericordioso premiante. Oggi se non sei un matricolato, sei nessuno.
Davanti alla giustizia se sei un buon cristiano sei fottuto, non meriti niente, non sei vittima di te stesso, al massimo di altri, che vanno compresi e perdonati, non costituisci opportunità per lo Stato di dimostrare la sua magnanimità, la sua misericordia. Pecca fortemente – dice papa Francesco, male interpretando Lutero – e credi fortemente. Aspettiamoci pure un pensiero pubblico del Papa al nuovo redento. La pezza evangelica è già pronta: la pecorella smarrita è stata ritrovata. E le altre? Non contano, le pecore che non si smarriscono sono massa informe che non conta nulla. Il sale del mondo è in chi si smarrisce. Amen!

domenica 14 giugno 2015

Contrismo e pensiero unico: il coraggio delle idee


Io credo che l’attuale società italiana, ma più in generale europea ed occidentale, stia vivendo una crisi di respiro, di autosoffocamento, nel senso che non riesce a far entrare aria di ricambio nel suo bunker di certezze. Domina il pensiero unico, fondato sull’accettazione incondizionata di una serie di “valori” che vestono la vita in bianco e nero: da una parte c’è il bene, dall’altra il male. Paradossalmente il pensiero dominante non è condiviso convintamente che da una piccola parte del pubblico; la stragrande maggioranza è obnubilata dalla propaganda o dalla convenienza di non dispiacere agli altri, secondo un istinto di condivisione comune di ciò che appare, perché propagandato come unico comune bene. Se non si è d’accordo si viene confinati nel male; ciò che a nessuno piace. Questo pensiero si fonda sulla legittimazione dell’assioma “è lecito ciò che mi piace e perciò mi sia consentito”. Tanto, per il presupposto che gli individui sono tutti eguali e tutti hanno gli stessi diritti, a prescindere da ogni condizionamento storico o necessità sociale. Alcuni esempi:
- Un maschio vuole diventare femmina e viceversa? Glielo si conceda.
- Una coppia vuole che i figli prendano il cognome della mamma piuttosto che del padre o di entrambi, alla spagnola? Glielo si conceda.
- Gli omosessuali vogliono sposarsi e adottare bambini? Lo si conceda.
- Milioni di individui lasciano la loro terra e si riversano nella terra altrui? Lo si conceda.
- Una donna non può concepire secondo processo naturale? Le si conceda di farlo secondo le tecniche odierne.
-  Due coniugi vogliono un figlio con gli occhi azzurri e i capelli biondi? Lo si conceda se c’è una tecnica adeguata.  
- Una donna non vuole partorire se già incinta? Le si conceda di abortire.
- Un coniuge non vuole più l’altro coniuge, indipendentemente dal motivo? Gli si conceda il divorzio a prescindere.   
- Una donna vuole diventare prete? Pardon, pretessa? Lo si conceda.
-  Una persona vuole ammazzare un’altra per una ragione qualsiasi? No, questo no, ma se già l’ha fatto, venga compresa nel suo individualissimo bisogno e la si metta in libertà dopo un periodo di rieducazione.
- Una persona vuole soddisfare un desiderio o un bisogno e non ha i mezzi? La si comprenda e se ricorre al furto, alla rapina o all’omicidio, le si prepari una via d’uscita comoda e tranquilla.
Si potrebbe continuare in questo processo di deregulation, di abbattimento cioè di modelli e di regole da osservare.
Chi si oppone a tutto questo in nome di altri modelli etici, famigliari e sociali, è l’unico a non avere diritto alla comprensione e alla legittimazione. Costui è un reprobo, un malvagio, indegno di stare nella società dei buoni, degli eguali; è un fascista, è uno da mettere alla gogna, che ha sempre torto con chiunque abbia una lite o un semplice dissenso. La persecuzione del dissenziente o del contrista è sistematica, terroristica. Chi si oppone ha cucita sul petto la stella che lo espone alla pubblica persecuzione.
E’ per questa discriminazione di base che la gran parte degli esseri si guarda bene dal pronunciarsi contro l’andazzo imperante e a condannarsi all’ostracismo. Così, pur avendo forti e convinte riserve o addirittura avversione per certe cose, dice che è d’accordo, esprime consenso, addirittura entusiasmo. Un consenso del genere può diventare invasivo e opprimente come accade nei regimi totalitari. Si verifica l’assurdo che un simile consenso, se pure di facciata, porta la società verso il suo annientamento. Pochi vogliono giungere ad un porto, ma tutti prendono l’unica nave che a quel porto fa approdare.
Contro una simile deriva è necessario essere contro, dirlo apertamente, battersi perché certe cose non passino, opporsi con tutti i mezzi; e occorre farlo anche provocatoriamente, esageratamente, perché come in natura così nella società ad una forza occorre contrapporsi con un’altra forza uguale e contraria.
Chi non vuole che la nostra Italia venga invasa da immigrati africani e asiatici, che in prospettiva muteranno e annienteranno la nostra civiltà, oltre che crearci danni nell’immediato, lo deve dire forte e chiaro, strafottendosene del papa, del presidente della repubblica, del presidente del senato, del presidente della camera e di qualsiasi altro presidente o persona per così dire di alto profilo o di riguardo. Tra tutti i diritti di cui un individuo deve godere quello di essere contro è il più naturale.
Oggi la società ha bisogno di anticorpi, ha bisogno di eroi. Questi anticorpi e questi eroi sono i contristi, quelli che non hanno difficoltà a dirsi e a farsi contro tutto ciò che guasta l’appartenenza culturale, l’identità civile, il modello sociale in cui si crede.
A chi ti dice: ma a te che importa se due gay si sposano, occorre rispondere che importa assai perché si sta parlando della comune società. Non esistono due società: la tua e quella dei gay. Esiste una sola società: o la tua o la loro.
A chi ti dice che accogliere i bisognosi è un principio indiscutibile, risponderai che l’accoglienza deve essere sempre razionata, da ratio (ragione) e che nessuna accoglienza può mettere in crisi la propria esistenza, l’equilibrio sociale. Non esistono due Italie: la tua e quella di chi vuole ibridare una civiltà di tre millenni; dunque o la tua o la loro.
A chi ti dice che così non concedi libertà agli altri, risponderai che è tutto il contrario, sono gli altri che non danno libertà a te, perché essi intendono costruire una società che non concede di esistere a chi non la pensa come loro; risponderai che la libertà va intesa entro una cornice di cose condivise e che fuori di questa cornice non ci può essere che lo scontro.

domenica 7 giugno 2015

Renzi alla prova della legalità


Ci sono tre importanti opportunità per la politica di dimostrare che si vuole veramente cambiare per quanto riguarda il rispetto della legalità, che le parole spese in campagna elettorale non sono le solite chiacchiere, tante volte propinate ai cittadini.
La prima è la questione De Luca, neo governatore della Regione Campania, che, in base alla legge Severino, deve essere sospeso. La seconda è il rispetto della sentenza della Corte Costituzionale sul rimborso ai pensionati per il blocco della indicizzazione voluto dal governo Monti. La terza è la gravissima questione di “Mafia capitale”, che sta rivelando un marcio ben oltre quello che in un primo momento si pensava che fosse.
Nel primo caso non ci sarebbe nulla da obiettare. C’è la legge, deve essere applicata. Ha detto di recente Massimo Cacciari: “Allo stato la legge è chiara: non capisco come possano sfangarsela con l’elezione di De Luca o presentando persone che sono chiaramente incompatibili con le norme approvate. Se la Severino è sbagliata, Renzi la cambi; ma finché è in vigore, siamo in una situazione di illegittimità”. (“Corriere del Mezzogiorno”, 5 giugno).
La cambia, professore? Così, di punto in bianco, siccome a subirne le conseguenze è il suo partito? Eh, no. In ragione della legge Severino, Berlusconi perdette il seggio al Senato; e non fu certo solo questo il danno, ma anche e soprattutto l’umiliazione subita da un personaggio così importante da lambire le istituzioni che aveva rappresentato. Berlusconi fu fatto fuori con estrema disinvoltura da quattro (il riferimento è alla Commissione che ne decretò la cacciata) parlamentari che se pure moltiplicati per se stessi non raggiungono una unità considerevole del livello dell’ex Cavaliere. Perciò, De Luca deve essere sospeso o, in caso contrario, non è la legge Severino che impera in Italia ma la legge Pulcinella. Solo la sua applicazione sistematica può nobilitare la grande cacciata dal Senato di un più volte Presidente del Consiglio. Va dato atto che Renzi ha dichiarato che non ci sarà nessun aggiustamento della legge in favore di De Luca. “Noi – ha detto – non facciamo leggi ad personam”. Ma non si può tacere sul comportamento truffaldino del Pd, di cui Renzi è segretario nazionale. Il Pd ha fortemente voluto De Luca a candidato, pur sapendo che per la legge Severino non poteva fare il governatore, per poter vincere le elezioni, strappare un’altra regione al centrodestra. E De Luca ha vinto, sia pure di poco e soprattutto coi voti di transfughi di destra. Una storiaccia, che nessuna sospensione di De Luca può cancellare. Una storiaccia scritta anche da Renzi.
Nel secondo caso, la questione è ancor più dirimente: lo Stato deve applicare le sue leggi anche quando gli costano dei soldi importanti. E’ inutile entrare nel merito della sentenza della Corte Costituzionale, appigliarsi al danno finanziario derivante dall’applicazione di quella sentenza, recriminare per una sentenza diversa che non c’è stata. Cosa fatta – diceva Malaparte – capo ha. Anche qui se il governo pensa di uscirsene con il “bonus” del primo di agosto e solo per alcune fasce di pensionati, come Renzi ha fatto sapere, dimostra di essere il primo a non avere rispetto delle leggi.
Quanto al terzo caso, quello di “Mafia capitale”, la via d’uscita è obbligata: il sindaco di Roma Marino deve dimettersi, per poter azzerare tutto e iniziare un percorso nuovo, sperando che gli addentellati emersi con la Regione, governata dal dem Zingaretti, e con lo stesso governo per via del sottosegretario Ncd Castiglione, siano poco rilevanti. La tesi secondo cui tutto il marcio è incominciato col Sindaco Alemanno e che col Sindaco Marino è iniziata l’operazione bonifica è smentita dai nomi dei coinvolti e dalle date che rimandano a precedenti amministrazioni, tra cui quella di Walter Veltroni. Ma c’è una ragione che dovrebbe convincere tutti a che Marino lasci ed è quella paventata dal Prefetto di Roma Gabrielli, il quale potrebbe sciogliere il Consiglio Comunale romano per mafia. E questo sarebbe veramente il massimo dello scorno nazionale.  
E’ soprattutto sul fronte della legalità che il sistema Italia rischia di precipitare. Ormai è acclarato che la corruzione è diffusa a tutti i livelli, che non c’è luogo della pubblica amministrazioni dove non si lucri. E’ un dato di fatto che la politica non ha gli anticorpi per uscire da questa sua caduta verticale.
Sbaglieremmo se dicessimo, però, che tutti i politici e a tutti i livelli sono corrotti. E’ sui pochi o molti politici onesti e determinati che il Paese conta di superare la difficile congiuntura morale. Il rispetto della legalità è prioritario al punto che concedersi anche la più innocente e insignificante delle flessioni può mettere in dubbio la limpidezza dei propositi.
Ecco perché la difesa della giunta Marino a Roma da parte del Pd è assolutamente inopportuna e nociva. Qui non si tratta di procedere al rispetto della legalità senza venir meno agli interessi di parte, ma al contrario è necessario dimostrare di anteporre agli interessi di parte il trionfo della legalità, senza sotterfugi e calcoli.
Renzi, dopo il voto alle Regionali, al di là dei suoi consueti toni trionfalistici e della riduzione del risultato politico alla stregua di una partita di calcio, ha subito una battuta d’arresto, che non è sfuggita all’inglese “The Economist”, che ha commentato: Renzi “ha perso smalto” e non può davvero fare in Italia quello che la Thatcher fece ai suoi dì in Inghilterra.

La prova della legalità perciò è fondamentale non solo per Renzi ma per tutta la politica italiana se si vuole riportare nel Paese quell’entusiasmo partecipativo della Prima Repubblica, se si vuole far recuperare agli italiani la fiducia nelle istituzioni.