domenica 23 febbraio 2014

E' nato Lo-Renzino: la vetrina è allestita!


E’ nato il governo di Matteo Renzi. Gli resta il passaggio parlamentare, ossia la fiducia, prima all’«inutile» Senato e poi alla Camera. E’ al Senato che corre i rischi maggiori; meglio, che correrebbe i rischi maggiori. In realtà non ne corre, perché il mondo politico italiano è come annichilito. Lo scenario è spettrale. Pare che molti politici di belle speranze e radiose prospettive di pochi anni fa abbiano già cambiato mestiere. Penso a D’Alema, che con quella sua aria di superman gira il mondo a fare il diversamente politico; penso a Veltroni, che si è messo a fare il regista cinematografico; penso a Fini, che …beh, questo non ha ancora deciso cosa farà da grande.
Ma torniamo a Renzi. Voci, ovviamente smentite, dicono che abbia avuto un “braccio di ferro” con Napolitano per dissensi su alcuni ministri, come quello per l’economia e per gli esteri. Noi non siamo d’accordo con le smentite. Non possiamo davvero immaginare un Napolitano yes-man, prono alle imposizioni del bulletto fiorentino. I due non si saranno inseguiti e minacciati per lo Studio alla Vetrata, ma qualcosa se la saranno detta: Napolitano, dall’alto della sua età e della sua esperienza; Renzi ringalluzzito e spavaldo per la sua ipertrofica autostima. Vedremo. L’Italia ne ha visti tanti di Masanielli; ne ha visti anche con le palle assai più grosse e temprate di quelle del cachiello di Toscana, che non è un vino.
I quattro lettori che mi seguono potrebbero legittimamente dire: ohè, ma non te ne va bene uno! In fondo Renzi è giovane, scaltro, determinato! E poi, se va male pure lui, va male al paese. E tu, non dovresti essere preoccupato?
Dico la verità. Tante obiezioni me le sono fatte e me le faccio come ogni cittadino italiano preoccupato di quanto è accaduto e sta accadendo. Spererei con tutta l’anima che Renzi riuscisse a tirar fuori il meglio di questo paese per fargli riprendere il suo cammino di dignitosa presenza nel mondo, quale gli compete. Quel che mi spaventa non è Renzi. Renzi mi può irritare coi suoi modi e la sua maleducazione. Mi spaventa l’assenza della gente che in un paese come il nostro dovrebbe contare, non dico di più; dico che dovrebbe contare e basta. Invece, vedo una sorta di fuggi-fuggi generale; un nascondersi imbarazzato e imbarazzante, che somiglia tanto a quel sentimento che incombe sugli studenti quando il professore li guarda per interrogarne qualcuno.
Dove si è cacciata la classe dirigente di questo paese? Non se ne vede neppure l’ombra. Tra scherzi da Jene e proposte vere in questi giorni alcuni interpellati si sono rifiutati. No pesanti, che hanno subito ridimensionato la credibilità di chi chiedeva.
Mi dispiace dirlo, ma se guardo i ministri di Renzi non mi viene proprio di sentirmi rassicurato. Sembrano un gruppo di boy-scout, di ciellini, di escursionisti. Mario Calabresi, direttore de “La Stampa” parla di leggerezza del governo Renzi. Le cose si possono dire in tanti modi; la sostanza non cambia.
Io vedo in filigrana un Renzi che ha voluto circondarsi di persone che non si permetteranno mai di replicare ai suoi ordini. Da studioso di fenomeni politici vedo una straordinaria conquista del potere assolutamente inedita. Uno, che in democrazia giunge a realizzare quello che vuole, senza essere stato mai votato, senza che nessuno lo ostacoli, senza che si confronti con altri; che riesce a creare un governo i cui ministri sono  tutti ai suoi ordini, non saprei come definire lui ma neppure la democrazia che gli ha consentito di fare quel che ha fatto. E’ una democrazia che si è dimessa dal suo ruolo, che è quello di chiamare a raccolta i cittadini e farli votare. 
Chi è Renzi, il principe moderno del Machiavelli? Il golpista sudamericano che non t’aspetti in un paese europeo? Un impostore di comodo, perché solleva gli altri dalle loro responsabilità? Speriamo che almeno in questo gli esperti sappiano dare una risposta; senza preoccuparsi, però, di offendere o di non offendere. Qui si sta parlando dell’Italia, non di come organizzare il prossimo festival di Sanremo, dopo il fiasco di quest’anno.
C’è nel paese una sfiducia paurosa. Le sue risorse migliori, che non sono solo quelle dei giovani, si sono come volatilizzate. E’ venuto meno l’orgoglio di essere italiani e di poter rappresentare l’Italia con onore nelle assise internazionali. Oggi si è diffuso un sentimento quasi di vergogna a rappresentare l’Italia in Europa, dove altri paesi meglio messi del nostro ti fanno sentire un paese declassato e subordinato. Ecco come si spiega la fuga dalle responsabilità di tante nostre «eccellenze». Qualche anno fa Giovanni Agnelli rappresentava l’Italia in Europa e nel mondo con fierezza e orgoglio; dava del tu a capi di Stato e di governo. I suoi amici personali erano presidenti di industrie e di banche. Si sentiva forte e autorevole perché era italiano. Oggi i suoi eredi se ne sono perfino andati dall’Italia perché proporsi come italiani nel mondo significa vestirsi di debolezza e di inattendibilità.

Renzi ha raccolto quanto gli altri hanno lasciato. Non ha fatto una gara ed ha vinto. Si è fatta una passeggiata ed è giunto senza nessun problema al traguardo. I veri problemi per lui inizieranno da domani. E, purtroppo, non solo per lui!

domenica 16 febbraio 2014

Matteo il Fiorenzino e un popolo alla fame


I commentatori politici si stanno sprecando ad evidenziare l’incoerenza di Matteo Renzi, le sue contraddizioni, le sue furberie da prima repubblica, gli accostamenti a Fanfani, a Forlani, ad Andreotti e chi più ne ha più ne metta di furbi e furbetti dell’italica genia. La  verità è molto più modesta. Di solito un ciarlatano, un chiacchierone non ricorda quello che dice, perché quando parla non pensa. Quel che di bocca gli esce-esce. Il ciarlatano è coerente al massimo grado. Matteo Renzi è un ciarlatano. Non è di questo comunque che qui si vuol parlare.
Il popolo italiano è stato ancora una volta truffato ed escluso da un dibattito che avrebbe meritato, anzi, che aveva il diritto di avere per il tramite delle sue rappresentanze politiche. Invece tutto si sta risolvendo in una faida all’interno di un partito, che, grazie ad una legge elettorale, il Porcellum, mai abbastanza vituperata ma mai abbastanza difesa unguibus et rostris, ha una maggioranza in Parlamento sproporzionata a quella reale che ha nel paese. Bene, anzi benissimo, hanno fatto Lega e Movimento 5 Stelle a rifiutarsi di partecipare alla comparsata quirinalesca. La liturgia è importante in politica, ma quando copre qualcosa di serio; non lo è quando incarta il nulla o – peggio – nasconde le porcherie. Ed è una porcheria il fatto che si vuol far passare l’idea che la crisi governativa che si è aperta non è una crisi, ma una semplice operazione politica limitata al partito di maggioranza parlamentare. Letta non si sarebbe dimesso per sopraggiunte difficoltà, ma per un cordiale scambio di compiti in famiglia.
L’anno scorso, più o meno di questi tempi, si diceva – se ne sarebbe fatto garante Napolitano – che il governo Letta era a tempo, avrebbe fatto le riforme, prima fra tutte la legge elettorale, e poi si sarebbe votato con la nuova legge. Letta era stato eletto dal popolo, era passato cioè dal giudizio popolare. Bersani, il candidato-premier aveva tentato un approccio, su mandato di Napolitano, ma non era riuscito per la refrattarietà collaborativa del Movimento di Grillo. Come era normale che accadesse, l’incarico passò a Letta, che era il vice di Bersani nel Partito democratico. Letta era l’uomo che voleva e poteva tentare una formula diversa, quella delle larghe intese, un governo cioè che tenesse insieme gli opposti. La cosa non piacque ai democratici, i quali non avrebbero mai voluto un governo con Berlusconi. Ma poteva piacere o non piacere Letta, era comunque espressione della volontà di chi aveva “vinto” le elezioni e poi non sempre si può stare con chi si vuole. Un vecchio proverbio salentino dice che quando altro non trovi vai a letto con tua madre. Con la madre proprio no, ma – sempre per stare nell’iperbole! – con una capra o un caprone forse sì.
Oggi Matteo Renzi, che è nessuno, è solo il sindaco di Firenze, un personaggio televisivo e il segretario del Pd, nell’accingersi a ricevere l’incarico di formare il nuovo governo, dopo le dimissioni imposte a Letta, dice che il suo governo durerà per tutta la legislatura, ossia fino al 2018. E il popolo, non conta più? Non conta e non canta!
Il popolo italiano è il più paziente del mondo. Sarà stato il cattolicesimo a mettergli in necrosi i punti sensibili. O forse sarà la sua vecchiaia, perché, a pensarci bene, in altri paesi i cattolici si battono. Cazzo, se si battono! Fosse accaduto in Francia ci sarebbe stata un’altra Vandea. In tutto il mondo il popolo offeso reagisce. In Egitto, non ne parliamo! Perfino in Grecia ci sarebbero state dimostrazioni di piazza con albe dorate e tramonti di fuoco. E in Turchia, in Ucraina, in Iran, in India? In Italia niente! Domenica, all’Angelus, in Piazza San Pietro, l’imbonitore venuto dalla fine del mondo benedirà le pecorelle.
Dove va l’Italia con Matteo il Fiorenzino? Non si sa e non si capisce. Pare che ad imporre il cambio a Palazzo Chigi sia stato Draghi, il governatore della Banca Centrale Europea, il quale si sarebbe arrabbiato con Letta per avergli fatto fare una brutta figura con la Germania. Il calo dello Spread, infatti, sarebbe avvenuto, secondo il Financial Times, grazie alle manovre di Draghi, con la speranza che Letta facesse il resto, cioè prendesse i giusti provvedimenti per risollevare il paese dalla crisi. Invece questo non è avvenuto e i tedeschi sono arrabbiati con lui, che avrebbe favorito il suo paese. Di qui, il cambio.
Il figlio Renzi farà quel che la mamma Europa vuole? C’è da dubitarne e c’è anche da essere contenti se non ci riuscirà, perché se già Monti impoverì gli italiani con la sua stretta osservanza europeistica, Renzi potrebbe, nel tentativo di fare quel che Letta non ha voluto o saputo fare, impoverire ulteriormente il paese. 

C’è un altro grosso problema che l’Italia vuole esorcizzare; e cerca di allontanare il più possibile le elezioni: la paura che l’antipolitica consegni il paese a formazioni populistiche di nessuna tradizione europeistica, che avrebbe l’effetto di allontanare l’Italia dall’Europa con conseguenze imprevedibili. Non si ha paura di una deriva di tipo peronista o peggio, della quale non si riesce neppure a ipotizzarne l’evento e il profilo; si ha paura del buio che si sta infittendo. In Italia la crisi ormai la si tocca con mano, ma non siamo ancora arrivati all’infelice ipotesi di dover ritoccare le pensioni, come è accaduto in Grecia. Finora è stato grazie alle pensioni se le famiglie hanno potuto rendere meno crudi i morsi morali e materiali della disoccupazione di tanti giovani. Se si arriverà – e Dio non voglia che accada – alla decurtazione delle pur misere pensioni, allora non ci sarà cattolicesimo o vecchiaia di popolo che tengano, non basteranno imbonitori e svariatori vari, allora accadranno cose molto brutte. Il coraggio degli italiani non è nella testa o nel cuore,  è nella pancia.

domenica 9 febbraio 2014

Il carnevale è alle porte: tutti sul carro!


Renzi incalza Letta. Renzi, chi? Il nuovo segretario del Pd, che significa Partito democratico, versione riveduta e corretta della Dc, che significa Democrazia cristiana. E la componente di sinistra? Non prendiamoci per fessi, non esiste più; ci sono alcuni ex/post comunisti, ma come teste singole.
Abbiamo abbastanza anni – grazie a Dio! – per ricordarci le diatribe tra i due cavalli di razza, come erano chiamati Amintore Fanfani e Aldo Moro agli inizi degli anni Sessanta, che erano anche gli inizi del centro-sinistra. Anche allora uno era al governo e l’altro faceva il segretario del partito, salvo un periodo in cui Fanfani fu una cosa, l’altra e l’altra.  
Renzi, dunque, tiene sulle spine Letta: o cambi passo o cambiamo cavallo. Bleffa, perché non conviene a nessuno né cambiare passo né cambiare cavallo. Renzi al governo col Centro-destra di Alfano? Non è pensabile. Andare al voto? E con quale legge? Letta passa al galoppo? Su una strada dissestata finirebbe per rovesciare il carro.
Renzi si agita, non fa altro. Purtroppo nemmeno Letta si muove. Non mi va di galleggiare – dice – e intanto galleggia, come un sughero trasportato dalla corrente del fiume ma sempre fermo sulla stessa acqua.
Cacciari dice che occorre stare attenti perché Napolitano potrebbe perdere la pazienza e dimettersi da Presidente della Repubblica. Allora sì – paventa il filosofo – sarebbe il disastro. Non siamo d’accordo. I filosofi che pensano e scrivono sono cosa ben diversa dai filosofi che chiacchierano in un talk-show. Probabilmente Cacciari che scrive rimprovera parole fuori posto al Cacciari che parla. Se Napolitano dovesse dimettersi o per una qualsiasi altra ragione non dovesse esserci più – ai cani dicendo! anzi, oggi neppure ai cani – non succederebbe niente; anzi, potrebbe essere lo strattone provvidenziale per sbrogliare la matassa di lacci e laccioli.
Ci sono in cantiere diverse riforme: la legge elettorale, il Senato, il titolo quinto della Costituzione. Forse giungerà in porto solo la legge elettorale. E sarà tanto. L’abolizione del Senato pare cosa troppo enorme per essere fatta così alla chetichella, sotto l’incalzare verboso di un bullo fiorentino. Senza offesa, ormai così è chiamato.
Quella che si vuol far passare come riforma del Senato in verità è l’abolizione del Senato. Che fanno presidenti di regione e sindaci di città metropolitane in assemblea senza un soldo di indennità, senza un soldo da spendere? Che funzione hanno se non quella di vedersi per chiacchierare? Probabilmente i nuovi senatori non andrebbero mai a perder tempo. Che – come diceva il Poeta – a chi più sa più spiace. Una riforma sarebbe necessaria, ma solo relativa a certe funzioni che ora sono fotocopia della Camera. Ma come ritagliare uno spazio importante ad un Senato diverso dall’attuale sarebbe un discorso troppo impegnativo e richiederebbe tempo.
Quanto al titolo quinto della Costituzione, il percorso da fare è ancora più difficoltoso. Riguarda i rapporti tra lo Stato e le Regioni; riguarda le Provincie e i Comuni. Una materia, insomma, che si sa da dove comincia ma non si riesce a vedere dove finisce. Salvo che non si voglia fare tabula rasa. Dovrebbero essere abolite le Provincie. Dovrebbero essere ridotti i Comuni. Anche qui non si capisce perché stravolgere il mondo, forse per non giungere a nulla. Molto meglio sarebbe un programma più modesto ma più fattibile, o sostenibile, come è di moda dire. Molto meglio tagliare le Regioni, che sono state il fallimento del Paese.
Siamo in piena bagarre, per fortuna senza accorgercene, presi come siamo dalla crisi economica, finanziaria, occupazionale.

Gli ultimi tre giorni di gennaio sono stati davvero inusuali, se così la vogliamo mettere, per quanto accaduto alla Camera. Un po’ tutti si sono accorti che la jena che era in loro ad un certo punto è emersa e si è fatta vedere nelle forme più stupide e abiette. I grillini avevano ragione a protestare contro un decreto che teneva in sé agganciate due cose assolutamente diverse, l’Imu e Bankitalia; ma il modo come hanno reagito alla ghigliottina parlamentare della Boldrini è stato, sbagliato è dir poco, semplicemente da palio paesano dove tutti si prendono a pomodori o ad arance. Certo è che la Boldrini ha avuto un successone. Per una settimana è stata in tutte le trasmissioni radio-televisive a raccontare le sue pene. Un successo che ha fatto invidia a Grasso, il quale per compenso, ha provocato i senatori per la faccenda di costituire il Senato parte civile contro la compravendita di senatori di Berlusconi. Non gli è andata molto bene. C’è stato un coro di dissenso quasi generalizzato. Ma va bene lo stesso. A giorni inizia il carnevale. E di carnevale ogni minchiata vale, tanto più se viene dalla Camera o dal Senato. Anche in questo l’uno è la copia dell’altra. Bicameralismo perfetto. Amen!

domenica 2 febbraio 2014

I giorni della merla, ovvero del...Grillo


Più che grillini da oggi in poi bisognerebbe chiamarli merlotti. Sono i deputati del Movimento 5 Stelle, che si sono scatenati negli ultimi giorni di gennaio – i giorni appunto della merla – in uno spettacolo indecoroso che non ha precedenti nella pur tumultuosa Camera dei Deputati.
Spinte, schiaffi, ingiurie, minacce, volgarità irriferibili in un tumulto che ha fatto ricordare l’inferno dantesco: «Diverse lingue, orribili favelle, / parole di dolore, accenti d’ira, / voci alte e fioche, e suon di man con elle / facevano un tumulto…».
C’è stato di tutto, perfino una bella manata del questore della Camera Stefano Dambruoso di Scelta Civica alla deputata grillina Loredana Lupo, che pensava davvero che essendo donna sarebbe stata risparmiata. E su tutto e tutti hanno roteato come manganellate le minacce che gli scalmanati si reciprocavano, dandosi addosso del «fascista!» e dello «squadrista!».
La deputata pidiellina Alessandra Moretti, così bella e dolce, si è lasciata tentare dalla Gruber di ripetere un’espressione che non fa onore a chi l’ha detta e men che meno a lei che l’ha riferita in televisione. «Mamma, mamma – ha chiesto un bimbetto sentendola a casa – che cosa sono i pompini?». Ma non doveva diventare migliore il dibattito politico con la presenza delle donne? Mah, nemmeno nei bassi napoletani!
Sgombriamo il campo. Fascisti non ce ne sono più; ci sono stati fino a qualche anno fa dei sopravvissuti, poi chiamati dal Signore uno dopo l’altro a rendere conto dei loro peccati. Sopravvissuti in territorio nemico, li chiama uno di loro, il grande musicologo Piero Buscaroli. Poi più nessuno. E’ rimasto il nome, che non significa più nulla, dato che per i deputati grillini fascista è la Boldrini; per la Boldrini fascisti sono i grillini. Per fascista s’intende un modo di comportarsi rozzo, da prepotente e arrogante, non conforme al bon ton e al rispetto degli altri, genericamente antidemocratico. Così inteso il fascismo, in buone dosi, è presente proprio nei grillini, i quali o le cose vanno secondo i loro desiderata o fanno baruffa.
Ma perché questo improvviso scoppio di collera da parte dei seguaci di Beppe Grillo? Probabilmente si stanno accorgendo che le cose si stanno mettendo male per loro.
Chi l’avrebbe mai detto che gli incapaci, inetti, corrotti, ladri e disonesti dell’universo mondo politico italiano – così consideravano e considerano gli avversari i grillini – avrebbero preso le misure per uscire dalla crisi istituzionale e politica! Il Movimento 5 Stelle, dopo che si è praticamente suicidato, rifiutandosi di fare politica, di partecipare al dibattito e di far sentire il suo peso nei modi e nei termini – gli unici! – consentiti dalla democrazia, rischia di venire seppellito. Che sarebbe, per il modo di pensare dei grillini, un paradosso: la forza morta della politica seppellirebbe la forza viva dell’antipolitica. Ma un paradosso non è: in politica è vivo chi pensa e agisce, ha i mezzi per farlo nella prospettiva di un obiettivo. Non è il caso dei naviganti di Grillo, che navigano a vista, dove para para, per raggiungere l’isola senza nome dove tutto è latte e miele.
Di fronte all’incombente pericolo gli zerbinotti, che sembravano tanto perbene, hanno letteralmente perso la testa. Noi non ci stiamo – hanno detto – e hanno dato l’assalto a banchi e ad aule, occupando e impedendo che procedessero i lavori parlamentari.
Ora, in democrazia puoi essere nel giusto quanto vuoi o quanto credi, puoi essere in contatto con Domineddio in persona che ti ispira; ma contano i numeri e le regole, che a volte possono determinare quello che tu ritieni «ingiusto». E quando accade niente e nessuno ti autorizza a rovesciare il tavolo e a metterti fuori dalle regole.  
Ma tant’è. Erano convinti i nostri eroi che gli altri se ne sarebbero stati cheti cheti mentre loro randellavano a dritta e a manca, con un linguaggio da…Taverna (la capogruppo al Senato, ovvio).
Di fronte alla svolta che c’è stata e che dovrebbe portare di qui a non molto ad una legge elettorale che probabilmente ridimensionerà il loro movimento, gli espedienti posti in essere nei mesi scorsi, per impedire il “fare” del governo e dei partiti che lo compongono,  si sono trasformati in guerriglia. Una scelta disperata che si è completata con la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica Napolitano.
Sia chiaro, i comportamenti degli altri soggetti politici, compreso Napolitano, non sono proprio ortodossi, ma ricadono, sia pure con qualche forzatura, che chi ha il potere può fare, nello strumentario della democrazia. Né ci sembra che la strada intrapresa da Renzi, amici e alleati, porti di sicuro ad una soluzione della gravissima crisi politica e istituzionale in cui siamo precipitati. Ma è indubbio che qualcosa si sta facendo, dopo un lungo periodo di quasi completa catalessi.

Da cittadini che amano il proprio Paese ci auguriamo che sia la volta buona; ma non per questo smettiamo di essere guardinghi e critici, anche nei confronti di chi, invece di dare un contributo positivo, gioca al tanto peggio tanto meglio.