domenica 25 dicembre 2016

Dal Mattarellum al Pazzarellum


Come è noto l’Italicum, la nuova legge elettorale entrata in vigore il 1° luglio di quest’anno, quintessenza di ogni sistema elettorale per Matteo Renzi, senza neppure essere applicata una sola volta, probabilmente sarà abrogata e sostituita con un’altra più rispondente alla bisogna. Chi vuole cambiarla dice: la legge è stata concepita in una fase in cui c’era in Italia il bipolarismo e dunque andava bene: o vinceva l’uno o vinceva l’altro; oggi c’è il tripolarismo e dunque al previsto ballottaggio potrebbe vincere il terzo incomodo, come è già accaduto in alcune città nelle Amministrative. Il terzo incomodo è nella fattispecie il Movimento 5 Stelle. I tre poli più o meno si equivalgono e perciò per pochi voti di scarto uno vince, l’altro va all’opposizione e l’altro rimane al palo. Per evitare che ciò accada è necessaria una legge diversa, proporzionale, che garantisca a tutte le forze politiche una propria rappresentanza. Questo il ragionamento, semplice semplice. Insomma una legge elettorale come un guardaroba di stagione, né più né meno. Ieri andava bene il maggioritario, oggi il proporzionale.
In realtà anche nel regalare il governo al Movimento 5 Stelle attraverso l’Italicum c’è tutta l’improntitudine di Matteo Renzi. Il quale aveva fatto l’Italicum come un vestito su misura, certo che ad indossarlo sarebbe stato lui. Le cose sono andate diversamente e l’arma che avrebbe dovuto usare lui rischia di essere usata da altri proprio contro di lui. E che il vincitore potrebbe essere il Movimento 5 Stelle è motivo di maggiore preoccupazione. 
Il Movimento di Grillo ha dimostrato di non saper affrontare e risolvere i problemi del Paese – vedi il caso Roma – mentre non ha al suo interno una dialettica trasparente e democratica; anzi, per certi aspetti, che neppure tende a nascondere, presenta chiari profili di eversione. Articoli 67 e 97 della Costituzione palesemente violati. Opacità nelle decisioni politiche del Movimento, che risponde ad un’azienda privata, la “Casaleggio Associati”. A Roma, vetrina al negativo del Movimento, c’è un’autentica guerra civile, in cui a distinguersi sono le donne, le solite Furie ed Erinni. La minaccia eversiva del Movimento 5 Stelle provoca la reazione di una minaccia altrettanto eversiva, quella dell’establishment, che cambia le regole del gioco a partita iniziata.
Ma, signori, siamo in una repubblica democratica o in una monarchia d’antico regime? La formula politica d’antico regime si condensava in tre parole “rex facit legem”, ovvero il re fa la legge. Se così funzionava, poteva accadere – ed accadeva – che il re, avendo nelle sue mani tutti i tre i poteri (legislativo esecutivo giudiziario), abrogasse una legge quando lo riteneva conveniente e ne facesse un’altra. Il passaggio allo stato moderno, con la separazione dei poteri, rovesciava la formula in “lex facit regem”, ossia è la legge che fa il re. Ora, sostituiamo la parola re con la parola potere. Nel momento in cui chi detiene il potere decide di cambiare una legge che non gli conviene più in quanto potrebbe farglielo perdere in favore di un suo concorrente si ricade nella formula d’antico regime, si azzera lo stato di diritto.
Si obietta che bisogna scegliere fra un danno formale ed un danno sostanziale. Il danno formale è evidente: non si cambia una legge elettorale quando si teme che a vincere sia l’avversario, neppure quando questi è considerato un pericolo per la democrazia, come accadeva nella Prima Repubblica, con l’esclusione di Pci e Msi, perché considerati antidemocratici. Il danno sostanziale è che con questa legge si rischia di consegnare il paese ad una minoranza mentre si deprivano di rappresentanza altre minoranze, magari minoranze di poco meno numerose. Se tanto accade in presenza di un elettorato che ormai, a parte qualche impennata referendaria, si astiene dal voto, allora si capisce ancora meglio il rischio che si corre. I cinque Stelle potrebbero essere i proverbiali quattro gatti.
L’ipotesi che a beneficiare dell’Italicum sia un movimento politico di per sé illegittimo – è al vaglio una precisa denuncia di incostituzionalità presentata dall’avv. Venerando Monello, presidente dell’European Lawyers Association – e per di più incapace di governare il Paese, è fondata. Il Movimento di Grillo, che oggi ha il 25 % dei voti, andava fermato, leggi alla mano, in primis la Costituzione, quando si è proposto alcuni anni fa e faceva solo ridere coi vaffaday del suo leader. Oggi è tutto più difficile e gravido di conseguenze. Si può anche capire che tra il danno formale e il danno sostanziale nell’immediato si scelga il primo, ma in prospettiva le cose potrebbero avere altre conseguenze.
Ma non è finita. Con che legge si vuole sostituire l’Italicum? Pare con una legge che farebbe tornare il Paese al sistema proporzionale col voto di preferenza; ossia si vorrebbe riportare il Paese all’epoca dei partiti, solo che oggi di partiti non ce n’è e quelli che ci sono non hanno nulla dei vecchi gloriosi partiti del tempo che fu. Cose da pazzi, allora? Pare proprio di sì. Dal Mattarellum si potrebbe passare ad un sistema elettorale, che, buono in sé, è Pazzarellum se si considera che viene applicato ad una realtà che non esiste. Per tornare alla metafora del guardaroba, sarebbe se a inizio estate venisse rinnovato come se si fosse a inizio inverno con cappotti e sciarponi.
Angelo Panebianco sul “Corriere della Sera” di venerdì, 23 dicembre, ha scritto che “Non c’è nulla di male nel ripensare ai tempi (per definizione felici) della propria giovinezza ma è un male usare tale ossessione per condizionare il destino di un Paese”.

Non gli si può dare torto. Ma quando in un paese si mettono in discussione quotidiana le leggi fondamentali, ovvero le regole della convivenza politica, vuol dire che la situazione è ormai fuori controllo. Che significa? Che a fare la legge è il factum, così come si presenta volta per volta.

domenica 18 dicembre 2016

L'età renziana continua coi proconsoli


Bisogna convincersi, farsene una ragione: Renzi non è un episodio della politica italiana, non è un Goria o un Letta; è l’inizio di un’età, che gli storici chiameranno renziana. Così come per Giovanni Giolitti.
Renzi ha poco di paragonabile al grande politico di Dronero; Giolitti veniva dagli alti ingranaggi dello Stato, più simile a Ciampi; il Nostro è un politico di professione, viene dal nulla. Ha una laurea in giurisprudenza, punto e basta. A quarant’anni aveva già fatto il presidente della provincia, poi il sindaco di Firenze e infine il presidente del consiglio dei ministri. Prima di essere il rottamatore, è stato il propositore di se stesso. Si è proposto in tutto, perfino ai giochi di Mike Bongiorno. Dai boy-scout ha preso il senso del gruppo e del capo; uno destinato a primeggiare anche quando subisce una sconfitta. Come dire? Se perde la guerra vince la pace.
E’ stato letteralmente defenestrato dal voto popolare del 4 dicembre. Ma è caduto senza farsi niente, la finestra era a piano terra, non si è neppure ammaccato. E, infatti, il governo che è stato varato subito dopo è lo stesso di prima. Non c’è lui, ma, come faceva Giolitti, ha messo due suoi proconsoli: Gentiloni a capo del governo e la Boschi a sottesegretario alla presidenza del consiglio.
C’è da chiedersi perché. Non c’erano altri? Gentiloni, specializzato in successioni in corso d’opera, faceva proprio al caso? E la Boschi, la cui riforma costituzionale è stata subissata sotto una valanga di NO, non meritava una messa a riposo? Perfino la Finocchiaro, relatrice di quella riforma, è stata premiata col Ministero per i rapporti col Parlamento. Renzi, insomma, ha voluto far capire che chi comanda è ancora lui, che si è messo da parte per dimostrare che è ancora più forte di prima, premiando gli elementi chiave di una riforma che il popolo ha rabbiosamente bocciato. Una sfida, la sua, che ha del temerario.
E’ un bel dire da parte delle opposizioni: andiamo subito a votare, questo governo è la fotocopia del precedente, è un governo Renzi senza Renzi e via di questo passo. Cosa che ha avuto un’eco anche nella satira. Giannelli, sul “Corriere della Sera” di venerdì, 16 dicembre, ha messo nella sua vignetta la Merkel, Juncker e Hollande che, guardando Gentiloni, commentano “In Italia hanno cambiato parrucchiere”, alludendo alla diversa pettinatura dell’attuale premier rispetto a quella del precedente. Dunque, nessun dubbio che Renzi è vivo e vegeto e pronto a tornare più forte e – ahilui – più arrogante di prima.
Egli rientra in una tipologia di furbi che non si accontentano della furbata a danno di altri, ma  vogliono anche compiacersene esibendola. Questo è il vero motivo della Boschi e della Finocchiaro al governo. Avete bocciato la riforma? Ecco, io metto nel governo chi l’ha redatta e politicamente rappresentata. Perché io – quasi emulando Alberto Sordi del Marchese del Grillo – so’ io e voi non siete un cazzo!
Ma la furbizia è intelligenza imperfetta; magari consente di ottenere nell'immediato grossi risultati ma poi spinge ad andare oltre e li fa perdere. L’intelligente non si esibisce mai, neppure in politica; anzi, soprattutto in politica, deve saper simulare e dissimulare. Renzi avrebbe dovuto o dovrebbe trarre una lezione dalle randellate referendarie, dare una spiegazione al fatto che è diventato così odioso a tanta gente, a tanti giovani soprattutto. C’è chi si sorprende che i giovani lo detestino; invece è assolutamente normale. I giovani non amano i migliori della classe, specialmente quando sono sfacciatamente fortunati e protetti. Parola di professore. Renzi non se ne rende conto o forse non riesce ad essere diverso e continua nella sua arroganza, come se, indispettito, la vuol far pagare a chi gli è stato contro.
Ma, dettagli caratteriali a parte, egli sta costruendo il suo ritorno per dare un seguito alla sua “età”. Questo governo, con molte probabilità, durerà fino alla scadenza del 2018; salverà perciò il vitalizio di tanti parlamentari. La qual cosa esaspererà la rabbia dei cittadini contro i politici.
Con troppa fretta alcuni commentatori nei giorni scorsi hanno parlato del fenomeno del bandwagoning, cioè del salto sul carro del vincitore. Hanno sbagliato. A parte che non c’è un carro del vincitore per saltarvi su, ma se pure intendessero alludere ai voltagabbana – quanto è più bello servirsi dell’italiano! – non credo che ce ne siano tanti ad aver abbandonato Renzi. Certo, alcuni commentatori politici oggi dicono di Renzi – penso a Paolo Mieli – quello che non dicevano fino al voto del 4 dicembre.
La durata del governo Gentiloni è credibile – altro discorso se anche auspicabile – perché è in corso la guerra di logoramento al Movimento 5 Stelle. Se le cose a Roma continueranno ad andare con la sindaca grillina Raggi come sono andate finora, ossia malissimo, c’è da credere che il Movimento arriverà alla fine della legislatura logoro. Chi ha interesse a mettere fine ai cunctatores? Il Movimento 5 Stelle fa paura a tutti; e chi non avverte il rischio di una vittoria dei grillini vuol dire che è proprio un irresponsabile o un avventuriero, un sostenitore del tanto peggio tanto meglio. I grillini hanno dimostrato finora di essere anche simpatici e puliti, ma hanno anche evidenziato spiccate incapacità di gestire situazioni di comando, di governo, di potere.

Per tutte quante queste ragioni Renzi probabilmente vincerà le primarie del suo partito e si proporrà candidato premier, in barba alla Costituzione de jure che non lo prevede, alle successive elezioni. Per le quali manca una legge che sia la stessa di Camera e Senato; ma questa si troverà, magari piano piano, senza fretta, perché il tempo deve passare e produrre situazioni di favore a chi è più furbo e forse anche più forte di altri. In questa gara Renzi non ha rivali.  

domenica 11 dicembre 2016

Renzi Uno: il tirocinio


Matteo Renzi ha subito il 4 dicembre scorso una delle più nette e umilianti sconfitte che politico italiano, Mussolini a parte, abbia mai subito. Berlusconi, tanto per fare il primo paragone che ci viene a tiro, anche per la vicinanza temporale, è stato cacciato per congiura di Palazzo, tutto compatto alla bisogna, compresi giannizzeri e maggiordomi; non è stato mai sconfitto davvero dall’elettorato, nemmeno quando è stato “battuto” da Prodi con percentuali irrilevanti e sospetti di brogli. Renzi, invece, è stato così battuto come nessuna nerboruta massaia batte i propri panni impolverati e sporchi.
Netta, la sconfitta, lo dice il risultato con tutti gli annessi e i connessi (percentuale di votanti, giovani contrari sui quali faceva affidamento, un diffuso astio popolare). Si è avuta l’impressione che ci fossero elettori disposti perfino a pagare pur di votargli contro.
Umiliante, la sconfitta, la rendono i suoi atteggiamenti, dal “se perdo lascio la politica perché io non sono come gli altri”, continuamente ripetuto, all’occupazione delle televisioni, alle elargizioni di danaro, alle bugie, alle sue bombarde contro l’Europa, a quel suo proporsi come un vecchio saggio davanti a scolaretti che fa tanta irritazione. Del resto così aveva esordito in Senato: con le mani in tasca e con un fare da vecchio condottiero della politica, lui che puzzava di “trovatello” lontano un miglio.
In nessun politico italiano era apparso mai così stridente lo scarto tra ciò che era e ciò che voleva sembrare. No, non si tratta di un caso di maleducazione; Renzi non è maleducato, soffre di un evidente complesso di superiorità, una specie di convinta predestinazione ad essere e a fare cose straordinarie nella vita. Non a caso si è proposto come il “rottamatore”.
Il giorno successivo alla tremenda scoppola subita la televisione lo ha ripreso per strada mentre se la fischiettava come un operaio che aveva appena smesso di lavorare e andava a prendere la metro per tornare a casa. Perché lui se si comporta come un grand’uomo davanti a platee importanti; poi si comporta come uno spazzacamino dopo aver scapolato. Il giorno successivo ancora, alla direzione del suo partito, ha continuato ad ostentare disinvoltura coi suoi tipici atteggiamenti di grand’uomo, rivolgendosi all’assemblea con “oh, ragazzi”, “boni”, e via apostrofando. Che non è linguaggio da sedi istituzionali ma da bar o da stadio.
La batosta avuta non si capisce se non si tengono in considerazione anche questi elementi, che saranno pure marginali ma servono a capire l’uomo. Si racconta che ad Achille Starace Lecce, che pure era la sua città e si era in regime fascista, non perdonò mai l’essersi presentato in pubblico col frustino in mano.
Naturalmente ce ne sono altri, di motivi, che spiegano la sconfitta di Renzi, innegabili come l’aria che respiriamo. Primo, la sua nomina, ovvero la sua investitura, avvenuta secondo modalità feudali, da parte di Napolitano. Secondo, un parlamento considerato “illegale” perché votato con una legge incostituzionale (e qui le virgolette non c’entrano!). Terzo, il mettere continuamente il voto di fiducia per far passare leggi non condivise nemmeno dal suo stesso partito. Quarto, la spregiudicatezza nel violare intese con gli alleati. Quinto, il fallimento delle sue riforme, proposte come fiori all’occhiello. Sesto, la prepotenza di sbattere fuori dalle commissioni parlamentari quelli che non gli erano ubbidienti e i direttori di testate giornalistiche non in linea. Il caso de Bortoli in testa. Si fa male a non parlare. In Italia oltre al linguaggio, c’è il silenzio politicamente corretto. Quello dei giornalisti è reticenza.  
Nei giorni di consultazioni da parte del Presidente della Repubblica, lui ne ha fatte altre in parallelo da Palazzo Chigi, poco curandosi di apparire quanto meno irriguardoso. Se potesse rottamare Mattarella, forse voluto da Napolitano, di sicuro lo farebbe.
Ora, se non vuole che la gente lo fischi e lo spernacchi per la strada, deve uscire di scena. Se ne deve stare buono-buono per un po’ di tempo; deve mettersi a disposizione della causa del proprio partito e della nazione, con umiltà. Né farebbe male se trovasse il modo per chiedere scusa a quanti in questi due anni e mezzo ha offeso o umiliato, incominciando dal popolo italiano.
La situazione che lascia è davvero ingarbugliata e grave. L’elettorato ha detto chiaramente che vuole votare, che vuole recuperare finalmente una condizione di paese normale. Resta tuttavia l’inghippo del sistema elettorale, che non c’è o non è uniforme per Camera e Senato. E già! Anche qui si nota l’improntitudine di Renzi, ha dato per certo che il referendum l’avrebbe vinto e che il Senato sarebbe stato eletto con le Elezioni Regionali. Conclusione: se si dovesse votare coi sistemi vigenti, sarebbe un’altra porcata. Per fare una legge elettorale uniforme è necessario fare prima un governo. E qui è il punto. Quanto durerà? Il tempo per la legge elettorale o per far maturare il vitalizio ai tanti parlamentari che ci sono nelle due Camere? E se, per non farla sporca, si decidesse di portare fino a conclusione la legislatura, fino al 2018? Sono domande che i cittadini si pongono e che forse troveranno una qualche risposta nei prossimi giorni. Sarebbe auspicabile che la cosiddetta casta desse prova di onestà, facendo una legge elettorale quanto prima per evitare il fondato sospetto di mischiare interessi personali e meschini ad interessi generali e nobili.   

E Renzi? Resta una risorsa importante per il Paese, a condizione che faccia tesoro degli errori commessi, che consideri questo suo primo governo un periodo di tirocinio, di prova per vedere che cosa è andato bene e che cosa è andato male. Se pensa, come purtroppo sembra voglia fare, che era nel giusto e che è rimasto vittima di chi non vuole che in questo Paese cambi mai niente, ovvero del partito grigio della conservazione, come si diceva una volta, e persevera nei suoi atteggiamenti di parvenu della politica, un incontinente dello strafare e dello stramostrare, allora il suo destino è segnato. 

domenica 4 dicembre 2016

Renzi, dagli insulti al ragionamento


A Firenze i tipi come Mattero Renzi, alla Pimpinella la sbruffoncella, la vignetta settimanale del “Grand’hotel” di tanti anni fa, li chiamano bombardini. Se mancava un’immagine plastica di questa nuova maschera nazionale, con Renzi ce l’abbiamo. Da noi, nel Salento, i tipi come lui li chiamiamo semplicemente cachielli, giovinotti supponenti che si atteggiano a grandi, che posano e sparano palle. Paese che vai, maschere e nomi che trovi. Ma mettiamo da parte gli “insulti”, ormai ingredienti insostituibili del dibattito politico. Del resto, quando a casa seguo i vari telegiornali e sento dire da Renzi e dalla renzaglia delle colossali minchiate, un po’ insultato e offeso mi sento.
Ma veniamo al punto. Renzi ha fatto una lunga serie di errori in quest’ultimo anno. Incominciò col voler far approvare a colpi di maggioranza una riforma costituzionale che avrebbe portato diritti-diritti al referendum con la conseguente spaccatura del paese. In questo, discepolo di Berlusconi! Quanto si è verificato in questo mese di campagna referendaria lo dimostra e avanza, tanto che le massime cariche dello Stato, da Mattarella alla Boldrini, preoccupate, invocano la cucitura del paese. Si vanta di essere riuscito a fare quello che altri non sono riusciti. Gli altri semplicemente non hanno voluto fare quello che ha fatto lui. D’Alema, per esempio, con la Bicamerale la riforma la fece, ma siccome si trattava di imporla in Parlamento a forza di maggioranza, dopo che Berlusconi si era sfilato, preferì desistere. Come Renzi oggi fece Berlusconi ieri – l’ho appena detto – nel 2005: riforma fatta, referendum e sconfitta nel 2006. Dunque, dove sta l’impresa di Renzi? Sta nel fatto che con lui c’è il famigerato establishment, come dimostrano i tanti Mieli e Prodi, Pera e Urbani, Casini e Benigni, e compagnia teatrante; ai tempi di Berlusconi l’establishment faceva crociate contro.
Il secondo errore fu quando legò la riforma alla sua persona. Se non passa mi ritiro dalla politica – disse – trasformando un referendum su un quesito di ampia portata politica e costituzionale in uno specifico personale: pro o contro la sua persona. O non capiva la grandezza della cosa o gonfiava la sua piccolezza fino a confondere la Costituzione tra i pupazzi di via San Gregorio Armeno. Oggi riconosce di aver sbagliato e prende atto che c’è tanta gente in questo paese che gli è avversa, visceralmente avversa. Diceva sempre che lui metteva la faccia. Lui non si ritira più, ma ha già ritirato la faccia; la faccia lui l’ha persa. Per cavarsela è costretto a mangiare pane altrui, guarda caso dei suoi rottamati o tali presunti. Di qui i tanti appoggi ricevuti, come di sopra citati. Fino agli impazziti, come Prodi, il quale critica la riforma per mesi e poi annuncia che voterà SI. Ma presto il rottamatore si accorgerà di essersi in parte rottamato da solo, perché quando si mangia pane altrui, si finirà per accorgersi “sì come sa di sale”, secondo i versi di quell’immortale suo conterraneo, che fu esule per l’Italia.
Il terzo errore è stato di appoggiare apertamente la Clinton nella campagna elettorale americana per le presidenziali, ritrovandosi con un Trump vincitore e certamente non “amico”, per lo meno suo. Il già “isolazionista” Trump non avrà certo per l’Italia un occhio di riguardo. Poi vedremo quali saranno le conseguenze.
Il quarto errore, in continuità di tempo, è quello delle regalìe: 800 Euro a chi ha un reddito inferiore a 1.200 euro, 500 Euro una tantum ad ogni diciottenne, aumenti alle pensioni più basse e via elargendo. Sono soldi buttati perché improduttivi, autentici regali che, salvo il reato di voto di scambio, ricorda la vendita delle indulgenze; qui indulgenze di voti.
Il quinto errore lo sta facendo in questi giorni: continua a sparare palle contro l’Europa, che lui dice di voler riformare. Dopo l’Italia riformerò l’Europa. Bum! Il sospetto che si renda conto di dire stronzate è legittimo; ma se così è gli italiani avrebbero ragione di sentirsi quotidianamente offesi da uno che li considera dei rincoglioniti. Chiedo scusa per il turpiloquio, ma come si fa a fare il pulitino in una fossa di letame? Certe sparate di Renzi ricordano il Mussolini di ottanta anni fa, in una situazione completamente diversa da quella odierna. E tuttavia anche per il Duce risultarono smargiassate, assolutamente prive della minima possibilità di concretizzare alcunché: le “reni della Grecia”, la “battigia” siciliana. Si dice che a degli universitari, che, in visita a Palazzo Venezia nel 1943, chiesero “ma Duce perché stiamo perdendo dappertutto?”, Mussolini finì con l’ammettere che “perfino Michelangelo con certa creta avrebbe fatto solo dei càntari”. Renzi impari almeno l’arte figula. Qui nel Salento abbiamo ottimi maestri.
Il sesto errore è di voler cambiare la legge elettorale detta Italicum dopo averla fatta votare ponendo il voto di fiducia e dopa averla definita un capolavoro immodificabile. La parola di Renzi, per sue stesse prove, non vale niente. Ma non è della parola che qui si tratta, bensì degli effetti politici. Lui dice che deve piegarsi alla volontà della maggioranza, sicché il capolavoro dell’Italicum, entrato in vigore il 1° luglio di quest’anno, viene abolito senza mai essere stato messo in moto. E questo sarebbe il grande messìa della politica italiana? Fa a luglio ciò che disfa a novembre. Come la  sua Firenze dei tempi di Dante?: “fai tanto sottili / provvedimenti,  che a mezzo novembre  / non giugne quel che tu d’ottobre fili”. Così nella celebre invettiva.
Ma il furbastro fiorentino coglie la palla al balzo e rottama l’Italicum perché è un sistema elettorale che si pensa favorisca alle elezioni il Movimento 5 Stelle. E vi pare una cosa corretta cambiare i sistemi elettorali a convenienza? Qui viene meno la divisione dei poteri. E’ un fatto di estrema gravità, perché se passa l’idea che in Italia non puoi vincere le elezioni secondo leggi e sistemi vigenti, allora occorre prendere il potere diversamente. Catilina, prima di ricorrere alla congiura e all’aperta sfida militare contro Roma, tentò tre volte di diventare console con le buone, ma quel manipolatore di Cicerone glielo aveva sempre impedito con vari discutibili cavilli. 

Molti, in questi giorni, mi hanno chiesto per chi voto. Ho risposto secco e seccato: voto per il NO. E quando mi hanno chiesto perché, ho risposto: per principio, perché la Costituzione nel XXI secolo non la concede e non la trasforma un governo. Se tanto accade vuol dire che non è poi passato tanto tempo da quando nel 1848 lo Statuto lo concedevano, per grazia loro, i sovrani, Ferdinando II di Napoli, il Granduca di Toscana, Carlo Alberto di Sardegna. Un regresso di quasi due secoli. Ma di questo se ne accorge solo chi conosce la storia. Gli altri sono semplicemente beati.