Bisogna convincersi, farsene una
ragione: Renzi non è un episodio della politica italiana, non è un Goria o un
Letta; è l’inizio di un’età, che gli storici chiameranno renziana. Così come
per Giovanni Giolitti.
Renzi ha poco di paragonabile al
grande politico di Dronero; Giolitti veniva dagli alti ingranaggi dello Stato,
più simile a Ciampi; il Nostro è un politico di professione, viene dal nulla.
Ha una laurea in giurisprudenza, punto e basta. A quarant’anni aveva già fatto
il presidente della provincia, poi il sindaco di Firenze e infine il presidente
del consiglio dei ministri. Prima di essere il rottamatore, è stato il
propositore di se stesso. Si è proposto in tutto, perfino ai giochi di Mike
Bongiorno. Dai boy-scout ha preso il senso del gruppo e del capo; uno destinato
a primeggiare anche quando subisce una sconfitta. Come dire? Se perde la guerra
vince la pace.
E’ stato letteralmente
defenestrato dal voto popolare del 4 dicembre. Ma è caduto senza farsi niente,
la finestra era a piano terra, non si è neppure ammaccato. E, infatti, il
governo che è stato varato subito dopo è lo stesso di prima. Non c’è lui, ma,
come faceva Giolitti, ha messo due suoi proconsoli: Gentiloni a capo del
governo e la Boschi a sottesegretario alla presidenza del consiglio.
C’è da chiedersi perché. Non
c’erano altri? Gentiloni, specializzato in successioni in corso d’opera, faceva
proprio al caso? E la Boschi, la cui riforma costituzionale è stata subissata
sotto una valanga di NO, non meritava una messa a riposo? Perfino la
Finocchiaro, relatrice di quella riforma, è stata premiata col Ministero per i
rapporti col Parlamento. Renzi, insomma, ha voluto far capire che chi comanda è
ancora lui, che si è messo da parte per dimostrare che è ancora più forte di
prima, premiando gli elementi chiave di una riforma che il popolo ha
rabbiosamente bocciato. Una sfida, la sua, che ha del temerario.
E’ un bel dire da parte delle
opposizioni: andiamo subito a votare, questo governo è la fotocopia del precedente,
è un governo Renzi senza Renzi e via di questo passo. Cosa che ha avuto un’eco
anche nella satira. Giannelli, sul “Corriere della Sera” di venerdì, 16
dicembre, ha messo nella sua vignetta la Merkel, Juncker e Hollande che,
guardando Gentiloni, commentano “In Italia hanno cambiato parrucchiere”,
alludendo alla diversa pettinatura dell’attuale premier rispetto a quella del
precedente. Dunque, nessun dubbio che Renzi è vivo e vegeto e pronto a tornare
più forte e – ahilui – più arrogante di prima.
Egli rientra in una tipologia di
furbi che non si accontentano della furbata a danno di altri, ma vogliono anche compiacersene esibendola.
Questo è il vero motivo della Boschi e della Finocchiaro al governo. Avete bocciato
la riforma? Ecco, io metto nel governo chi l’ha redatta e politicamente
rappresentata. Perché io – quasi emulando Alberto Sordi del Marchese del Grillo – so’ io e voi non
siete un cazzo!
Ma la furbizia è intelligenza
imperfetta; magari consente di ottenere nell'immediato grossi risultati ma poi spinge ad
andare oltre e li fa perdere. L’intelligente non si esibisce mai, neppure in
politica; anzi, soprattutto in politica, deve saper simulare e dissimulare.
Renzi avrebbe dovuto o dovrebbe trarre una lezione dalle randellate
referendarie, dare una spiegazione al fatto che è diventato così odioso a tanta
gente, a tanti giovani soprattutto. C’è chi si sorprende che i giovani lo
detestino; invece è assolutamente normale. I giovani non amano i migliori della
classe, specialmente quando sono sfacciatamente fortunati e protetti. Parola di
professore. Renzi non se ne rende conto o forse non riesce ad essere diverso e
continua nella sua arroganza, come se, indispettito, la vuol far pagare a chi
gli è stato contro.
Ma, dettagli caratteriali a
parte, egli sta costruendo il suo ritorno per dare un seguito alla sua “età”.
Questo governo, con molte probabilità, durerà fino alla scadenza del 2018;
salverà perciò il vitalizio di tanti parlamentari. La qual cosa esaspererà la
rabbia dei cittadini contro i politici.
Con troppa fretta alcuni
commentatori nei giorni scorsi hanno parlato del fenomeno del bandwagoning, cioè del salto sul carro
del vincitore. Hanno sbagliato. A parte che non c’è un carro del vincitore per
saltarvi su, ma se pure intendessero alludere ai voltagabbana – quanto è più
bello servirsi dell’italiano! – non credo che ce ne siano tanti ad aver
abbandonato Renzi. Certo, alcuni commentatori politici oggi dicono di Renzi –
penso a Paolo Mieli – quello che non dicevano fino al voto del 4 dicembre.
La durata del governo Gentiloni è
credibile – altro discorso se anche auspicabile – perché è in corso la guerra
di logoramento al Movimento 5 Stelle. Se le cose a Roma continueranno ad andare
con la sindaca grillina Raggi come sono andate finora, ossia malissimo, c’è da
credere che il Movimento arriverà alla fine della legislatura logoro. Chi ha
interesse a mettere fine ai cunctatores?
Il Movimento 5 Stelle fa paura a tutti; e chi non avverte il rischio di una
vittoria dei grillini vuol dire che è proprio un irresponsabile o un
avventuriero, un sostenitore del tanto peggio tanto meglio. I grillini hanno
dimostrato finora di essere anche simpatici e puliti, ma hanno anche
evidenziato spiccate incapacità di gestire situazioni di comando, di governo,
di potere.
Per tutte quante queste ragioni
Renzi probabilmente vincerà le primarie del suo partito e si proporrà candidato
premier, in barba alla Costituzione de
jure che non lo prevede, alle successive elezioni. Per le quali manca una
legge che sia la stessa di Camera e Senato; ma questa si troverà, magari piano
piano, senza fretta, perché il tempo deve passare e produrre situazioni di
favore a chi è più furbo e forse anche più forte di altri. In questa gara Renzi
non ha rivali.
Nessun commento:
Posta un commento