sabato 30 gennaio 2021

Conte si è dimesso per colpa di se stesso e di Zingaretti

E’ strano questo nostro paese. L’Italia dico. Da tempo si sapeva che il governo Conte era lento, sonnacchioso, che tirava a campare. Se n’erano accorti i partiti che lo sostenevano, i quali continuamente cercavano di dargli una scossa. Ma niente. Per giunta Conte avocava a sé la gestione del Recovery fund (209 miliardi di Euro) e non voleva mollare la delega ai Servizi. Il più accanito pungolatore era Matteo Renzi, che continuamente minacciava di togliere il sostegno facendo sfilare la sua rappresentanza dall’esecutivo. E intanto Zingaretti, segretario del Pd, la più forte componente del governo Conte dopo i Cinquestelle, che faceva? Niente! Una beata minchia. Finalmente, tira e tira, la corda si è spezzata. Renzi ha tolto il sostegno e il governo Conte è caduto. E la colpa a chi credete che sia stata data? A Renzi ovviamente. Il quale avrebbe dovuto continuare ad assistere fermo ad un governo che si caratterizzava sempre più per l’immobilità dell’azione e per la personalizzazione del potere.

E, invece, la colpa va data prima di tutto a Conte che avrebbe dovuto cambiare passo, darsi da fare di più, cedere qualcosa del suo troppo potere e per la gestione dei fondi europei rispettare non solo i suoi sostenitori di governo ma anche le opposizioni. Lui ha pensato, invece, i meriti dei fondi europei sono miei e dunque sono io a doverne beneficiare.

Ma la colpa è anche di Zingaretti, che ha dimostrato di valere nulla, di non avere un minimo di ascendente sugli alleati. Non è di adesso questa sua povertà di credito. Già il governo Conte bis fu fatto contro la sua iniziale opposizione. E’ uno che finisce sempre per accodarsi alle iniziative degli altri. Sarebbe dovuto essere lui a mettersi fra Conte e Renzi per cercare di giungere ad una soluzione dei problemi. E, invece, lui che ha fatto? In privato dava ragione a Renzi fino a quando questo non si è deciso a compiere il gesto estremo di togliere l’appoggio al governo; e nei confronti di Conte si limitava a fare dichiarazioni di nessun peso e di nessuna credibilità.

Ma neppure dopo, a governo caduto, Zingaretti ha tentato di prendere in mano la situazione. Anzi, se n’è uscito con dichiarazioni isteriche: con Renzi mai più. Senza rendersi conto di quel che diceva e soprattutto della realtà in cui si trovava. Se con Renzi mai più, allora con chi? Coi responsabili! Uno spettacolo tanto indecoroso quanto improbabile per mancanza di un numero sufficiente di volenterosi costruttori come sono stati nobilmente chiamati questi peripatetici. Cerca e ricerca, ne hanno trovati talmente pochi da aggravare la situazione; ora si ritrovano con un quinto partner al tavolo delle spartizioni. E va bene che si chiamano Europeisti! Ma cosa portano in termini di voti e di contenuti ad una ipotetica riedizione di un Conte ter questi Ciampolilli? Niente.

Al momento in cui scriviamo il Presidente della Camera Fico, su mandato del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sta cercando di verificare se effettivamente si può riproporre un governo nel perimetro di quello precedente, ossia con M5S, Pd, Italia viva e Leu, più, a questo punto, gli Europeisti. Questo sarebbe maturato nelle 32 ore di colloqui tenuti dal Presidente Mattarella con i rappresentanti delle massime istituzioni e dei partiti politici.

Impossibile prevedere esiti. Renzi resta enigmatico e inattendibile. Dice continuamente cose apparentemente simili ma diverse. Non ha detto no a Conte, ma no a veti, dunque né sì né no. Dice che vuole partire anzitutto dalle componenti del governo e poi dalle cose da fare. In altri termini vuole che venga riconosciuta la legittimità della sua presenza nella coalizione di governo, e poi parlare delle cose da fare e in ultima analisi del nome del premier incaricato.

Ma se tutto dovesse concludersi con una conferma di Conte, come a questo punto sembrerebbe piegarsi la situazione, dovrebbero spiegare a che cosa è servito tutto questo ambaradam della crisi e della caduta del governo. Soprattutto in che cosa questo Conte ter sarebbe diverso dal Conte bis? Che cosa avrebbe ceduto Conte a Renzi o agli altri?

Intanto nel M5S è cresciuto il dissenso dopo le dichiarazioni del reggente Crimi di apertura di credito a Renzi. Alcuni, e tra questi Di Battista e il Presidente della Commissione Antimafia Morra, hanno dichiarato apertamente di essere contrari ad un nuovo governo con Italia viva. Dopo le sparate antirenziane di tutto il Movimento dei giorni scorsi, la virata grillina comunicata al Quirinale ha creato giusto sconcerto. Ma in politica il concetto di giusto non è di casa.

 

sabato 23 gennaio 2021

Che cosa non si fa per il bene del Paese!

La sera di martedì, 19 gennaio, resterà memorabile nella storia parlamentare dell’Italia. Uno spettacolo inverecondo. Una verifica di democrazia, la sua prova del nove. Non si dica che la democrazia è un’altra cosa. La democrazia è quella che è. Il vero democratico perciò è chi riesce a digerire simili brodaglie. Un governo, che non ha la maggioranza assoluta nel Senato, punta a prendere almeno la migliore maggioranza relativa, pur di non doversi mettere la coda fra le gambe e andare a cuccia. E fin qui nulla di eccezionale. Se ne sono viste tante. Vale lo specifico.

I numeri parlano chiaro. Occorrono 161 sì per avere la maggioranza assoluta, ma se si arriva ad una maggioranza relativa, pure di 155 sì, è sufficiente per proseguire nell’azione di governo. La maggioranza è a quota 149, considerati i presenti e gli astenuti. Dunque la caccia ai sì è asfissiante, spietata e nello stesso tempo subdola. Ogni sì è grasso che cola. Non è neppure negata. È la piazza in un giorno di mercato. C’è chi si diverte. Si scomodano metafore volgari: mercato delle vacche. Due di Forza Italia dichiarano il loro sì. Si tratta della senatrice Mariarosaria Rossi, ex “badante” di Silvio Berlusconi, e del senatore Andrea Causin. È soprattutto la prima che sconcerta per essere stata fino all’ultimo di parere diverso oltre al fatto di essere stata per anni la persona più vicina al capo di Forza Italia. Sospettare che ci sia stato lo zampino di Berlusconi è semplicemente obligé, anche se il Cavaliere assicura di non aver avuto contatti con lei da qualche tempo. Altri tre sì sono assicurati da tre senatori a vita. Altri sì vengono da provenienze diverse, dal gruppo misto. Votano per il sì Pier Ferdinando Casini, l’ex grillino Gregorio De Falco, la moglie di Mastella Sandra Lonardo. Ma, nonostante questi aiuti che si aggiungono ai voti dei partiti di maggioranza, esclusi quelli di Italia Viva che si astengono, la fiducia arriva a 154 sì, pochi perché il governo possa continuare come se nulla fosse. A questo punto accade il colpo di scena. Due senatori, che non avevano risposto né alla prima né alla seconda chiama, intendono votare dopo che la Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati ha chiuso la votazione. Sono due senatori potenzialmente ostili al governo. Uno, il socialista Riccardo Nencini, aveva dichiarato di astenersi, l’altro un grillino espulso, Lello Ciampolillo, votano e votano sì. La fiducia raggiunge 156 voti. Non è un gran risultato, ma in tempi di magra può bastare. Il governo non è umiliato, il Senato sì.   

Quali le ragioni che hanno spinto tanti “volenterosi” ad accorrere in aiuto di un governo che di fatto non ha la maggioranza per poter continuare a governare? Se pure avesse raggiunto la maggioranza assoluta di 161 voti, la situazione che c’è nelle commissioni impedisce un regolare svolgimento dell’azione governativa. La spiegazione è sempre la stessa: dare solidità al governo, conferirgli mandato per allargare la maggioranza in senso liberale ed europeista, tenere in piedi il governo in una situazione di grave crisi sanitaria nel Paese, per senso di responsabilità nazionale insomma.

In realtà il motivo vero, grande quanto un macigno, è che nessuno vuole interrompere la legislatura con nuove votazioni. Gran parte dei senatori e dei deputati, stante anche la riduzione dei parlamentari, si rende conto di non avere alcuna possibilità di fare ritorno in Parlamento e dunque ognuno cerca di tirarla quanto più a lungo possibile. Non è un caso che proprio la componente grillina, che ha il più nutrito numero di parlamentari, è stata silente nello spettacolo del voto di fiducia. Che dovevano dire i grillini? Sono usciti in campo i Mastella, i Tabacci e i vecchi volponi della più sputtanata classe politica ex-democristiana, zoccole conclamate. Sono stati loro a tenere il campo nella circostanza, dandosi da fare a chiamare, a cercare di convincere, a portare acqua al mulino sgangherato di Conte.

Ma lo spettacolo sul versante del centrodestra non è migliore. In buona sostanza le tre componenti, Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, non sono d’accordo, nonostante ostentino compattezza. La Lega vorrebbe avere la possibilità di tentare a trovare una maggioranza diversa all’interno di questo Parlamento, assumendosi la parte dei cercatori di responsabili-volenterosi-costruttori-trasformisti, che ora è del centrosinistra, un mercato delle vacche a conduzione alterna. Fratelli d’Italia vorrebbe andare a nuove elezioni. Forza Italia…non si sa in buona sostanza con chi stia, dato che è Berlusconi che più di altri parla di responsabilità nazionale, di spirito liberale ed europeista, lo stesso invocato dai contiani.

Dalla crisi, determinata dall’uscita di Italia Viva dalla compagine governativa, non ha tratto beneficio neppure Matteo Renzi, che è stato costretto a mutare atteggiamento dalla mattina alla sera, passando da una netta opposizione al governo Conte ad una disponibilità a nuovi incontri…sempre per il bene del Paese!

 

domenica 17 gennaio 2021

Crisi di governo o crisi di sistema?

 

Tanto tuonò che piovve. Questa volta è andata così. Non se ne era certi. I protagonisti della politica italiana sono in-credibili, nel senso che non sono credibili. Questa volta non si capisce davvero perché Matteo Renzi abbia voluto sfilarsi dal governo, al di là di alcune ragioni nell’immediato comprensibili e più o meno condivisibili. All’interno di una coalizione è normale fare dei rilievi, sollevare delle questioni, avanzare delle proposte. Tutto questo è nell’ordine delle cose democratiche. Ma quando si toglie l’appoggio ad una maggioranza governativa allo scopo di far cadere il governo di cui si fa parte, peraltro nel pieno di una crisi sanitaria senza precedenti da un secolo a questa parte, come è la pandemia da Covid, allora non si capisce.

Allora, per capire qualcosa, occorre cambiare il registro: lasciare quello della razionalità e del buonsenso e adottare quello dell’isterismo, del calcolo personale, del machiavellismo, quello dei personalismi, sempre narcisistici.

Ad una prima lettura, conosciuti anche gli scambi di improperi fra i protagonisti – “Conte tornerà a fare il professore” e di rimando “noi Renzi lo asfaltiamo” – la questione si presenta assurda. Mettiamoci dalla parte di Renzi. Lui dice che non preclude a nessuno di guidare un nuovo governo e lascia intendere che è pronto a riprendere la partita. Ma un altro governo, guidato o meno da Conte, stanti le parti in causa che ci sono, che garanzia dà di solidità, di sveltezza, di efficienza, tutte qualità che Renzi continua ad invocare? Nessuna, in realtà. Non è possibile che un asino da un giorno all’altro si metta a volare. Ma, intanto, Renzi è fermamente convinto che un governo con questo Parlamento è ancora possibile, meglio, peggio o uguale a quello di prima non ha importanza.

Non resta che considerare la sortita di Renzi come un tentativo di guadagnare la centralità della scena nell’ipotesi di sommovimenti nello scenario politico. Il suo partito, Italia viva, doveva raggiungere una dimensione importante, una percentuale a doppia cifra, naviga invece su un 2-3 % dell’elettorato secondo i sondaggi. Le cose – pensa – non potrebbero mai andare peggio di così, facciamo perciò un po’ di scompiglio, qualche cosa succederà.

Quel che lui non vuole di certo è il ritorno alle urne. E non vuole che si voti anzitempo perché è convinto che in quel caso la destra vincerebbe le elezioni. Lo pensa e lo dice, come se fosse una cosa normale. Stando ai sondaggi, infatti, la coalizione di centrodestra è maggioritaria nel paese. Allora c’è da porsi una domanda, molto semplice e ingenua. Un vero democratico, quale Renzi si professa, e non solo lui in verità, nel momento in cui si accorge che la maggioranza nel paese non è più quella parlamentare, non dovrebbre essere il primo a dire: signori, la volontà del Paese è mutata, è giusto, è democratico, che le si dia la possibilità di assumersi l’onore del governo del Paese. Invece no. Invece Renzi e tutti gli altri, chi esplicitamente come fa lui e chi più tacitamente, non vogliono che si voti perché non si realizzi il più democratico degli eventi: un cambio di maggioranza per volontà diretta dell’elettorato. E tutto questo come si concilia con lo spiruito democratico? Non si concilia! In politica ci sono leggi universali, democrazia o non democrazia, una è che chi ha il potere non vuole cederlo e chi non ce l’ha lo vuole conquistare. Allora la chiave non è la democrazia, ma il potere.

A fronte di quanto sta accadendo – scriviamo sabato 16 gennaio – gli scenari che si aprono non promettono nulla di buono. Già si parla di una specie di partito dei “responsabili” o, come li si è voluti nobilitare, dei “costruttori”, in una parola dei voltagabbana, dei trasformisti, degli emarginati chi per un motivo chi per un altro, chi per sua libera volontà e chi per condanna essendo stato espulso dal suo partito. Un governo del genere, se fosse possibile, sarebbe peggio di quello di prima. Renzi lo sa e difatti sta cercando di riconciliarsi, sia pure in maniera generica e confusa, andando a sbattere contro il diniego di Pd e M5S, offesissimi dall’iniziativa renziana.

Il Pd, che pure aveva avanzato critiche sull’immobilismo del governo, è più preoccupato di prima. Un governo Conte ter sostenuto dai responsabili-costruttori-trasformisti sarebbe assai peggiore di quello di prima e sta cercando di introdurre nel dibattito qualche improbabile garanzia di discontinuità. Da parte sua il partito dei responsabili-costruttori-trasformisti incomincia a puntare i piedi e a rivendicare tutta l’importanza della sua azione sostenitrice. Ha detto Clemente Mastella, il nocchiero di fatto di questo partito: attenzione, “noi siamo responsabili, ma non fessi”, temendo di essere raggirati dalla coalizione governativa. Questo pseudopartito, “suggerito” da un’espressione del Presidente Mattarella, avente tutt’altra valenza e significato, pretende di essere considerato nella dinamica governativa una componente vera e propria. Ergo, per farla a spiccioli, pretende delle poltrone. Niente per niente, nessuno fa niente. E i “responsabili”, appunto, non sono fessi!

sabato 9 gennaio 2021

Se tuona non è detto che piova

I nostri politici ci hanno abituati a tutto, ma proprio a tutto. Tanto che non solo ormai non crediamo se non vediamo ma neppure se tocchiamo. Siamo più scettici di San Tommaso, l’apostolo. Renzi sembrava Giove che con le saette in mano minacciava di sotterrare l’Olimpo. Sembrava, per tornare alla metafora della pioggia, che stesse per precipitare un acquazzone devastante, tanti erano i tuoni contro il governo Conte. E gli altri a dirgli: ma che vuoi un'altra poltrona al governo?, te la diamo, anzi, te ne diamo due, basta che la smetti di far casini. E quello: a me poltrone!, ma se io rinuncio pure a quelle che ho già! E così per settimane. Probabilmente Renzi mira a far cadere il governo Conte ma non allo scioglimento delle camere. Mira ad un governo in cui la parte del leone la farebbe lui, sia per i meriti di aver fatto cadere Conte e sia per le prospettive, che non sarebbe del tutto peregrino identificare in ritorni a ricongiungimenti in un Pd diversamente chiamato o, come direbbero i critici letterari, desemantizzato.  

Al momento in cui scriviamo [h. 15,30 del 9 gennaio] sappiamo che ieri notte c’è stato un confronto nella maggioranza ai limiti della rottura, intendiamoci non delle nostre scatole, già abbondantemente rotte, ma fra la maggioranza e l’opposizione interna, nel senso che stavano per separarsi. Non è facile indovinare che cosa accadrà. Renzi se ne sogna una al minuto secondo. Come Conte sta per accondiscendere alle sue richieste ecco che quello se ne sogna un’altra. L’ultima è il ponte sullo Stretto di Messina. E ti pareva che non sarebbe balzato fuori dal cilindro renziano anche il ponte sullo stretto! Ma questo, a dire il vero, non comporta grandi impegni, basta dire sì, poi saprà Dio a chi dare i guai. Del ponte sullo stretto si parla dai tempi di Mussolini e forse anche da prima. Sembrava quasi fatto con Berlusconi. Ora Renzi sulla scìa dei grandi italiani che prima dicono e poi rinunciano al ponte si è infilato pure lui. Il ponte sullo stretto politicamente non costa nulla, basta dire di volerlo. Non per caso Beppe Grillo, praticone come è, lo volle attraversare a nuoto lo stretto di Messina, quasi a dire: se non lo si attraversa così…campa ponte, come campa cavallo che l’erba cresce.

A questo punto sarebbe meglio per tutti, quanto meno più decoroso, che si andasse a nuove elezioni a giugno, tempo limite prima che inizi il semestre bianco, quando le camere non si possono sciogliere più.

Secondo alcuni osservatori politici, poco disinteressati a dire il vero, non sarebbe male se si votasse, perché la situazione di oggi porterebbe ad un confronto fra due schieramenti: uno di centrosinistra, compreso il Movimento Cinque Stelle, e uno di centrodestra. E non sarebbe tanto scontato il confronto (Paolo Mieli sul “Corriere della Sera del 9 gennaio). Si sarebbe riproposto, seguendo un percorso del tutto imprevisto fino a poco tempo fa, il bipolarismo dei tempi di Prodi-Berlusconi. Sì, ma dopo perché i centrosinistri dovrebbero trovare l’accordo che ora non riescono a trovare? Posto che vincessero le elezioni! E il centrodestra sarebbe veramente così coeso da garantire un governo coerente stanti differenze notevoli fra la cosiddetta destra moderna ed europea di Berlusconi e la destra sovranista di Salvini-Meloni?

Il fatto è che la crisi che stiamo attraversando è di sistema; è crisi politica. Non si può più sperare di risolverla con improbabili alchimie. Se consideriamo il centrosinistra non tardiamo ad accorgerci che le differenze fra le sue varie componenti sono quasi impercettibili, più che altro a distinguere il Pd dal Leu sarebbero solo questioni di mentalità, di carattere, e ovviamente di poltrone. Del resto prima erano insieme, come insieme era pure Renzi e la sua Italia, detta “viva” ma di fatto nata e rimasta rachitica. Più marcate le differenze fra i centrodestri, che neppure stando all’opposizione sono d’accordo tutti i giorni. Berlusconi ha già ampiamente dimostrato che quando si chiede “responsabilità” lui è il primo sia a chiederla che ad offrirla. 

I giorni o forse le ore che seguiranno ci diranno se il tanto tuonò che piovve è smentito dai comportamenti dei nostri politici, i quali ormai non li trovi mai dove li lasci. L’altra sera stavano per rompere? Nulla vieta che avessero trovato l’Attak giusto per tirare avanti alla meno peggio. Del resto fra un’ipotesi di rottura ed elezioni anticipate e una di tirare a campare, andreottianamente, potrebbe spuntarla quest’ultima.

 

domenica 3 gennaio 2021

Chi minaccia in politica poi le busca

03.01.2021. Matteo Renzi continua a minacciare il governo. Se non fate quello che vi abbiamo chiesto lasceremo la maggioranza. Conte non si lascia intimidire e gli risponde: se lasci il governo mi presento in Parlamento e do il via alla questua. Sembra che si sia giunti al termine di un conflitto a forza di minacce: se tu fai questo io faccio quest’altro, mentre si attende che il minacciante faccia la prima mossa. Da spettatori siamo tutti molto interessati alla sfida, per quanto gli sfidanti siano ben poco importanti, due pesi piuma che si atteggiano a pesi massimi. Non che due pugili piuma non siano rispettabili, sì ma a condizione di sapere di essere dei pesi piuma; se pensano di essere dei pesi massimi la cosa non funziona. Da cittadini siamo molto preoccupati perché la situazione è molto delicata e le questioni dirimenti sono tra le più importanti: Recovery fund e Servizi segreti. Come dire: questione economica, vitale per la ripresa del Paese; e sicurezza nazionale in una fase di incertezze e di preoccupanti scenari internazionali.  

Conte è abituato alle acchiature e ci prova per la terza volta. Nell’ultima è stato aiutato proprio da Renzi, il quale gli indicò il luogo dove l’avrebbe potuta trovare…e fu il governo cosiddetto giallo-rosso, che non c’entra a niente né coi colori della Roma né con quelli del Lecce. Non dovette nemmeno scavare più di tanto, era a fior di terra come le patate. In Italia, quando non ci sono contenuti per indicare un evento o un fatto, si ricorre ai colori. E come chiamarlo se no un governo di tal fatta? Dire Conte bis non era aderente alla realtà perché col precedente non aveva niente a che fare, essendo le forze politiche che lo componevano assai diverse, anzi diametralmente opposte. Come fosse possibile un’operazione del genere lo si capisce soltanto in considerazione del fatto che l’Italia è la patria del parlamento più trasformista d’Europa. Che a tanto si fosse giunti proprio coi più ostili a monovre del genere, i Cinque Stelle, probabilmente lo si deve all’effetto karma, una sorta di nemesi storica. Una forza politica maggioritaria lascia una maggioranza e ne fa un’altra per essere cocciutamente contraria alla precedente, avendo come alleati i nemici più acerrimi: i Dem e i neocomunisti di Leu. Se veramente fosse il popolo a decidere avrebbe innalzato una ghigliottina in pubblica piazza. Il popolo, invece, ormai è abituato a non c’entrare, in barba al dettato costituzionale che lo ritiene depositario di sovranità.

Che cosa spera di ottenere Renzi da questa ondata di Covid politico anti-Conte? Critici nei confronti del governo sono pure i Dem, ma questi non si spingono a minacciare e a lanciare ultimatum, aspettano che le pere maturino e cadano da sé.

Di ragioni Renzi ne ha. Conte vorrebbe fare con i miliardi del Recovery fund un replay della crisi sanitaria pandemica: creare cabine di regia e taske-force per amministrare i 209mld di Euro, tagliando fuori di fatto i ministeri e i partiti politici. Pare una cosa da niente? A me francamente pare una cosa molto seria e preoccupante. La delega ai Servizi segreti – dice Conte – gli spetta in quanto Presidente del Consiglio. E chi lo nega, ma gli spetta è scritto sulla carta, non è un obbligo. La questione è politica. Non può un signor nessuno, venuto dal nulla, avere un potere così smisurato. E poi la sua insistenza a tenersela stretta incomincia a far sorgere qualche sospetto. Che teme? La delega ai Servizi segreti può benissimo andare ad altra persona senza per questo violare la legge, è una questione di opportunità politica. Lo sanno tutti questo, ma solo lui, Renzi, è uscito allo scoperto, mentre gli altri hanno scelto l’attesa di quello che potrebbe succedere.

Renzi non vuole lo scioglimento del Parlamento, vuole andare dritto all’elezione del Presidente della Repubblica, ma vuole giungere in una posizione più importante che non quella di ora; e dopo a nuove elezioni, per ricavare il massimo possibile da quelli che lui considera i nuovi meriti acquisiti. La sua è un’operazione temeraria, ma nella situazione in cui si trova, col suo 3% di consensi secondo i sondaggi, che cosa può sperare? Di vivacchiare in governi in cui ha una rappresentanza proporzionale ai voti? L’uomo è ambizioso. Lo ha già abbondantemente dimostrato. Ama il rischio e ha dimostrato anche di saper accettare le conseguenze di eventuali sconfitte. Si pensi alla batosta del referendum costituzionale. Ma se lascia che le cose scivolino così senza nulla tentare, stando alle previsioni generalizzate ormai, fra non molto, le elezioni porteranno il centrodestra al potere e per lui e tutto il centrosinistra sarà la sconfitta.

Questi sono i ragionamenti che lo scenario politico attuale suggerisce di fare. Ma in politica, si sa, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Potrebbe esserci anche questa volta la possibilità di trovare un’altra maggioranza in Parlamento che faccia a meno dei voti renziani. Di “responsabili” nascono, si nutrono e muoiono le maggioranze politiche in Italia. Allora si verificherebbe quanto già abbiamo visto quando un altro Matteo, Salvini, minacciò Conte di far fuori il suo governo certo che si sarebbe andati a nuove votazioni. Non fu così. Potrebbe non essere così neppure questa volta e per Renzi sarebbe un chi di spada ferisce di spada perisce.