mercoledì 17 febbraio 2021

Draghi, dopo l'euforia le insidie

 

L’operazione compiuta da Mattarella per il varo del governo Draghi era la migliore e forse l’unica cosa che c’era da fare, ove si escluda il voto anticipato, che però era rischioso stante l’emergenza Covid. L’operazione, però, è avvenuta in un clima politico esageratamente euforico e quasi unanimistico. Il che procura un cauto allarme. Si son visti partiti che hanno cambiato posizione non dall’oggi al domani e neppure dalla mattina alla sera ma nel volgere di poche ore. Sono caduti tutti i veti che reciprocamente si scambiavano da anni, accuse di fuoco, ingiurie personali. A rendere particolarmente incredibile quanto è avvenuto concorrono in particolare le presenze nella nuova maggioranza – sarebbe improprio parlare di coalizione – della Lega di Matteo Salvini e di Forza Italia di Silvio Berlusconi. Presenze accettate obtorto collo dal Pd ma sdegnosamente respinte dai più intransigenti del M5S e di Leu, ossia dai grillini e dai postcomunisti di Liberi e Uguali, partiti che pure compongono la maggioranza che sostiene Draghi. A destra ad opporsi sono stati i Fratelli d’Italia con Giorgia Meloni, che però ha garantito un’opposizione “patriottica”.

In uno sguardo d’insieme questa legislatura mostra, con le sue tre maggioranze, diversissime, di essere stata la più schizofrenica della storia repubblicana. I vari partiti si sono combinati e scombinati in maniera incredibile come dadi nel bussolotto. Alla base di questo tourbillon c’è stata la natura parlamentare della nostra democrazia, la quale vuole che finché in Parlamento è possibile formare una maggioranza, quale che sia, non si va a nuove elezioni. Per questa ragione non fu sciolto il Parlamento nell’estate del 2019, quando la maggioranza giallo-verde entrò in crisi. Perché non si procedette a nuove elezioni, stante anche l’accesa conflittualità dei vari partiti? M5S soprattutto contro Pd, l’uno e l’altro si giuravano odio eterno neppure Annibale contro Roma. Perché si era convinti che le nuove elezioni le avrebbe vinte a mani basse la Lega di Salvini. E probabilmente sarebbe stato così. Per evitare le nuove elezioni, che erano la cosa più normale da fare in quel momento, si formò l’incredibile maggioranza giallo-rossa, M5S e Pd-Leu, sollecitata da Matteo Renzi, il quale, usciva subito dopo dal Pd, con la sua Italia Viva, e si ritagliava uno spazio di manovra tutto suo. Foriero di chissà quali manovre. Il resto lo conosciamo. Al momento opportuno Renzi ha fatto cadere il Conte 2, il giallo-rosso.

Il tentativo di trovare nel Parlamento i voti per tenere in piedi Conte, vero e proprio accanimento terapeutico, si sapeva che non sarebbe riuscito. Mattarella aveva però bisogno di questo passaggio, costituzionale, per poter dare inizio all’operazione Draghi. Intendiamoci, anche questa volta si poteva scegliere un’altra strada, quella di un governo che portasse ad elezioni anticipate. Ma non era consigliabile per i tanti e gravi problemi in essere, emergenza sanitaria, vaccinazione e Recovery plan in primis.

Nei confronti di Draghi si sono sprecate lodi come forse mai in precedenza per altri. Quasi urla di “arrivano i nostri”, in questo caso il “nostro”. A ragione, occorre dire, dato che Draghi è oggi l’italiano più noto e apprezzato nel mondo. Di lui si è detto perfino che il suo governo durerà fino alla sua elezione a Presidente della Repubblica, quando scadrà il mandato di Mattarella, ossia agli inizi del 2022, ritenendo che nessuno in Italia più e meglio di lui può ricoprire l’altissimo incarico. Sarà proprio così?

Intanto incominciamo col dire che dopo l’iniziale adesione di tutti i partiti al progetto Draghi, ad eccezione come si è detto di Fratelli d’Italia, hanno incominciato a prendere le distanze frange estremistiche all’interno di alcuni di essi. E’ accaduto nel M5S e in Leu. Non sono dissensi da poco, anche se nel M5S è difficile raccapezzarsi sull’entità dei ribelli. In Leu a prendere le distanze, fra gli altri, è il suo segretario Fratoianni, non uno qualsiasi. Insomma si stanno pericolosamente sbattendo i tappeti per far uscire tutta la polvere raccolta, operazione contraria a quella di chi pensava di nasconderla la polvere sotto di essi. La maggioranza tuttavia è così ampia che Draghi non corre nessun rischio. Ma la condizione di conflittualità alimentata da motivi forti e pregressi è un fatto che potrebbe di qui a non molto avere effetti destabilizzanti.

C’è inoltre un dato che non va sottovalutato. Draghi, a cui si riconosce anche abilità politica, ha già mostrato qualche eccentricità sul piano della comunicazione. Egli ha raccomandato a tutti di essere sobri nel parlare e di preferire il silenzio al clamore dei social. Si deve comunicare il già fatto, l’opposto degli annunci, cui in genere sono abituati i politici. Ma un conto è gestire Bankitalia o la Bce, avendo a che fare con soggetti tutti abituati alla discrezione e all’essenziale, un altro dei politici che sono invece adusi a parlare e a straparlare, cui si aggiunge la stampa che giustamente rivendica il diritto di sapere e di informare. La politica si nutre di informazione e di dibattito. Con Draghi si vorrebbe quasi sospendere la politica a beneficio dell’amministrazione e dei provvedimenti. Ma se questo si giustifica in un momento in cui c’è l’esigenza dell’operare senza i fastidiosi rumors tipici di una politica a tutto spiano, mal si concilia con le esigenze della cultura politica e con la creazione di un feeling col Paese. Questo potrebbe determinare intorno a Draghi una sorta di incomprensione, come nei confronti di un commissario straordinario dello Stato che a lungo potrebbe rivelarsi un fattore negativo. Tutto potrebbe passare se si vedessero da subito gli effetti positivi della sua opera. Ma se i risultati dovessero tardare ad arrivare o a non essere quelli delle aspettative allora l’eccessiva euforia per Draghi potrebbe tradursi in delusione. Tracciare il percorso di Draghi come scontato di qui alla sua elezione a Presidente della Repubblica potrebbe essere un azzardo.