domenica 30 ottobre 2011

Renzi, un etrusco in Italia

L’Italia è davvero combinata male. Da diversi anni ormai manca un uomo politico nello schieramento progressista o democratico che dir si voglia di statura davvero nazionale e internazionale. L’ultimo è stato Romano Prodi. Dopo di lui sono caduti tutti, uno dopo l’altro, in singolar tenzone con Silvio Berlusconi, sia come corsa al governo sia come corsa alla leadership politica dell’opposizione. Mi riferisco a Rutelli, a Veltroni, a Franceschini, a Bersani. Si cerca spasmodicamente l’uomo da portare ai vertici del Paese. Un po’ si guarda al governatore della Puglia Nichi Vendola o al presidente della provincia romana Zingaretti, un po’ a qualche sindaco di città importanti, come Chiamparino, ex di Torino; o Renzi, sindaco di Firenze o forse a Pisapia, sindaco di Milano. Comunque sia, è già significativo che si spera in un “provinciale” o in un sindaco per governare l’Italia. Che sarebbe, se il paragone non fosse eccessivamente liquidatorio, che un capomastro si mettesse a progettare un grande edificio al posto di un ingegnere o di un architetto. Ma tant’è. La morte dei partiti e delle ideologie, salutata come la grande svolta dell’incipiente secolo e millennio, ha liquidato la scuola dei politici; e allora, in mancanza di uomini di grandi competenze e capacità, usciti da una scuola, dotati di saperi, di teorie e di esperienze, si prende quel che si trova in bottega o sul cantiere.
Ora Matteo Renzi, sindaco di Firenze, come si diceva, ed ex presidente della provincia fiorentina, ha carisma, è linguacciuto, si è fatto avanti a suon di ingiurie e di irriverenze. In buona sostanza è uno che la politica non la intende come luogo di incontro ma di scontro. E’ il rottamatore di fatto e di eccellenza. E’ un garzone di bottega, un manovale di cantiere, presuntuoso e spregiudicato. Il che non significa che non possa riuscire nei suoi intenti – in Italia ne abbiamo viste di peggio – ma se tanto accadrà lo si dovrà alla mancanza di uomini politici veri.
Sabato, 29 ottobre, ha riunito a Firenze, alla stazione Leopolda, nome di richiamo asburgico, tutti coloro che come lui e con lui vogliono dare una spallata ai vecchi del centrosinistra. Basta con Bersani, con D’Alema, con Veltroni, con Franceschini, con la Bindi; basta con tutti quei signori responsabili a suo dire del disastro che hanno combinato. A chi gli chiede se si candida lui alla competizione per Palazzo Chigi, risponde che non la persona si candida ma le idee. E le idee quali sono? Non ci sono, lascia intendere, dato che non le dice. Allora sarebbe lui! Un raggiretto, degno di una novella del Boccaccio.
A lume di naso – naso di uno che la politica l’ha studiata nei secoli e vissuta nell’era della partitocrazia – Renzi è una patacca, buona soltanto a creare confusione ed ulteriori divisioni nello schieramento di appartenenza. E’ un etrusco, creativo, dotato di intelligenza e spregiudicatezza; ma non ha la stoffa del politico di caratura nazionale.
L’Etruria, in buona sostanza l’attuale Toscana, aveva già raggiunto una grande civiltà quando Roma era un nucleo di pastori e di masnadieri. Come mai, allora, fu conquistata e sottomessa dai romani? Semplice, perché era divisa in tante realtà locali; dunque una disorganizzazione politica, facile preda di un popolo più piccolo e meno progredito, ma forte e compatto. I toscani, eredi degli etruschi, sono rimasti in buona sostanza così come erano i loro padri, sono dei contradaioli. Non si esaltano nell’unire e nell’aggregare forze e realtà diverse, ma a disunire e a disgregare anche realtà compatte. Gente da palio, politicamente parlando!
Fuori da riferimenti letterari e suggestivi, la politica, intesa come scontro ad excludendum, poveri contro ricchi, femmine contro maschi, giovani contro anziani, e via continuando, secondo una schema tipicamente classista e marxista, è una non politica. La società è fatta di condizioni varie, la politica deve garantire mobilità e rotazione a tutti, possibilità di difendere la propria condizione o di cambiarla. E’ la società aperta, di cui parla Karl Popper.
Non ha senso alcuno ipotizzare una situazione in cui solo perché uno ha trenta o quarant’anni ha diritti e capacità che chi ne ha cinquanta o sessanta non ha. Una organizzazione politica simile è chiusa e ricorda la “Fattoria degli animali” di George Orwell, che sappiamo tutti come andò a finire.
E allora perché Renzi sembra godere di tanto credito, soprattutto mediatico? Perché a sinistra non sanno a che santo rivolgersi. A destra, invece, – vedi Giuliano Ferrara (Radio Londra di sabato, 29 ottobre) – sono interessati perché sperano che Renzi disgreghi ancor più il centrosinistra. Il che faciliterebbe al centrodestra un’altra vittoria.
L’etrusco, superiore in creatività e forte della sua età, finirà per essere messo sotto da chi ha più esperienza e senso della realtà. Nihil novi.

domenica 23 ottobre 2011

Il Terzo Polo, l'ultimo barocco leccese

Il Terzo Polo è partito sabato, 22 ottobre. E’ partito da Lecce, forse perché la capitale del Salento è anche l’inizio geografico dell’Italia o forse perché è una città simbolo. Ma i suoi protagonisti da tempo erano in giro.
A vederli ora qua ed ora là, i Fini e i Casini, che fino a qualche tempo fa sembravano gli eredi di Berlusconi alla guida del centrodestra politico e governativo, sembrano dei fantasmi. Appaiono nei loro contorni sfumati, parlano non si sa a chi. Aggiunti a Rutelli sommano sì e no un due-tre per cento di voti. No, non abbaiano alla luna, come si dice di chi parla alto e forte ma a nessun interlocutore. No no, sono proprio dei fantasmi, anime dannate che vagolano in cerca della loro sepoltura. Sono dei Palinuri, dallo sfortunato eroe virgiliano.
Prendiamo Fini, il più sfrangiato e il più spregiudicato. La sua è una posizione obbligata. Nel centrodestra, con Berlusconi o senza, non c’è più posto per lui. Ne ha fatte tante e a tante corde urtato che bisognerebbe proprio una perdita collettiva di memoria nel centrodestra per accoglierlo come un figliol prodigo. Ma nel centrosinistra non ha un ruolo, anzi ne ha uno, quello di destabilizzare lo schieramento. Lui non avrebbe problemi, pur di riciclarsi, di stare insieme a Di Pietro o a Vendola, ai comunisti e perfino ai grillini, se questi, per assurdo, rinsavissero ed entrassero organicamente in uno schieramento antiberlusconiano. Ma questi lo accetterebbero? Per fare insieme, che cosa? Il Fini è finito. Quello che era sembrato a tutti il delfino designato di Berlusconi non ha avuto pazienza di aspettare il suo turno. Pensava davvero di essere il cofondatore del PdL. Tutti nell’ex Msi ed ex An si erano resi conto che le cose erano cambiate; l’unico a non accorgersi di nulla era lui, che si sentiva perciò un leader di partito, quando ormai il partito era un altro, e non era il suo. Si è vestito di democratico, ma chi si veste di qualcosa che non è non fa molta strada e si rivela. Uno che azzera un intero direttivo nazionale perché alcuni suoi membri si erano permessi di muovergli delle osservazioni può essere un democratico? Uno che gira in modo truffaldino e maldestro una casa che era stata donata al partito “per la causa” da un’anziana aristocratica può essere considerato un democratico? Che dico? Un onesto? Certo, qualche interessata simpatia l’ha destata in chi pur di eliminare Berlusconi sarebbe capace di suicidarsi per autoantropofagia incominciando dai piedi.
E Casini? E’ rimasto lì, in mezzo alle danze, con la spazzola in mano, senza possibilità alcuna di trovar modo di far coppia. Lui il bipartitismo non lo vuole. Ne ha diritto. Ma che vuole? Il ritorno al consociativismo della prima repubblica? La sua naturale posizione è tra i moderati del centrodestra, ma lui non vuole più che lo schieramento venga guidato da Berlusconi e poi è in conflitto con la Lega per via del federalismo. Sperare che l’epoca del bipartitismo passasse ci sta purché ci si rendesse conto che chi vive troppo di speranze si colloca mentalmente nel futuro e non sa gestire il presente. Casini avrebbe dovuto, anche lui, avere pazienza, cavalcare in bipartitismo stando nel centrodestra e lavorare, non solo sperare che passasse ‘a nuttata, per dirla con l’abusato Eduardo. Invece no, sta lì a testimoniare quello che non c’è più, quello che non c’è ancora, che probabilmente non ci sarà nei prossimi anni. Casini non è finito, ma difficilmente avrà un inizio.
Il discorso su Rutelli sarebbe un di più a qualsiasi analisi politica, sul presente o in prospettiva. Semplicemente Rutelli è un riempitivo, dovunque si trovi o vada a trovarsi. Con uno come lui non si perde tempo. Il buon Dante direbbe: non ti curar di lui, ma guarda e passa.
Lombardo, leader dell’Mpa, Governatore della Sicilia, il quarto del Terzo Polo, non si capisce cosa c’entri in uno schieramento in cui, stante Casini contrario ad ogni tipo di federalismo o localismo, persegue finalità decisamente nazionali. Non si può essere contro la Lega del Nord e poi stare con una sorta di Lega del Sud, quale il movimento di Lombardo in buona sostanza è.
Il Terzo Polo ha scelto Lecce - come si diceva - per battezzarsi. Scelta migliore non poteva fare. Un miscuglio di uomini e di cose, diverse e contrastanti, sa di effimero. di vacuo, di barocco, forse ancora di più delle facciate delle chiese leccesi, delle colonne tortili e degli altari. Forse è stata scelta la capitale del Salento come location per via del suo attuale appeal turistico. Ma, come spesso accade, la scelta rivela una inevitabile attrazione e ne diventa il simbolo.

venerdì 21 ottobre 2011

Onore al combattente Gheddafi!

Gheddafi è stato catturato e ucciso a Sirte, suo ultimo rifugio e campo di battaglia. E’ morto come aveva promesso di morire: da martire. Fino all’ultimo, da autentico combattente, ha infuso ai suoi la certezza della vittoria, come fa un vero capo islamico. Non avrebbe mai chiesto ai suoi di morire solo per la bella morte, nella certezza della sconfitta, o per il dovere fine a se stesso. Bella morte e senso del dovere sono valori occidentali, di ragione, estranei al mondo arabo fatto di fede e di fanatismo. Le Termopili non sono cose da deserto.
Nei suoi 42 anni di potere non è stato un uomo moderato, bensì un esaltato, un terrorista e un assassino. Più che un dittatore è stato un tiranno, a volte buffonesco e grottesco, ridicolo e irritante, è apparso cialtrone e pidocchioso travestito da ricco, nella migliore delle immagini la spalla di un clown in un circo equestre. Ma era un membro dell’Onu, ascoltato più volte nel Palazzo di Vetro. E lì non si è mai presentato in giacca e cravatta. 
Ha inferto all’Italia più di un’umiliazione e tante provocazioni. Ad altri paesi ha fatto cose anche più gravi. Non era amato da nessuno, ma non c’è stato leader internazionale che non lo abbia ricevuto con tutti gli onori e che non lo abbia lusingato per concludere affari economici. A noi ne ha fatto concludere molti e molto proficui. L’Italia era il primo partner commerciale della Libia. Ciò che non era tollerato dai soliti francesi, ravvivati nella loro grandeur dall’ennesimo immigrato: Sarkozy come Napoleone, un po’ più ridicolo. Nutriva odio e amore nei nostri confronti. Sapeva – perché non era fesso – che l’Italia in Libia aveva fatto cose buone e che il nostro colonialismo non era stato di rapina come gli altri.
Il suo sogno era di farsi capo di un continente per secoli al guinzaglio del potere occidentale, recuperarlo alla dignità dopo secoli di servaggio. Aveva consapevolezza di questo suo ruolo, forse smisurato e utopico; ma sapeva anche nella sua megalomania che non aveva un altro percorso se voleva restare nella storia come uno che aveva tentato qualcosa di originale e di grandioso. Non si è africani per caso!
Quando Agnelli ebbe bisogno di danaro, lui acquistò il 10 % della Fiat e successivamente entrò anche nella società della Juventus, di cui era tifoso. Forse aveva il complesso della sponda opposta. Ma era africano! 
Non passerà alla storia in termini complessivamente positivi, ma chi davanti allo scempio della sua persona e del suo cadavere ha gioito e non ha saputo avere nemmeno una parola di pietosa comprensione e di riprovazione per le offese arrecategli, ha dimostrato di valere meno, ma molto meno di lui. Nella grande parata di ovvietà e nullità politiche internazionali, forse il miglior commento è stato quello di Berlusconi: sic transit gloria mundi. La formula che si usa alla morte di un papa. In quelle parole c’è tutto il pensiero e il sentimento di un uomo pragmatico come indubbiamente Berlusconi è: il rispetto dell’uomo, paragonato ad un papa, ossia ad un grande; la consapevolezza che tutto sulla terra è effimero e caduco; l’amarezza per le conclusioni dolorose della vita; il dispiacere per un amico sfortunato e segnato.
Nel 1969, quando cacciò gli italiani dalla Libia, gli avrei fatto guerra o comunque gli avrei dato una lezione; non avrei mai consentito che mancasse di rispetto all’Italia con le sue provocazioni e le sue ridicole prove di ostentata arroganza quando a passeggio per Roma esibiva la foto del padre fucilato dagli italiani nella guerra di Libia nel 1911. Ma ora, davanti alla sua fine non ingloriosa, in necrologio, da italiano non immemore, ritengo di dover dire: onore al combattente Gheddafi!    

domenica 16 ottobre 2011

Se Berlusconi fosse un uomo eccezionale...

Ancora una volta Berlusconi ce l’ha fatta. Venerdì, 14 ottobre, ha ottenuto la fiducia dalla Camera (316 voti). Il Presidente della Repubblica ha fatto sapere con una lettera ai capigruppo della maggioranza e delle opposizioni che dopo la bocciatura del 1° articolo del rendiconto finanziario dello Stato, casus belli, il governo non era dovuto a dimettersi e che il passaggio della fiducia era un atto dovuto, con l’ammonizione, in cauda, di non esagerare coi voti di fiducia.
E le opposizioni? Che cosa non hanno fatto! Hanno prima inscenato la farsa, già tragicamente fallita nel 1924 dell’Aventino, ma allora la situazione era di gran lunga più seria, essendo stato rapito e ucciso Giacomo Matteotti, il leader di un partito politico, e al governo c’era uno che si chiamava Benito Mussolini; poi hanno cercato di far mancare il numero legale in aula per invalidare il voto, roba da consiglio comunale di un paese al di sotto dei 5.000 abitanti, non riuscendovi perché i deputati radicali, che pure fanno parte del Pd, e quelli della Südtiroler Volkspartei, in aula invece sono rimasti; infine si sono abbandonati ad esternazioni da gente frustrata, impotente ed incapace di pensare una strategia seria e propositiva. Per fortuna ci hanno risparmiato il mantra del “passo indietro”.
Berlusconi è politicamente malconcio, ma è ancora in piedi. Se si votasse, invece, per sfiduciare le opposizioni, cadrebbero uno dopo l’altro come birilli, i Bersani, i Di Pietro, i Casini, i Fini, i Rutelli, i Franceschini, la Bindi e via processionando. Sono l’uno contro l’altro. A parte il comune odio per Berlusconi, non sono d’accordo su nulla. Non riescono nemmeno a mettere in essere un piano boicottatorio perché non sono credibili non solo nelle finalità ma neppure nelle modalità. Uscire dall’aula è stato un affronto all’istituzione parlamentare, finalizzandolo poi alla caduta del governo si è rivelato opera da dilettanti allo sbaraglio. Ma non parliamo di questi re travicelli, che arrivano sempre “con molto fracasso”, magari raccogliendo anche più di un milione di firme; “Le teste di legno – diceva il Giusti – fan sempre del chiasso”. Ce l’ho con loro perché si gloriano di mostrare al mondo le nostre porcherie per trarre un vantaggio politico, poco curandosi degli interessi generali del Paese.
Purtroppo la fiducia a Berlusconi non è esattamente la medicina giusta di cui ha bisogno oggi l’Italia, forse è la meno peggio. Il Paese oggi ha bisogno di recuperare un’immagine di salute, voglioso di aggredire con entusiasmo i problemi interni ed esterni, che sono tanti. Ma non è solo questione di problemi economici e sociali, di declassamenti da parte di discutibili agenzie finanziarie.
L’Italia ha perduto in questi anni qualcosa di più serio, ha perduto la faccia di Paese politicamente educato, di Paese per bene, “povero ma bello”. Berlusconi è stato l’ultimo leader politico che ha fatto parlare di sé per imprese non edificanti, che ha mischiato nelle sue faccende private aspetti pubblici con coinvolgimenti istituzionali. Ineducato e improvvido, perché sapeva di essere nel mirino. Lui stesso non ha fatto altro che lamentarsi in questi anni per le attenzioni che ha ricevuto dalla magistratura e per l’opposizione selvaggia dei suoi avversari politici. I suoi comportamenti sono stati devastanti per tutti. La magistratura, nella sua folle battaglia giudiziaria, senza mai approdare a nulla di concreto, ha dato al mondo un’immagine di partigianeria e di inefficienza. Mentre gli avversari hanno pensato di trarre qualche vantaggio dall’indignazione degli stranieri, ai quali si sono rivolti esagerando l’inadeguatezza e le sconcezze di Berlusconi. Risultato: Berlusconi è sempre lì, mentre il Paese è sfigurato per Berlusconi che si comporta come un sovrano orientale, per la gente che lo segue in ruolo servile, per la magistratura che lo persegue senza ottenere nulla, per l’opposizione che lo insegue senza riuscire ad acciuffarlo.
La situazione che si è venuta a creare ora è assai peggiore, perché anche il fronte interno berlusconiano che sembrava granitico incomincia a cedere. Quello che è accaduto con la bocciatura del 1° articolo del rendiconto finanziario non è stato un incidente tecnico, è stato voluto. E’ innegabile che all’interno del PdL c’è una pattuglia di ex democristiani che “non è rimasta insensibile al grido di dolore” del Cardinale Bagnasco. I Pisanu, gli Scaiola, i Formigoni hanno aggiunto ai loro vecchi malumori la benedizione della chiesa, che, come ognuno sa, non è un buon viatico.
Se fossi Berlusconi – dicevo ad un amico – dopo il voto di fiducia andrei da Napolitano e rassegnerei le dimissioni per non dover cedere ai ricatti di tanta gentucola. Uscirei alla grande, dopo l’ennesima vittoria parlamentare. Ma che dici? Mi ha risposto quello, convinto, rischierebbe di essere arrestato. Probabilmente ha ragione l’amico. E difatti tra le tante esternazioni dei suoi avversari ce n’è una particolarmente significativa, quella di Di Pietro, il quale ha detto: questa fiducia serve solo a Berlusconi per le sue vicende giudiziarie.
A maggior ragione, allora, mi viene di pensare che se Berlusconi fosse stato un uomo eccezionale sarebbe andato a dimettersi. Ma Berlusconi, evidentemente, è uomo di eccessi, di sommatorie, di accumulazioni; è incapace di compiere un gesto eccezionale. Magari, dove para para!

domenica 9 ottobre 2011

Berlusconi è alla fine ma è il più in salute di tutti

Le cronache politiche italiane di questi ultimi tempi ci hanno detto e ci dicono tre cose. Prima, Berlusconi non sta bene, politicamente s’intende, sarebbe finito, all’interno del suo partito gli stanno preparando l’exit strategy (Scajola e Pisanu, i risentitos). Seconda, le opposizioni riunite, ma non unite, non costituiscono un’alternativa, non solo perché non hanno i numeri ma neppure le idee, o per lo meno, ne hanno tante, così diverse, da non farne una attendibile (i pannacciaros). Terza, la situazione di stallo rende l’Italia non credibile all’estero, di qui i continui declassamenti del nostro debito pubblico. Cui puntuale segue il commento del governo: ce l’aspettavamo.
In un simile scenario ognuno ha ragione, si riempie la bocca di richiami etici, ha una serie di ricette. Peccato che tutti questi signori, non avendo potere di decidere alcunché, aumentano la confusione e aggravano la crisi.
Di recente, per il fatidico “passo indietro” di Berlusconi, abbiamo sentito aggiungersi ai Bersani, ai Di Pietro, ai Vendola, ai Casini e alla storica “persecuzione giudiziaria”, la Chiesa (Bagnasco), la Confindustria (Marcegaglia), la stampa (ad eccezione di quella berlusconiana), singoli imprenditori (Della Valle), i sindacati (Camusso), e perfino l’ineffabile presidente della camera (Fini), il Tersite della situazione. Nessuno di essi, però, si azzarda a suggerire il nome di chi dovrebbe fare l’altrettanto fatidico “passo avanti”. La verità è che tra di loro non si possono ciecare. Nessuno è contento di nessuno: Bersani, D’Alema, Veltroni, Parisi e via discorrendo sono l’uno contro l’altro “disarmati”. Ecco allora che spuntano i Renzi, gli Zingaretti, i Chiamparino, nomi di ambito locale che i mass media hanno reso di statura nazionale. Insomma, all’assediato Berlusconi corrisponde la confusione totale degli assedianti.
Gli italiani, i cittadini intendo, i governati, avvertono sempre più che nel nostro ordinamento politico manca la figura di uno che in congiunture simili si assuma la responsabilità di fare una mossa risolutiva. Il Presidente Napolitano è in attesa. Dice: finché un governo ha una maggioranza parlamentare, il presidente della repubblica non può fare nulla. Non fa una piega. Sembra, però, che voglia dire: create le condizioni ed io intervengo. Perché è di tutta evidenza che Napolitano non sta con Berlusconi. Se la situazione parlamentare dovesse cambiare nel senso che il governo dovesse essere sfiduciato, si apre un nuovo scenario. Napolitano, costituzione legale alla mano ma col cassino pronto a cancellare dalla lavagna dieci anni di costituzione reale, si attiva per le consultazioni e per l’eventuale incarico a qualcuno per un governo, che può essere battezzato come tecnico, di unità nazionale, preparatorio delle elezioni con una nuova legge elettorale. Sarebbe possibile un simile governo? Se non fosse possibile si andrebbe al voto anticipato con una legge elettorale, detta Porcellum, prima da tutti voluta e poi da tutti ripudiata. E che credibilità avrebbero le camere uscite da una consultazione elettorale bacata alle radici? Si tornerebbe alla sarabanda precedente, ovvero alla guerriglia parlamentare e politica. Insomma o mangi la minestra Berlusconi o ti butti dalla finestra!
Ora, sarà pure vero che all’interno dello schieramento di centrodestra aumentano i malumori e le tentazioni frondiste; sarà pure vero che Berlusconi per le sue stravaganze private, per i suoi interessi economici, che lo hanno portato ad intrecciare le sue cose con quelle dello Stato, è ormai avviato alla fine, ma è altrettanto vero che al momento, pur con tutti i mali di cui soffre, è il più in salute di tutti. Le sue dichiarazioni che non ci sono alternative al suo governo, che continuerà a governare fino al 2013, naturale scadenza della legislatura, che all’interno del suo partito non c’è alcun dissenso, sono più credibili delle dichiarazioni dei suoi avversari. E lo sono proprio perché lui parla di cose concrete, in essere, mentre gli altri di cose virtuali, in divenire. I suoi comportamenti, come il festeggiare con Putin, in Russia, il compleanno dell’amico, o buttare la provocazione del “partito della gnocca” rafforzano l’immagine di un uomo che ormai, senza remora alcuna, vuol passare alla storia come uno che ha avuto tutto nel modo come lo ha voluto, contro l’universo mondo di criticoni e perbenisti.