domenica 26 settembre 2010

Fini: una condanna senza appello

Non c’è dubbio alcuno che lo schifo che sta facendo la destra politica oggi in Italia non ha precedenti e non può avere comprensioni o tolleranze. Dire, però, che è tutta la politica a fare schifo non è giusto, perché non è vero. Se dici tutti, dici nessuno. E non è giusto neppure colpevolizzare tutti a destra allo stesso modo. Se tutti hanno colpa, nessuno ne ha. Proprio nei momenti di peggiore crisi della politica, senza nulla nascondersi e nascondere, bisogna avere fiducia.
Esiste in Italia da anni una questione Berlusconi, nei confronti della quale c’è stata e c’è una durissima presa di posizione da parte delle sinistre di ogni ordine e grado. E in tutta onestà non si può dire che facciano male a denunciare continuamente quanto accade nel paese e che secondo loro non dovrebbe accadere. Esse svolgono un compito essenziale in una democrazia. Si può obiettare sulla giustezza delle critiche e sulla fondatezza delle denunce, ma questo è un altro discorso. Conflitto di interessi, inadeguatezza a rappresentare le istituzioni, processi per corruzione, ripetuti scandali finanziari e sessuali, leggi ad personam, pubbliche beghe famigliari balzate alla cronaca nazionale, gaffe internazionali con esibizione di corna e battute inopportune e stravaganti sono critiche e denunce assai fondate. Potremmo continuare. Berlusconi ne ha fatte di tutti i colori, senza mai dirsi pentito o contrito, ma esibendole come un modo nuovo di far politica, a dimostrazione che lui non viene dal mondo del dire ma da quello del fare. Il popolo italiano, almeno quello che da sempre lo segue, non lo ha sempre condiviso, ma lo ha sempre tollerato, perché poi i suoi governi sono riusciti a dimostrare che un conto sono le stravaganze comportamentali, un altro è il governo.
E’ un fatto innegabile che la politica, anche a livello governativo, grazie a Berlusconi ha rinnovato il suo personale. Ci sono tante donne che prima non c’erano e se si escludono maliziosità di bassa lega nei loro confronti, indegne di un paese civile e incoerenti per chi le fa, hanno dimostrato di essere all’altezza. Ci sono quadri giovanili che si sono rivelati capaci e importanti. Ci sono ministri come Tremonti, Maroni, Frattini, La Russa, Sacconi, Gelmini, Brunetta, Carfagna, Brambilla, tanto per rimanere al governo in carica, che hanno dimostrato che in Italia il governo c’è e che sa anche operare, pur in un periodo di gravissima crisi finanziaria internazionale.
Va bene, dunque, criticare Berlusconi; va male, invece, circoscrivere a lui tutto quello che si può dire della politica e del suo governo.
E veniamo al dunque. La destra ex missina ed ex aennina ha sempre approvato senza fare una grinza l’operato di Berlusconi, a volte anche indecorosamente e venendo meno al suo compito oserei dire storico prima ancora che politico di caratterizzare di più e meglio l’azione del governo. La storia di questo partito avrebbe imposto a Fini e compagni un ruolo di controllo, di pungolo e di condizionamento soprattutto sul fronte dell’etica pubblica, fiore all’occhiello di sempre della destra italiana. Il Msi non era soltanto corporativismo, neofascismo, squadrismo, violenza; ma era anche legalità, giustizia, rispetto dello Stato, stato etico e stato sociale, senso di patria, compostezza istituzionale, etica pubblica.
Fini è stato il traghettatore di questa destra dal Msi al PdL nell’arco di sedici anni. Se c’è una persona chiamata a rispondere nel bene e nel male della metamorfosi della destra politica italiana è lui e in subordine i cosiddetti colonnelli, che lo hanno sempre seguito e assecondato, compreso quello Storace, che ne ha tratto benefici personali divenendo Presidente della Regione Lazio e Ministro della Sanità, prima di prendere le distanze per motivi mai del tutto chiariti.
L’opposizione di Fini e di alcuni ex missini ed ex aennini a Berlusconi è una questione recente. Da che cosa è nata? Lo hanno visto tutti. Fini, divenuto presidente della camera dopo il voto del 2008, non ha tardato a dare segni di irrequietezza, alternando esternazioni e picconate, a volte nobilitate da una nuova sensibilità politica (testamento biologico, cittadinanza agli immigrati, omosessualità), che nulla hanno a che fare con la destra, e a volte svestite di qualsiasi compostezza formale (attacchi fuori onda a Berlusconi e a rappresentanti della maggioranza). In un primo momento si è pensato ad una eccessiva identificazione da parte di Fini con la terza carica dello stato, che obbliga ad avere nei confronti di certi problemi un atteggiamento meno politico di parte e più istituzionale. Ma poi è apparso chiaro che lui mirava al bersaglio grosso, in un crescendo sempre più duro, attaccando ora Berlusconi senza mezzi termini ora uomini di quella maggioranza che pur lo aveva eletto presidente, facendosi apripista delle opposizioni, in un misto di dipietrismo e grillismo. La sua incominciava a configurarsi come opposizione bella e buona: all’interno reclamava libertà di dissenso, allo scopo di dimostrare che Berlusconi non ne concede; all’esterno facendo causa comune con le opposizioni. Mentre, in maniera incredibilmente cinica e sfrontata, confermava la sua fiducia al governo per rispetto di chi lo aveva votato. Il gioco era chiaro: mettere in crisi il governo per trarre poi dalle votazioni successive il massimo profitto; dimostrare che non la destra aveva fallito, ma Berlusconi, che andava perciò sostituito; per accreditarsi pertanto come unico legittimo erede. Lui, vessillifero di legalità, il nuovo Catone: Caiman delendus est.
Ma ahimè si era scordato che Berlusconi non era il re e che lui non era il principe ereditario gratia dei. La legge salica non vale in repubblica, dove nascono e muoiono gerarchie nel volgere di poco tempo. Inoltre non si era ben guardato addosso e intorno. Se lo avesse fatto si sarebbe accorto di non avere proprio le carte in regola. La questione della casa di Montecarlo non è una cosa da niente, come i suoi nuovi “amici” vogliono dare ad intendere. E’ oggettivamente grave; è soggettivamente gravissima, se si considera che il soggetto è quel partito nato nel 1946 sulle ceneri del fascismo, di cui fino al 1992 non ha mai nascosto l’eredità politica e morale. I suoi nuovi “amici” non sanno cosa significhi essere stati missini, e forse non lo sa neppure lui; ma gli altri, soprattutto quelli della base, che non sono tutti morti ancora, lo sanno. E perciò, senza essere berlusconiani e anzi subendo Berlusconi, lo condannano senza appello.
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domenica 19 settembre 2010

Destra e Sinistra, chi ha tradito e chi pure

I Balcani si sono trasferiti in Italia e hanno preso il posto di Alpi e Appennini. Le creature di Machiavelli, principi e principini, si sono moltiplicate come le uova fatali di Bulgakov. Lo dice la politica italiana con le sue lotte incrociate, con quella spinta, appena appena dissimulata di pulizia etnica nei confronti degli avversari, dentro e fuori degli schieramenti. Lo dicono i tanti leader e leaderini che spuntano come funghi. La formula è “primus super pares”, inventata da Berlusconi ma taroccata e finita sulle bancarelle delle sagre agostane. L’accusa più ricorrente è di tradimento. Se la rinfacciano tutti, a destra in maniera più violenta, a sinistra in maniera più soft.
Ma più di tutti ad aver ragione di parlare di tradimento è il cittadino, espropriato del diritto politico di coltivare dei valori in cui ha sempre creduto, in cui continua nonostante tutto a credere; ed oggi ridotto a fare il berlusconiano o l’antiberlusconiano. Uno squallore!
A destra. Non c’è dubbio alcuno che lo scontro tra finiani e berlusconiani, al di là delle ragioni esibite, nasconde un profilo personale mai registrato nella cosiddetta prima repubblica. Dal Msi ad An, da An al PdL, dal PdL a Futuro e Libertà, la destra italiana ha perso i suoi veri connotati, in nome di una progressiva liberalizzazione, modernizzazione ed europeizzazione. Così dicono. La metamorfosi continua di Fini è emblematica; e se prima poteva sembrare un caso isolato con le sue contraddizioni in materia di fascismo, di Mussolini, di ebraismo, di omofobia, di cattolicesimo, di xenofobia, di difesa ad oltranza della vita, oggi su posizioni negate e neganti troviamo un nascente partito, cosiddetto dei finiani o impropriamente dei futuristi, più appropriatamente dei Fli-pper. Sono diventati antifascisti, filoebraici, sono per le coppie gay, si dicono agnostici, vogliono diritto di cittadinanza e voto agli immigrati senza tante attese, difendono l’aborto e l’eutanasia. Essi, in buona sostanza, sono i radicali e i liberali degli anni Sessanta. Altro che destra moderna!Chi degli ex missini ed ex aennini non ha seguito Fini nei suoi funambolismi o finambolismi, come li chiama Veneziani, lo accusa di tradimento. Ma ad aver tradito, non meno di Fini, su taluni importanti valori di quella che una volta era la destra, sono quelli che son rimasti nel PdL, con Berlusconi e con la Lega, per intenderci. Quali sono i tradimenti? Sono nei confronti dell’unità, dell’identità e del decoro nazionale, della legalità e della giustizia sociale. Governare insieme con la Lega e con Berlusconi vuol dire favorire una politica secessionistica ed affaristica, una concezione della politica da bottega, dove contano i commerci e gli affari. I continui episodi di antitalianità della Lega non possono passare per forme di folclore innocuo. E’ in atto – vedi l’episodio della scuola di Adro nel Bresciano – una sovrapposizione di un modello identitario sul nascere ad un modello identitario sul morire. Le performance di Gheddafi in Italia sono indegne, indecorose ed offensive finché si limitano alle pagliacciate romane, che pure sono gravi; ma diventano intollerabili quando sono ricattatorie ed intimidatorie come l’episodio dell’aggressione libica al peschereccio italiano “Ariete” con mezzi italiani in mano libica e militari italiani in coperta. C’è una tolleranza da parte degli uomini ex missini nei confronti della patente e continua violazione della legalità e della compostezza da parte del capo del governo e di taluni suoi fedelissimi che grida vendetta al cospetto della onorata storia di almeno quattro generazioni di missini, fascisti per coerenza e democratici per dovere. I fedeli al PdL, in realtà, nulla hanno più del loro patrimonio politico, sono anch’essi i democristiani e i socialisti degli anni Settanta e Ottanta.
La Lega, la tanto vituperata Lega, si è ingrassata a dismisura non come si vuol far credere, attribuendole la parte della rana di Fedro, ma si è riempita dei voti degli ex missini e degli ex comunisti. Quando la componente finiana rimprovera Berlusconi di cedere ai ricatti della Lega dimentica che se la Lega è forte la colpa è proprio di chi ha sciolto prima il Msi e poi An, togliendo a molti italiani del Nord un punto di riferimento nazionale e sociale credibile. Allo stesso modo a sinistra, prima di accusare Berlusconi di essersi appiattito sulla Lega, dovrebbero chiedersi perché essa sta conquistando persino l’Emilia Romagna, feudo tradizionalmente del Pci e della sinistra in senso lato.
L’IdV di Di Pietro fa da pendant meridionale alla Lega. Questo partito è cresciuto nel Sud per i voti in fuga di tanti missini, che amavano la legalità e la giustizia, e di tanti comunisti che non hanno trovato più nel loro partito lo sdegno e la rabbia di chi lotta anche per un posto di lavoro o per migliori condizioni di vita.
A sinistra. Non meno che a destra è un continuo rinfacciarsi di trasmutazioni e tradimenti; con stile diverso, ma nella medesima sostanza. A parte le schegge delle più varie posizioni socialiste e comuniste, dai rifondaioli ai comunisti italiani, dai verdi ai vendoliani, anche gli ex comunisti e gli ex democristiani, confluiti nel Pd, hanno dovuto rinunciare ai loro valori più identitari. La rissa è evitata in nome di Annibale-Berlusconi alle porte e da una continua fuga di chi ha capito che in quel partito non c’è prospettiva. La sortita di Veltroni, con un documento sottoscritto da settantacinque parlamentari, è stata scomunicata come intempestiva e improvvida. Ma è del tutto normale e inevitabile. A sinistra hanno cambiato leader come Liz Taylor cambiava mariti, per giungere alla fine ad un “Nuovo Ulivo”, che è pari pari il vecchio, una sorta di sagrada union contro Berlusconi, comprensiva della nouvelle vague dei “grillini”.
A fronte di simile furibonda giostra, di tutti contro tutti, c’è il più grave di tutti i tradimenti, quello degli intellettuali. Alcuni sono schierati come pezzi di scacchi sulla scacchiera, altri si perdono in osservazioni e critiche prudenti, cerchiobottistiche, tanto inconcludenti quanto interessate. Nessuno vuole compromettersi al punto da dover dare poi spiegazioni o procedere a pentimenti.
E intanto il desiderio di una bonifica generale, di un nuovo ricominciamento, si fa sempre più forte e pressante nei cittadini. Gli unici veramente traditi.
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domenica 12 settembre 2010

La politica non può essere la sentina degli italiani

Nel corso di questa settimana, 6-12 settembre 2010, cinque episodi, quasi uno al giorno, hanno mostrato il livello di degrado in cui è precipitata la politica in Italia.
L’attore-regista Michele Placido, irritato per le critiche al suo film “Gli angeli del male”, in cui narra le imprese del bandito Renato Vallanzasca, criminale pluriomicida negli anni Settanta, ha detto che in Parlamento c’è di peggio.
L’on. Angela Napoli di Futuro e Libertà ha detto che alcune parlamentari del PdL, nelle elezioni del 2008, pur di essere inserite in lista con la sicurezza di essere elette, si sono prostituite.
Il Presidente della Camera Gianfranco Fini, rispondendo ad Enrico Mentana, nel corso di un’intervista su "La 7", ha detto che in politica non si tradisce, si cambia.
Il Senatore a vita Giulio Andreotti, nel corso della trasmissione “La storia siamo noi” su Rai Due di giovedì 8 settembre, ha detto a Gianni Minoli a proposito dell’avv. Giorgio Ambrosoli, ucciso l’11 luglio 1979 da un sicario di Michele Sindona, che in fondo quella morte se l’andava cercando.
Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi dalla Russia, dove partecipava ad un convegno sulla democrazia, ha insolentito la magistratura italiana e Gianfranco Fini.
Cinque episodi di cinismo e spudoratezza che hanno investito la politica. Le parole di Michele Placido sono passate quasi inosservate, come se fosse di pubblico e accettato dominio che in Parlamento ci siano o ci possano essere elementi peggiori del pluriomicida Renato Vallanzasca, il quale con due-tre colpi di pistola in fronte si sbarazzava del malcapitato che gli capitava davanti. A qualche debole rimostranza Placido ha risposto che lui fa il regista come altri fanno i giornalisti: racconta la realtà italiana. E no! Raccontare la criminalità è un dovere del cronista, e nell’esercizio di questo dovere sono caduti tanti giornalisti, sotto il fuoco della mafia e del terrorismo politico; ma esaltarne le gesta, con racconti accattivanti, giocando con l’artifizio della retorica, è un’altra cosa. Dire poi che in Parlamento c’è gente peggiore di Vallanzasca è un oltraggio all’istituzione, a prescindere da qualsiasi altra considerazione.
La sortita dell’on. Napoli è sconcertante. Subito dopo le elezioni, quando Beppe Grillo accusò che in Parlamento era arrivata qualche zoccola, lei fu una delle diciannove risentite che querelarono il comico. Dunque in Parlamento, oltre a criminali peggiori di Vallanzasca, secondo il Placido pensiero, ci sono anche zoccole, secondo il Grillo pensiero, condiviso in ritardo da una che, essendo parte in causa e non essendo davvero appetibile, come zoccola voglio dire, non si sa di chi parla.
Diversa ma non meno grave è la sortita di Fini, secondo cui il tradimento non riguarda la politica. Si sapeva che il Presidente della Camera fosse digiuno di libri. Rauti, ai suoi dì, glielo disse: caro Gianfranco il tuo problema è che hai letto meno libri di quanti io ne abbia scritti. Ora, con gli ultimi fatti che lo hanno riguardato e con la sua teoria sul tradimento, si sa anche che è digiuno di qualsiasi principio etico. Neppure Machiavelli si era spinto a negare il tradimento in politica, si era limitato a piegarlo agli interessi dello Stato. Fini è piuttosto l’uomo del Guicciardini, come Francesco De Sanctis lo desunse dai suoi famigerati “Ricordi”. L’uomo, cioè, che risponde alla più guicciardiniana delle categorie: il “particulare”. Che non è da intendersi in senso storiografico, dove ha una sua importanza metodologica, ma in senso politico, come ricerca del proprio esclusivo interesse.
Inqualificabile la battuta del Senatore a vita Giulio Andreotti, che, con cinica indifferenza, ha offeso una delle più illustri vittime del dovere civile in Italia. Che il più volte capo del governo democristiano fosse un ammiratore del mafioso Sindona lo si sapeva, ma che potesse arrivare al punto di offendere la memoria di una delle più limpide figure dell’impegno civile fino al sacrificio è davvero intollerabile. Claudio Magris gli ha augurato di dare conto a Dio di questo insulto; mentre altri, meno credenti, vorrebbero che gli fosse revocata la nomina di Senatore a vita per indegnità.
Berlusconi, ancora una volta dall’estero, dove bisognerebbe sempre esportare le immagini più belle dell’Italia – lo dice pure lui quando sta di aria – è tornato ad insolentire la magistratura e ad abbandonarsi a battute ironiche su Fini. A prescindere se a torto o a ragione, certo non era né la sede né il momento per sbattere sotto gli occhi di tutti i panni sporchi di casa.
Sembrerebbe una settimana particolare, purtroppo da un po’ di tempo in qua le settimane passano tutte così, tra insulti e diffamazioni della peggiore specie. La politica italiana non brilla certo di grandi esempi di onestà, di limpidezza, di lealtà, ma insultarla quotidianamente ad ogni occasione, in ogni luogo, impunemente, è un brutto segnale.
Lo Stato democratico si caratterizza per la libertà che riconosce ai cittadini, i quali possono esercitarla come meglio credono; ma se essi non dimostrano un minimo di maturità politica e civile non è improbabile che prima o poi da qualche parte si invochi lo Stato etico, quello che oggi processerebbe Michele Placido ed Angela Napoli per oltraggio alle istituzioni; Fini e Andreotti per indegnità a ricoprire cariche così esemplarmente importanti per la vita della nazione; e sanzionerebbe Berlusconi per aver danneggiato ancora una volta l’immagine dell’Italia all’estero.
Chi ricopre una carica pubblica, chi svolge un’attività pubblica o tesa al pubblico, non dovrebbe mai dimenticare quel profilo educativo che è la forza etica di chi ha responsabilità; dovrebbe sempre rendersi conto di dove si trova e dell’opportunità di dire o di non dire qualcosa. Se il buon esempio in Italia non lo danno le figure apicali, a qualsiasi livello, dal Presidente del Consiglio alla maestra di scuola materna, chi dovrebbe allora preoccuparsi di educare i giovani, di preparare una classe dirigente migliore? Se in Parlamento si è tra assassini e puttane – ed è considerato un fatto normale che qualcuno lo dica pure – se la politica è il refugium peccatorum, se il Presidente della Camera teorizza il tradimento come normale pratica politica, se un funzionario dello Stato ucciso perché ha voluto compiere fino in fondo il suo dovere di uomo e di cittadino, incurante perfino di avere moglie e figli, viene addirittura deriso da un mostro sacro della politica come Giulio Andreotti, se il Presidente del Consiglio esporta all’estero le magagne della nostra politica, allora dobbiamo preoccuparci seriamente.
Qui non si tratta più di centrodestra o di centrosinistra, di voto anticipato o di riforma elettorale, ma di vera e propria bonifica. La politica non è certo il salotto buono della nazione, ma non può essere nemmeno la sua sentina.
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domenica 5 settembre 2010

L'Islam, il cristianesimo e l'adulterio

Vivo in un paese sconvolto, or sono tre anni, da un caso tremendo di adulterio da parte di una donna accusata di aver provocato la morte del marito. Processata e giudicata colpevole, è stata condannata all’ergastolo. A parte una sparuta fiaccolata in sua difesa, per lo più d’iniziativa parentale, non c’è stato altro. Nessuno si è sognato di manifestare a nessun livello per abolire l’ergastolo e chiedere l’immediata scarcerazione della donna; nessuno a protestare la sua innocenza. Nessuno né in Italia né tanto meno nel mondo ha eccepito che l’ergastolo è una pena disumana, nessuno si è preoccupato della figlioletta, priva del padre morto e della madre condannata a vita a stare in carcere. Eppure non c’è a chi non balzi chiara come la luce del sole la disumanità della condizione di orfanità di legge, a cui è stata condannata un’innocente bambina, della condizione di perdita della propria figlia a cui è stata condannata una donna pur considerata colpevole. Eppure in Italia siamo in stragrande maggioranza cristiani. Gli uomini non hanno certe sensibilità, va bene. Ma le donne? Esse – si sa – sono implacabili nel condannare i vizi muliebri quando sono le altre ad esercitarli e se scoperte. Per il resto nella migliore delle ipotesi c’è il confessionale, dispensatore della rinomata candeggina usa e getta dei pater noster ed ave marie.
Vicenda identica è quella recente di una donna iraniana, accusata di aver ucciso il marito per meglio stare con l’amante e condannata alla lapidazione. Con la differenza che questa è rea confessa, mentre la donna italiana ha sempre respinto l’accusa di aver ucciso il marito. Nessun dubbio ha manifestato l’opinione pubblica sulla colpevolezza dell’italiana; certezza assoluta sull’innocenza dell’iraniana, che avrebbe sì confessato ma sotto tortura.
Due casi, insomma, paralleli. Ma per la donna iraniana si è scomodata l’Europa intera, con in testa la Première dame francese, Carla Bruni, moglie del Presidente Sarkozy, novella Marianne planetaria che rivendica i diritti di prostitute e terroristi. Sulla facciata del Campidoglio, a Roma, una gigantografia della donna iraniana campeggia per sensibilizzare l’opinione pubblica contro la barbara giustizia islamica e mobilitarla per la sua liberazione. Dappertutto in Europa si chiede la liberazione della donna, si dice che è innocente, si protesta per la barbarie della pena.
Quel che non ha fatto per la donna cristiana, l’ipocrisia occidentale lo sta facendo per la donna islamica. La povera cristo della porta accanto neppure è considerata, quella lontana migliaia di chilometri diventa una bandiera. Una disparità spaventosa. Si capisce perché: l’una non produce nulla; l’altra fa notorietà, fama, passerella, visibilità mediatica, successo, immagine, tendenza. Mettiamo quel che vogliamo. Sulla croisette dell’ipocrisia sfila di tutto.
Si può discutere sulla maggiore o minore disumanità di una pena rispetto ad un’altra, dell’ergastolo rispetto alla lapidazione, ma non si possono discutere due cose. La prima è che un’assassina, riconosciuta tale, va comunque condannata ad una pena. Non sarà l’ergastolo, non sarà la lapidazione, ma una pena certa la deve scontare.
Seconda, ogni Stato sovrano ha le sue leggi. Gli stati islamici hanno o non hanno il diritto di avere le proprie leggi? Il mondo occidentale, in gran parte cristiano, lo afferma per via di principio, ma lo nega nei fatti. C’è una certa Europa che nega perfino di avere radici cristiane per non offendere le altre religioni e in particolare l’islamica, che è assai temuta, ma poi interferisce pesantemente quando l’islamismo dispiega la sua forza e la sua coerenza per applicare le sue leggi.
L’islamismo, religione dalla quale noi europei mediterranei siamo in qualche modo lambiti, è ben più rigoroso del cristianesimo. Se l’islamismo esercita un certo fascino è proprio per il suo rigore. Nelle regioni più influenzate, come la Sicilia, lo si vede. Certe cose bisogna pur dirle.
Non solo la Sicilia. Spesso si parla dell’influenza islamica su Dante e la Divina Commedia, ma gli esegeti si fermano agli aspetti più storico-culturali, mai scendendo in profondità. Si cita il Libro della Scala, un testo arabo dell’VIII secolo, in cui si parla del viaggio di Maometto nell’oltretomba accompagnato dall’arcangelo Gabriele. Da una lettura più approfondita di Dante si scoprirebbe, invece, che il divin poeta per qualche aspetto è più islamista che cristiano. L’adulterio dalla legge islamica è punito con la lapidazione. E’ di tutta evidenza la legge del contrappasso: al piacere provocato dalle carezze, dolcezze e mollezze degli amanti si contrappone il dolore dei colpi di pietra sul corpo, torturato e lacerato. E Dante come punisce gli adulteri? Esattamente così, limitandosi a rovesciare le parti: non le pietre che vanno a colpire gli adulteri ma gli adulteri che vanno a sbattere sulla pietra trascinati dalla “bufera infernal che mai non resta”: “Quando giungon davanti a la ruina, / quivi le strida, il compianto, il lamento; / bestemmian quivi la virtù divina / Intesi ch’a così fatto tormento / enno dannati i peccator carnali, / che la ragion sommettono al talento” (Inf., V, 34-39). Fra i peccatori incalliti, Semiramide e Didone, Elena e Cleopatra, Paride e Tristano, troviamo anche i poveri occasionali Paolo e Francesca, quelli che fanno piangere e svenire Dante per il dolore, quelli che erano prigionieri della legge, secondo la quale “Amor, ch’a nullo amato amar perdona”. Ma Dante è inflessibile. Pur comprendendoli, li condanna a siffatta pena. L’unica differenza tra Dante islamista e Dante cristiano è che ogni operazione di pena il Dante cristiano la demanda a Domineddio nell’oltretomba, mentre, come si sa, gli islamisti provvedono al fai da te terreno. E ovviamente Dante, da cristiano, crede nel pentimento e nel purgatorio. Ma crede anche nella esemplarità della pena: gli altri devono vedere e imparare! Che cosa gli sarebbe costato immaginare che i due amanti prima di esalare l’ultimo respiro si fossero pentiti, come farà per lo svevo Manfredi? Niente, ma volle che gli amanti sapessero: chi sbaglia deve essere punito, senza pietà e misericordia. Dante corresse così anche Gesù Cristo, che convinse a sospendere la lapidazione della prostituta con una delle sue più celebri trovate: chi è senza peccato scagli la prima pietra. E Dante di peccati “petrosi” ne aveva che ne aveva!
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