domenica 27 settembre 2015

Papa Francesco è comunista? Forse. Politico senz'altro!


Il primo a porre la questione è lui, Papa Francesco. “Dicono che io sia comunista – ammicca sornione – e aggiunge: io sono solo col Vangelo”. Anche nel corso della sua visita negli Stati Uniti ha riproposto il quesito e questa volta è andato più in là con la risposta. “Io penso – ha detto sillabando – che mai ho espresso pensiero che non sia stato quello della dottrina sociale della Chiesa”.
Probabilmente ha ragione. La riserva è perché più di una volta, in maniera informale, celiando, come fa lui, ha detto delle cose assai discutibili anche sul piano dottrinale. Ricordiamo ancora il pugno che darebbe a chi gli offendesse la mamma, come disse dopo la strage parigina di Charlie Hebdo, che quasi la giustificava.
E’ proprio questo suo far passare la dottrina sociale della Chiesa, il Vangelo, una mascherata professione di comunismo, non nominale ma sostanziale, che taglia il nodo. Non so se ha mai votato un partito di sinistra o se lo voterebbe. Di certo non ha votato partiti di destra e mai li voterebbe. Il suo stare coi poveri e per i poveri lo inchioda a quello che è e che altro non potrebbe essere. Ma il suo francescanesimo è a metà. Francesco, quello di Assisi, era l’altra sponda del cristianesimo, l’altra rispetto a quella romana. E Papa Bergoglio, l’alter Franciscus, è a Roma.
Ora non c’è chi non sia disposto ad aiutare un povero, ma non credo che ci sia una sola persona a questo mondo che si auguri la povertà sulla terra come obiettivo della sua esistenza. Se così dovesse essere sarebbe un percorso all’indietro della storia. L’uomo che non cerca di migliorarsi e migliorare, che non cerca il progresso e il benessere, ma il regresso e la sua comunione con le cose della terra al loro stato primigenio, è un assurdo storico. Immaginiamo un Benedetto Croce che parafrasasse la sua ben nota formula della storia come processo di libertà e dicesse la storia è processo di povertà.  
Ma – si dice – ovunque vada si muovono maree di gente, di fedeli, non solo di cristiani. Noi lo sappiamo e lo sa pure lui che le folle oceaniche, migliaio in più migliaio in meno, hanno omaggiato anche i suoi predecessori. Per lui, in particolare, si stanno rivelando delle cortine fumogene per non far apparire un dissenso nei suoi confronti che non è soltanto del clero, anche se paradossalmente è l’unico che lo manifesta, sia pure con tutte le modalità del caso. 
Il suo papato, che fa tanta gioia delle sinistre, lascerà una Chiesa diversa da quella da lui ereditata, nel bene e nel male. Perché Papa Francesco non fa il papa, fa il politico e lo fa sapendo di favorire in Italia e nel mondo una visione della politica, che è tipica delle sinistre. Non è comunista? Di sicuro è per una politica di sinistra. La sua è una missione politica mascherata di spiritualità trasandata, informale, alla buona.
Ha liquidato il suo esercizio pastorale, di pontefice, di guida spirituale della gente, con due battute. Chi sono io per giudicare? Il Signore perdona tutti, non si stanca mai di perdonare. Ha sostituito, sia pure non esplicitamente, l’orate fratres con un peccate fratres, che manda in visibilio peccatori sistematici, oltre agli occasionali. Ha rottamato il decalogo, che se non è seguito da opportune pene per chi ne viola i comandamenti è pura carta da parati.
Più terra terra in Italia Papa Francesco si colloca politicamente al fianco delle sinistre variamente rappresentate al governo e nelle sue immediate vicinanze. Lo fa come una terapia medica intensiva: almeno dieci volte al giorno, se non di più, esce in televisione e dà una mano a Renzi e compagni, dicendo le stesse cose che dice il governo in materia di unioni civili, di divorziati, di omosessuali, di immigrati. Si capisce perché un Dario Fo va in brodo di giuggiole e con lui le schiere di sinistri di tutto il Paese. Si capisce perché un Mons. Galantino alza la voce e minaccia, insulta i politici che non la pensano come il Papa in certe materie.
La presenza e la predicazione di Papa Francesco pongono nel sistema politico italiano un problema serio, di alterazione degli equilibri nella competizione politica. Chi della predicazione del Papa si avvantaggia, gode di un potentissimo mezzo che gli altri non hanno. Si può obiettare dicendo che già altri papi nel passato si sono resi utili, predicando sempre il Vangelo, ma ciascuno a modo suo, a certi partiti invece che ad altri; ma nessun papa si è spinto a tanto come questo, nessuno ha avuto la visibilità di questo, che non manca mai, dalla mattina alla sera, a nessun notiziario televisivo. Se l’osservatorio di Pavia ci quantificasse il tempo delle sue apparizioni avremmo un quadro esatto della sua forza dirompente a vantaggio della parte politica da lui privilegiata.
Né si capisce la ragione per la quale i mezzi di informazione di massa privilegino un papa politico, pacchianamente a favore di una certa politica. Se all’astensione elettorale, all’antipolitica, alla crisi dei partiti, allo sbando postideologico, aggiungiamo la massiva propaganda papale, l’Italia presto diventerà uno Stato teocratico imperfetto, in cui, pur con le consuete diversificazioni politiche, tutte le parti si riconoscono in un capo, che, apparentemente di politico non ha nulla, essendo un capo religioso, ma di fatto è il dominus indiscusso e incontrastato.
Sarebbe ora che chi non si riconosce negli obiettivi politici di questo papa si ribellasse e incominciasse a trattarlo da politico, costringendolo a rientrare nel suo ambito religioso. Non dice “unicuique suum” l’Osservatore Romano in un suo sottotitolo? Bene, si cominci di lì.  

domenica 20 settembre 2015

La Destra italiana, un volgo disperso


Ogni tanto mi viene di ricordare la canzone di Gabriella Ferri “Io cerco la Titina. La cerco e non la trovo…” quando leggo certe riflessioni critiche di alcuni intellettuali e giornalisti sulla destra italiana che non c’è, che non c’è mai. Proprio così; ma, quando se ne propone una, gli stessi intellettuali e giornalisti si coprono gli occhi inorriditi: no, non può essere la destra questo mostro di bruttezza, di grettezza, di frivolezza.
Il campione della destra che non c’è e che inorridiva di fronte alla destra che c’era era Indro Montanelli. Poi andava a prendersi gli applausi alle feste dell’Unità. Perché in ogni intellettuale e giornalista di un certo valore c’è una buona componente di puttanesimo.
Nell’editoriale “La Destra che l’Italia non ha” (Corsera del 15 settembre) Ernesto Galli della Loggia fa il solito discorso sulla destra che non c’è e si piange i morti suoi sulla dipartita, morti – s’intende – politici.
“Nella sostanza – dice il Nostro – il problema della Destra italiana è il problema della difficoltà che incontrano nel nostro Paese un’antropologia e una cultura politica conservatrici, analoghe cioè a quelle che più o meno caratterizzano in Europa le Destre di governo”.
Siamo alle solite: l’erba del vicino è sempre migliore. Io credo che Galli della Loggia, come altri in Italia, cada nell’equivoco di considerare destra ciò che è soltanto un conservatorismo moderato, quale noi abbiamo conosciuto nella versione democristiana, scelbiana, andreottiana, dorotea. Questa destra, che noi oggi chiamiamo destra ma che quando era in auge nessuno si sognava di chiamarla con questo nome, equivale ad una qualsiasi destra di governo europea. La differenza è che noi italiani la esprimiamo secondo il nostro modo di essere, un po’ corrivo, approssimativo, spregiudicato. Ciò che non piace agli intellettuali italiani, i quali più che dal fatto sono offesi dal modo; e finiscono col negare che si tratti di una destra presentabile, moderna, europea, alle stregua di “quelle che più o meno caratterizzano in Europa le Destre di governo” per riprendere pari pari le parole di Galli della Loggia. Che si diceva di Giolitti? Che era il ministro della mala vita (Salvemini). Che si diceva di Berlusconi? Che era improponibile (Montanelli).   
La verità è che gli intellettuali di destra in Italia sono geneticamente disorganici, hanno idiosincrasia verso ogni forma di etichetattura e di organicità ad un progetto di governo; specialmente dopo l’esperienza fascista. Cinquant’anni di propaganda contro la destra, genericamente intesa come Msi, hanno lasciato il segno. Chi è disposto oggi a dirsi di destra? Nessuno, per non essere accusato subito di fascismo o di postfascismo. Almirante, ai suoi dì, mise in guardia dagli effetti della guerra delle parole, abbondantemente vinta dalle sinistre. Nel corso di questi cinquant’anni l’egemonia culturale comunista ha creato in Italia la formula “cultura uguale a sinistra e sinistra uguale a cultura”. Va da sé, allora, che a destra non c’è cultura. Ecco perché un uomo di destra ha avuto sempre difficoltà dal dopoguerra in poi a dichiararsi di destra. Mi piacerebbe sapere come si dichiara Galli della Loggia. Così, per capire.
Dopo gli intellettuali di destra, che si sono nascosti e mimetizzati, è stato il turno dei politici. Il caso più emblematico è stato quello di Fini, il quale ad un certo punto si è piccato di creare la cosiddetta destra moderna ed europea. Ma questa, pur con tutti i vizi di questo mondo, esiste da sempre. Anche ai tempi di Almirante si fece lo stesso errore, quando tanti colonnelli del Msi si intestardirono a dar credito alle sirene interessate a creare questa fantomatica destra moderna ed europea, liberandosi da ogni legame col fascismo; e non si accorsero che ciò che volevano creare c’era già ed era la Democrazia Cristiana.
A questa identificazione cultura/sinistra hanno contribuito tutti in Italia, dalla politica all’economia, dalla chiesa alla fabbrica, dalle scuole alle università, dalle case editrici di libri ai giornali, alle riviste, al cinema., al teatro, alla musica, allo spettacolo. E se giriamo anche in cucina e rovistiamo in camera da letto troviamo anche lì presenze di “superiorità” della sinistra.
Non è facile invertire la tendenza. Occorrono uomini coraggiosi e strafottenti, come certa destra ha avuto in passato, fieri e orgogliosi della propria cultura, consapevoli del proprio ruolo politico, culturale e sociale. Ma questi passerebbero ipso facto per fascisti. Lo sa Galli della Loggia? Lo sa, lo sa! Questi uomini comunque non dovrebbero avere nessun complesso fascista. Il fascismo per non pochi aspetti fu destra; per altri, sinistra.    
Il conservatorismo italiano – dice Galli della Loggia – è “un conservatorismo nullista, solo negativo: inutilizzabile politicamente se non per bloccare i riformatori e i progressisti”.
Apparentemente sembra aver ragione. Ma così non è. Galli della Loggia sa che per quel processo dialettico della storia molte conquiste, che prima dividevano destra e sinistra, sono oggi condivise; conquiste ottenute con lotte nelle quali destra e sinistra si sono aspramente fronteggiate. Faccio un esempio: quanti oggi, pur riconoscendo il valore e la giustezza della Repubblica Sociale, sarebbero disposti a cancellare le conquiste della Resistenza? Io credo nessuno. E tanti tabù, tipici della destra, come divorzio, aborto, omosessualità, e via di seguito, non sono oggi quasi completamente condivisi? Le antitesi si concludono sempre con le sintesi, che diventano patrimonio comune. Allora non bisogna confondere l’opposizione episodica, che fa elettorato, con un’opposizione strategica che fa governo, che fa riforme e trasformazioni radicali, che oggi, però, non costituiscono finalità esclusive. Oggi stare a destra o a sinistra è solo una faccenda di convenienza politica. Lo dimostra un Pd, che appare la versione riveduta e corretta di Forza Italia. Lo dimostra un giornale “L’Unità”, che oggi esce per dimostrare che la nemesi storica non è un’invenzione di scrittori e drammaturghi.
Il vero problema resta quello di tanti intellettuali di destra che, invece di negare la destra che c’è per ipotizzarne una fantomatica, dovrebbero farsi carico della realtà, sporcarsi se occorre, rivendicarne l’appartenenza e far sentire il loro peso sulle scelte dei politici della stessa appartenenza.

Finché tra intellettuali e politici di destra c’è sconnessione, la destra in Italia resterà un “volgo disperso che nome non ha”.  

domenica 13 settembre 2015

Migranti: la rovinosa deriva morale dell'Europa


Bisogna assistere, vedere e sentire, per credere. L’Europa sta scivolando rovinosamente lungo la china dell’autonegazione, dell’autoflagellazione. In questo noi italiani ci distinguiamo come al solito per dabbenaggine e pigrizia mentale, per conformismo e masochismo da cupio dissolvi. E che in questo processo siano coinvolti i giornalisti non deve meravigliare più di tanto. Il giornalismo italiano, fatte pochissime eccezioni – viva Oriana Fallaci! – è sempre al seguito del potere e del pensiero dominante. Si interroghi la storia, se non si crede a chi parla.
Breve introduzione ad un fatto accaduto alcuni giorni fa.
Venerdì, 11 settembre, si concludeva a Otranto una quattro giorni di seminari per la formazione professionale organizzato dall’Ordine Nazionale dei Giornalisti, cui si  ha l’obbligo di partecipare per “regalo” dell’ex ministro di giustizia Severino. Sembrava la giornata più felice e interessante. Il tema era “Mass media e l’Islam: giornalisti a confronto”. Relatori di prim’ordine: Giovanni Maria Vian, direttore de “L’Osservatore Romano”; Amedeo Ricucci, Rai TG1; Zouhir Louassini, Rainews; Alfredo Macchi, Mediaset-TgCom24; Michele Sasso de “L’Espresso”. Moderatore di questa, come delle tre precedenti giornate, Tommaso Polidoro, presidente del Gruppo Romano Uffici Stampa per la Formazione. In sala numerosi giornalisti locali e nazionali, noti e meno noti.
Vian riferiva su “Religioni del Libro, il dialogo è possibile?”. Intervento breve, ma dal taglio scientifico, accademico. Tra le religioni del libro non si può comprendere il cristianesimo; esse sono ebraismo e islamismo. La voce di Dio per i cristiani è quella di Gesù Cristo. Concludeva che tra le religioni non ci può essere che il dialogo. Bravo: chiaro e conciso!
Ma era l’intervento di Zouhir Louassini, un giornalista marocchino che collabora con “L’Osservatore Romano”, sul tema “Non in mio nome: media, pregiudizi e double standard sull’Islam”, che sconcertava l’uditorio con una serie di affermazioni-negazioni, tra il tentativo di sdrammatizzare e quello di minimizzare la consistenza e il pericolo dell’Isis, fino alla negazione della sua esistenza, che sarebbe un’invenzione americana, affermazione poi negata, e proiezione finale di un video in cui si faceva la parodia dell’esecuzione dell’ingegnere aeronautico britannico David Cawthorne Haines, sgozzato nel deserto siriano il 13 settembre 2014, con il chiaro intento di far ridere l’uditorio, come a far passare il messaggio che quanto sta accadendo in Iraq, in Siria e in Libia da parte delle truppe del Califfato non è da prendere sul serio.
Interessante l’intervento di Ricucci su “Terrorismo, multiculturalismo: se l’Islam mette in crisi la società americana”, orientato a non confondere tra realtà e propaganda per non alimentare il “mercato della paura”. Invito ricevibile.
Su esperienze giornalistiche personali l’intervento di Michele Sasso “Mass media e deontologia del giornalista”. Testimonianza esemplare.
Al termine delle relazioni – Macchi sarebbe arrivato dopo – il moderatore invitava il pubblico, composto tutto da giornalisti, a fare domande.
Non potevo non evidenziare lo sconcerto per il fatto che di fronte al “mercato della paura”, di cui aveva parlato Ricucci, non si poteva rispondere col mercato della banalità, come aveva dimostrato con la sua relazione e il suo video-parodia il Louassini. Ma le mie parole ebbero un effetto tarantolante. Louassini negò subito di aver detto che l’Isis non esiste e che è un’invenzione americana, mi accusò di essere il “solito rompi…” mandato apposta per dare fastidio. Nella bagarre finì anche per essere coinvolto Vian, che io avevo escluso dagli interventi politici, per la scientificità della sua relazione e che evidentemente aveva capito altro per la concitazione e la sovrapposizione di voci. Louassini difese la sua posizione, che, a suo dire, era finalizzata a non esasperare lo scontro di civiltà e di religione. Bravo solo per le intenzioni!
L’interruzione del dibattito – di fatto finì lì – per partecipare ad una cerimonia nel Castello Aragonese che vedeva protagonisti i Consoli pugliesi, Ufficiali della Marina Militare e Amministratori otrantini, fu provvidenziale per recuperare la calma. Il dibattito riprese con altri toni dopo la relazione di Macchi, nel frattempo arrivato.
Lo sconcerto della relazione di Louassini e della proiezione del suo video, però, è niente in confronto al fatto che nessuno – dico nessuno – ebbe a dire alcunché sul gravissimo episodio del video-parodia. Una cosa di cattivissimo gusto, ove si pensi alle tante vittime sgozzate dai cosiddetti combattenti dell’Isis.

Mentre l’Europa viene invasa da milioni – ormai queste sono le dimensioni – di islamici, che sarebbero i buoni, gli islamici cattivi o “inesistenti” stanno facendo terra bruciata in Medio Oriente di uomini e di cose. Quanto meno qualcuno, anche tra i relatori, sarebbe dovuto intervenire per condannare una tesi che, se pure con finalità nobili: impedire l’esasperazione dello scontro e favorire il dialogo, in sé è ignobile. Ma peggio ancora avevano fatto gli organizzatori dei seminari, che non avevano valutato preventivamente l’opportunità di proiettare un video che è un’offesa terribile alle vittime dei boia dell’Isis, ai loro parenti e a tutti i cittadini del mondo che si riconoscono nella civiltà dell’incontro e della convivenza sulla base di fatti concreti e non di utopie, più o meno calcolate.          

domenica 6 settembre 2015

La rete non può essere un luogo franco di insulti


Un mio articolo, Immigrazione, verso il peggio a rimorchio della Chiesa, postato su “Brogliaccio Salentino” il 16 agosto, ripreso e diffuso dal blog “Rosebud Giornalismo Online”, è stato così commentato il giorno dopo da un certo che non so chi sia e di dove: «Giusto. La Chiesa gabbia la Chiesa. Lo Stato lo Stato, il cane il cane e lei caro il mio articolista faccia quello che le viene più congeniale: lo sciocco  che guarda il dito e non la Luna. E’ così difficile?».
All’ rispose subito la direttrice di “Rosebud” Rina Brundu, che con garbo disse fra l’altro: «Idee e scritto che peraltro condivido in pieno, particolarmente laddove dice che “La Chiesa deve fare la Chiesa. E’ tanto difficile capire che lo Stato deve fare lo Stato?”. Da ciò deriva pure che la Chiesa sta senz’altro facendo la Chiesa ma sarebbe dovere di un governo di una moderna democrazia tagliare una volta per tutte con questo ridicolo cordone ombelicale che ci portiamo dietro da quando questo paese è nato. E’ un insulto all’intelligenza nostra e dei nostri figli questo perseguire pratiche superstiziose per risolvere i problemi pragmatici del mondo. Machiavelli si sta sicuramente rivoltando nella tomba e non solo lui. Il vero problema di questo paese non sono gli articoli del prof. Montonato ma il fatto che non abbiamo sufficienti risorse intellettuali valide per avere più articoli come questo, per creare una leva con cui buttare davvero a mare questi leftovers medievali, anti illuministici sotto ogni profilo che lentamente, ma spavaldamente e inesorabilmente ci stanno portando alla sfascio. Noi abbiamo i governi democristiani che imperano e ci fanno vergognare di noi. E i cani da guardia che li incensano».
Personalmente apprezzo l’ironia, anche quando io stesso ne sono vittima; detesto invece la stupidità, che è tipica di chi non ragiona e spara la prima banalissima minchiata che gli viene a tiro. All’ il rispose indirettamente ringraziando la Brundu per il suo contributo di chiarezza.
Avrei potuto dire al mio occasionale avversario, magari anche direttamente, che io in genere guardo il sole o i confini del sistema solare, non la luna; ma avrei fatto a gara di banalità. E’ vero comunque che guardo sempre il più lontano possibile ed è per questo che ritengo nefasto per l’Italia e l’Europa, per la prospettiva dell’Italia e dell’Europa, il modo come l’immigrazione è gestita o non gestita dalla Chiesa e dagli Stati. Vorrei ricordare che la Chiesa non è il verbo del cristianesimo delle origini – se vogliamo prenderci in giro, va bene, pensiamola o auspichiamola pure così  – è una struttura di potere e di civiltà che deve porsi anche interrogativi importanti sul cristianesimo e sulla condizione dei cristiani nei tempi a venire. Non mi pare che lasciando entrare in Europa tanti islamisti mentre nei paesi islamici si bruciano le chiese coi fedeli dentro si renda un buon servizio al cristianesimo. Se poi la Chiesa vuole liquidare il Cristo che conosciamo da due millenni per un Cristo più acconcio alle idee politiche del papa, beh, allora è un altro discorso.
Ma, comunque, lasciamo stare tutta la polemica e le puntualizzazioni che seguirono col signor ; non è questo l’argomento. Qui metto in evidenza un aspetto: ad un ragionamento, che si può condividere o meno, si risponde con un altro ragionamento, uguale e contrario, non già con un insulto, per di più di persona anonima. E’ questo che va preso in esame in termini generali. Oggi chiunque – lo diceva Umberto Eco per i milioni di imbecilli invasori della rete – può concedersi la licenza di dare dello sciocco o dello stupido o qualcosa di peggio ad un signore che non conosce o peggio ancora che conosce, ma forte del suo cappuccio sul capo, che sa tanto di confraternita in tenuta da venerdì santo, può insultare in maniera sommaria e scriteriata.
Preciso che non ho mai inteso attrezzarmi di Face-book o di altri spazi on line o applicazioni, per evitare di trovarmi in un mare pieno di tutto e di più ed evito perfino di aprirmi a precise richieste su Linkedin, che è spazio serio e professionale. Ma sento parlare nei luoghi pubblici urbani, che invece frequento moltissimo – ho già detto che non leggo i social – le minchiate che postano e che si scambiano i campioni di quest’ultimo passatempo iperpopolare e francamente sono inorridito, non solo e non tanto per l’infimo livello dei protagonisti e per le loro insulse performance ma per il fatto che non c’è autorità alcuna che intervenga per impedire o punire severamente quanti dell’importante mezzo di comunicazione fa un uso stupido quando non delittuoso.
Non si tratta di comunicare le proprie idee, perfino in maniera sgrammatica – questo è un bene inalienabile, che va tutelato e semmai diffuso – ma di insultare e addirittura calunniare e minacciare chi ti sta antipatico, chi non ti ha offerto il caffè al bar, chi fa lo sgarbo di non salutare tutti per strada come un vescovo o il papa, chi tifa per un’altra squadra di calcio, chi si fidanza o si sposa con la donna che avresti voluto per te, chi è vittima di dicerie alla persona o alla famiglia e via umanizzando.
Chi si rende protagonista di un reato simile dovrebbe non solo pagare penalmente, subito non dopo due o tre anni, ma essere anche inibito per un certo periodo, a seconda della gravità dei casi, dall’uso di ogni social network. Se a questo non si arriva, allora è il trionfo della giungla. Una giungla abitata non da bestie, grosse e piccole, nobili e meno nobili, dalle quali al limite ci si può difendere, ma da idioti a cui finalmente il progresso e la democrazia hanno dato la possibilità di realizzarsi appieno. Dagli idioti purtroppo non ci si può difendere.
Non so dove porterà la sempre più rapida e progressiva tecnologia dell’informazione e della comunicazione, ma immagino che come spesso accade nella vita, lo sviluppo di ogni condizione, anche la più florida e positiva, finisce per vanificare la sua stessa essenza, lasciando al suo posto la sua putrefazione e l’ammorbamento dell’aria.