domenica 16 aprile 2017

Renzi tra guai e lai


Renzi è cambiato? Chi lo sostiene dice di sì, ma è un sì a sé stesso, trovandosi nella sua stessa barca e sa che se affonda vale per tutti. Il passaggio, tanto propagandato, dall’io al noi del “Lingotto” è una semplice trovata. In realtà un certo cambiamento lo si nota in superficie. Renzi non è più sarcastico, adesso è arrabbiato, violento, minaccioso; lancia dei lai urbi et orbi, che vorrebbe fossero mazzate. Qualcuno lo sentirà. Tanto per convincere sé stesso, dice che il tempo della tolleranza è finito, che ora passa alle querele e alla richiesta dei danni. Era più convincente con le sue smorfie e con le sue battute. E’ irato con Grillo e con Travaglio, che di Grillo è la voce cartacea e televisiva. Travaglio, ospite di Lilli Gruber, lo ha definito un “teppistello” (La Sette, Otto e Mezzo, 14 aprile 2017).
Il caso Consip, col coinvolgimento di suo padre Tiziano e del suo amico Lotti, sul piano politico è una cosa assai più grave della pur gravissima scoppola referendaria del 4 dicembre 2016. Può anche venir fuori la sua completa estraneità, ma ci crede più? In Italia lo sanno anche i bambini delle scuole materne che c’è una bella differenza tra la verità processuale e quella reale. Tiziano Renzi può essere messo fuori da ogni coinvolgimento dalle carte processuali, ma non lo sarà mai dai fatti.
La gente – non dico popolo – è scaltrita per una sua innata predisposizione rafforzata dalle esperienze di vita. Sa perfettamente che se uno viene coinvolto in un affare non edificante, quanto meno è stato incauto pur nell’ipotesi della sua innocenza. L’essere incauti, a certi livelli, quando si è genitori di un capo di governo, non è reato ma è qualcosa che gli somiglia molto.
Tiziano Renzi, già noto alle cronache giudiziarie per una sua precedente questione, dalla quale uscì assolto, ha voluto ritagliarsi uno spazio di influenza politica, sfruttando la posizione del figlio. Non capiva che così facendo avrebbe potuto danneggiarlo? E il figlio non sapeva dei comnportamenti del padre? Si dirà: sono toscani. E non è un pregiudizio. Di recente la televisione ha tirato fuori la storia dei Medici, i quali nel bene e nel male costituiscono tanta parte della fiorentinità. Probabile, dunque, che Renzi-figlio poco o nulla potesse fare per tenere buono e lontano Renzi-padre.  
Ora è venuto fuori che c’è stato il tentativo di depistaggio da parte di un capitano dei carabinieri, che avrebbe, trascrivendo le intercettazioni, scambiato la voce di un tal Bocchino con quella di un tal Romeo, in relazione ad incontri compromettenti nell’ambito dei tentativi di corruzione e dazioni alla bella compagnia di toscani, al centro della quale non troviamo Matteo Renzi, ma il padre Tiziano e il ministro Lotti, a Renzi vicinissimo. 
Viene un po’ da ridere; e in effetti la comicità c’è tutta. Ma come, un ufficiale dei carabinieri compie un’operazione tanto maldestra quanto grave? E poi, perché? Lo scambio dei nomi, in definitiva, cambia di poco la questione nella sua sostanza. La posizione di Tiziano Renzi era quella che era, come pure quelle del ministro dello sport e del presidente della Consip, i quali dicono due cose opposte, per cui o mente l’uno o mente l’altro.
Renzi, insomma, si trova in un mare di guai. Ciononostante ha la maggioranza nel Pd. Emiliano, l’altro incauto, è stato praticamente tolto di mezzo dalle primarie del partito a causa di una storta mentre ballava la tarantella. Siamo sempre nel comico. L’altro, Orlando, attuale ministro di giustizia, gira percentualmente al largo. Renzi vincerà e sarà nuovamente segretario del partito, arricchendo la serie, tutta italiana, dei casi del più ne combini e più vieni premiato.
Al momento i tre schieramenti politici italiani, che valgono pressappoco lo stesso numero di voti, hanno molti problemi, compreso il Movimento 5 Stelle. Non si sa ancora con quale sistema elettorale si andrà a votare. Ma ipotizziamo che si adotterà l’Italicum o qualcosa che gli somigli anche per il Senato. Cosa potrebbe accadere?
E’ probabile che nel centrodestra non si trovi un accordo per una coalizione competitiva e che a prevalere per il ballottaggio siano il Pd e il M5S. Chi appoggerà il centrodestra, ancora una volta berlusconiano? Sicuramente il Pd di Renzi. Allora si riproporrà il problema in uno scenario leggermente diverso. Ma il vero problema resta Renzi, che, dopo le recenti ambasce “familiari” e toscane, è meno credibile di quello dei suoi tre anni al governo.Il che è tutto dire!

Per ora cerca di rifarsi il look, come una vecchia pirandelliana Donna Poponica. A vederlo, fa ridere; a rifletterlo fa tristezza.   

domenica 9 aprile 2017

Anti Tap, lo Stato che non c'è


Gli oppositori della Tap a Melendugno, quelli che non vogliono neppure sentirne parlare, non hanno preso solo partito senza se e senza ma – ormai è una questione di punto, traducendo un’espressione dialettale – ma hanno preso delle iniziative che vanno a confliggere con le loro stesse posizioni in materia di difesa dell’ambiente e dei suoi beni. Per ostruire le strade e impedire ai camion di passare e per danneggiare le recinzioni del cantiere, i manifestanti hanno materialmente distrutto un muro a secco, praticamente senza possibilità alcuna di porvi rimedio. Il ricostruirlo, infatti, non restituisce il valore che quel muro aveva. Mentre gli ulivi spiantati, per il fermo del cantiere, rischiano danni irreparabili. 
Naturalmente ci sono i soliti che predicano non violenza e poi lasciano fare ai violenti; ci sono quelli che sono pronti a riparare il danno fatto, come se si trattasse di una qualunque banale brocca rotta.
Ormai in Italia accade di tutto. Lo Stato non è più in grado di fare alcunché. Verso l’esterno perché ha perso o, per meglio dire, ceduto parte della sua sovranità; all’interno perché ci sono le opposizioni violente dei cittadini, ai quali non piacciono le sue scelte. Lo Stato è alle prese con una sorta di Idra di Lerna, una delle fatiche di Ercole. Impresa improba per lo Stato, neppure se fosse più forte del figlio di Giove e avesse in suo favore tutti gli dei dell’Olimpo, perché le teste della sua Idra non aspettano neppure che qualcuno le recida perché ne spuntino due per ognuna tagliata, provvedono da sole azzannandosi reciprocamente, sicché la situazione è più aggrovigliata della testa della Gorgone, giusto per rimanere al linguaggio dei miti greci, a noi salentini tanto familiari.
Politici, giudici amministrativi, ministeri, regioni, comuni, sindaci che per un pugno di voti non badano a “spese”, si accaniscono contro le iniziative dello Stato, anche di quelle ritenute importanti e strategiche, come, appunto, un gasdotto.
Dopo aver superato tanti ostacoli e ritardi sembrava che ormai la questione Tap fosse risolta. Già alcuni ulivi erano stati spiantati e sistemati per una loro ricollocazione a tunnel ultimato, già tutto sembrava avviarsi a conclusione, sia pure con le immancabili proteste dell’anti Tap, quando è giunto il provvedimento di sospensione dei lavori da parte del Tar del Lazio.
Tar significa Tribunale amministrativo regionale. Più forte dello Stato? E’ forse la sua testa più importante? Non lo so, non perché sia difficile saperlo, ma perché chi ha sempre creduto nello Stato non può immaginare che ci sia un soggetto, sia pure di sua filiazione, più forte di lui, al di sopra di lui.
Quando studiavo filosofia del diritto, materia che spesso si accompagnava a dottrine politiche – usavo il testo di Alessandro Passerin d’Entrèves La dottrina dello Stato – appresi che la sovranità ha una prerogativa, quella di non essere divisibile. Vecchiume si dirà; e concordo. Ma che Stato è quello che ammette di essersi alienato una parte di sovranità all’esterno e di aver parcellizzato quella che gli è rimasta all’interno? Società aperta, società liquida, società democratica. Risposte a volte suggestive, che, però, non spiegano dove sta ormai lo Stato. In buona sostanza la sovranità dello Stato ha carattere feudale; si divide, si sparte, si assegna, si vende, si affitta. Diciamo come vogliamo, il concetto non cambia.
Agli amici di Melendugno vorrei dire una cosa semplicissima. Quando fa sera e cercano in casa di far luce  ci riescono con un semplice colpo sull’interruttore, con un altro riscaldano la casa, e così via con l’acqua calda, con la cucina, con la lavatrice, col lavastoviglie, con l’aspirapolvere, col ferro da stiro. Se andiamo a rileggerci la Genesi dalla Bibbia, ci manca poco a considerarci potenti quanto Dominedio o addirittura di più, che disse: sia fatta la luce e la luce fu. Da dove viene, secondo loro, a noi indegni discendenti di Adamo, tanta incredibile potenza? Viene – lo sanno gli amici di Melendugno, lo sanno! è che non vogliono pensarci – dal carbone, dal petrolio, dal gas, dal nucleare. Ebbene, queste energie in gran parte vengono da lontano, da molto lontano; attraversano catene montuose, mari, deserti, praterie e giungono fino a noi, grazie all’ingegno umano che ha costruito le centrali, gli oleodotti e i gasdotti. Che poi un fattore di energia approdi a Melendugno o qualche chilometro più in alto o più in basso, che cambia? In un punto deve pur approdare. Le fonti rinnovabili – si sa – non sono sufficienti. Magari lo fossero!
Siamo in presenza di opere che vengono realizzate nel più rigoroso rispetto dell’ambiente e della salute delle persone proprio perché sono estremamente importanti e spesso rischiose. Avrebbero ragione gli amici di Melendugno di preoccuparsene se il gasdotto fosse fatto alla buona, come tante volte si fanno le cose in Italia, purtroppo! Ma nel caso in specie – mi sento ahimè avvocato! – tutto sembra essere stato fatto come Dio comanda. Perché allora tanta ostinazione a voler impedire l’opera e danneggiare il Paese? Per gli ulivi si dice, per l’ambiente, per una paura che le cose possano mettersi male in un futuro non molto lontano.
Se pure volessimo dar loro ragione – e, a dire il vero, un po’ ce l’hanno, relativamente alla paura che le cose non vengano fatte bene – dovremmo pensare che noi, a differenza di tanti altri popoli evoluti dell’Occidente, siamo incapaci di fare cose ormai banali, tanto sono di casa dappertutto. Negli altri paesi europei ci sono centrali nucleari, ci sono bruciatori e smaltitori di rifiuti anche nelle immediate vicinanze dei centri urbani. Da noi tutto viene bloccato. Per la difesa dell’ambiente o forse per la solita paura per tutto ciò che possa costituire potenzialmente un pericolo, sia pure lontano?
Ho qualche perplessità a rispondere. Dovrei dire infatti che quanto all’ambiente, si è visto quanto l’amino gli anti Tap distruggendo un muro di pietre a secco e mettendo a rischio diversi ulivi. Quanto alla paura, dovrei dire che si tratta anche di mancanza di cultura, non solo e non tanto perché si tratta di un pericolo ipotizzato quanto e soprattutto perché se pure va bene il gasdotto vogliamo che venga fatto in casa d’altri.
Dovremmo cercare di recuperare due condizioni: una, di dover convivere con queste tanto temute strutture; due, di superare la diffidenza che abbiamo nei confronti dello Stato e della modernità in genere. Del resto la Natura è la più grande maestra ed educatrice. I terremoti che annientano paesi e popolazioni, le malattie che falcidiano piante e colture (vedi il punteruolo rosso o la xylella) dicono che il pericolo è sempre in agguato e che dobbiamo saperlo prevenire e nel caso gestire. Se non vogliamo correre rischi e non vogliamo fare la figura degli egoisti, allora dovremmo tornare alla lucerna ad olio e all'acqua piovana.

domenica 2 aprile 2017

Gasdotto all'approdo di Melendugno


Con la sentenza del Consiglio di Stato avverso il ricorso della Regione Puglia e del Comune di Melendugno si è dato il via libera ai lavori per la realizzazione delle opere terminali del gasdotto, noto come Tap, acronimo che sta per Trans Adriatic Pipeline. Si è partiti con l’espianto di 211 ulivi, che saranno ripiantati allo stesso posto a lavori ultimati. E’ il primo atto concreto per la costruzione del tratto sotterraneo lungo un chilometro e mezzo per collegare il tubo del tratto marino con quello della terra ferma evitando l’impatto con la spiaggia per poi proseguire per altri sette km circa all’interno. 
Il tubo del gasdotto trasporta il gas proveniente dall’Azerbaijan. Un’opera strategica lunga 878 km, che dovrebbe fornire inizialmente 10 mld di metri cubi di gas a partire dal 2020. Il tratto che riguarda il territorio salentino è lungo poco più di otto km.
Ne nacque alcuni anni fa un caso, “No alla Tap”, sulla falsariga del “No alla Tav” in Piemonte, dove si sta costruendo la ferrovia dell’alta velocità per congiungere Torino a Lione, che tuttora persiste in aggravamento di atti e iniziative per impedirne i lavori.
Le cronache degli ultimi giorni di marzo inizi di aprile riferiscono di proteste massicce e vivaci da parte delle popolazioni locali, ambientalisti, sindaci e amministratori comunali, professori e studenti, perfino religiosi, come l’Arcivescovo metropolita di Lecce Mons. Domenico Dambrosio. La democrazia è questa e non si può non esprimere che soddisfazione nel vedere tanta sensibilità verso i nostri beni paesaggistici e tanta compattezza di categorie diverse: movimenti civili, pubbliche amministrazioni, scuola, chiesa in loro difesa.
Detto questo – e non per accomodamento retorico – va anche fatta qualche considerazione di merito. La prima è di ordine politico. Ancora una volta vediamo i rappresentanti della classe dirigente seguire il popolo anziché cercare di informarlo correttamente, venendo meno al suo compito istituzionale, che è di guida e di educazione; come dire: la classe dirigente invece di dirigere il popolo è diretta dal popolo.  
Sull’utilità dell’opera non si discute. Il gas è importante per la nostra economia e per il nostro benessere come già sanno tutte le famiglie che hanno l’impianto nelle proprie case. Il punto è – come spesso accade – che l’opera, che si teme possa essere per altri aspetti nociva, non la si vuole in casa propria; al massimo in quella del vicino. Ma se il Ministero di competenza ha individuato quel sito come il più adeguato e congruo, tutto quello che si può e si deve fare è chiedere il massimo rispetto dell’ambiente, le più varie garanzie che l’opera non produca guasti che vadano ad alterare le caratteristiche del territorio che è, come si sa, ad alta vocazione turistica. E’ il caso di Melendugno, che, con le sue marine e i suoi siti archeologici, è fra i più belli e suggestivi dell’intera costa orientale pugliese; basti pensare a San Foca e a Roca vecchia.
A mediare con le popolazioni, convincerle che protestare e mobilitarsi è bene ma che l’opera, fatte salve le garanzie di cui si diceva, è un bene farla, sarebbero dovuti essere i politici e gli uomini di cultura, l’informazione e la scuola. Invece, come sempre più spesso accade, si è verificata una “santa alleanza” per impedire il realizzarsi di quest’opera. Ma la classe politica - si sa - soffre di gravi complessi di inferiorità morale rispetto al popolo e cerca di assecondarne i conati e le bizze.
Il tempo per trovare un'alternativa a Melendugno c’è stato. La questione dura da un po’ di anni. Ora non ha senso tirarli fuori, come si è fatto di recente proponendo Squinzano, col chiaro intento di portare la realizzazione del gasdotto alle calende greche. Intanto i sindaci, con tanto di fascia tricolore a tracolla, si sono guadagnati i loro bravi voti per le prossime elezioni. Perché, gira e rigira, in Italia è sempre questioni di voti.
C’è un aspetto in questa come in altre similari vicende che non viene debitamente considerato. C’è che non si può sempre ritardare o impedire la realizzazione di opere che rispondono alle esigenze del mondo d’oggi. Gli ulivi, i trulli, le costruzioni rurali a secco, le masserie, quando furono realizzati, rispondevano alle esigenze del tempo, esattamente come rispondono alle esigenze di oggi la realizzazione della Tap o della Tav. Non è questo su cui si dovrebbe scatenare la guerra, semmai sulle garanzie di sicurezza dei cittadini, sul rispetto delle vocazioni culturali e turistiche dei luoghi e delle popolazioni. Assicurati salute dei cittadini e rispetto dei luoghi non ci dovrebbero essere impedimenti.
Non si può avere nei confronti della modernità un’opposizione preconcetta e neppure nei confronti di chi vuole realizzare le relative opere. Anche se la diffidenza nei confronti delle pubbliche autorità in Italia e specialmente nel Mezzogiorno è una connotazione tipica e direi ampiamente giustificata.
Nel caso della Tap, proprio grazie alla mobilitazione delle popolazioni interessate, il Ministero per l’Ambiente ha adottato tutti gli accorgimenti per gestire l’opera fino al suo compimento senza danneggiare né persone né cose, né oggi né in seguito.

Le stesse associazioni, gli stessi amministratori, gli stessi uomini di cultura mobilitati per impedire la Tap ora vigilino sugli esiti e nel caso intervengano per mettere le cose a posto. In tutto il mondo evoluto si convive egregiamente con queste strutture. Perché in Italia non si potrebbe?