domenica 2 aprile 2017

Gasdotto all'approdo di Melendugno


Con la sentenza del Consiglio di Stato avverso il ricorso della Regione Puglia e del Comune di Melendugno si è dato il via libera ai lavori per la realizzazione delle opere terminali del gasdotto, noto come Tap, acronimo che sta per Trans Adriatic Pipeline. Si è partiti con l’espianto di 211 ulivi, che saranno ripiantati allo stesso posto a lavori ultimati. E’ il primo atto concreto per la costruzione del tratto sotterraneo lungo un chilometro e mezzo per collegare il tubo del tratto marino con quello della terra ferma evitando l’impatto con la spiaggia per poi proseguire per altri sette km circa all’interno. 
Il tubo del gasdotto trasporta il gas proveniente dall’Azerbaijan. Un’opera strategica lunga 878 km, che dovrebbe fornire inizialmente 10 mld di metri cubi di gas a partire dal 2020. Il tratto che riguarda il territorio salentino è lungo poco più di otto km.
Ne nacque alcuni anni fa un caso, “No alla Tap”, sulla falsariga del “No alla Tav” in Piemonte, dove si sta costruendo la ferrovia dell’alta velocità per congiungere Torino a Lione, che tuttora persiste in aggravamento di atti e iniziative per impedirne i lavori.
Le cronache degli ultimi giorni di marzo inizi di aprile riferiscono di proteste massicce e vivaci da parte delle popolazioni locali, ambientalisti, sindaci e amministratori comunali, professori e studenti, perfino religiosi, come l’Arcivescovo metropolita di Lecce Mons. Domenico Dambrosio. La democrazia è questa e non si può non esprimere che soddisfazione nel vedere tanta sensibilità verso i nostri beni paesaggistici e tanta compattezza di categorie diverse: movimenti civili, pubbliche amministrazioni, scuola, chiesa in loro difesa.
Detto questo – e non per accomodamento retorico – va anche fatta qualche considerazione di merito. La prima è di ordine politico. Ancora una volta vediamo i rappresentanti della classe dirigente seguire il popolo anziché cercare di informarlo correttamente, venendo meno al suo compito istituzionale, che è di guida e di educazione; come dire: la classe dirigente invece di dirigere il popolo è diretta dal popolo.  
Sull’utilità dell’opera non si discute. Il gas è importante per la nostra economia e per il nostro benessere come già sanno tutte le famiglie che hanno l’impianto nelle proprie case. Il punto è – come spesso accade – che l’opera, che si teme possa essere per altri aspetti nociva, non la si vuole in casa propria; al massimo in quella del vicino. Ma se il Ministero di competenza ha individuato quel sito come il più adeguato e congruo, tutto quello che si può e si deve fare è chiedere il massimo rispetto dell’ambiente, le più varie garanzie che l’opera non produca guasti che vadano ad alterare le caratteristiche del territorio che è, come si sa, ad alta vocazione turistica. E’ il caso di Melendugno, che, con le sue marine e i suoi siti archeologici, è fra i più belli e suggestivi dell’intera costa orientale pugliese; basti pensare a San Foca e a Roca vecchia.
A mediare con le popolazioni, convincerle che protestare e mobilitarsi è bene ma che l’opera, fatte salve le garanzie di cui si diceva, è un bene farla, sarebbero dovuti essere i politici e gli uomini di cultura, l’informazione e la scuola. Invece, come sempre più spesso accade, si è verificata una “santa alleanza” per impedire il realizzarsi di quest’opera. Ma la classe politica - si sa - soffre di gravi complessi di inferiorità morale rispetto al popolo e cerca di assecondarne i conati e le bizze.
Il tempo per trovare un'alternativa a Melendugno c’è stato. La questione dura da un po’ di anni. Ora non ha senso tirarli fuori, come si è fatto di recente proponendo Squinzano, col chiaro intento di portare la realizzazione del gasdotto alle calende greche. Intanto i sindaci, con tanto di fascia tricolore a tracolla, si sono guadagnati i loro bravi voti per le prossime elezioni. Perché, gira e rigira, in Italia è sempre questioni di voti.
C’è un aspetto in questa come in altre similari vicende che non viene debitamente considerato. C’è che non si può sempre ritardare o impedire la realizzazione di opere che rispondono alle esigenze del mondo d’oggi. Gli ulivi, i trulli, le costruzioni rurali a secco, le masserie, quando furono realizzati, rispondevano alle esigenze del tempo, esattamente come rispondono alle esigenze di oggi la realizzazione della Tap o della Tav. Non è questo su cui si dovrebbe scatenare la guerra, semmai sulle garanzie di sicurezza dei cittadini, sul rispetto delle vocazioni culturali e turistiche dei luoghi e delle popolazioni. Assicurati salute dei cittadini e rispetto dei luoghi non ci dovrebbero essere impedimenti.
Non si può avere nei confronti della modernità un’opposizione preconcetta e neppure nei confronti di chi vuole realizzare le relative opere. Anche se la diffidenza nei confronti delle pubbliche autorità in Italia e specialmente nel Mezzogiorno è una connotazione tipica e direi ampiamente giustificata.
Nel caso della Tap, proprio grazie alla mobilitazione delle popolazioni interessate, il Ministero per l’Ambiente ha adottato tutti gli accorgimenti per gestire l’opera fino al suo compimento senza danneggiare né persone né cose, né oggi né in seguito.

Le stesse associazioni, gli stessi amministratori, gli stessi uomini di cultura mobilitati per impedire la Tap ora vigilino sugli esiti e nel caso intervengano per mettere le cose a posto. In tutto il mondo evoluto si convive egregiamente con queste strutture. Perché in Italia non si potrebbe?     

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