domenica 24 giugno 2012

Monti, giggione e moroteo, ma anche un po'...Machiavelli

Più tempo passa e più Mario Monti rivela la sua personalità, solitamente ingessata e imperturbabile, per quella che veramente è. Nell’intervista rilasciata a Claudio Tito di “Repubblica”, in margine al convegno bolognese “Repubblica delle idee”, cui ha partecipato insieme con Ezio Mauro ed Eugenio Scalfari, sabato 16 giugno, ha rivelato non pochi vezzi, solitamente tenuti nascosti. Il personaggio, con l’aureola del santo taumaturgico – così si era presentato in un “Otto e mezzo” di Lilly Gruber su “La 7” pochissimo tempo prima che per lui iniziasse il miracoloso cursus honorum di senatore a vita e di premier a tempo determinato – man mano che passano i giorni e i mesi, lascia vedere un lento spegnersi dell’alone per far apparire al suo posto il serto cesareo del potere. In Italia siamo abituati a ritrovarci con uomini del genere, da Giovanni Giolitti, che veniva dalla Direzione Generale delle Finanze e dalla Corte dei Conti, ad Azeglio Ciampi e Lamberto Dini, entrambi provenienti dalla Banca d’Italia, a Mario Monti, che viene dal mondo dei supertecnici tra la Bocconi e l’Europa. Entrano come provvisori e poi s’incardinano e restano finché morte non li separi dalla politica. Non ci meravigliamo.
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Nell’intervista apparsa poi su “Repubblica” di domenica, 17 giugno, si possono cogliere qua e là delle chicche rivelatrici. Una sta tra il piacere di gigioneggiare e la sibillina ambiguitas morotea. Alla domanda del giornalista se l’Italia ce la farà o meno, Monti risponde: «L’attenzione al brevissimo periodo è stata esasperata. E quando abbiamo guardato avanti, lo abbiamo fatto quando ce l’ha chiesto l’Europa. Ce la facciamo se…». Interrotto dal giornalista, che gli chiede: «Non vorrà smentirsi subito?», riprende: «Ho parlato così a lungo che quasi ce l’abbiamo già fatta. Io poi ho sempre detto e scritto che bisogna guardare al lungo periodo». Insomma par di capire che…campa cavallo, perché – dice Monti – «Bisogna conciliare le emergenze con la ricostruzione di lungo periodo». Non è un bel comunicare con gli italiani, in considerazione del fatto che lui è stato chiamato come il medico che avrebbe guarito il Paese. E, che pensare di un medico, che, chiamato per curare un malato, stenta nella diagnosi, tenta la terapia e non sa che dire sulla prognosi? Mena il can per l’aia, tra battute ironiche e freddure? La verità è che lui è il Quisling italiano della dominazione finanziaria europea ed internazionale.
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Ogni tanto tiene a dire cose «da privato cittadino». Si dice «ottimista per l’Italia», ma «pessimista se la struttura europea dovesse dissolversi». «Se un giorno rinascesse la Dc – dice – e non è un auspicio, sarei abbastanza addestrato per essere vice vice vice segretario». Sulla forzatura napolitaniana di procedere in maniera inusuale nel conferirgli l’incarico per fare il governo, incappa in qualche lapsus. «La mia vivissima speranza che quando si tornerà a normalità di una democrazia elettiva – con il che non intendo dire che il nostro tasso di legittimità sia inferiore al 100% – i partiti possano dare compimento a quel miglioramento di identità e rapporto con l’opinione pubblica che richiede ancora una certa strada». Il che significa che i partiti vanno ancora presi per mano e guidati verso il giusto rapporto con la gente. Il Professore si dispone a restare ancora per un po’. Magister di tutto, Monti tiene sotto la sua ala pedagogica tutti i ministri, ai quali dice: «dimenticatevi di avere dei muscoli facciali. Dobbiamo essere totalmente insensibili anche con il body language». Così finalmente ci è più chiaro il criterio di scelta dei suoi ministri, i quali, a pensarci bene – absit iniuria verbis – hanno anche, ognuno, un fattore distraente, che non consente di valutare bene il body language. Come tutti i narcisisti doc, egli si riconosce anche qualche difetto, per esempio l’«esasperata e odiosa abitudine di ripartire i meriti e le colpe». Tipico dei maestri di scuola!
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Ma Monti è anche un po’ Machiavelli, non solo per i suoi insegnamenti ai suoi principini, ma anche per la concezione che ha della politica e dell’economia. Sulla politica si è detto: trova non inferiore al 100% la sua posizione, anche se – come si è visto – auspica un ritorno alla normalità della democrazia elettiva. Se le parole hanno un senso, non c’è ritorno che non presupponga un’assenza. Sull’economia è davvero un geniaccio machiavellico. Dice: «Una volta ho detto al presidente americano Obama: bisogna tener presente che per i tedeschi l’economia è ancora un ramo della filosofia morale. La crescita non è il risultato della domanda aggregata keynesiana, è il premio a comportamenti virtuosi». Una cosa davvero sorprendente in un soggetto apparso sempre come un calvinista. Ma se la pensa proprio come un Berlusconi qualsiasi, il quale rivendica per l’operatore economico la libertà di agire scollegato da ogni altro fattore, perché non è corso da lui quando l’ha chiamato al governo? Eh già! Dimentichiamo che la mamma gli avrebbe detto di tenersi lontano dalla politica. O dai politici? Max Weber collegava l’etica protestante e lo spirito del capitalismo, come dire che la morale non è affatto contraria all’economia, né l’economia alla morale, ma possono stare insieme per la salvezza di chi agisce identificando il suo destino con quello della sua gente. Per Monti è un difetto dei tedeschi? Si vede quanto lo sia! Loro stanno nell’alto dei cieli e noi ai piedi di Cristo.
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“Monti – ha scritto Piero Ostellino sul “Corriere della Sera” di sabato, 23 giugno – sarebbe un buon presidente della Repubblica. Se lo meritano lui – che, se non altro, ha il merito di tentare (solo tentare) di imporre rigore nei conti pubblici – e il Paese (detto senza ironia). Parlerebbe poco e aprirebbe bocca solo per somministrare dosi di valium agli italiani. Che continuerebbero a crogiolarsi nell’«emergenza». Così, in attesa di riforme che non verranno mai – skora budiet, «arriva, arriva», dicevano i russi dei prodotti introvabili sul mercato; fino a quando la Russia si è dissolta – gli italiani pagano le tasse più alte d’Europa, vedono crollare il loro potere d’acquisto, evitano di porre domande al governo nel timore che cada”. Io aggiungerei solo che, dopo le “picconate” di Cossiga, le “trattative-non ci sto” di Scalfaro, le “bandiere & fanfare” di Ciampi, le lacrime napulitane di Napolitano, il valium di Monti sarebbe il viatico per affrontare “a nuttata”.

domenica 17 giugno 2012

Addio, mia bella Apulia! Chiude dopo 37 anni la Rassegna Trimestrale della Banca Popolare Pugliese

Mi è capitato nel corso della mia attività giornalistica di fare il necrologio di un giornale, di una rivista, di un’iniziativa editoriale. Confesso di aver provato dispiacere tanto forte quanto il dolore provato per la scomparsa di una persona amica o importante. Forse anche qualcosa di più, sicuramente di diverso, poiché tocca altre corde, induce ad altre riflessioni. Mi scuso per ciò che potrebbe sembrare cinismo. Ma nella morte di una persona c’è qualcosa di naturale, di ineluttabile, inscritto nella sua nascita stessa e nella vita. Con un’espressione, che è insieme accettazione e consolazione, noi salentini, anche di fronte alla più improvvisa e traumatica scomparsa umana, chiudiamo con “Eh mo’, così ha voluto Dio”. Per l’opera umana, quale una rivista è, non è altrettanto scontato e naturale che debba morire, siccome si tratta della decisione di altri uomini, che, se lo volessero, potrebbero farla continuare a vivere. E ci chiediamo piuttosto se era proprio inevitabile chiudere quell’esperienza. Se poi segue la scomparsa del suo attore principale, allora viene di pensare a quella “morte secunda”, che il rude Jacopone trasferiva nell’aldilà.

Fondata nel 1974 da una intuizione di un giovane giornalista della Rai, Aldo Bello, assecondata e sostenuta da quell’inventore di cose belle e importanti che fu don Giorgio Primiceri, già fondatore della Banca Agricola di Matino, che ai suoi tardi dì si dilettava di poesia, si è imposta all’attenzione e all’apprezzamento sia degli ambienti culturali sia di quelli bancari fino a costituire il più importante affaccio della cultura salentina e pugliese nel resto d’Italia e insieme l’ingresso nel nostro angusto Salento di idee, valutazioni e prospettive dell’Italia e del mondo. Quanto questa rivista abbia contribuito a modernizzare il Salento, a presentarlo agli altri nei suoi aspetti migliori, ad accogliere anche le idee degli altri veicolate da questo straordinario “luogo d’incontro”, forse non lo si può quantificare, ma qualificare certamente sì.

“Apulia ha costituito per 37 anni un periodico originale e «atipico» nel panorama dell’editoria, e segnatamente di quella bancaria” ha scritto Vito Primiceri, il Direttore Generale della Banca Popolare Pugliese. La sua originalità e atipicità erano l’orgoglio stesso di Aldo Bello, in coniugazione di due fattori, che spesso si pongono come l’uno in ignoranza o in disprezzo dell’altro: cultura e denaro. “Apulia” è stata la prova che quando ad agire sono uomini straordinari non è così, poiché la storia ha insegnato che dietro i soldi c’è la cultura e dietro la cultura ci sono i soldi. Chi avrebbe compiuto quel miracolo di bellezza, di arte, di ambienti urbani, che è l’Italia tutta, le straordinarie piazze, gli edifici, i monumenti, le ricche pinacoteche, i musei, che fanno dell’Italia la sede del sessanta per cento dei beni culturali del mondo, chi, se non i banchieri, gli imprenditori, i commercianti, i produttori di denaro fin da quel fatidico anno Mille, che dimostrò agli uomini delle superstizioni che erano loro e soltanto loro gli artefici del proprio destino? Qualche volta bisogna pur riflettere su queste cose.

“Oggi – ha scritto Vito Primiceri – che non ci sono più i suoi due artefici, non ha più senso reiterare questa esperienza”. Nella contingenza non gli si può dare torto, non solo e non tanto per l’impossibilità di trovare dei “continuatori”, quanto perché i tempi sono mutati e forse altre priorità incombono; ma nella universalità dei rapporti e delle collaborazioni, oggi si dice sinergie, la formula non è sbagliata ed anzi è degna di essere riproposta, di qui a tempi migliori, nelle forme che essi suggeriranno.

In apertura di questo ultimo numero (IV del XXXVII anno) Mario Marti ricorda l’uomo Bello e la sua creatura Apulia. Vito Primiceri spiega perché è giusto che Apulia muoia col suo irripetibile fondatore e direttore. Sergio Bello, uno dei figli di Aldo, ricorda gli “amori” del padre. Poi Aldo è presente nel fascicolo con la quarta puntata di “Qui si fa l’Italia” che celebra i 150 anni dell’Unità, un inserto meraviglioso che ha caratterizzato i quattro numeri del 2011. In quest’ultimo ricorrono i saggi: “Generose eroiche dimenticate” di Monica Marano, Cristina Baltieri e Pierfranco Natale, sul “lato femminile del Risorgimento”; “Il Corsivo”, un’antologia di brevi giudizi e riflessioni sul tema; la quarta puntata dello stesso Aldo Bello sulla “Narrativa della Patria provvisoria”; “I versi della Grande Guerra” di Ada Provenzano e Giancarlo Gaspari; “Tutti i colori del disincanto” di Tonino Caputo e Leandro Barberis sugli artisti e la Grande Guerra; “La Grande Guerra nel patriottismo amaro dello schermo” di Plinio Perilli sull’Unità d’Italia e il cinema; “Gli zaini pieni di note” di Sergio Bello sui “canti della Grande Guerra”. Credo che nessuna rivista in Italia abbia dedicato nell’anno delle Celebrazioni tanto spazio e tanta varietà di aspetti sul tema unitario della Nazione, un’autentica impresa culturale che ha avuto il pregio di celebrare l’Unità d’Italia senza mai venir meno al rispetto della nostra difficile e dignitosa “altra parte”, così mistificata da tanti nostalgici del Sud e facinorosi del Nord.

In apertura i soliti importanti temi di economia affidati alla trattazione di grandi esperti nazionali ed internazionali: “Una pura illusione l’espansione con il rigore” del Premio Nobel Paul Krugman sui problemi dello sviluppo; “Il ruolo delle banche e il Mezzogiorno” di Vito Primiceri; “Un intervento legislativo per l’efficienza dell’agire economico”, intervista di Filippo Cucuccio al Prof. Franco Liso; “Nell’occhio del ciclone” di Claudio Alemanno sui rapporti Meridione-emergenza finanziaria; “Ma dov’è quell’Italia con la marcia in più” di M.B. e D.M.B.; “Un paese di ricchi creativi” di Augusto Breda; “Un paese di ricchi evasori” di Gabriele Viterbo; “Sull’immagine dei sacrifici lo sfregio dei privilegi” di Domenico Russo; “Tre prove di vitalità” di Mario Pinzauti; “Strategica sponda meridionale” di Riccardo De Carli.

In chiusura i saggi di cultura regionale: “La notte che sconvolse la visione del mondo” di B.S. e T.C. sul Natale e la storia dell’uomo; “La voce che si fa poesia” di Antonio Errico sulla poesia di Pietro Gatti; “Lecce scrutata dagli artisti dell’Otto e Novecento” di Lorenzo Madaro. Elio Romano, con un bel ricordo in versi di Aldo Bello, e Carmela Biscaglia con un articolo su Francesca Armento, mamma di Rocco Scotellaro, e il rapporto col figlio politico e poeta, chiudono “Le giravolte”, il fascicolo e…Apulia.

(Gigi Montonato - il Paese nuovo, Lecce, 16 giugno 2012)

Monti e la linea del Piave

Parli tu di poteri forti che ti avrebbero abbandonato! Ma se ce l’hai nel governo fin dall’inizio i poteri forti che ti stanno tradendo da sempre!
Dixit Eugenio Scalfari, padre nobile del partito di “Repubblica”, vs. Mario Monti nel suo domenicale del 10 giugno ”Draghi, Bersani, varie ed eventuali”.
Lasciamo stare Scalfari, per ora, a cui come diciamo noi in Terra d’Otranto, per atavica fobia, ogni mucchio gli pare un turco, è questione di paranoia postsenile. Gli è che Monti avverte da qualche tempo segnali di sfiducia intorno alla sua politica e come ogni politico che si rispetti la colpa la dà agli altri. Nerone la diede ai cristiani, Hitler agli ebrei. Lui ai “poteri forti”, che sono, come ognuno sa, la Confindustria, la Banca d’Italia, la Corte dei Conti, e se volessimo continuare potremmo dire la grande stampa, la Chiesa e via di seguito. Monti ha esagerato accusando i “poteri forti”. I quali si sono limitati a dire che la sua politica, fondata su un eccessivo carico di tasse, non può produrre sviluppo e crescita. E’ matematico. Sono i dati, non le istituzioni, che lo evidenziano; non le persone che materialmente parlano a dargli torto. Se poi si riferiva all’abbandono da parte di “Repubblica” la cosa è un po’ imbarazzante.
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Ma ha torto anche Scalfari a considerare “poteri forti” tre uomini di seconda fila dello Stato come il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Antonio Catricalà, il ragioniere generale del Tesoro Mario Canzio e il capo di gabinetto al Ministero dell’Economia e delle Finanze Vincenzo Fortunato. Dice Scalfari: “Sono certamente abili conoscitori della Pubblica Amministrazione, ma hanno un difetto assai grave. Sono creature di Gianni Letta (Catricalà) e di Giulio Tremonti (Canzio e Fortunato). Sono sicuramente poteri forti e sono sicuramente contrari alla linea del governo come ogni giorno i loro comportamenti dimostrano”. Scalfari fa finta di non capire a chi si rivolge Monti quando parla di poteri forti. Ma davvero questi tre “sottopoteri” sarebbero in grado di minare l’opera del governo, remando contro la sua politica? Secondo lui la storica vicinanza di questi uomini a Letta o a Tremonti sarebbe una buona ragione per tenerli lontani dal governo in maniera pregiudiziale o essendo nel governo altrettanto pregiudizialmente ritenerli responsabili del suo fallimento? Ma, allora, se tanto mi dà tanto, anche Monti sarebbe uomo di Berlusconi dato che fu lui a nominarlo Commissario Europeo per l’Italia nel 1994! Francamente, però, parlare di poteri forti a proposito di un sottosegretario e di due alti funzionari dello Stato mi sembra un’esagerazione. Salvo che non si voglia considerare l’etichetta “poteri forti” una sorta di riconoscimento tipo medaglia, che in Italia – come si sa – non si nega a nessuno.
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La Fornero furiosa! Se l’è presa con l’Inps che avrebbe comunicato la cifra degli esondati dopo che il governo aveva provveduto a risolvere il caso di 65.000 di essi, quanti ne aveva stimati il Ministero del Lavoro. No, ha fatto sapere l’Inps e l’Ansa lo ha diffuso: gli esondati sono 390.000. Di qui i fulmini del Ministro, che ha addirittura minacciato di rimuovere i vertici dell’Inps, ravvisando in loro una deliberata intenzione di danneggiare il governo, dando notizie che creano sconcerto e turbativa sociale. Il caso di per sé è grave, perché il governo non sa da dove prendere i soldi per tutti i 390.000 esondati; ma lo è ancor più sotto il profilo politico. Il governo Monti si sente assediato, minacciato, vede nemici dappertutto. Davvero i vertici dell’Inps si sono comportati in modo tale da danneggiare deliberatamente il governo? Conoscendo il modo di fare di tanti uffici italiani diremmo di no. Solita sciatteria, che la trovi in tanti altri ministeri, uffici, amministrazioni. Ma se si rafforza la sindrome del nemico nascosto dietro la tenda pronto a colpirti, allora davvero la situazione è da frutta.
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Questa volta ci sentiamo di dire: Bravo Monti! Ma…ma…ma… Ci riferiamo alla risposta che ha dato alla ministra austriaca delle finanze Maria Fekter, la quale, dopo gli attacchi degli speculatori alle banche italiane e il balzo in alto dello spread, ha detto che l’Italia avrebbe dovuto o potuto chiedere aiuto all’Europa come aveva fatto la Spagna. “Siccome considero del tutto inappropriato – ha detto Monti irritato – che un ministro delle Finanze di uno Stato membro commenti, e commenti in questo modo, la situazione di un altro Stato membro, mi astengo dal commentare a mia volta le dichiarazioni di questo ministro”. Bravo, perché ha risposto con fermezza ad un’ingerenza in faccende nostre di un ministro straniero. Ma, nello stesso tempo, siamo perplessi di fronte a tanto nazionalismo o patriottismo che dir vogliamo. Nel momento in cui da più parti si dice che il difetto dell’Europa è che non ha una politica comune, europea, ci si allarma che un ministro di uno Stato membro faccia una valutazione, che, per quanto spiacevole ed irritante, non è estranea alla “nazione” di comune appartenenza, cioè l’Europa. Monti, inopinatamente, ha riscoperto, dopo circa cento anni, la linea del Piave. Formalizzata nel suo discorso alla Camera di mercoledì, 13 giugno, difendendo la sovranità nazionale dagli attacchi tedeschi. Giannelli lo ha ben evidenziato nella vignetta del “Corriere della Sera” di giovedì, 14 giugno.
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Intelligenza e cultura a parte, Sergio Romano, l’ex ambasciatore, è un autentico lacché. Oh Dio, ci sta. Un diplomatico ce l’ha nel sangue l’untuosità, la vocazione a servire un padrone. Il guaio è che quando il padrone non è il tuo Paese, ma un partito politico, un governo, un amico, quel servire diventa irritante, disgustoso. In chiusura del suo fondo di giovedì 14 giugno (Una solidarietà non di facciata), chiedeva a Monti di recuperare quel suo umorismo dei primi tempi che fa tanto ottimismo. Francamente a chi ce le ha, gli girano. Mentre lo spread sale come e peggio dei tempi di Berlusconi, mentre il debito pubblico sfiora i duemila miliardi di euro, quasi il doppio dei tempi di Berlusconi (parliamo di sei mesi fa), mentre si continua a ripetere le rassicurazioni dei tempi di Berlusconi, mentre continuano i malumori politici dei tempi di Berlusconi, mentre si torna a parlare di rischio perdita di sovranità e si mette mano al patrimonio immobiliare pubblico come ai tempi di Berlusconi, che motivo c’è di essere allegri e ottimisti? Ricordo che anche Berlusconi sprizzava ottimismo, un po’ più genuino di quello che potrebbe avere Monti. Ma Sergio Romano saprebbe spiegare, senza scopi servizievoli, in che cosa la situazione è migliorata, al netto delle puttanate di Berlusconi, che, peraltro Monti non vorrebbe o non potrebbe commettere? Forse ha ragione Marco Travaglio a parlare di un BerlusMonti. Come il governo Berlusconi, quello di Monti si limita agli “annunci”. Lo dicono le stesse opposizioni che lo dicevano a Berlusconi.
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Si sente parlare di fase due, fase dello sviluppo e della crescita” fin dal mese successivo all’insediamento del governo Monti; praticamente dall’inizio dell’anno. Il mantra ha caratterizzato tutti i primi mesi del 2012, senza mai far vedere niente di concreto, al punto che ci si è convinti trattarsi di un bunga bunga puritano, alla Monti. Ora il Ministro dello Sviluppo Passera ha detto che sul decreto dello sviluppo ci mette la faccia. E lo stesso ha detto Monti. Non c’è da fidarsi molto, siamo abituati a facce di bronzo assai temprate a tutte le temperature. Ormai le critiche a Monti arrivano da tutte le parti, e non sono di poco conto. Il professore di Politica economica Paolo Savona, già magna pars in Banca d’Italia e in Confindustria, perfino ministro dell’Industria del governo Ciampi nel 1993-94, ha detto che Monti è una persona perbene che ha sbagliato politica e che l’Italia farebbe bene a prepararsi al ritorno alla lira, perché solo così potremmo recuperare libertà di manovra e mettere in difficoltà la Germania (“Sette”, del 15 giugno 2012). C’è comunque da spaventarsi, perché non si passa dall’euro alla lira come da un treno all’altro. L’euro ha impoverito i lavoratori, sia pubblici che privati, ed ha arricchito i già ricchi. Il ritorno alla lira restituirebbe qualcosa? E a chi?

domenica 10 giugno 2012

Monti, il freddo

Fassina, il responsabile degli affari economici del Pd, uomo vicino a D’Alema, se n’è uscito con una provocazione: se il governo Monti non fa quello per cui era nato tanto vale votare in autunno. Perché questa sortita? In Italia – si sa – si recita a soggetto. Tanto è bastato perché Bersani, che è il leader del Pd e candidato premier per statuto, ha ribadito che il Pd è per l’appoggio al governo Monti fino alle elezioni del 2013. Ma Bersani, a volte, alza la voce paradossalmente non per farsi sentire da chi gli sta più lontano ma da chi gli sta più vicino. In realtà in questo inizio di settimana i segnali contro Monti sono tanti e di diversa provenienza. Nella sola giornata di lunedì, 4 giugno, non c’è stato solo Fassina, c’è stato anche Ezio Mauro, il direttore di Repubblica, che, ad “Otto e Mezzo” di Lilli Gruber, ha detto le stesse cose. Monti ha fatto moltissimo in un momento di grave crisi del Paese, ma non ha fatto quel che pure aveva promesso: crescita, sviluppo ed equità. E martedì, 5 giugno, è arrivata la bordata del Presidente della Corte dei Conti, Sanpaolino, il quale ha detto che il carico fiscale è eccessivo e non consente crescita. Un giudizio pesante, che viene dopo quello della Banca d’Italia della settimana precedente. E, allora, che somme tirare? Semplice: se Monti avesse potuto avrebbe fatto. Non avendo fatto vuol dire che non ha potuto. Votare in autunno è una soluzione? Per qualche partito o schieramento sì, per il Paese ne dubito. Semmai il governo Monti non doveva nascere proprio. Si sarebbe dovuti andare ad elezioni anticipate. Avremmo votato di questi tempi.
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Ma la vera botta, micidiale, al Paese l’ha data il terremoto nell’Emilia. Tre settimane ormai di terremoto continuo, con scosse fino a sfiorare il sesto grado della scala Richter e la Commissione ha detto che altre scosse della stessa gravità potrebbero ripetersi di qui ad un anno. Migliaia le aziende in crisi. E, a parte i morti, arrivati a 26, e ai tanti beni architettonici distrutti che ti piange il cuore a vederli, un’intera economia, tra le più importanti d’Italia, è a terra. Altro che spread! La mazzata a Monti e al Paese l’ha data la natura. Segno dei tempi. A Monti non gli è andata bene, decisamente no. L’Emilia rischia non solo lo stop produttivo ma addirittura la perdita di alcune imprese importanti, che potrebbero prendere il via verso altri paesi europei. Napolitano è perfino commovente quando incoraggia la gente emiliana a non disperare e ad aver fiducia nello Stato; ma non mi pare che il governo stia facendo qualcosa per arginare le conseguenze del terremoto. Forse lo Stato ha eccessiva fiducia nella gente d’Emilia; ma la gente d’Emilia incomincia a non averne per lo Stato.
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Nella conferenza stampa di giovedì, 7 giugno, Monti ha detto che il suo governo ha perso il favore dei poteri forti, evidente il riferimento a Confindustria, ma anche ai giudizi della Banca d'Italia e della Corte dei Conti, che è come ammettere, primo che i poteri forti esistono, secondo che prima li aveva a favore. In realtà ha perso molti favori, da tutti i poteri, forti e meno forti. Le voci di elezioni anticipate sono come l’aurora boreale. A sentire i leader dei due partiti che sostengono il governo, Monti dura fino al 2013, scadenza naturale della legislatura; ma i leaderini di settore sono piuttosto inquieti e fanno capire che le cose potrebbero precipitare. In buona sostanza alle elezioni anticipate non crede più nessuno. Il tempo passa e le rende sempre meno probabili. C’è che i partiti si sentono, però, in campagna elettorale. Il che se per un verso tengono a non essere i responsabili della caduta di Monti, per un altro tengono a dimostrare che gli effetti della politica montiana non sono a loro imputabili. E così Monti, non governa e non cade, e somiglia all’eroe troiano Enea come è visto dal Metastasio nella “Didone abbandonata”: non parte e non resta, ma sente il martire che avrebbe nel partire, che avrebbe nel restar.
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Ma non solo fuori del governo si registrano segnali di crisi, anche dentro. Il ministro di giustizia Severino ha ripetuto il mantra di questo governo: se non c’è la fiducia sulla legge anticorruzione ce ne andiamo tutti a casa. Sarà pure un modo come un altro per esorcizzare l’avvicinarsi a casa, ma come si può pretendere di governare con questi aut aut? Indipendentemente dalla giustezza o meno delle posizioni, su un provvedimento così importante bisognerebbe discutere. Un governo non disponibile a farlo non è democratico, è diversamente democratico, laddove quel diversamente equivale all’avverbio che rende meno dura ed ingiuriosa la disabilità.
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Ma anche Monti ormai deve essersi convinto di essere in dirittura d’arrivo. Dopo aver fatto le nomine Rai con metodi piuttosto inusuali per non dire provocatori, nominando due altri bancari, del tutto digiuni di televisione, ai massimi vertici, ha detto: “non ho fatto nessun atto di forza, se altri lo pensano io resto freddo”. Anna Maria Tarantola, vice direttore generale della Banca d’Italia, e Luigi Gubitosi, ex amministratore delegato di Wind Telecomunicazioni, sono “i due alieni”, secondo Carlo Freccero, responsabili della Rai. “Due – ha commentato sempre Freccero – che vedono poco la televisione e leggeranno solo giornali economici, che forse non hanno neppure la televisione a casa o se la guardano se ce l’hanno. Monti ha confuso la Rai con una banca”. Sbagliano, però, i critici, Monti sa perfettamente quello che fa. Il suo è un atto di arroganza: o la va o la spacca. A me pare che ormai si stia preparando il culo alle pedate, che glielo potrebbero riscaldare. Se non gli arrivano vuol dire che i partiti non sono in grado neppure di quello. La verità è che essi non hanno imparato nulla del loro continuo discredito presso l’opinione pubblica. Si stavano preparando ancora una volta a scannarsi per le nomine Rai. Naturalmente le truppe cammellate di Monti gioiscono alle nomine di due figure “competenti” e “slegate dal palazzo”. O fanno finta di gioire, i Casini, i Bersani, gli Alfano! Ma se questi, invece, di accusare gli schiaffi che hanno ricevuto da Monti, addirittura ne chiedono altri, vuol dire che sarà il popolo italiano a prenderli a calci in culo a due a due finché non si arriva ad un numero dispari.
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La vera crisi dell’Italia in questo momento non è quella economica e finanziaria, che pure c’è ed è grave, è che non c’è una guida politica. Invece di ricorrere ad una sospensione del chiacchiericcio democratico e della sua versione bellicosa di guerra civile, quale è stata negli ultimi vent’anni, è stato chiamato un gruppo di ragionieri e di contabili, i quali, che possono fare? Contano e ricontano! E ogni tanto, risentiti per qualche critica, rispondono o male, come qualche volta hanno fatto Monti e compagni; o bene, promettendo qualche concessione, come vorrebbe fare – e farà! – Monti, che ha promesso a Bersani una legge sulla regolamentazione delle coppie gay. Ci vorrebbe un Monti politico, ma non c’è; e ci dobbiamo sorbire il ragioniere permaloso e dispettoso, a cui la madre raccomandò di non immischiarsi in politica. Ma ho l’impressione che finirà come quel coniglio che per sfuggire alla trappola fatalmente ci cadde dentro. La settimana si chiude col sigillo di Ferruccio De Bortoli, direttore del "Corriere della Sera": "La parte responsabile del Paese, che crediamo maggioritaria, sa che non vi sono alternative a questo governo, al di fuori del caos greco" (I leggendari poteri forti, 10 giugno 2012). Ipse dixit! 

domenica 3 giugno 2012

Monti e la fine di un'illusione

Paolo Macry ha detto due cose sul “Corriere della Sera” di martedì, 29 maggio, sulle quali vale la pena ragionare (Le manovre spericolate dei partiti). La prima è che “la crisi dei partiti è esplosa il 16 novembre del 2011, con l’insediamento di Mario Monti a Palazzo Chigi. Quel giorno gli italiani presero atto che, di fronte a una gravissima congiuntura economica, i propri legittimi rappresentanti avevano deciso di abbandonare la nave, affidandone il timone ad altri”. Scontato il pensiero, per associazione di idee, al Comandante della Costa Concordia Schettino, diventato ormai una metafora della sciatteria e della vigliaccheria. Non si può non essere d’accordo. Per questa ragione chi ama la politica ed è abituato ad assegnarle il compito di risolvere i problemi del Paese è stato contrario a quella resa e fuga fin dal primo momento. La nostra avversione a Mario Monti e ai suoi tecnici trova nella mortificazione della politica la sua motivazione, prima ancora che nei suoi insuccessi o nelle sue sortite stravaganti. La seconda è che ora PdL e Pd, secondo Macry, “cercano di rilegittimarsi, delegittimando il (loro) governo dei tecnici. E dunque ne determinano, giorno dopo giorno, la progressiva impopolarità”. E qui dissentiamo, perché è legittimo che i partiti cerchino di recuperare credibilità e non possono farlo che in due modi: dimostrando che il governo tecnico non è migliore del governo politico e nel frattempo ristrutturandosi. Ed è quello che stanno cercando di fare. Sul come e sull’esito ci sarebbe da discutere, ma che si stiano preoccupando di rigenerarsi non c’è alcun dubbio. Altro sarebbe il boicottaggio, contro cui si dovrebbe essere contrari senz’altro. Dalla “difesa” di Macry, scuderia Corsera, Monti ne trae giovamento. Se dovesse fallire, come sta fallendo, avrebbe già l’alibi del boicottaggio dei partiti. Come se il governo dei politici non è fallito anche per la “guerra” scatenatagli contro dall’universo mondo italiano: politico dell’opposizione, mediatico, confindustriale, culturale e perfino clericale. E aggiungerei anche la coglionaggine di Berlusconi stesso, uomo di sicure capacità imprenditoriali ma di una schifezza morale e politica inaudite.
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E ti pareva che non la dicesse l’ennesima minchiata! Di fronte allo scandalo del calcio Monti ha detto che bisognerebbe sospendere per due o tre anni il campionato. Ora, si può essere più avventati di così? Non sa il Prof. Monti che il calcio è danaro in tutti i sensi, che ci lavora tanta gente, che fa girare tanti soldi? E lui, così bravo ad aumentare tasse, ad imporre sacrifici, ad allungare l’età della pensione, a rendere più facili i licenziamenti, se ne esce con una cosa del genere? Ma del resto lui è capo del governo perché i politici si sono autolicenziati. Facciano così i pallonari, si autolicenzino e passino il pallone a magistrati e cantanti per il campionato del cuore. E già che ci siamo, di fronte allo scandalo della Chiesa, si autosospendano i preti e lascino che la messa la dicano i tecnici, tra un taglio allo stato sociale e un aumento delle accise. Ma il capolavoro di Monti non era completo con la sospensione del campionato; ha anche detto che il calcio gode di denaro pubblico. E quando mai? Gli hanno replicato. E’ esattamente il contrario: è il calcio che foraggia lo Stato. Il che è tanto vero quanto la luce del giorno.
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Nella sua prima relazione da Governatore della Banca d’Italia, dopo Mario Draghi, Ignazio Visco ha voluto dare un segnale di discontinuità, limitandosi a descrivere la situazione qual è, a fare cioè una diagnosi, senza suggerire terapie e ipotizzare prognosi. Una questione di stile? Un tocco di originalità, dato che era consuetudine dei governatori della Banca d’Italia, esprimere giudizi sul governo e dare suggerimenti? Ognuno la interpreti come vuole. Io dico che in politica come in natura – Aristotele docet – nulla accade a caso. A prescindere dall’opportunità o meno di esprimere giudizi e di dare consigli al governo, occorre prendere atto che il Governatore Visco sul governo Monti ha taciuto. Un vecchio adagio dice che sulle cose cattive è meglio tacere. Se è buono il principio, va da sé che se Visco avesse avuto motivi per dir bene del governo Monti lo avrebbe fatto. Non ha detto niente; dunque non c’era niente di buono da dire. La situazione deve aver suggerito a Visco di non azzardare nulla. Lo vediamo tutti che qualunque cosa si dica si corre il rischio di doverla correggere il giorno dopo. Meglio, dunque, tacere. Se non vogliamo dire che come cane non morsica cane così tecnico non morsica tecnico.
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Dal calcio alla parata del 2 giugno. Si è fatto un gran parlare sull’ipotesi di sospendere la parata della Festa della Repubblica, per solidarietà con le vittime del terremoto in Emilia. Napolitano ha tenuto duro e la parata, sia pure in maniera più sobria, c’è stata. Sono d’accordo, questa volta, col Presidente Napolitano. Non si può sospendere, sia pure per nobile e giustificato motivo, un momento di riconoscimento nazionale di un popolo, l’occasione per ritrovarsi insieme e guardarsi negli occhi per ricominciare il cammino diventato impervio. Il terremoto era solo la scusa per non fare la parata, che c’è chi vuole abolirla del tutto, e non da ora. Nel 1976 fu sospesa da Arnaldo Forlani ministro della difesa per un altro terremoto, quello in Friuli; e allora Lelio Basso si complimentò col ministro sparando a zero sulla parata militare, che, a suo dire, andava abolita. Ha stupito non poco il comportamento di Monti, che non si è certo speso in difesa della parata militare. Fosse stato per lui, l’avrebbe sospesa. E sarebbe stata l’ennesima sospensione, dopo le Olimpiadi, il campionato di calcio ed ora – per fortuna anche questa scongiurata – la Festa della Repubblica.
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Intanto Monti continua a non occupare più le prime pagine dei giornali, mentre il Senato a colpi di voti di fiducia ha approvato la sua riforma del mercato del lavoro. Che non si parli più di lui coi toni trionfalistici di “arrivano i nostri” dei primi tempi è molto significativo. Pare a tutti ormai, tranne che a Casini, che l’esperimento è fallito, che lo spread sale e scende non in ragione delle scelte del governo ma per “occulte” ragioni di mercato, contro cui né Monti né altri riescono a fare alcunché. La situazione dell’Italia incomincia a diventare insostenibile. La sortita di Berlusconi sull’emissione di euro italiani, al di là se per battuta o per provocazione o per altro, è un segnale di un non saper che dire. Stiamo entrando nella fase forse più angosciosa ed angosciante di questa crisi, quella dell’attesa del peggio, ossia la fine della moneta unica, con tutte le conseguenze che non si riesce nemmeno ad immaginare. “Il silenzio di coloro che hanno combattuto la battaglia europeista è in Italia assordante”. Ha detto Ferruccio De Bortoli, Direttore del “Corriere della Sera” nel suo fondo di domenica, 3 giugno, Moneta di tutti (e di nessuno). E De Bortoli è stato il più convinto montiano fin dal primo momento. Il convincimento che ormai siamo alla fine della moneta unica cresce e si diffonde. Il silenzio di Monti è un silenzio di lutto; va rispettato. Perciò su di lui la stampa tace.