lunedì 27 giugno 2011

Provincia: per Ria e Pellegrino il buco non esiste. Lo cerchi la Procura!

Quel che continua a sorprendere nella vicenda dei sette milioni di euro mancanti nel bilancio della Provincia è l’esagerato modo di porre il problema, sia da una parte che dall’altra. Da una parte, l’attuale presidente Gabellone dice che il Ministero dell’Interno ha fatto sapere con una nota formale che la somma di sette milioni di euro come residui attivi che dal 2001, di anno in anno, vengono messi in bilancio come somma riveniente dallo Stato, è insussistente e che, a questo punto, l’ente rischia il dissesto finanziario. Francamente pare esagerato che appena sette milioni di euro possano mettere in dissesto un ente importante come la Provincia, capace, come poi ha dimostrato, di poter trovare i soldi per sanare il buco con estrema anche se discutibile facilità.
I due presidenti pregressi chiamati in causa, Ria e Pellegrino, dopo aver dato risposte diverse, più sprezzanti e propagandistiche quelle di Ria, più moderate e ragionate quelle di Pellegrino, hanno più recentemente escluso che c’è il buco, addirittura che non c’è nemmeno l’errore tecnico, in un primo momento ipotizzato, che insomma non c’è assolutamente nulla e, servendosi di metafore popolari, hanno affermato che l’attuale presidente indossa una giacca più grande di due taglie di quella che gli starebbe bene e concludono: hai voluto la bicicletta, ora pedala. In parole povere Gabellone, per i due “super presidenti”, è un povero cristiano che si ritrova ad amministrare la provincia di Lecce come un ciuco in mezzo ai suoni e non sa che fare. Manca solo che gli suggeriscano la fine di Celestino V.
Stupisce davvero che Pellegrino si sia messo sulla lunghezza d’onda di Ria, non solo per una questione di stile ma anche per una valutazione di merito. Stile: pensare che Gabellone non sia in grado di fare quel che prima Ria e poi Pellegrino hanno fatto è come ammettere che in Italia c’è una razza di politici superiore ad altre e che a questa razza appartengano quelli di centrosinistra, ma non quelli di centrodestra. Qualcosa che somiglia agli atteggiamenti dei vecchi notabili meridionali, i famigerati galantuomini, i quali fino alla metà del Novecento pensavano che dei contadini o degli artigiani non potevano mai saper amministrare la cosa pubblica. Il discrimine oggi sarebbe l’appartenenza non più il censo.
Merito: delle due l’una: il buco o c’è o non c’è. Che ci sia non lo dice Gabellone né lo conferma la Commissione programmazione e bilancio, ma il Ministero dell’Interno e siccome riguarda l’epoca della presidenza Ria, questi dovrebbe dare delle spiegazioni, così come aveva fatto Pellegrino per la parte che gli competeva. Questo spostare tutto sul “chi sei tu e chi siamo noi”, tipico delle faiassate di cortile, in nome di una superiorità di appartenenza politica, offende oltre tutto i cittadini, sui quali si vuole scaricare il peso dei sette milioni attraverso l’aumento della quota che spetta alla Provincia sulle polizze RC auto.
Ma c’è un punto ineludibile in tutta questa sceneggiata: i cittadini devono sapere. Se essi sperano di saperlo dalle prese per capelli dei diretti interessati stanno freschi. Allora è necessario passare le carte alla Procura della Repubblica. Ci sarà pure un magistrato disposto ad occuparsene! A Lecce la magistratura ha dimostrato di non essere né schierata né spinta dal sacro fuoco della palingenesi politica. I cittadini si fidano. I politici no?

venerdì 24 giugno 2011

I sette milioni di ammanco erano soldi o emozioni?

I sette milioni di euro di ammanco nel bilancio dell’Amministrazione Provinciale di Lecce saranno recuperati in tre anni con l’aumento della quota spettante alla provincia sulla polizza assicurativa delle auto, che aumenterà del 3,5 %, innalzando la quota complessiva dal 12,5 % al 16 %. Il massimo consentito dal federalismo fiscale. Siccome non è chiaro se, a debito risanato, questa quota tornerà al suo quantum precedente, viene da pensare che l’errore tecnico, così lo chiamano, dell’ammanco – come è accaduto per tante calamità naturali – sarà “benedetto”, perché continuerà a portare soldi all’Ente.
La soluzione ha trovato tutti d’accordo. Tutti chi? I politici, ovviamente. Da libro cuore! I cittadini corrono in soccorso dei loro politici, un po’ superficiali nel farsi i conti. Ma così non è stato. Politici solidali con politici; cittadini, generosi e coatti. Gli uni responsabili della cosiddetta “insussistenza”; gli altri sussistenti, e come! Gli uni a far da figli un po’ scapestrati, gli altri, a far da genitori e a coprire le loro magagne. Esempio di mondo alla rovescia, forse neppure immaginato dall’antropologo russo Bachtin, un esperto di rapporti rovesciati.
Ma i cittadini i soldi ce l’hanno? In questo paese, dove a cercare giustizia, si corre il rischio di passare per giustizialisti – ché, a pensarci bene, poi non dispiace – ormai è prassi quotidiana di aumentare le tasse, di creare balzelli, di inventarsi obblighi vari, una volta si chiamavano feudali. E forse si potrebbe anche capire. Tirare la cinghia, si dice.
Se non che i cittadini non se la passano meglio delle istituzioni. Disoccupazione, precarietà diffuse, incertezze, bassi stipendi e ancor più bassi salari; aziende che chiudono, piccole imprese edili che hanno vissuto finora di abusivismo edilizio praticamente ferme in seguito alla severa vigilanza dei tutori dell’ordine, e con loro tutto l’indotto dell’artigianato. Le fredde cifre dell’Istat non rendono bene la realtà che c’è nel Paese e nel Mezzogiorno in particolare.
Da dove vanno a prendere i soldi i cittadini per sanare gli errori o le stravaganze dei politici? Ce lo dovrebbero pure dire.
I cittadini – si sa – sono generosi ope legis, ma il sospetto che nei brogli del potere ci sia qualcosa di poco innocente ce l’hanno, non tanto perché qualcuno ha messo loro la pulce nell’orecchio – viene di ricordare Robespierre che, nel chiedere la condanna a morte di Luigi XVI, disse che i re non regnano mai innocentemente – quanto perché hanno sotto gli occhi come invece se la passano i politici. Fin dal loro esordio, si capisce! Oggi crescono coloro che perfino a livello comunale si candidano con la speranza di diventare assessori per godere di quel modesto assegno che passa sotto il nome di indennità amministrativa. Che, se per un verso prova la situazione di disagio economico in cui versa oggi la gente, per un altro prova che con la politica comunque si sbarca il lunario.
Allora, vogliamo farci carico dell’ammanco finanziario della nostra Provincia? Facciamolo, anche perché non abbiamo altra scelta; ma nello stesso tempo chiediamo di sapere che fine hanno fatto quei sette milioni di euro, perché sembra davvero enorme che per una somma insussistente i cittadini caccino di tasca moneta consistente. Nelle pubbliche amministrazioni ogni somma ha una destinazione. La tracciabilità di quei sette milioni di euro è fattibilissima.
Ma, per favore, non fate passare quei soldi per semplici…emozioni!

domenica 19 giugno 2011

Fantasmi alla Provincia: 7 milioni di euro non ci sono più

Fantasmi alla Provincia di Lecce. Il Ministero dell’Interno ha comunicato che ben sette milioni di euro che dal 2001 vengono riportati in bilancio come residui attivi sono in realtà insussistenti perché il relativo trasferimento dello Stato c’è già stato. Per l’Amministrazione Provinciale si tratterebbe di un credito che dovrebbe esigere dallo Stato, che, a sua volta, sostiene di non doverlo più, in quanto a suo tempo saldato. Intanto quei sette milioni sono stati già spesi. In parole povere, è come se la Provincia avesse speso sette milioni di euro che pensava di dover avere dallo Stato ed oggi, sapendo di non doverli avere più, si scopre a debito. Rischia di fatto il dissesto finanziario: o taglia la spesa corrente o vende qualche immobile di sua proprietà per poterli recuperare.
All’epoca dei fatti – siamo tra il 1999 e il 2002 – i presidenti della provincia interessati erano Lorenzo Ria e poi Giovanni Pellegrino. Entrambi si dicono sbalorditi e sconcertati.
Il Sen. Pellegrino è dell’avviso che delle due l’una: “o per anni gli uffici hanno fatto un errore clamoroso o il ministero, probabilmente per la situazione di crisi finanziaria dello Stato, oggi nega un debito che aveva con la Provincia”. Ria esclude qualsiasi responsabilità politica sia della sua gestione che di quella di Pellegrino ed attribuisce l’ammanco dei sette milioni ad errori contabili (affermazioni fatte ad Alfredo Ancora, Quotidiano di Lecce del 16 giugno).
Al netto della propaganda politica, in verità, nella circostanza brandita esclusivamente da Ria versus l’attuale presidente Gabellone, c’è che mancano sette milioni di euro. Responsabilità politiche o errori contabili l’ammanco di certo non riguarda l’Amministrazione Gabellone, ma le precedenti. Da avvocato prima ancora che da politico Pellegrino ha individuato le parti, sia quella da difendere, la Provincia, sia quella dalla quale difendersi, il Ministero. Egli muove una serie di eccezioni. Perché si sarebbero accorti solo oggi di questo ammanco e non prima, quando “gli ispettori della Ragioneria dello Stato sono venuti a Palazzo dei Celestini diverse volte, anche nel 2004 senza mai eccepire nulla in proposito”? Perché – incalza il Senatore – “mai, che io ricordi, il Ministero ha eccepito di aver già liquidato quelle somme” quando la Provincia, per non far decorrere i termini di prescrizione, continuamente le richiedeva allo Stato?
Da politico più che da avvocato, che pure è, Ria, invece, attacca Gabellone e con spropositata arroganza lo consiglia di “pensare meglio ad amministrare [piuttosto che] guardarsi indietro, vittima dello spettro delle gestioni precedenti”. Come se preoccuparsi di un ammanco di sette milioni di euro non fosse già di per sé la mamma di più momenti amministrativi!
I cittadini, che sono i maggiori interessati all’ammanco, sembrano esclusi da questa querelle finanziaria. Come sempre – viva la democrazia! – i fattacci vengono a luce, cosa che non accade nelle dittature, ma regolarmente per essi non paga nessuno, perché non si sa chi li abbia commessi, cosa che nelle dittature, quelle poche volte che si scoprono, risultano avere precisi autori, che altrettanto regolarmente sono chiamati a pagare.
Sarebbe davvero interessante – danni finanziari all’ente e per esso alla collettività a parte – sapere se si tratta di soldi già spesi, ipotizzando una copertura che poi non c’è più, o se si tratta di soldi in qualche modo spariti. Ma chi li avrebbe fatti sparire e come? Qui, certo, il prestigiatore Silvan coi suoi sim-sala-bim non c’entra affatto. Ma i politici italiani sono assai più bravi di Silvan. Scommettiamo?
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domenica 12 giugno 2011

Una fatwa italiana per Cesare Battisti

Gli italiani sono indignati per la scarcerazione in Brasile del terrorista pluriomicida Cesare Battisti. Lo è il Presidente Napolitano, lo sono gli altri, da Berlusconi a Frattini, ai presidenti di Camera e Senato e giù di lì. Ovviamente non mancano quelli che sono contenti. Che Italia sarebbe se almeno una volta fosse unita?
Qualche anno fa scrissi per il “Quotidiano” un articolo, suggerendo di lasciar perdere Cesare Battisti. Non fu pubblicato, perché il “Quotidiano” di Lecce in buona sostanza sta dalla parte politica che ritiene di dover chiudere la stagione terroristica all’insegna di quel che è stato è stato. Posizione assai diffusa tra tanta bizzocheria di sinistra. Nel mio suggerimento era trasparente una decisa condanna di Battisti e di chi lo proteggeva. Ma nello stesso tempo ero e sono del parere che nel contesto generale dei delitti e delle pene in ambito terroristico, in presenza di tanti scarcerati e di tanti altri carcerati per modo di dire, la vicenda di Cesare Battisti poteva anche considerarsi conclusa per lo Stato e il popolo italiani. In fondo quel suo essere fuggiasco per il mondo era già una pena, da aggravare con un “fine pena mai”, ossia con l’interdizione perpetua di mettere piede in Italia.
Allora ci indignavamo per il fatto che la Francia, mentre diceva che ce l’avrebbe consegnato, lo faceva fuggire, si dice per mezzo dei servizi segreti, con la contezza e la contentezza di Carlà Brunì, già première dame. La quale non ha mai nascosto le sue simpatie per il terrorismo rosso, benché la di lei famiglia avesse lasciato l’Italia negli anni in cui infuriava il terrorismo e cercato scampo in Francia. Così raccontano le cronache, che la riguardano.
Non era una battuta la mia. Lasciate perdere Battisti! Ero convinto che non avremmo mai smesso di indignarci per le offese che a causa sua avremmo continuato a ricevere da paesi coi quali avevamo buoni rapporti. Così è stato. Con la Francia abbiamo più volte sfiorato l’incidente diplomatico. Col Brasile rischiamo di peggio. Ora, o ci teniamo la schiaffeggiata e facciamo finta di niente o dovremmo rompere i rapporti diplomatici seriamente, con tutto quel che ne conseguirebbe.
E’ assolutamente inaccettabile che un paese col quale abbiamo proficui rapporti economici – lasciamo stare l’amicizia, l’avevamo pure con Gheddafi – insulti la nostra giustizia, che ha condannato Battisti in maniera definitiva, e violi la nostra sovranità nazionale.
Qui Battisti c’entra poco. E’ l’Italia che c’entra, come Stato sovrano, dotato di un sistema di giustizia assolutamente ipergarantista. Se l’Italia ha condannato ingiustamente Battisti – come francesi prima e brasiliani dopo asseriscono – vuol dire che l’Italia è percepita come uno Stato non democratico o non sufficientemente democratico, ma una sorta di dittatura che perseguita i suoi avversari politici. I fantasmi di Mussolini e dei fratelli Rosselli sono tornati più volte, pur senza essere nominati, a turbare le nostre opere e i nostri giorni.
Chi ci ha fatto l’affronto non è stata l’alta corte di giustizia brasiliana, la cui subordinazione al potere politico è affar suo, bensì quel presidente Lula, che è qualcosa che sta tra Pancho Villa ed Emiliano Zapata. Il quale – Lula, dico – assurto alla presidenza del suo paese, pur sforzandosi di interpretare da cristiano il ruolo, è rimasto quello che è: un dittatorello sudamericano, con la fisima della rivoluzione. Per Lula Cesare Battisti è un eroe. Non dice che è innocente; del resto non lo potrebbe dire. Dice che per quel che ha fatto non merita il carcere. Aver ucciso quattro persone e invalidato a vita una quinta è atto che rientra nella lotta rivoluzionaria dei proletari contro i borghesi.
Oh come li capisco certe volte gli islamisti, quando lanciano le loro fatwe! Sì, io non sono un imam, non sono neppure arabo e se non credo in Dio figurarsi se credo in Allah. Eppure non mi dispiacerebbe che qualche italiano, ideologicamente antitetico a Lula, ma della sua stessa pelle, raggiungesse quel Battisti e gli portasse i saluti di tutti quegli italiani che ancora non hanno barattato la dignità nazionale con qualche esportazione di manufatti e gli ricordasse che oltre all’ipocrisia diplomatica c’è anche la sana sincerità popolare e che se vale il detto “vox populi vox dei” ancor più vale per analogia “opus populi opus dei”. Amen!
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domenica 5 giugno 2011

La politica non è un palio. Inopportuni gli inni e i canti

Finalmente gli italiani si sono svegliati! Così un amico a Lecce riferendosi al successo elettorale di Milano e di Napoli. E giù una serie interminabile di insulti a saldo nei confronti di Berlusconi e berlusconiani. Forse, a pensarci, non riuscii a fargli sentire, tanta era la sua foga, che era perfettamente normale che il centrosinistra vincesse dopo quanto accaduto in Italia in quest’ultimo anno e che la democrazia è bella proprio perché consente verdetti popolari e cambi politici sempre in conseguenza delle situazioni che si determinano, al di là di televisioni, di soldi, di addormentamenti e risvegli ed altro argomentario piagnone. Le tue – questo ricordo di averglielo proprio detto in maniera chiara – sono manifestazioni da bar.
Avevo torto. Torto nei confronti del…bar. Tornato a casa, infatti, sentii al telegiornale che Luca Cordero di Montezemolo, quello della Ferrari, quello che sfoglia ogni giorno la margherita se scendere o no in campo, aveva commentato il successo del centrosinistra con queste parole: “è stata la risposta della coscienza civile degli italiani”. Beh, allora…
Ma non basta! Eminenti personalità della cultura e della politica hanno detto che Milano e Napoli sono state liberate. Milano espugnata, ha detto Vendola. Liberate da chi, da che cosa? Non si capisce. A Milano erano tornati gli austriaci? Erano tornati i nazifascisti? E a Napoli era scomparsa la camorra? Non c’era più pagliuzza per strada nemmeno a pagarla a peso d’oro?
Francamente c’è da rimanere trasecolati in questo paese. Proprio da chi si professa democratico a diciotto carati vengono insulti alla democrazia, a cui non si riconosce nemmeno il suo aspetto più importante, quello di consentire opportuni cambiamenti in maniera tranquilla e pacifica nel rispetto delle leggi e delle persone. Se non fosse per questo, per che altro si dovrebbe essere democratici?
Per altro verso si sta predicando che ora non ci saranno più stipendi e liquidazioni milionarie, e di contro pensioni da cinquecento euro al mese, disoccupazione giovanile e incertezze varie, quasi che Pisapia e De Magistris fossero gli angeli scesi dal cielo “con due spate affocate” a scacciar la “mala striscia”, come racconta il padre Dante nell’VIII del Purgatorio.
Ora, leggere un successo elettorale, importante ma realisticamente parziale, come l’inizio di una rivoluzione e creare nel paese aspettative palingenetiche è sciocco. Stavo per dire infantile, ma forse ai bambini basta un piccolo esempio per una grande lezione. Agli adulti, invece, non basta la più grande lezione per un piccolo esempio di serietà e di morigeratezza.
E’ opinione diffusa che il successo elettorale alle Amministrative testé conclusesi può essere l’inizio di un cambiamento più importante, che è nelle aspettative prudenti del Paese in generale, stanco della guerriglia cha ha caratterizzato gli ultimi vent’anni della nostra storia. Ma è anche evidente che si sta entrando in una fase della crisi assai più complicata. Lo dimostra il fatto che sia il PdL che il Pd, partiti garanti del sistema politico, sono entrambi in netta difficoltà a vantaggio di tanti piccoli “Re Sole” locali, privi di comuni riferimenti politici, come sono Pisapia e De Magistris, e per altro verso, come sottolineava Luca Ricolfi su “La Stampa”, Beppe Grillo e Michele Santoro. I veri vincitori del Maggio 2011 sono loro. E c’è motivo per inneggiare?
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