domenica 25 dicembre 2011

Monti: l'anomalia c'è e si vede

In un evidente, per quanto contenuto, scatto di nervi il Presidente del Consiglio Mario Monti alla Camera, qualche giorno fa, discutendo la sua manovra, sbottò rivolto ai suoi critici parlamentari: se queste misure le potevate prendere voi politici, come voi asserite, perché non l’avete fatto e avete lasciato a noi tecnici l’incombenza?
Senza volerlo, Monti ammetteva l’anomalia del suo governo “tecnico”. Già, perché la politica ha lasciato alla tecnica? E’ normale che la politica abdichi come una regina ingualdrappita?
Il Presidente della Repubblica Napolitano dice sì, che è tutto normale, che “non c’è nessuno strappo costituzionale”, che “si doveva evitare uno scontro elettorale devastante”. Altra ammissione, dunque, di anomalia. Prioritariamente si doveva votare, ma era ancor più importante evitare il disastro delle votazioni, data l’incapacità dei soggetti di comportarsi da cristiani. Ma tutto questo prova che in Italia la democrazia ha dei limiti, che può trovarsi nelle condizioni di autosospendersi per uscire da un impasse.
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Ora un Presidente della Repubblica dovrebbe essere super partes, a condizione però che non sia lui stesso pars in partibus. Quando Napolitano difende la sua operazione tecnica, non lo è, difende la sua pars. Che l’operazione porti ad una soluzione della grave crisi è un augurio ed una speranza, che al momento sono ben lontani dal vedersi all’orizzonte. Quel che appare, invece, abbastanza chiaro è che in Italia si può eliminare un governo, una maggioranza parlamentare, legittimamente eletta dal popolo, con una autentica, ossessionante guerriglia mediatico-giudiziaria, in supporto ad una schizofrenica e fessa opposizione politica. Le dimissioni del governo Berlusconi l’hanno data vinta a tutti i suoi “nemici”. Non si può dire al momento se Napolitano fosse d’accordo con Bersani & Compagni sulla soluzione tecnica, quel che si può dire con certezza è che grazie alla soluzione Napolitano la parte politica che doveva trarre profitto dalle dimissioni di Berlusconi, ossia il centrosinistra, è stata messa col culo per terra. Basta guardarli in faccia i sinistri e i centrosinistri, sono tutti purgati. E qui Napolitano torna trionfalmente super partes.
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Ha scritto Beppe Severgnini, più esperto interista che analista, che “Mario Monti ha fatto più in un mese che i predecessori in diciassette anni” (La trappola del pessimismo – Corsera del 20 dicembre). Vede un’altra partita il pur simpatico e caustico editorialista del “Corriere della Sera”, da sempre sostenitore della soluzione Monti. A tutt’oggi non ci sono elementi per esprimere giudizio alcuno. E non potrebbe essere diversamente. Le manovre di governo non sono interruttori “on-off”; deve passare un po’ di tempo per vederne o sentirne gli effetti. Quel che gli italiani fanno in questi giorni è il conto di quanto costerà loro la manovra montiana in un anno. Si parla di circa duemila euro a famiglia. Non c’è da stare allegri e solo di fronte al costo della manovra si può dire, d’accordo con Severgnini, che Monti avrà fatto davvero in un anno più di quanto non abbiano fatto i suoi predecessori in diciassette – ma che dico? – in venti…trenta…quaranta anni.
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Il rischio reale che corriamo è che questo governo tecnico si trasformi in politico. Se tecnico doveva essere, tecnico sia! Invece ogni giorno che passa ci accorgiamo che i ministri tecnici somigliano sempre più ai ministri politici. Oggi dicono, il giorno dopo negano. Passano da un talk-show all’altro. La Fornero attacca l’art. 18 ma poi nega e apre sull’aumento dei salari, frastornando la gente. Siamo o non siamo in crisi? E allora che significa aumentare i salari? Che siano bassi tutti lo dicono da anni e tutti lo sentono sulla propria pelle, ma che per una ragione di compensazione o riequilibrio di rapporti coi sindacati si tenti lo zuccherino improbabile del salario è discorso decisamente poco tecnico e tanto più politico. Viene il sospetto che in Italia tecnici o politici sono sempre e prima di tutto italiani. Un mio vecchio amico comunista, che la sapeva lunga sulle cose patrie, a cui avevo chiesto se veramente lui sperasse nel comunismo in Italia, mi disse: vedi, noi italiani abbiamo avuto il peggiore liberalismo, il peggiore fascismo, la peggiore democrazia. Dio ci liberi dal comunismo – concluse – sarebbe il peggior comunismo! Aveva ragione. I tecnici come i politici, allora? Speriamo che almeno si differenzino in illibatezza amministrativa! Se no, dovremmo andare tutti in pellegrinaggio ad Hammamet.
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Intanto sembrano ricompattarsi anche i socialisti. La fiducia, a mio avviso eccessiva, che Berlusconi sia finito, sta facendo cercare a tutti nuovi posizionamenti. C’è la corsa al restauro. Tutti cercano di darsi una spazzolata e di cercare improbabili ricompattamenti in nome di antiche identità. Ma Berlusconi è lì, con tutti i suoi vivi e tutti i suoi morti, tanto per rispolverare una delle più celebri frasi di Mussolini, che al Cavaliere piacciono tanto. Chi sono i vivi? Ma quelli che gli sono rimasti accanto anche nella cattiva sorte! E i morti? Quelli che lo hanno abbandonato: i Fini, i Pisanu, gli Scaiola. A Berlusconi resta un après-saison importante. Farebbe bene a trascorrerlo senza simili soggetti, squalificati prima ancora dei tradimenti e dei voltafaccia compiuti.
E’ Natale; e gli auguri sono d’obbligo. Cosa ci riserverà il 2012? La politica, come la natura, non facit saltus. Quindi avremo ancora a che fare con molti degli uomini che hanno caratterizzato in negativo il 2011. L’augurio è di vederne alcuni ridotti all’accattonaggio politico. Ed è un augurio generoso, dato che molti di loro hanno già dato prova di essere dei validissimi accattoni. Penso a Fini, che, avuta in regalo una casa a Montecarlo “per la causa”, lui l’ha girata al cognato; penso a Pisanu, che chiedeva a Moggi favori per la sua Torres; penso a Scajola, che aveva avuto in regalo una casa a Roma con vista sul Colosseo all’insegna del manzoniano “tacer pudìco che lieto il don ti fa”. Penso…ma forse in un giorno santo, meglio avere pensieri santi; cambiamo perciò discorso.

domenica 18 dicembre 2011

Monti "disperato", Schifani "pagliaccio", Fini "cialtrone": W l'Italia!

Ora lo dice anche Ernesto Galli Della Loggia: “Stato d’eccezione ma non se ne parla” (“Corriere della Sera” del 12 dicembre 2011). Sì, ma chi ne doveva parlare?
L’episodio più grave da quando esistono la Repubblica e la Costituzione, l’autentico vulnus, è stato l’operazione Napolitano-Monti, altrimenti detto governo tecnico. Dice Della Loggia: “All’ordine del giorno nelle vicende della Repubblica è oggi uno dei temi chiave della grande riflessione politologica del Novecento: lo «stato d’eccezione». Cioè quella condizione di straordinarietà nella vita di una Costituzione in cui, per la necessità di fronteggiare una situazione di emergenza, le sue regole sono sospese, a cominciare da quelle riguardanti la formazione del governo e l’ambito dei suoi poteri. La sospensione può avvenire in via di fatto o di diritto, anche se per ovvie ragioni sono ben poche (almeno a mia conoscenza) le costituzioni democratiche che prevedono, al di fuori del caso di una guerra, le procedure per dichiarare lo stato d’eccezione e i modi di questo”.
E’ sufficiente per capire che anche per il professor Galli Della Loggia la situazione politica italiana, quale si è determinata col governo Monti, è eccezionale e grave.
Va ricordato che in questi ultimi tre anni berlusconiani, che hanno preceduto il governo Monti, più volte Berlusconi ha rivendicato la necessità di rivedere la Costituzione per renderla meno ostativa o ritardante della dinamicità politico-amministrativa dello Stato e del Paese, mentre i suoi oppositori, politici giudici intellettuali comici nani e ballerine, hanno fatto della Costituzione una sorta di “santo sepolcro” e hanno fatto in tutte le sedi, coperte e scoperte, delle “crociate” in sua difesa. Ora se quel sepolcro era davvero “santo” si può discutere, ma che sia stato violato e proprio da chi lo difendeva non c’è dubbio alcuno.
Ma a rendere particolarmente grave l’operazione Napolitano-Monti è che nessuno ha ancora dimostrato che la situazione richiedeva davvero uno “stato d’eccezione”. Le misure adottate dal governo Monti potevano benissimo essere adottate da un governo politico, tanto più che i tecnici, chiamati al governo da Monti, sono gli stessi chiamati da Berlusconi a fornire consulenza al governo. Ed è qui il punto di maggiore eccezionalità e gravità: la politica ha abdicato e il Presidente della Repubblica ha agito in stato di improrogabile necessità, proponendosi come autentico “motore di riserva” del sistema in panne.
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Naturalmente c’è in Italia chi è dell’avviso che nell’operazione Napolitano-Monti non c’è alcun vulnus costituzionale, che anzi si è verificato un “ritorno alla costituzione” e che c’è da auspicarsi che per l’avvenire si continui a fare come ha fatto nella circostanza Napolitano, che si facciano solo “governi istituzionali”, che i ministri siano di nomina presidenziale e che si dia così inizio alla “terza repubblica”. Così Eugenio Scalfari (“la Repubblica” del 4 dicembre 2011).
Nella posizione di Scalfari, non nuovo a contorsionismi mentali per giustificare ciò che a lui piace o condannare ciò che a lui non piace, c’è tutta l’avversione del vegliardo nei confronti dei suoi avversari politici. Scalfari non è più da prendere in seria considerazione e il suo più recente percorso intimistico-filosofico è assai più stimabile delle sue apologie della sinistra e delle sue scomuniche della destra. E’ di tutta evidenza che un gesto è costituzionale o incostituzionale in sé, che la necessità di adeguare la costituzione ai tempi è opportuna o inopportuna in sé. E’ inaccettabile che tutto dipenda da chi compie il gesto. Se lo compie Berlusconi è un attacco alla costituzione da condannare; se lo compie Napolitano è un atto legittimo da osannare.
A tenere bordone al vecchio Scalfari soccorre Casini, l’eterno apprendista della politica cattolica italiana. Ha detto che per lui “Monti può fare quello che vuole” e che sarà un bene che resti nella politica. E’ un altro esempio di soggettivismo valutativo. Casini, come per la verità altri politici, cerca di nobilitare la viltà della politica facendola passare per una scelta libera e sagace, per dimostrare che non c’è nessuna discontinuità tra il prima e il dopo Monti e che tutto è ascrivibile alla politica. Se lo deve proprio ripetere più volte al giorno per convincersi, il pinzochero di Dio!
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Luca Ricolfi su “La Stampa” del 12 dicembre sostiene che “Per tagliare bisogna studiare”. Tesi: Padoa Schioppa, Tremonti ed ora Monti hanno effettuato tagli lineari perché non hanno studiato per conoscere i vari settori ed i loro problemi per effettuare tagli mirati e chirurgici. Le manovre che puntano sull’aumento delle tasse piuttosto che sui tagli alla spesa pubblica non risolvono la crisi, soprattutto sul versante della crescita. “Una correzione di 20 miliardi – dice Ricolfi – fatta con 15, con 10, o con 5 miliardi di tasse in più ha effetti profondamente diversi sulla crescita, e quindi sul futuro di un paese. Se gli aumenti di tasse sono eccessivi e/o mal indirizzati, i rischi di recessione aumentano, e la correzione può non bastare”. Ricolfi ritiene che per poter fare dei tagli mirati occorrono almeno due anni di studi, che i governi non hanno.
Se Ricolfi ha ragione – e ce l’ha – occorre dare all’emergenza governativa tecnica un’altra concessione importante: il tempo. Si rafforza cioè l’idea che la tecnocrazia non è più una necessità transitoria della politica ma è la condizione più opportuna e richiesta se si vogliono risolvere i problemi del Paese. Vuoi vedere che qui prima o poi si fa l’elogio della dittatura perpetua?
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Nel corso del dibattito sull’approvazione della manovra, al Senato qualcuno ha dato del “pagliaccio” al Presidente Schifani; e alla Camera qualcuno ha dato del “cialtrone” al Presidente Fini. Condanno il primo, plaudo al secondo. In ogni caso, al di là di personali antipatie e simpatie, di cui tutti soffriamo, i due presidenti non se le meritavano nello specifico. La manovra è iniqua. Non c’è chi non lo veda, chi non lo sappia. Ma cosa c’entrano Schifani e Fini?
Berlusconi ha detto che Monti è “disperato” e sull’inutilità di governare gli italiani ha scomodato Mussolini. Se le citazioni mussoliniane di Berlusconi rientrano nelle sue imprudenze o stravaganze non so, ma gli do ragione. Monti può ostentare tutta la sua sicurezza – per la verità tanto sicuro non pare – ma sta di fatto che la sua manovra, iniqua – e lui lo sa meglio e più di altri – rischia di non risolvere i problemi dell’Italia. Forse quelli dell’Europa, dove Monti può sempre mimetizzarsi nell’operato comune. Gli auguriamo che riesca bene. Monti è probo; ma intanto, come diceva Giovenale, per quel che ci riguarda probitas laudatur et alget (l’onestà è lodata ma ti fa vivere al freddo). Brrr…

domenica 11 dicembre 2011

Che "Mari & Monti" non finiscano in atlante

C’è qualcosa di evidentemente politico nel linguaggio asettico, dal tono quasi impostato da robot, di Mario Monti; anzi, più di qualcosa. C’è la sicurezza che le sue misure avranno successo, c’è lo spirito messianico, la concezione dell’opposizione come disturbo e impedimento a ben operare. C’è un filigranato disprezzo della politica.
Ecco qualche passaggio del suo discorso, con cui ha presentato agli italiani i suoi provvedimenti.
Evasione fiscale. “Abbiamo preso misure significative contro l’evasione fiscale, voi direte è una cosa che è stata promessa tante volte in passato e che non ha avuto gli sviluppi che avrebbe dovuto: vedrete che i nostri provvedimenti sono piuttosto incisivi a questo riguardo”.
Risveglio della società e dell’economia. “Voi vedrete che sarà un passo significativo dell’Italia verso un maggiore ruolo al merito, alla concorrenza, alla lotta contro i privilegi, contro i nepotismi, contro le rendite e a favore di una maggiore concorrenza e di una maggiore apertura”.
Donne, giovani, territorio, Mezzogiorno. “Ci sono provvedimenti specifici che pur nelle ristrettezze finanziarie mirano a favorire la condizione delle donne, a favorire la condizione dei giovani, a favorire una migliore coesione territoriale e uno sviluppo del Mezzogiorno”.
Che nessuno più rida di noi italiani. Non mancano nelle sue promesse, che sono tipicamente politiche, delle battute polemiche, anch’esse tipiche della comunicazione politica. “Noi vogliamo che ci sia un’Italia che si senta orgogliosa di essere Italia, che gli italiani non si sentano derisi come qualche volta può essere accaduto in passato”. Evidente l’allusione al minuetto Sarkozy-Merkel nei confronti di Berlusconi.
Sviluppo nell’armonia. “Usciamo da una fase politica nella quale l’obiettivo sembrava quasi quotidiano, era il confronto brutale tra le opposte posizioni politiche. […] vogliamo risanare l’economia italiana, vogliamo riavere, ridare all’Italia grande peso nel concerto delle nazioni e soprattutto in Europa e vogliamo anche aiutare la politica, che rispettiamo, a recuperare con l’opinione pubblica un rapporto più disteso perché della buona politica un Paese ha bisogno”.
Pur sorvolando su qualche stonatura che ricorda certa propaganda fascista, come l’orgoglio nazionale e l’aspirazione a contare di più nel consesso delle nazioni, non sembra comunicazione da tecnico quella di Mario Monti.
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Monti ha raccontato a “Porta a Porta” di Bruno Vespa che sua madre gli disse: figlio mio, guardati dalla politica! E lui si è sempre ben guardato. Berlusconi gli aveva offerto il ministero dell’economia e addirittura la presidenza del consiglio in un governo di centrodestra. E lui, il politofobo, ha rifiutato, memore di quanto gli aveva raccomandato la mamma. Ma, come spesso accade, più si cerca di fuggire dal lupo e più si finisce per cadergli in bocca. Oggi Monti è l'uomo del più sofisticato e abile politico italiano: Giorgio Napolitano.
Ma, che concezione ha della politica Mario Monti? Non è sbagliata, è limitativa. A sentirlo sembra che per lui la politica sia il luogo in cui più che pensare ai problemi del Paese in prospettiva si pensa ai bisogni immediati dei cittadini in funzione del consenso elettorale. Domanda: “Qual è il vero costo della politica?”. Risposta: “E’ che chi governa prenda decisioni miranti più all’orizzonte breve delle prossime elezioni che all’orizzonte lungo dell’interesse del Paese, dei nostri figli, dei nostri nipoti. […] è a causa di quella politica che oggi i giovani italiani fanno così fatica a trovare lavoro, che abbiamo squilibri territoriali rilevanti tra Nord e Sud, che abbiamo un debito pubblico molto grande. […] questo è il momento in cui il capo dello Stato e il Parlamento hanno chiesto a questo governo di aiutare a, direi, salvare l’Italia e a sviluppare l’Italia”.
Dunque la politica in Italia ha fallito, la democrazia è inadeguata. L’azione del suo governo “tecnico” è salvifica. Noi – sembra dire Monti – faremo bene dove gli altri hanno fallito; ma voi non sarete in grado di verificarlo, perché gli esiti li vedranno i vostri nipoti.
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Ma è proprio così? Ribadito che noi tutti in Italia invochiamo il Dio dell’Italia a mandarcela buona, con Monti o senza Monti, appare di tutta evidenza che nell’operato del governo si preannunciano fasi diverse. La prima, la più immediata, non è di salvare l’Italia, ma l’Europa; non è di salvare il reddito degli italiani, ma l’Euro dei mercati e delle banche. Si dirà: ma salvando l’Europa e l’Euro si salveranno anche l’Italia e gli italiani. Quali italiani? I “figli dei padri malati”, per usare un’immagine dello scapigliato Emilio Praga? No, ma i nipoti, se non addirittura i pronipoti. E’ in questo, evidentemente, la forza di un governo che non si preoccupa dei problemi immediati della gente viva e presente ma di quelli della gente che verrà. Soffrite, abbiate fede e tacete! Dunque, i giovani che oggi hanno trent’anni si mettano l’anima in pace, il loro destino è quello di fare gli accattoni; non potendo lavorare non avranno nemmeno una pensione; ma, in compenso, possono gioire al pensiero che i loro figli, se avranno il coraggio di farne, godranno domani in opulenza della loro fame di oggi. Tutto questo ha dell’assurdo. E c’è da temere che prima o poi il pallone scoppierà. Da temere, s’intende, perché gli scoppi provocheranno, come sempre è accaduto, delle tragedie nazionali e sociali.
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Non si vuole ammettere che oltre agli errori politici interni del passato, quelli richiamati da Monti, ci sono anche scelte politiche esterne altrettanto sbagliate, che, però, non vengono citate come tali perché ancora si insiste su di esse. Da Maastricht in poi – per venti anni – gli Stati nazionali dell’Unione Europea hanno ceduto non poche e non irrilevanti quote di sovranità, credendo ciecamente nel progetto europeo, al punto che nessuno si è preoccupato di un’uscita di sicurezza. Ci sono Stati, come l’Inghilterra e la Danimarca, che non hanno mai voluto cedere neppure la minima quota della loro sovranità, e non sono entrati nella moneta unica. Oggi questi Stati e i loro popoli non si trovano nella condizione disastrosa in cui si trova la gran parte degli Stati della cosiddetta zona euro e di dover cedere ancora altre quote della loro sovranità. Mentre hanno continuamente inglobato Stati su Stati, oggi sono ventotto, senza alcuna selezione, infatuati dall’Europa, non hanno pensato a dotarsi di qualche meccanismo di difesa.
Non è euroscetticismo, ma pragmatismo. La moneta unica si poteva anche fare con diverse garanzie, sia interne ai vari Stati – penso al disastro provocato in Italia per i lavoratori a reddito fisso che si son visto dimezzare il reddito – che esterne, per evitare che Stati meno virtuosi o più bisognosi trascinassero gli altri nella loro condizione di crisi.
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Non si vuole ammettere che aver fatto entrare la Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio è stato un danno enorme per l’Europa. Perché la Cina riesce a produrre a costi incomparabilmente più bassi che nei paesi europei, dove i salari tengono altissimo il costo del lavoro. Oggi la Cina ha invaso di suoi prodotti l’intera Europa. Peggio messa è l’Italia, dove – come si sa – non c’è vigilanza alcuna e le aziende cinesi, potendo lavorare e produrre a condizioni di favore, hanno costretto a chiudere le aziende italiane. Basti pensare al disastro di Prato, dove un’antichissima tradizione tessile oggi non ha più un solo telaio italiano in funzione. Basti pensare che i cinesi producono quello che prima veniva prodotto dalle grandi firme, le quali oggi devono puntare tutto oltre che sull’eccellenza sulla novità e creatività. Molte aziende italiane, che lavoravano per le grandi firme, hanno chiuso, altre son dovute riparare all’estero, creando disoccupazione in Italia e gravando sugli ammortizzatori sociali, meccanismo che prende dallo Stato senza dare.
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Non si vuole ammettere che è mancata in Italia una concreta e prudente politica dei giovani e del lavoro. La scuola italiana ha prodotto laureati e diplomati senza nessun criterio. La stupida convinzione che una volta la scuola di classe garantiva titoli solo ai ricchi si è trasformata nell’altrettanto stupida convinzione che bisognava dare un titolo a tutti, a loro libero e sconsiderato piacimento. Conclusione: oggi ci sono centinaia di migliaia di professionisti senza un posto di lavoro, molti dei quali inadeguati o scarsamente preparati, e ci sono centinaia di migliaia di posti di lavoro in non pochi settori dell’artigianato senza lavoratori. Ciò che ha indotto i titolari delle aziende a fare ricorso al lavoro degli immigrati.
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Ci saremmo aspettati che Monti facesse una disamina più corretta e meno “ideologica”, che non si limitasse alla critica della politica per giustificare i suoi duri provvedimenti e farli passare come inevitabili per scongiurare la catastrofe. Anche nell’ipotizzare uno scenario del tipo greco: stipendi e pensioni non pagati, Monti ha dimostrato una certa tecnica dell’uso della propaganda politica con un valore aggiunto: quello di apparire il salvatore della patria che nessuno deve disturbare.
Le promesse di Mario Monti, nelle quali vogliamo credere, ad onta del nostro abituale scetticismo, temiamo che, basandosi su cose dette e su altre non dette, potrebbero finire come quelle del marito farfallone, che alla moglie, che gli rimproverava di averle promesso da fidanzati mari e monti, alla fine regalò un atlante geografico, dove di mari e di monti ce n’erano un’infinità, ma di…carta.

domenica 4 dicembre 2011

Il governo Monti, King George e la palude degli intellettuali

“Qui non si canta al modo delle rane” diceva in un suo poemetto il poeta Cecco d’Ascoli, astrologo, bruciato vivo come eretico nel 1327. Verso ripreso poi in esergo dalla rivista futurista “Lacerba” di Giovanni Papini e Ardengo Soffici. Ma da quale necessità i futuristi Papini e Soffici traevano l’opportunità di precisare che la loro voce era fuori dalla palude? Beh, erano in polemica con la “Voce”. Al di là delle specifiche motivazioni primonovecentesche – allora se le davano di santa ragione in ogni senso – emerge un dato generale e diffuso: in Italia la condizione normale è la palude e chi vuole differenziarsene lo deve dire e fare ad alta voce, fuori dal gracidio.
Dico questo perché da quando è nato il governo Monti si è rinnovato un fenomeno straordinario: chi prima urlava a squarciagola in difesa della Costituzione e contro i suoi nemici, che erano berlusconiani e berluscones, ora o tace o si è opacizzato. Non so che cosa pensi di questo governo Giovanni Sartori, per esempio. Galli della Loggia scantona su tematiche più ampie. Panebianco è sfumato. Sabbatucci è comprensivo. Sergio Romano spiega e spiega, ma senza dire “la parola che mondi possa aprire”. Ostellino osa un po’ di più, ma anche lui preferisce morsicarsi le labbra piuttosto che dire apertis verbis quello che pensa. Insomma, intellettuali e giornalisti, studiosi e politologi, si sono bulgarizzati. O tacciono o fanno finta di non dire. Si può essere d’accordo fino ad un certo punto, dato che la situazione è grave, anzi gravissima. Ma qui torna a riproporsi la questione del ruolo degli intellettuali.
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Quanto è accaduto in Italia con la nascita del governo Monti è assai più grave, in termini politici, dei pur gravi fatti pregressi di questa nostra democrazia. Faccio alcuni esempi, per capirci: il rapimento e l’assassinio di Moro, la condanna per mafia di Andreotti, la fuga e la latitanza di Craxi, le “stravaganze” di Berlusconi. Aggiungerei perfino l’invasione del campo politico da parte di molti magistrati, i quali non hanno ancora capito l’ésprit des lois del Montesquieu. Che sosteneva che i tre poteri, legislativo-esecutivo-giudiziario, spettavano a tre soggetti diversi non già perché uno solo non fosse in grado di reggerli tutti – secoli di monarchia assoluta avevano dimostrato il contrario – ma perché uno Stato di Diritto si basa su precise garanzie di separazione dei poteri. In Italia ci sono magistrati che pretendono non solo di interpretare ad arbitrio le leggi ma addirittura di fare le riforme che riguardano la giustizia, che è come dire che un potere dello Stato, il giudiziario, pretende di sovrapporsi agli altri due, legislativo ed esecutivo. Nessuno si è scandalizzato finora per questo o ha alzato la voce, tranne i diretti interessati o piuttosto colpiti dalle prepotenze giudiziarie. Come nessuno ha alzato la voce contro Gianfranco Fini che ha fatto strame della terza carica dello Stato. La verità è che in Italia nessuno ha un minimo di compostezza etica, dal bambino che calpesta le aiuole al manager che corrompe i politici per ottenere favori e compiere affari. E’ così diffuso il cialtronismo che la magistratura trova corruttori e corrotti come l’ittica attinge spigole coltivate nelle vasche e nei bacini di produzione. La democrazia in Italia produce malaffare.
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Il New York Times ha intitolato il nostro Presidente della Repubblica “King George”, riempiendolo di lodi per come è riuscito a mettere da parte un governo di politici e fatto nascere un governo di tecnici. Bene, ci uniamo agli americani nel fare le lodi Napolitano. Ma corre l’obbligo di dire, come pure ha fatto Giovanni Sabbatucci sul “Messaggero” di venerdì, 2 dicembre 2011, che il governo Monti “Non nasce da un accordo politico tra i partiti, ovvero da un patto di «grande coalizione» alla tedesca; e nemmeno da un dichiarato «stato di eccezione» che consenta un temporaneo trasferimento delle prerogative delle Camere nelle mani del capo dello Stato (la soluzione di riserva più volte sperimentata nella Repubblica di Weimar, ma non prevista dalla nostra Costituzione). C’è solo una tregua non scritta, e quindi per definizione fragile, tra le forze politiche maggiori, con l’alto (e informale) patronato del presidente della Repubblica”.
Tregua? Ecco un modo tutto untuoso di dire le cose, tipico degli intellettuali italiani, che cantano al modo delle rane. Si tratta, a seconda di dove la si guarda, o di una resa dei partiti maggiori e dunque della politica, o di un autentico colpo di Stato istituzionale. L’una o l’altra cosa in sostanza fanno emergere la sconfitta della politica, ovvero della democrazia. Poi ad ognuno dei protagonisti la cosa può essere piaciuta o convenuta, per i motivi più vari, ma la realtà non cambia.
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Perché resa o colpo di Stato? Mettiamoci dalla parte della politica. Se ci fosse stata una classe politica seria e forte, responsabile e con amor di patria, pur nelle difficoltà straordinarie del momento, avrebbe fatto le cose che vorrebbe fare il governo tecnico. Invece, la maggioranza non se l’è sentita di adottare provvedimenti impopolari e ha ritenuto conveniente abdicare. L’opposizione, invece di fare la guerra selvaggia alla maggioranza, avrebbe potuto trovare una tregua – quella sì che sarebbe stata tregua politica – e collaborare per far uscire il Paese dal rischio fallimento. Né maggioranza né opposizione hanno saputo sfruttare le opportunità proprie della democrazia. Ora, mettiamoci dalla parte del Presidente della Repubblica. Lo sentiamo ogni giorno fare appello alla Costituzione. Perché allora non si è attenuto alla Costituzione, non ha sciolto le Camere e indetto nuove elezioni? La soluzione di Monti, nominato ad hoc senatore a vita, è più da king, come dicono gli americani, che da president. La sua soluzione – lo ha detto anche il morbido Sabbatucci - “non è prevista dalla Costituzione”. Poi, siamo d’accordo nel dire anche noi – e lo diciamo davvero – viva Napolitano!
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Ovviamente sappiamo perché Napolitano ha operato come ha operato. La barca non deve affondare e in casi di emergenza non si va per il sottile. Il caso Napolitano, in verità, richiama il comportamento del politico. Questi è tanto più autorevole quanto più opera fuori secondo le regole, secondo galateo, e dentro secondo necessità. Ciò che non ha mai voluto capire Berlusconi, che neppure sa che in politica c’è un fuori e un dentro e che il comportamento esterno, quando è corretto, rende dignitoso qualunque comportamento interno, anche il più scorretto e spregiudicato e fa apparire altamente costituzionale perfino un atto che non è previsto dalla Costituzione. In politica la maschera fa il volto.

lunedì 28 novembre 2011

Monti è lento e imbarazzante. La Merkel s'impressiona

Parafrasando il grande Eugenio Montale oggi, con la situazione che si è determinata, possiamo dire solo dove non andiamo, dove non vogliamo andare. Non tanto perché qualcuno ci impedisce di esprimerci in maniera positiva, ma perché i dubbi sono tutti dentro di noi. Né ci sono politici o tecnici che tengano. Siamo allo sbando totale.
Chi ha assistito al famoso incontro a tre a Strasburgo, giovedì, 24 novembre, tra Sarkozy, Merkel e Monti, non ha potuto fare a meno di rilevare la strana atmosfera che regnava quando parlava Monti. Sembrava un professore alle prime armi e due studenti perplessi e preoccupati di non capirlo.
La diplomazia – si sa – è l’arte di non dire mai quel che si pensa, ma solo quel che conviene. La Merkel ha trovato “impressionanti” le misure che Monti vuole adottare per l’Italia. Non so quale parola tedesca o inglese la Merkel abbia usato, ma in italiano impressionanti oscilla su significati diversi. Può aver voluto dire di non aver capito bene quel che Monti diceva, per cui più che essere d’accordo o convinta era impressionata. Può aver voluto dire che le misure di Monti sono incredibili, geniali, miracolose, portentose. Nel dubbio il Pdl ha chiesto che quelle misure Monti meglio avrebbe fatto a comunicarle prima al Parlamento; e che comunque farebbe bene a comunicarle al più presto. Se sono impressionanti, come dice la Merkel, è bene che vengano chiarite. Impressionanti può voler dire anche spaventose.
Si è parlato di irritazione francese per il rifiuto della Merkel di far acquistare dalla Banca Centrale Europea i titoli di Stato dei paesi in difficoltà. Monti si è schierato con la Merkel, perché sarebbe sbagliato andare a premiare proprio quei paesi meno virtuosi e perciò bisognosi d’aiuto. Meglio lasciare che la Bce decida autonomamente.
Monti, più che essere pago di essere stato ammesso al “direttorio”, si è detto del parere che tutti i membri dell’Unione devono avere pari trattamento. Ci vorrebbe un direttorio-assemblea. Molto bello, ma onestamente è poco praticabile quando nel consesso ci sono membri, membrini e membracci, ovvero straricchi, ricchi e squattrinati.
In Italia, i partiti dell’ex opposizione e la loro stampa sono come estasiati dal vedere anche il nostro Presidente del Consiglio stare tra quelli che contano; con ciò confermando come ormai l’Italia è una provincia periferica del nuovo sacro romano impero della nazione germanica. Hanno smesso di sentirsi offesi dai commissariamenti europei in epoca berlusconiana, dalla riduzione o perdita di sovranità; si sentono in stato euforico quando possono dire che Obama ci dà fiducia e che Sarkozy e la Merkel elogiano il nostro Monti. Quando aggiungeranno che tutto il mondo ce l’invidia?
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Intanto le borse continuano a precipitare e il famoso spread a salire. Non era colpa di Berlusconi! Solo degli ostinati nemici personali potevano pensarlo. Probabilmente anche i leader internazionali si erano stancati di questo nostro Presidente del Consiglio che ne aveva commesse di tutti i colori, che è irriverente, che straparla senza nessun rispetto degli altri; e perciò glielo hanno fatto pagare. Berlusconi era amico sincero di Gheddafi e di Putin. Invece, doveva solo far finta, come fanno gli altri. Ma, a ben riflettere, dalla situazione Berlusconi potrebbe trarre qualche vantaggio.
Acclarato che la causa del disastro finanziario cosmico non è sua e nemmeno del disastro nazionale, è stato un bene per lui essere messo da parte. Bossi, col suo solito modo tranciante di dire le cose, lo ha accusato di aver lasciato perché ricattato per le sue aziende. C’è del vero in quello che dice il Senatùr, ma non basta a spiegare le dimissioni del Cavaliere. Che poteva fare ormai se ogni giorno era uno stillicidio, un abbandono, una minaccia sibillina, un prendere le distanze, un consiglio, un avvertimento? Il centrodestra non è stato in grado di affrontare la situazione, anche perché in una condizione di assedio esterno, nazionale ed internazionale, giudiziario, politico, mediatico, e di disgregazione interna. Berlusconi ha dovuto lasciare, come ha dovuto lasciare la politica, come è stata sospesa la democrazia. Ci sarà da divertirsi quando i grand’uomini come Scaiola o Pisanu resteranno a casa, a scrivere le memorie.
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A sentirli i nostri leader c’è da invocare Beppe Grillo e Maurizio Crozza in tandem governativo. Fini dice che questo governo è politico, altro che tecnico. Bersani dice che il Pd non è più all’opposizione, ma in maggioranza. Non so se ha qualche ragione, sta di fatto che quel Monti, pure nominato commissario europeo dal primo governo Berlusconi, non ha mai voluto entrare o collaborare coi governi di centrodestra. Una ragione ci sarà.
Pdl, Pd e Udc s’incontrano a Palazzo Giustiniani – sede della massoneria oltre che al momento di Monti – per parlare di sottosegretari e negano di averlo fatto. Di Pietro dice che il suo partito non è interessato a spartizioni. Bossi dice che il governo fa schifo. Enrico Letta del Pd accetta a scatola chiusa i sottosegretari che vorrà Monti, come se fossero caramelle Sperlari. Insomma ognuno parla a ruota libera. Di questo passo come si può dire dove si va, dove si vuole andare? Non vorremmo andare verso il disastro di vederci decurtare i quattro soldi che prendiamo di stipendio o di pensione mentre il costo della vita aumenta vertiginosamente. Non vorremmo andare verso una situazione nella quale ci trovassimo senza sapere per colpa di chi. I tecnici, in Italia, sono come i chirurghi: se il povero disgraziato paziente muore sotto i ferri, loro non hanno colpa. I politici almeno non vengono ri-votati.
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La situazione è sconcertante ma non nuova. La commedia degli equivoci è in pieno svolgimento. Fino a qualche giorno fa, prima che il Parlamento desse la fiducia bulgara a Monti, tutti parlavano di governo tecnico, di impegno nazionale; si sottolineava la necessità che la politica facesse un passo indietro. Di colpo erano diventati tutti buonisti. Casini ripeteva come la canzone: chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato, scordiamoci il passato…con quel che segue. Oggi l’intero schieramento delle ex opposizioni – Pd, Udc, Fli, Idv – sostiene che il governo è politico, che non può essere che politico, perché fa politica. Che scoperta! Bersani vuol far passare l’idea che questo governo è di centrosinistra. La Lega, che è all’opposizione, l’unico partito ad aver scelto l’opposizione, spara a zero sul governo. E dall’altra parte che succede? Che accusano la Lega di remare contro l’Italia, di tradire il proprio paese. Ma per tutte le durate dei governi di centrodestra, che hanno fatto le opposizioni di centrosinistra? Hanno sparato a zero su Berlusconi, incuranti che colpendo Berlusconi colpivano l’Italia. Non hanno remato contro Bersani, Di Pietro, Casini e Fini? Incomincia a farsi strada l’idea che tutta questa caterva di irresponsabili commedianti andrebbe messa in quiescenza, a prescindere dall’età e dalla contribuzione. Meglio un danno oggi che il disastro domani, meglio che gli incapaci vadano in pensione che lasciarli in servizio.
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Monti ha promesso che il 5 dicembre vuoterà il sacco, dirà quali sono i sacrifici che ha promesso al popolo italiano. Lo attendono di sapere tutti: le banche, i mercati, gli euroalleati, gli italiani. Qualcosa l’ha lasciata intuire. Sarà reintrodotta l’Ici su nuove basi catastali. Forse ci sarà la patrimoniale, ma non si sa a quale soglia di livello. Una cosa è certa: sarà amara per tutti e specialmente per i più deboli. Un’altra cosa resta incerta: che fine farà l’Europa se veramente l’Euro dovesse collassare? Qua e là ho qualche mille lire a far da segnalibro.

domenica 20 novembre 2011

Monti: il governo di Dio

Ha avuto pazienza il Presidente Napolitano, alla fine è riuscito. Il cardinal Bagnasco la pazienza, invece, l’aveva persa; ma è riuscito pure lui nell’intento. Della serie: le vie del Signore sono infinite. Berlusconi, lo scostumato, lo sporcaccione, si è dimesso. Al suo posto il preannunciato Mario Monti, appena nominato senatore a vita, l’educatino, tutto mordi e tieni, che piace all’Europa.
Le sinistre hanno gioito. Pensano di aver vinto. E, in effetti, se il loro obiettivo era di far cadere il governo Berlusconi, sono riuscite. Con quali prospettive? Sono convinte che Monti farà lo stesso percorso di Ciampi. Marius totus noster est.
La democrazia è stata sospesa. Il processo politico, che stava portando il Paese verso il bipolarismo e il federalismo, pure. Chi dice che da questo momento nulla è come prima, iattanza a parte, ha ragione. Lo scenario politico è in movimento, tutto si disgrega e tutto si riaggrega, in maniera caotica, come le particelle lucreziane, dando vita a non si sa quanto durevoli soggetti politici.
In tutto questo i cittadini, piccoli elettori, non c’entrano; sono sudditi che seguono i loro grandi elettori. Per farsi un’idea di come le formazioni politiche cambiano senza nessuna partecipazione popolare si consideri che solo qualche anno fa Berlusconi aveva da un lato Casini e dall’altro Fini, e un po’ più a lato Bossi. Poi Berlusconi rimase solo con Fini e Bossi. Quindi solo con Bossi. Alla fine solo, alla ricerca di recuperare il possibile. S’è formato il cosiddetto Terzo Polo, con Casini, Fini e Rutelli; questo appena qualche anno fa stava col Pd. Si spera che dopo gli scannamenti di un anno fa Berlusconi si riappacifichi con Fini e magari anche con Casini e Rutelli. Ma che bella famiglia! Se La Russa e Matteoli non vogliono essere tagliati fuori devono rinnovare gli omaggi feudali all’inviso Fini. E gli elettori di centrodestra che fanno, con chi stanno, di chi si devono fidare, devono pure loro far pace coi casinisti, i finisti, i rutellisti? La politica si è feudalizzata, l’appartenenza si lega al feudatario non ad un partito, non ad una ideologia, non ad una visione della vita, non ad una scelta sociale. Ancora una volta la formazione più seria e credibile, ancorché inaccettabile per le pretese secessionistiche, è la Lega.
Il tradimento della politica ha sconvolto il sistema della rappresentanza ma anche della partecipazione. Il tradimento diffuso e generalizzato continua. Restano le promesse non mantenute, le posizioni abbandonate; in un campo, nell’altro e nell’altro ancora.
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Ma Berlusconi non diceva che l’alternativa al suo governo erano le elezioni? L’ha detto tante volte che, questa volta, non ha potuto smentirlo. E, allora, perché si è convinto a cedere; a rischio anche di vedere il suo schieramento scoppiare come una pentola a pressione senza sfiato? Semplice: perché l’economia italiana rischiava grosso. Mediaset, in un giorno, aveva perso in borsa il 12 %. Berlusconi, da uomo d’affari, anche spregiudicato, è uno che comanda al cuore; ma non alla tasca. Pier Silvio, il figlio, che parla per Mediaset, ha detto al “Corriere della Sera” del 19 novembre che il governo Monti è una “boccata d’ossigeno”. E volete che proprio il padre suo, che è nei cieli dell’azienda, gli impedisse di respirare?
Ora Berlusconi fa finta di minacciare: stacco la spina, Monti dura quanto voglio io e cazzate di questo genere, smentibili e smentite un minuto dopo averle dette. Bossi, in certe cose, riesce meglio di lui. La verità è che gli affari di Berlusconi e le nostalgie dei suoi avversari hanno affossato la democrazia; hanno riportato il Paese ai tempi dei governi balneari, quando le varie correnti della Democrazia Cristiana decidevano una tregua in famiglia e affidavano il governo d’Italia all’eunuco (politicamente, s’intende) di turno. Con la differenza che allora, in regime di proporzionale, era tutto normale. Con l’introduzione del maggioritario, anche se la Costituzione è rimasta immutata, le cose stanno diversamente. Se Berlusconi non fosse il signor “conflitto d’interessi” non si sarebbe mosso di una spanna dal voto anticipato.
Intendiamoci, il governo Berlusconi i problemi li ha avuti al suo interno, oltre a quelli esterni. In un’intervista alla “Gazzetta del Mezzogiorno” (19 novembre) Alfredo Mantovano, pur escludendo complotti europei, si è detto del parere che contro l’Italia e Berlusconi ci sono state congiunture politiche non proprio involontarie; ed ha ammesso che c’è stato all’interno dello schieramento un problema Tremonti. Raffaele Fitto, il giorno prima, aveva detto più o meno le stesse cose. Tremonti è della stessa pasta di Monti, evidentemente.
In buona sostanza il PdL, pur fra tanti contorcimenti, si è adeguato alla linea Alfano-Berlusconi, riconoscendo torti pregressi e nuove necessità. Tranne la Mussolini, la “faiassa”, che non ha sopportato i compiacimenti di Di Pietro, di Bersani, di Casini, di Rutelli e i sorrisini beffardi di Fini, ed ha votato contro. Altro dissidente (2 in tutto, dico due per esteso) è stato Scilipoti, il quale è sceso in campo col lutto al braccio. Va finire che lo strepitoso (da strepito) Scilipoti diventerà il simbolo dell’intera legislatura.
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Ma Mario Monti non aveva detto che due provvedimenti urgenti da fare erano la patrimoniale (indigesta alla destra) e la riforma delle pensioni (indigesta alla sinistra?). Lo ha detto, testimone Lilly Gruber ad un “Otto e mezzo” sulla Sette di qualche sera prima che venisse chiamato a formare il nuovo governo. Ora pare che non farà né una cosa né l’altra. No alla patrimoniale, sì alla reintroduzione dell’Ici.
E Berlusconi non aveva escluso la reintroduzione dell’Ici? Ora pare che è favorevole. Valli a capire questi tecnici che fanno i politici e questi politici che fanno i tecnici…dei cazzi propri. Va a finire che Monti farà pure un bel condono edilizio ed un bel condono fiscale nel tripudio di Bersani e compagni; e per sovrappiù – quando è festa è festa! – farà pure un bell’indulto e alleggerirà le carceri, nel tripudio, questa volta, di Pannella.
A sinistra gioiscono perché lo spread, da quando c’è Monti, è diminuito. Per la verità ce lo devono dire, perché, a seguirne l’andamento, resta un su e giù di poco. Ma se pure fosse vero, come interpretare il fenomeno, dato che ancora Monti non ha preso nessun provvedimento? Effetto placebo. L’acqua fresca, se uno l’assume convinto di assumere un potente farmaco, può fare lo stesso effetto del farmaco. Sì, ma se il malato è suggestionabile!
Vero è che Monti non può fare miracoli. O almeno, non più di uno. E quello lo ha già fatto, mandando a casa Berlusconi. Diciamo la verità; tutto questo casino lo si è fatto per far fuori Berlusconi.
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Viene il sospetto a leggere i nomi e i curricula dei nuovi ministri che il governo Monti sia stato formato di comune accordo tra Napolitano, che di burocratismo comunista se ne intende, e il cardinal Bagnasco, quello dell’aria pulita. Viene il sospetto che questo governo sia uscito dal Convegno di Todi, all'insegna di un rinnovato Deo lo vult.

domenica 13 novembre 2011

Oppositori di Berlusconi: traditori o mosche cocchiere?

In un “Porta a Porta” di qualche anno fa, subito dopo le elezioni vinte da Berlusconi, credo nel 2001, il comunista Oliviero Diliberto, ministro della giustizia nel precedente governo di centrosinistra, disse che compito dell’opposizione era di far cadere il governo. A distanza di qualche anno, dico l’altro giorno, subito dopo le annunciate dimissioni di Berlusconi, il comunista Massimo D’Alema ha ripetuto pari pari la teoria dilibertiana. Rivoltosi alla maggioranza di centrodestra ha detto: “Cerchiamo di mandarvi a casa, è il compito naturale di un’opposizione” (Corriere della Sera del 9 novembre).
Primo, non ritengo un’offesa dare del comunista a qualcuno; secondo, i comunisti, in Italia, sono tra i politici più coerenti. Va dato loro atto. Personalmente non li amo, ma li stimo.
Tanto premesso, mi chiedo: è proprio democratico ritenere che il compito naturale di un’opposizione è di far cadere il governo e mandare a casa la maggioranza? Confesso di non capire molto di democraterie e dunque quanto prima chiederò al mio amico On. Giacinto Urso, democristiano, per sessant’anni a diversi livelli politici e amministrativi, se sia proprio questo il compito di un’opposizione democratica. Io arrischio, da incompetente di democrazia quale sono, una mia opinione. Compito di chi sta in maggioranza o all’opposizione è di operare per il bene del paese. Se pure è legittimo che ognuno cerchi anche – dico anche – di operare per il bene della propria parte politica, dovrebbe trovare un limite naturale nel non far danno al paese. Di più: riconosco che chi è all’opposizione, per il ruolo piuttosto scomodo e, per un malinteso senso della politica, penalizzante, possa spingersi oltre, rasentare la soglia del danno pubblico, ma mai varcarla. Arrecare danni al proprio paese non è ammissibile, neppure al più limpido dei democratici.
Chi fa di tutto, anche di bruciare il paese, pur di far cadere il governo, come dice Diliberto, o di mandare a casa la maggioranza, come dice D’Alema, allora non fa l’interesse del paese, ma della propria parte. Sarò fascista, ma io stabilirei precisi confini, oltre i quali sarebbe tradimento, con quel che ne seguirebbe.

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Da tre anni e mezzo circa le opposizioni non hanno fatto altro che dire che Berlusconi non faceva niente, a parte le leggi ad personam; che stava portando il paese al baratro; che doveva fare un passo indietro; che non era degno di fare il Presidente del Consiglio; che i suoi comportamenti erano incostituzionali; che un Presidente del Consiglio non poteva essere il più indagato del suo paese; che per colpa sua tutto il mondo ci rideva dietro; che l’aggravarsi della crisi economica era colpa sua perché i mercati non credevano nelle possibilità dell’Italia di riprendersi; che solo con la sua uscita di scena il paese avrebbe riacquistato fiducia e credibilità. Siamo stati anche noi fieri e duri critici di taluni comportamenti di Berlusconi, separando, però, il grano politico delle riforme, fatte o solo tentate, dal loglio dei comportamenti indecenti ancorché privati.
Ora l’opposizione è riuscita nel suo “compito naturale” e ha fatto cadere il governo, non con un voto di sfiducia parlamentare ma tramando coi poteri politici, economici e finanziari dell’Europa, mostrando il nostro paese come la sentina di tutti i mali, arrivando a dire ai nostri amici-hostes europei che Berlusconi non era credibile con le sue manovre economico-finanziarie. Un po’ come faceva il comico napoletano Massimo Troisi in una esilarante scenetta della “smorfia”, in cui un povero disgraziato chiedeva grazie a San Gennaro mentre chi gli stava accanto suggeriva al Santo di non dargli retta, perché quello era un ubriacone e sfaccendato.
Bene, sia come sia, Berlusconi si è dimesso. Chi scrive si riconosce politicamente, sia pure solo in parte, nella maggioranza di centrodestra, ma spera che ora tutto si risolva per il meglio e se potesse fare qualcosa lo farebbe per il bene del paese, perfino se governato da Diliberto e D’Alema. Se la casa brucia, occorre spegnere l’incendio; c’è sempre tempo per colpire chi l’ha appiccato. Forse questo diverso rapporto col proprio paese è un discrimine tra chi è di destra e chi di sinistra, non so se contemplato qualche anno fa da Norberto Bobbio o da altri che si appassionarono all’argomento.
Finora quel che si vede è solo una grande confusione, coi diversi protagonisti che danno calci come “cavalli malecarni”. Perfino il Presidente della Repubblica Napolitano è entrato a gamba tesa e, prima ancora che Berlusconi formalizzasse le dimissioni, ha nominato senatore a vita Mario Monti; e ha fatto capire, prima ancora delle liturgiche consultazioni, di volergli affidare anche il compito di formare il nuovo governo. Della serie “rispetto della Costituzione”, di cui in questi anni si è fatto uso e abuso!

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Molti si chiedono che cosa sia lo “spread”. Il significato del termine è diventato più introvabile della figurina del “feroce saladino” dei nostri nonni e bisnonni. A me, che pure non sono un esperto, sembra di aver capito che è la differenza tra il tasso d’interesse dei titoli di stato dell’Italia e quelli della Germania, posti, questi ultimi, come riferimento di valore. Che significa in parole povere? Che date due botteghe, l’Italia e la Germania, l’Italia, non godendo della fiducia dei mercati, è costretta a vendere la sua merce, che è la stessa della bottega tedesca, a condizioni più vantaggiose per il cliente speculatore e più svantaggiose per sé; ossia, se la bottega italiana vende pane deve dare un chilo e mezzo mentre la bottega tedesca ne dà un chilo. Fuori dalla metafora della bottega e del pane, l’Italia vende i suoi titoli ad un tasso di interesse maggiore di quelli della Germania, indebitandosi di conseguenza sempre di più. Postilla chiarificatrice: se il tasso d’interesse dei titoli tedeschi è del 2 % (per ogni cento euro di titoli te ne restituisco centoventi), quello dei titoli italiani, per incontrare compratori, deve essere del 3, 4, 5, 6, 7 % (per ogni cento euro te ne restituisco centotrenta…quaranta…cinquanta…), secondo l’andamento del mercato, che è influenzato da una serie di fattori, non esclusi quelli della crisi politica interna del paese Italia.
Se le cose stanno così, gran parte della colpa per l’aggravarsi della crisi economico-finanziaria dell’Italia è delle opposizioni, il cui “compito naturale”, secondo la dottrina Diliberto-D’Alema, è di bruciare la casa pur di far uscire l’inquilino.
Il governo in Italia è caduto per volere degli apparati economico-finanziari dell’Europa, governati dal duo Francia-Germania, a cui gli italiani delle opposizioni politiche hanno dato una mano. Decidano loro se sono stati decisivi. Se lo sono stati, sono dei traditori. Se non lo sono stati, sono delle mosche cocchiere. Per me, la prima che ho detto.

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La canea offerta ieri sera, 12 novembre, nei pressi di Palazzo Grazioli, poi del Quirinale e infine di Palazzo Chigi, da parte di una folla urlante contro Berlusconi, che andava a formalizzare le dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica, spontanea o orchestrata che fosse, non è stata soltanto vergognosa, ma assai preoccupante. Epifanizza ancora una volta il modo di essere degli italiani, cialtroni e vigliacchi. Alcuni comportamenti ed alcune infelici espressioni pubbliche di Berlusconi probabilmente la legittimano pure, ma ancor più la legittimano espressioni come quelle di chi, come Bersani, ha parlato del 12 novembre 2011 come del giorno della Liberazione. L’avesse detto Di Pietro, che non brilla certo di conoscenze lessicali e di competenze linguistiche, si potrebbe anche passarci sopra; ma l’ha detto uno che se pure non sa da dove deriva “canea” sa che esiste un dizionario della lingua. Il De Mauro – cito uno che è politicamente vicino al Bersani – dice: “fig., moltitudine di persone schiamazzanti; lo schiamazzo stesso, cagnara; estens., il clamore di critiche aspre e malevole; la canea dei critici e dei giornalisti”. Sarà per questo che amo di più i gatti.

domenica 6 novembre 2011

Alcune cosette su Berlusconi e gli italiani

Prima: gestire la fine. Altre volte Berlusconi ha dato l’impressione di essere finito; poi si è rialzato alla grande, raggiungendo livelli di consenso incredibili. Pensiamo a quelli della seconda metà del 2008, quando lui stesso disse che lo imbarazzavano. Ma, oggi, a differenza delle precedenti volte, c’è un dato che lo inchioda veramente alla fine: il contesto. Mentre in precedenti situazioni la crisi era nella sua leadership, contestata, a livello nazionale, da un avversario che lo avrebbe battuto, sia pure di misura, due volte, Romano Prodi, oggi non è solo la sua leadership in crisi, interna al suo stesso schieramento e nel Paese, ma è in crisi il Paese nel quadro di un’altra crisi, assai più vasta, che è quella europea e mondiale. Per lui non c’è possibilità alcuna. Concordo col direttore del “Corriere della Sera” Ferruccio De Bortoli che la storia nei confronti di Berlusconi sarà meno ingenerosa della cronaca e sono perfino convinto che non tutto il male di cui soffre oggi il Paese sia da attribuire a lui; ma quando è necessario uscire di scena, anche se può esserlo definitivamente, di una sola cosa occorre preoccuparsi: gestire l’uscita per limitare i danni e per non perdere del tutto la dignità che la carica istituzionale ricoperta ti ha conferito. Se Berlusconi non lo ha capito, non gli torna d’onore.

Seconda: perdita di credibilità dell’Italia. E’ vero, l’Italia oggi è da ridere. Che lo abbia fatto il galletto francese Sarkozy è la prova provata. Un gesto irriguardoso trova sempre uno a compierlo, specialmente quando nasce da percezione condivisa. Ma chi ha reso ridicola l’Italia? Berlusconi, va bene; soprattutto coi suoi comportamenti, non solo privati, ma anche pubblici: dichiarazioni inopportune, a volte volgari; barzellette sguaiate; atteggiamenti goliardici; bugie vergognose e lesive delle istituzioni. Un insieme di comportamenti del tutto inopportuni per un Capo di Governo, che, lo sappia o non lo sappia, lo voglia o non lo voglia, rappresenta tutto un Paese anche quando è chiuso nel suo bagno. Ma non sono meno responsabili almeno altri quattro soggetti. Primo, la magistratura, che da vent’anni lo aggredisce con inchieste strumentali, fatte col solo fine di tenerlo in assedio e di sputtanarlo al cospetto del mondo, senza riuscire mai a condannarlo. Secondo, la stampa, che massicciamente, a parte quella berlusconiana, lo ha tenuto sotto pressione, delegittimandolo sistematicamente ed esponendolo al ludibrio nazionale ed internazionale. Altro che “metodo Boffo”; qui siamo in presenza di un’autentica crociata. Terzo, il mondo dello spettacolo, cinema teatro satira, che in genere riesce ad arrivare, attraverso quella che George Mosse chiama l’estetica della politica, opere che pensate per divertire lo spettatore veicolano meglio di altre messaggi politici penetranti, diffusivi e devastanti, al pubblico più vasto, così bombardato quotidianamente e ridotto ad una folla di replicanti con un’unica scheda in testa: liberarsi di Berlusconi a qualunque costo. Quarto, ultimo ma non ultimo, l’opposizione, la quale, nella più “bella” tradizione della sinistra italiana non esita a bruciare il Paese pur di colpire il nemico politico. Ha insistito col mantra del passo indietro per il bene del Paese; ma lei non ne ha fatto uno nemmeno a lato.

Terza: gli italiani sono razzisti di sé stessi. Berlusconi è il quarto Presidente del Consiglio italiano che finisce miseramente, in maniera incredibile in un Paese che si dice democratico e che pronuncia più la parola costituzione del vangelo. Dal 1978 ad oggi altri tre Presidenti del Consiglio sono finiti in un modo che dovrebbe far riflettere: Aldo Moro, trucidato dalle Brigate Rosse in circostanze mai del tutto chiarite; Bettino Craxi, morto nel gennaio del 2000 ad Hammamet in Tunisia, dopo sei anni di latitanza; Giulio Andreotti, condannato per mafia e salvato, non si sa quanto per “combine” politico-giudiziaria, dalla prescrizione. Ai tanti indignati per Berlusconi sembra cosa da niente questa? Sembra loro che quattro uomini politici del calibro dei su citati siano soltanto quattro casi singoli che nulla hanno a che fare col modo di essere del popolo italiano? Della sua democrazia? Che non abbiano influito per niente sulla perdita di credibilità internazionale dell’Italia? E’ vero, l’Italia è da ridere; ma è altrettanto vero che quando qualche politico italiano cerca di dimostrare il contrario, cerca di accreditare un’altra immagine, allora si scatena la solita sterminata canea degli aficionados dei Veltroni, dei Prodi, dei chierichetti della democrazia e della costituzione che nutrono per gli italiani, probabilmente senza saperlo, il più feroce e insieme nascosto razzismo. Sicché viva sempre ciò che fanno gli americani, i francesi, gli inglesi, gli altri insomma; ma se le stesse cose le fanno gli italiani, allora giù scherni, sberleffi e risate. Forza, indignati, il brodo è servito. Calatevi dentro, con tutti i vostri Grilli e Guzzanti!

Quarta: antiberlusconismo dello stomaco. C’è un dato dell’antiberlusconismo sul quale vale la pena di soffermarsi, ed è quello non specificamente riconducibile al cuore, ma allo stomaco. Non occorre avere molta perspicacia per accorgersi che gli alfieri e le masse dell’antiberlusconismo hanno trovato in questi anni una stessa sintonia, come forse mai prima. Capi, gregari e truppa hanno trovato nello stomaco il nutrimento del cuore. Ancor più dei comunisti, variamente denominati nelle loro sigle, tutti meritevoli di autentico rispetto, perché coerenti – gli unici in Italia insieme ai radicali! – i più esagitati contro Berlusconi e berlusconiani sono stati gli ex democristiani, che per cinquant’anni hanno mangiato saccheggiando le finanze dello Stato. In genere impiegati pubblici, che il posto di lavoro lo hanno ottenuto grazie alla loro militanza politica, alla loro appartenenza famigliare, alla loro amicizia con chi per arte sottile ha imparato a commettere ogni sorta di illegalità senza mai lasciare traccia di nulla. Falsi invalidi, pensionati grazie alla raccomandazione di questo o quel sottosegretario. Falsi braccianti agricoli, che, con la complicità dei sindacati, percepivano indebitamente benefici di disoccupazione, di assistenza e di contributi per la pensione. Ladri e ladroni super specializzati a forzare qualsiasi piccola o grande cassaforte lavorativa e impiegatizia pubblica. Ci sono interi apparati comunali, provinciali e regionali in ogni parte del Mezzogiorno d’Italia che appartengono quasi per intero alla stessa clientela politica. Questa gente, con l’avvento di Berlusconi, non ha fatto la fame, perché già era nella cambusa da qualche anno, ma ha avvertito il pericolo dell’interruzione di un flusso che sembrava non dovesse finire mai. In questi anni si sono preoccupati dei figli e dei nipoti. Si può dire tutto il male che si vuole dell’era Berlusconi, ma non si può dire che tramite l’onorevole Tizio o il senatore Caio si era ottenuto o si poteva ottenere un impiego, si poteva vincere un concorso. Forse non è stato tutto merito del berlusconismo, probabilmente i tempi erano mutati, i partiti-agenzie d’impiego non c’erano più; i rapporti eletti-elettori si erano sfilacciati se non proprio interrotti, ma è un dato di fatto che l’era del collocamento per appartenenza politica era finita o comunque non era più un fenomeno. Il debito pubblico italiano, oggi del 120 % del Pil, affonda le sue radici nei radiosi anni del saccheggio democristiano e socialista. Forse questi “volontari della corte” dell’antiberlusconismo sperano di tornare a strafogare a sbafo. Forse, perché la mente e il cuore possono aver perso la memoria, ma lo stomaco no.

Quinta: si recuperi un minimo di cordialità! La fine di Berlusconi in assoluto non è un danno e non è un bene per l’Italia. Punti di vista, naturalmente. Chi si pone il problema del dopo ha ragione di avere qualche preoccupazione. Ma c’è oggi più della metà degli italiani che non pensano a niente, pensano solo alla fine di Berlusconi. Non vogliono neppure pensare a quel che accadrà dopo la sua uscita di scena, e non perché ritengano che qualsiasi cosa sia migliore, ma perché nella loro “memoria” intellettiva non c’è posto per altro. La gran parte di essi ha vissuto il periodo berlusconiano con la convinzione che Berlusconi era un concentrato di porcherie e che altrettante porcherie erano i suoi sostenitori, i suoi elettori, ossia l’altra metà degli italiani. Mai, come in questi ultimi vent’anni circa gli italiani si sono ritrovati così lacerati, visceralmente contrapposti. Mai la democrazia italiana è stata così screditata da chi pure la sostiene e si riempie la bocca, oltre che essersi riempito lo stomaco a suo tempo, con essa. Si ha ragione, perciò, di pensare che la fine di Berlusconi porti un minimo di serenità nei rapporti sociali, consenta un riavvicinamento dei cittadini, uno stare insieme senza ingiuriarsi e minacciarsi. Se così non fosse allora vorrà dire che Moro o Andreotti, Craxi o Berlusconi, gli italiani hanno bisogno di scannarsi, per atavico vizio di essere sempre contro un “tiranno”, vero o percepito, non ha importanza.

domenica 30 ottobre 2011

Renzi, un etrusco in Italia

L’Italia è davvero combinata male. Da diversi anni ormai manca un uomo politico nello schieramento progressista o democratico che dir si voglia di statura davvero nazionale e internazionale. L’ultimo è stato Romano Prodi. Dopo di lui sono caduti tutti, uno dopo l’altro, in singolar tenzone con Silvio Berlusconi, sia come corsa al governo sia come corsa alla leadership politica dell’opposizione. Mi riferisco a Rutelli, a Veltroni, a Franceschini, a Bersani. Si cerca spasmodicamente l’uomo da portare ai vertici del Paese. Un po’ si guarda al governatore della Puglia Nichi Vendola o al presidente della provincia romana Zingaretti, un po’ a qualche sindaco di città importanti, come Chiamparino, ex di Torino; o Renzi, sindaco di Firenze o forse a Pisapia, sindaco di Milano. Comunque sia, è già significativo che si spera in un “provinciale” o in un sindaco per governare l’Italia. Che sarebbe, se il paragone non fosse eccessivamente liquidatorio, che un capomastro si mettesse a progettare un grande edificio al posto di un ingegnere o di un architetto. Ma tant’è. La morte dei partiti e delle ideologie, salutata come la grande svolta dell’incipiente secolo e millennio, ha liquidato la scuola dei politici; e allora, in mancanza di uomini di grandi competenze e capacità, usciti da una scuola, dotati di saperi, di teorie e di esperienze, si prende quel che si trova in bottega o sul cantiere.
Ora Matteo Renzi, sindaco di Firenze, come si diceva, ed ex presidente della provincia fiorentina, ha carisma, è linguacciuto, si è fatto avanti a suon di ingiurie e di irriverenze. In buona sostanza è uno che la politica non la intende come luogo di incontro ma di scontro. E’ il rottamatore di fatto e di eccellenza. E’ un garzone di bottega, un manovale di cantiere, presuntuoso e spregiudicato. Il che non significa che non possa riuscire nei suoi intenti – in Italia ne abbiamo viste di peggio – ma se tanto accadrà lo si dovrà alla mancanza di uomini politici veri.
Sabato, 29 ottobre, ha riunito a Firenze, alla stazione Leopolda, nome di richiamo asburgico, tutti coloro che come lui e con lui vogliono dare una spallata ai vecchi del centrosinistra. Basta con Bersani, con D’Alema, con Veltroni, con Franceschini, con la Bindi; basta con tutti quei signori responsabili a suo dire del disastro che hanno combinato. A chi gli chiede se si candida lui alla competizione per Palazzo Chigi, risponde che non la persona si candida ma le idee. E le idee quali sono? Non ci sono, lascia intendere, dato che non le dice. Allora sarebbe lui! Un raggiretto, degno di una novella del Boccaccio.
A lume di naso – naso di uno che la politica l’ha studiata nei secoli e vissuta nell’era della partitocrazia – Renzi è una patacca, buona soltanto a creare confusione ed ulteriori divisioni nello schieramento di appartenenza. E’ un etrusco, creativo, dotato di intelligenza e spregiudicatezza; ma non ha la stoffa del politico di caratura nazionale.
L’Etruria, in buona sostanza l’attuale Toscana, aveva già raggiunto una grande civiltà quando Roma era un nucleo di pastori e di masnadieri. Come mai, allora, fu conquistata e sottomessa dai romani? Semplice, perché era divisa in tante realtà locali; dunque una disorganizzazione politica, facile preda di un popolo più piccolo e meno progredito, ma forte e compatto. I toscani, eredi degli etruschi, sono rimasti in buona sostanza così come erano i loro padri, sono dei contradaioli. Non si esaltano nell’unire e nell’aggregare forze e realtà diverse, ma a disunire e a disgregare anche realtà compatte. Gente da palio, politicamente parlando!
Fuori da riferimenti letterari e suggestivi, la politica, intesa come scontro ad excludendum, poveri contro ricchi, femmine contro maschi, giovani contro anziani, e via continuando, secondo una schema tipicamente classista e marxista, è una non politica. La società è fatta di condizioni varie, la politica deve garantire mobilità e rotazione a tutti, possibilità di difendere la propria condizione o di cambiarla. E’ la società aperta, di cui parla Karl Popper.
Non ha senso alcuno ipotizzare una situazione in cui solo perché uno ha trenta o quarant’anni ha diritti e capacità che chi ne ha cinquanta o sessanta non ha. Una organizzazione politica simile è chiusa e ricorda la “Fattoria degli animali” di George Orwell, che sappiamo tutti come andò a finire.
E allora perché Renzi sembra godere di tanto credito, soprattutto mediatico? Perché a sinistra non sanno a che santo rivolgersi. A destra, invece, – vedi Giuliano Ferrara (Radio Londra di sabato, 29 ottobre) – sono interessati perché sperano che Renzi disgreghi ancor più il centrosinistra. Il che faciliterebbe al centrodestra un’altra vittoria.
L’etrusco, superiore in creatività e forte della sua età, finirà per essere messo sotto da chi ha più esperienza e senso della realtà. Nihil novi.

domenica 23 ottobre 2011

Il Terzo Polo, l'ultimo barocco leccese

Il Terzo Polo è partito sabato, 22 ottobre. E’ partito da Lecce, forse perché la capitale del Salento è anche l’inizio geografico dell’Italia o forse perché è una città simbolo. Ma i suoi protagonisti da tempo erano in giro.
A vederli ora qua ed ora là, i Fini e i Casini, che fino a qualche tempo fa sembravano gli eredi di Berlusconi alla guida del centrodestra politico e governativo, sembrano dei fantasmi. Appaiono nei loro contorni sfumati, parlano non si sa a chi. Aggiunti a Rutelli sommano sì e no un due-tre per cento di voti. No, non abbaiano alla luna, come si dice di chi parla alto e forte ma a nessun interlocutore. No no, sono proprio dei fantasmi, anime dannate che vagolano in cerca della loro sepoltura. Sono dei Palinuri, dallo sfortunato eroe virgiliano.
Prendiamo Fini, il più sfrangiato e il più spregiudicato. La sua è una posizione obbligata. Nel centrodestra, con Berlusconi o senza, non c’è più posto per lui. Ne ha fatte tante e a tante corde urtato che bisognerebbe proprio una perdita collettiva di memoria nel centrodestra per accoglierlo come un figliol prodigo. Ma nel centrosinistra non ha un ruolo, anzi ne ha uno, quello di destabilizzare lo schieramento. Lui non avrebbe problemi, pur di riciclarsi, di stare insieme a Di Pietro o a Vendola, ai comunisti e perfino ai grillini, se questi, per assurdo, rinsavissero ed entrassero organicamente in uno schieramento antiberlusconiano. Ma questi lo accetterebbero? Per fare insieme, che cosa? Il Fini è finito. Quello che era sembrato a tutti il delfino designato di Berlusconi non ha avuto pazienza di aspettare il suo turno. Pensava davvero di essere il cofondatore del PdL. Tutti nell’ex Msi ed ex An si erano resi conto che le cose erano cambiate; l’unico a non accorgersi di nulla era lui, che si sentiva perciò un leader di partito, quando ormai il partito era un altro, e non era il suo. Si è vestito di democratico, ma chi si veste di qualcosa che non è non fa molta strada e si rivela. Uno che azzera un intero direttivo nazionale perché alcuni suoi membri si erano permessi di muovergli delle osservazioni può essere un democratico? Uno che gira in modo truffaldino e maldestro una casa che era stata donata al partito “per la causa” da un’anziana aristocratica può essere considerato un democratico? Che dico? Un onesto? Certo, qualche interessata simpatia l’ha destata in chi pur di eliminare Berlusconi sarebbe capace di suicidarsi per autoantropofagia incominciando dai piedi.
E Casini? E’ rimasto lì, in mezzo alle danze, con la spazzola in mano, senza possibilità alcuna di trovar modo di far coppia. Lui il bipartitismo non lo vuole. Ne ha diritto. Ma che vuole? Il ritorno al consociativismo della prima repubblica? La sua naturale posizione è tra i moderati del centrodestra, ma lui non vuole più che lo schieramento venga guidato da Berlusconi e poi è in conflitto con la Lega per via del federalismo. Sperare che l’epoca del bipartitismo passasse ci sta purché ci si rendesse conto che chi vive troppo di speranze si colloca mentalmente nel futuro e non sa gestire il presente. Casini avrebbe dovuto, anche lui, avere pazienza, cavalcare in bipartitismo stando nel centrodestra e lavorare, non solo sperare che passasse ‘a nuttata, per dirla con l’abusato Eduardo. Invece no, sta lì a testimoniare quello che non c’è più, quello che non c’è ancora, che probabilmente non ci sarà nei prossimi anni. Casini non è finito, ma difficilmente avrà un inizio.
Il discorso su Rutelli sarebbe un di più a qualsiasi analisi politica, sul presente o in prospettiva. Semplicemente Rutelli è un riempitivo, dovunque si trovi o vada a trovarsi. Con uno come lui non si perde tempo. Il buon Dante direbbe: non ti curar di lui, ma guarda e passa.
Lombardo, leader dell’Mpa, Governatore della Sicilia, il quarto del Terzo Polo, non si capisce cosa c’entri in uno schieramento in cui, stante Casini contrario ad ogni tipo di federalismo o localismo, persegue finalità decisamente nazionali. Non si può essere contro la Lega del Nord e poi stare con una sorta di Lega del Sud, quale il movimento di Lombardo in buona sostanza è.
Il Terzo Polo ha scelto Lecce - come si diceva - per battezzarsi. Scelta migliore non poteva fare. Un miscuglio di uomini e di cose, diverse e contrastanti, sa di effimero. di vacuo, di barocco, forse ancora di più delle facciate delle chiese leccesi, delle colonne tortili e degli altari. Forse è stata scelta la capitale del Salento come location per via del suo attuale appeal turistico. Ma, come spesso accade, la scelta rivela una inevitabile attrazione e ne diventa il simbolo.

venerdì 21 ottobre 2011

Onore al combattente Gheddafi!

Gheddafi è stato catturato e ucciso a Sirte, suo ultimo rifugio e campo di battaglia. E’ morto come aveva promesso di morire: da martire. Fino all’ultimo, da autentico combattente, ha infuso ai suoi la certezza della vittoria, come fa un vero capo islamico. Non avrebbe mai chiesto ai suoi di morire solo per la bella morte, nella certezza della sconfitta, o per il dovere fine a se stesso. Bella morte e senso del dovere sono valori occidentali, di ragione, estranei al mondo arabo fatto di fede e di fanatismo. Le Termopili non sono cose da deserto.
Nei suoi 42 anni di potere non è stato un uomo moderato, bensì un esaltato, un terrorista e un assassino. Più che un dittatore è stato un tiranno, a volte buffonesco e grottesco, ridicolo e irritante, è apparso cialtrone e pidocchioso travestito da ricco, nella migliore delle immagini la spalla di un clown in un circo equestre. Ma era un membro dell’Onu, ascoltato più volte nel Palazzo di Vetro. E lì non si è mai presentato in giacca e cravatta. 
Ha inferto all’Italia più di un’umiliazione e tante provocazioni. Ad altri paesi ha fatto cose anche più gravi. Non era amato da nessuno, ma non c’è stato leader internazionale che non lo abbia ricevuto con tutti gli onori e che non lo abbia lusingato per concludere affari economici. A noi ne ha fatto concludere molti e molto proficui. L’Italia era il primo partner commerciale della Libia. Ciò che non era tollerato dai soliti francesi, ravvivati nella loro grandeur dall’ennesimo immigrato: Sarkozy come Napoleone, un po’ più ridicolo. Nutriva odio e amore nei nostri confronti. Sapeva – perché non era fesso – che l’Italia in Libia aveva fatto cose buone e che il nostro colonialismo non era stato di rapina come gli altri.
Il suo sogno era di farsi capo di un continente per secoli al guinzaglio del potere occidentale, recuperarlo alla dignità dopo secoli di servaggio. Aveva consapevolezza di questo suo ruolo, forse smisurato e utopico; ma sapeva anche nella sua megalomania che non aveva un altro percorso se voleva restare nella storia come uno che aveva tentato qualcosa di originale e di grandioso. Non si è africani per caso!
Quando Agnelli ebbe bisogno di danaro, lui acquistò il 10 % della Fiat e successivamente entrò anche nella società della Juventus, di cui era tifoso. Forse aveva il complesso della sponda opposta. Ma era africano! 
Non passerà alla storia in termini complessivamente positivi, ma chi davanti allo scempio della sua persona e del suo cadavere ha gioito e non ha saputo avere nemmeno una parola di pietosa comprensione e di riprovazione per le offese arrecategli, ha dimostrato di valere meno, ma molto meno di lui. Nella grande parata di ovvietà e nullità politiche internazionali, forse il miglior commento è stato quello di Berlusconi: sic transit gloria mundi. La formula che si usa alla morte di un papa. In quelle parole c’è tutto il pensiero e il sentimento di un uomo pragmatico come indubbiamente Berlusconi è: il rispetto dell’uomo, paragonato ad un papa, ossia ad un grande; la consapevolezza che tutto sulla terra è effimero e caduco; l’amarezza per le conclusioni dolorose della vita; il dispiacere per un amico sfortunato e segnato.
Nel 1969, quando cacciò gli italiani dalla Libia, gli avrei fatto guerra o comunque gli avrei dato una lezione; non avrei mai consentito che mancasse di rispetto all’Italia con le sue provocazioni e le sue ridicole prove di ostentata arroganza quando a passeggio per Roma esibiva la foto del padre fucilato dagli italiani nella guerra di Libia nel 1911. Ma ora, davanti alla sua fine non ingloriosa, in necrologio, da italiano non immemore, ritengo di dover dire: onore al combattente Gheddafi!    

domenica 16 ottobre 2011

Se Berlusconi fosse un uomo eccezionale...

Ancora una volta Berlusconi ce l’ha fatta. Venerdì, 14 ottobre, ha ottenuto la fiducia dalla Camera (316 voti). Il Presidente della Repubblica ha fatto sapere con una lettera ai capigruppo della maggioranza e delle opposizioni che dopo la bocciatura del 1° articolo del rendiconto finanziario dello Stato, casus belli, il governo non era dovuto a dimettersi e che il passaggio della fiducia era un atto dovuto, con l’ammonizione, in cauda, di non esagerare coi voti di fiducia.
E le opposizioni? Che cosa non hanno fatto! Hanno prima inscenato la farsa, già tragicamente fallita nel 1924 dell’Aventino, ma allora la situazione era di gran lunga più seria, essendo stato rapito e ucciso Giacomo Matteotti, il leader di un partito politico, e al governo c’era uno che si chiamava Benito Mussolini; poi hanno cercato di far mancare il numero legale in aula per invalidare il voto, roba da consiglio comunale di un paese al di sotto dei 5.000 abitanti, non riuscendovi perché i deputati radicali, che pure fanno parte del Pd, e quelli della Südtiroler Volkspartei, in aula invece sono rimasti; infine si sono abbandonati ad esternazioni da gente frustrata, impotente ed incapace di pensare una strategia seria e propositiva. Per fortuna ci hanno risparmiato il mantra del “passo indietro”.
Berlusconi è politicamente malconcio, ma è ancora in piedi. Se si votasse, invece, per sfiduciare le opposizioni, cadrebbero uno dopo l’altro come birilli, i Bersani, i Di Pietro, i Casini, i Fini, i Rutelli, i Franceschini, la Bindi e via processionando. Sono l’uno contro l’altro. A parte il comune odio per Berlusconi, non sono d’accordo su nulla. Non riescono nemmeno a mettere in essere un piano boicottatorio perché non sono credibili non solo nelle finalità ma neppure nelle modalità. Uscire dall’aula è stato un affronto all’istituzione parlamentare, finalizzandolo poi alla caduta del governo si è rivelato opera da dilettanti allo sbaraglio. Ma non parliamo di questi re travicelli, che arrivano sempre “con molto fracasso”, magari raccogliendo anche più di un milione di firme; “Le teste di legno – diceva il Giusti – fan sempre del chiasso”. Ce l’ho con loro perché si gloriano di mostrare al mondo le nostre porcherie per trarre un vantaggio politico, poco curandosi degli interessi generali del Paese.
Purtroppo la fiducia a Berlusconi non è esattamente la medicina giusta di cui ha bisogno oggi l’Italia, forse è la meno peggio. Il Paese oggi ha bisogno di recuperare un’immagine di salute, voglioso di aggredire con entusiasmo i problemi interni ed esterni, che sono tanti. Ma non è solo questione di problemi economici e sociali, di declassamenti da parte di discutibili agenzie finanziarie.
L’Italia ha perduto in questi anni qualcosa di più serio, ha perduto la faccia di Paese politicamente educato, di Paese per bene, “povero ma bello”. Berlusconi è stato l’ultimo leader politico che ha fatto parlare di sé per imprese non edificanti, che ha mischiato nelle sue faccende private aspetti pubblici con coinvolgimenti istituzionali. Ineducato e improvvido, perché sapeva di essere nel mirino. Lui stesso non ha fatto altro che lamentarsi in questi anni per le attenzioni che ha ricevuto dalla magistratura e per l’opposizione selvaggia dei suoi avversari politici. I suoi comportamenti sono stati devastanti per tutti. La magistratura, nella sua folle battaglia giudiziaria, senza mai approdare a nulla di concreto, ha dato al mondo un’immagine di partigianeria e di inefficienza. Mentre gli avversari hanno pensato di trarre qualche vantaggio dall’indignazione degli stranieri, ai quali si sono rivolti esagerando l’inadeguatezza e le sconcezze di Berlusconi. Risultato: Berlusconi è sempre lì, mentre il Paese è sfigurato per Berlusconi che si comporta come un sovrano orientale, per la gente che lo segue in ruolo servile, per la magistratura che lo persegue senza ottenere nulla, per l’opposizione che lo insegue senza riuscire ad acciuffarlo.
La situazione che si è venuta a creare ora è assai peggiore, perché anche il fronte interno berlusconiano che sembrava granitico incomincia a cedere. Quello che è accaduto con la bocciatura del 1° articolo del rendiconto finanziario non è stato un incidente tecnico, è stato voluto. E’ innegabile che all’interno del PdL c’è una pattuglia di ex democristiani che “non è rimasta insensibile al grido di dolore” del Cardinale Bagnasco. I Pisanu, gli Scaiola, i Formigoni hanno aggiunto ai loro vecchi malumori la benedizione della chiesa, che, come ognuno sa, non è un buon viatico.
Se fossi Berlusconi – dicevo ad un amico – dopo il voto di fiducia andrei da Napolitano e rassegnerei le dimissioni per non dover cedere ai ricatti di tanta gentucola. Uscirei alla grande, dopo l’ennesima vittoria parlamentare. Ma che dici? Mi ha risposto quello, convinto, rischierebbe di essere arrestato. Probabilmente ha ragione l’amico. E difatti tra le tante esternazioni dei suoi avversari ce n’è una particolarmente significativa, quella di Di Pietro, il quale ha detto: questa fiducia serve solo a Berlusconi per le sue vicende giudiziarie.
A maggior ragione, allora, mi viene di pensare che se Berlusconi fosse stato un uomo eccezionale sarebbe andato a dimettersi. Ma Berlusconi, evidentemente, è uomo di eccessi, di sommatorie, di accumulazioni; è incapace di compiere un gesto eccezionale. Magari, dove para para!

domenica 9 ottobre 2011

Berlusconi è alla fine ma è il più in salute di tutti

Le cronache politiche italiane di questi ultimi tempi ci hanno detto e ci dicono tre cose. Prima, Berlusconi non sta bene, politicamente s’intende, sarebbe finito, all’interno del suo partito gli stanno preparando l’exit strategy (Scajola e Pisanu, i risentitos). Seconda, le opposizioni riunite, ma non unite, non costituiscono un’alternativa, non solo perché non hanno i numeri ma neppure le idee, o per lo meno, ne hanno tante, così diverse, da non farne una attendibile (i pannacciaros). Terza, la situazione di stallo rende l’Italia non credibile all’estero, di qui i continui declassamenti del nostro debito pubblico. Cui puntuale segue il commento del governo: ce l’aspettavamo.
In un simile scenario ognuno ha ragione, si riempie la bocca di richiami etici, ha una serie di ricette. Peccato che tutti questi signori, non avendo potere di decidere alcunché, aumentano la confusione e aggravano la crisi.
Di recente, per il fatidico “passo indietro” di Berlusconi, abbiamo sentito aggiungersi ai Bersani, ai Di Pietro, ai Vendola, ai Casini e alla storica “persecuzione giudiziaria”, la Chiesa (Bagnasco), la Confindustria (Marcegaglia), la stampa (ad eccezione di quella berlusconiana), singoli imprenditori (Della Valle), i sindacati (Camusso), e perfino l’ineffabile presidente della camera (Fini), il Tersite della situazione. Nessuno di essi, però, si azzarda a suggerire il nome di chi dovrebbe fare l’altrettanto fatidico “passo avanti”. La verità è che tra di loro non si possono ciecare. Nessuno è contento di nessuno: Bersani, D’Alema, Veltroni, Parisi e via discorrendo sono l’uno contro l’altro “disarmati”. Ecco allora che spuntano i Renzi, gli Zingaretti, i Chiamparino, nomi di ambito locale che i mass media hanno reso di statura nazionale. Insomma, all’assediato Berlusconi corrisponde la confusione totale degli assedianti.
Gli italiani, i cittadini intendo, i governati, avvertono sempre più che nel nostro ordinamento politico manca la figura di uno che in congiunture simili si assuma la responsabilità di fare una mossa risolutiva. Il Presidente Napolitano è in attesa. Dice: finché un governo ha una maggioranza parlamentare, il presidente della repubblica non può fare nulla. Non fa una piega. Sembra, però, che voglia dire: create le condizioni ed io intervengo. Perché è di tutta evidenza che Napolitano non sta con Berlusconi. Se la situazione parlamentare dovesse cambiare nel senso che il governo dovesse essere sfiduciato, si apre un nuovo scenario. Napolitano, costituzione legale alla mano ma col cassino pronto a cancellare dalla lavagna dieci anni di costituzione reale, si attiva per le consultazioni e per l’eventuale incarico a qualcuno per un governo, che può essere battezzato come tecnico, di unità nazionale, preparatorio delle elezioni con una nuova legge elettorale. Sarebbe possibile un simile governo? Se non fosse possibile si andrebbe al voto anticipato con una legge elettorale, detta Porcellum, prima da tutti voluta e poi da tutti ripudiata. E che credibilità avrebbero le camere uscite da una consultazione elettorale bacata alle radici? Si tornerebbe alla sarabanda precedente, ovvero alla guerriglia parlamentare e politica. Insomma o mangi la minestra Berlusconi o ti butti dalla finestra!
Ora, sarà pure vero che all’interno dello schieramento di centrodestra aumentano i malumori e le tentazioni frondiste; sarà pure vero che Berlusconi per le sue stravaganze private, per i suoi interessi economici, che lo hanno portato ad intrecciare le sue cose con quelle dello Stato, è ormai avviato alla fine, ma è altrettanto vero che al momento, pur con tutti i mali di cui soffre, è il più in salute di tutti. Le sue dichiarazioni che non ci sono alternative al suo governo, che continuerà a governare fino al 2013, naturale scadenza della legislatura, che all’interno del suo partito non c’è alcun dissenso, sono più credibili delle dichiarazioni dei suoi avversari. E lo sono proprio perché lui parla di cose concrete, in essere, mentre gli altri di cose virtuali, in divenire. I suoi comportamenti, come il festeggiare con Putin, in Russia, il compleanno dell’amico, o buttare la provocazione del “partito della gnocca” rafforzano l’immagine di un uomo che ormai, senza remora alcuna, vuol passare alla storia come uno che ha avuto tutto nel modo come lo ha voluto, contro l’universo mondo di criticoni e perbenisti.

domenica 25 settembre 2011

Vendola e il Papa sull'etica e sulla tecnica

Paradossalmente Nichi Vendola, quando sostiene che l’etica deve prevalere sulla tecnica, parla come il Papa, che da sempre dice la stessa medesima cosa. La differenza tra i due, presi a paradigmi di due diversi poli di riferimento esistenziale, politico l’uno, spirituale l’altro, è che Vendola è più sbilanciato sul fronte della tecnica, mentre il Papa lo è sul fronte dell’etica. Entrambi attaccano la tecnica, quando questa sembra vanificare i principi dell’etica.
E’ di tutta evidenza che la tecnica è opera dell’uomo, che in essa è la sua storia di progresso, è il senso dato alla sua esistenza fisica. Della tecnica l’uomo non può fare a meno; significherebbe, se vi rinunciasse, contraddire il senso della sua ricerca di vivere meglio di quanto la natura gli ha messo a disposizione fin dalla sua comparsa sulla terra. Ma è altrettanto evidente che l’etica è anch’essa opera dell’uomo, che in essa è la sua storia di civiltà, è il senso dato alla sua esistenza spirituale. Non si potrebbe vivere ignorando l’etica perché significherebbe contraddire la ricerca umana di dare all’esistenza una superiore finalità di vita. Per farla breve, l’uomo non può fare a meno della tecnica come non può fare a meno dell’etica; né vale la pena perdersi nella vana ricerca per stabilire se storicamente l’una abbia preceduto l’altra.
Vendola non si stanca di sostenere che la natura, intesa come ambiente fisico, habitat, paesaggio, va salvaguardata dalle manipolazioni, dallo sfruttamento, dagli inquinamenti della tecnica. Ma si ferma qui, escludendo la dimensione etica dell’uomo, che, a suo dire, può e deve tener conto per il suo benessere, dei ritrovati della tecnica, se questi gli consentono di vivere meglio, a prescindere dai limiti che l’etica gli impone. Egli riconosce alla terra, al mare, al cielo ciò che poi non riconosce all’uomo. Qualche esempio. La natura vuole che l’accoppiamento abbia il fine precipuo della riproduzione? Vendola non esclude altre forme di accoppiamento, anche per altre finalità, che estende anche alla più sociale della condizione naturale: la famiglia. La natura impedisce a talune donne di ingravidarsi e partorire secondo natura? C’è la tecnica che può intervenire per forzare la natura con la procreazione addirittura eterologa. Una gravidanza è indesiderata? La tecnica può risolvere il problema con un aborto procurato. Si potrebbe perfino lambire la sfera sessuale, ma qui il discorso scadrebbe inevitabilmente nella volgarità. Per Vendola ci sono sfere umane dove la tecnica non ha diritto d’ingresso ed altre dove invece il diritto d’accesso non ce l’ha l’etica. Per esemplificare, per l’ambiente non c’è tecnica che tenga; per l’uomo non c’è etica che tenga. Per Vendola varrebbe quasi la dottrina della regina Semiramide “quodcumque libitum licitum est” (ciò che piace è lecito). Per cui se l’uomo vuole sposare un uomo e una donna una donna, deve essere loro consentito; se un individuo vuole mettere fine alla sua sofferenza prima che lo faccia la natura, gli deve essere consentito; e via di seguito. Per Vendola, che è e resta fondamentalmente un politico, varrebbe addirittura una tecnica dell’etica, l’uso sapiente della stessa per conseguire risultati più utili e convenienti.
Il Papa, nel suo messaggio al Bundestag tedesco di giovedì, 22 settembre, ha concesso le ragioni al partito ecologico, riconoscendone l’etica, sapendo anche che fuori la gente manifestava contro di lui. Anche in Italia c’è un forte movimento ecologista, di cui Vendola è uno dei più autorevoli leader, che denuncia la tecnica dello sfruttamento della natura. Ma Benedetto XVI ha ribadito il primato dell’etica della natura con maggiore forza e coerenza. “Esiste anche un’ecologia dell’uomo – ha detto il Papa – Anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere. L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli ascolta la natura, la rispetta e quando accetta se stesso per quello che è, e che non si è creato da sé. Proprio così e soltanto così si realizza la vera libertà umana”.
Anche il Papa, tuttavia, pone qualche volta dei limiti all’etica in favore della tecnica. Perché non riconoscere all’uomo la morte naturale e insistere nell’accanimento terapeutico, fino all’estremo uso della tecnica per tenerlo in vita, vita si fa per dire?
Sarebbe perciò necessario, in ultima analisi, che l’uomo trovasse un giusto equilibrio, una sorta di etica della tecnica, l’opportunità cioè di servirsi della tecnica quando ciò non contraddicesse i principi etici. Sarebbe assurdo oltre che immorale il contrario, e cioè una tecnica dell’etica, per servirsene o non servirsene, come si diceva, a seconda della convenienza.

domenica 18 settembre 2011

L'Italia tra lo stallo e l'eversione en attendant Godot!

La storia si ripete, altro che! C’è un’opposizione in Italia che pur di eliminare Berlusconi è capace di distruggere la nazione. Se pure non si vuole scomodare l’Italia delle Signorie, l’una contro l’altra armate, come drammaticamente ci ricorda il Petrarca nella sua canzone “All’Italia”, c’è fresco-fresco ancora il caso fascismo. Pur di annientare Mussolini e il regime fascista, si sacrificò l’Italia nella II Guerra Mondiale. Nel mezzo un’infinità di vicende che hanno fatto dell’Italia nella storia il paese dove pur di vedere il nemico interno nella polvere non si esita a favorire il nemico esterno. L’Italia del Quattro-Cinquecento, così ben descritta da Machiavelli e Guicciardini, ben s’intreccia con quella del Franza o Spagna pur che se magna. Un’Italia che rimane divisa e in guerra fino all’unificazione nazionale, di cui quest’anno ricorre “indegnamente” il 150° anniversario dell’Unità.
Ora, diciamo le cose come stanno. Il governo Berlusconi ha mancato non poche delle sue prospettive, anche a causa di congiunture internazionali, a partire dall’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, da cui le guerre in Afghanistan e in Iraq. E’ caduto nelle sabbie mobili degli scandali giudiziari, alcuni meno nobili degli affari privati, che hanno pur sempre una loro giustificazione, scandali di porcherie, come in genere si indicano tutte le faccende di puttane o comunque le si voglia chiamare. Procure acefale costituiscono il nuovo esercito di liberazione mentre un gruppo di partiti forma un nuovo improbabile ci-elle-enne. Il gioco delle parti è chiaro: la magistratura scredita con le sue inchieste giudiziarie, mette sotto pressione il governo impedendogli di dedicarsi interamente all’azione governativa, l’opposizione ipso facto chiede le sue dimissioni. L’azione, concertata nei fatti se pure non lo è nelle intenzioni, ha tutti i caratteri del golpe. Si vuole abbattere un governo votato democraticamente dal popolo e che riceve sistematicamente la fiducia in Parlamento. Siamo all’eversione autentica. Questa è la realtà.
E’ un fatto, perciò, che Berlusconi è un cavaliere dimezzato, diviso tra gravi problemi economici nazionali e altrettanto gravi problemi giudiziari personali. La sua posizione gli impedisce di far fronte agli impegni politici, mentre si accaniscono contro di lui magistrati, televisioni e giornali. Gli uni, forti di uno dei più illiberali e antidemocratici strumenti di investigazione, le intercettazioni telefoniche, gli altri sputtanando tutti col pubblicarle sui giornali.
Il prete don Andrea Gallo, nel corso della trasmissione “In onda” su “La Sette”, sabato sera, 17 settembre, ha invitato Berlusconi, irridendolo, a chiedere il ricovero a qualche comunità per farsi curare. Siamo arrivati al grottesco. In questo paese ognuno può dire quello che vuole, nella irresponsabilità più assoluta. Compresa quella di chi, nelle decisioni della citata emittente televisiva, ha messo di fronte ad una persona di alto profilo, seria e competente, peraltro critica nei confronti del governo, come il prof. Antonio Martino, una barzelletta di prete, abbondantemente ormai fuori dalla normale fisiologia arteriosa, come don Andrea Gallo. Se si dovessero pubblicare le intercettazioni di cardinali, vescovi e preti, non sappiamo quante chiese resterebbero aperte il giorno dopo. Perciò la smettano questi preti d’avanspettacolo!
Ma se pure il governo Berlusconi cadesse, quale la prospettiva? Quattro soggetti, Pd-IdV-UdC-FL, sono talmente diversi e incapaci di elaborare un’azione comune che pensare ad un loro governo sarebbe come davvero credere al grande sogno alchemico di produrre l’oro. No, lo scopo di questi irresponsabili è di gettare il Paese nel caos e di dare poi la colpa al governo Berlusconi; e dallo scempio nazionale sperare di trarre un qualche profitto elettorale. Niente di nuovo. Sono riconoscibilissimi i democratici italiani. Sempre gli stessi e sempre con le stesse strategie, politicamente criminose.
Ma il Paese può andare avanti tra lo stallo politico della maggioranza e il golpe bianco dell’opposizione? E’ di tutta evidenza che così non può durare, anche per la gravissima crisi che sta attraversando l’Europa. L’azione politica di alcuni paesi europei, come Francia e Inghilterra, sta cambiando la geografia politica dei rapporti coi paesi dell’Africa petrolifera, mentre il governo italiano è come annichilito tra un’azione subita, non pienamente condivisa, la guerra alla Libia, e la necessità di riposizionarsi nel nuovo scenario.
Pur senza espliciti richiami, il nome di Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica, aleggia come di chi potrebbe con la sua autorevolezza richiamare tutti al senso di responsabilità. Lo ha fatto e lo fa, ma dovrebbe farlo con maggiore decisione. Quando dice che lui può fare ben poco fino a quando il governo ha la maggioranza del Parlamento, le opposizioni dovrebbero quanto meno essere rispettose. Inutile ripetere pappagallescamente che Berlusconi si deve dimettere. Sanno perfettamente che non lo farà, perché oltretutto le sue dimissioni peggiorerebbero le condizioni del Paese. Insistere significa soltanto contravvenire ai moniti del Presidente Napolitano e danneggiare l’Italia in un momento particolarmente difficile.
L’altro nome che aleggia, per un tentativo di giungere ad un governo di pacificazione, per cercare di uscire dall’impasse, è quello di Casini e dell’UdC. Ma purtroppo Casini, che pur si dice serio in un sintagma sì e nell’altro pure, non è poi capace di dimostrarlo dando una prova anche di indipendenza e di coraggio. E’ sufficiente che uno sgangherato Di Pietro gli dica che se entra nel governo fa la figura di una escort di Berlusconi per frenarsi e rientrare nei ranghi degli attendisti. Ma, a questo punto, è come nel teatro dell’assurdo, appunto en attendant Godot!