domenica 11 dicembre 2011

Che "Mari & Monti" non finiscano in atlante

C’è qualcosa di evidentemente politico nel linguaggio asettico, dal tono quasi impostato da robot, di Mario Monti; anzi, più di qualcosa. C’è la sicurezza che le sue misure avranno successo, c’è lo spirito messianico, la concezione dell’opposizione come disturbo e impedimento a ben operare. C’è un filigranato disprezzo della politica.
Ecco qualche passaggio del suo discorso, con cui ha presentato agli italiani i suoi provvedimenti.
Evasione fiscale. “Abbiamo preso misure significative contro l’evasione fiscale, voi direte è una cosa che è stata promessa tante volte in passato e che non ha avuto gli sviluppi che avrebbe dovuto: vedrete che i nostri provvedimenti sono piuttosto incisivi a questo riguardo”.
Risveglio della società e dell’economia. “Voi vedrete che sarà un passo significativo dell’Italia verso un maggiore ruolo al merito, alla concorrenza, alla lotta contro i privilegi, contro i nepotismi, contro le rendite e a favore di una maggiore concorrenza e di una maggiore apertura”.
Donne, giovani, territorio, Mezzogiorno. “Ci sono provvedimenti specifici che pur nelle ristrettezze finanziarie mirano a favorire la condizione delle donne, a favorire la condizione dei giovani, a favorire una migliore coesione territoriale e uno sviluppo del Mezzogiorno”.
Che nessuno più rida di noi italiani. Non mancano nelle sue promesse, che sono tipicamente politiche, delle battute polemiche, anch’esse tipiche della comunicazione politica. “Noi vogliamo che ci sia un’Italia che si senta orgogliosa di essere Italia, che gli italiani non si sentano derisi come qualche volta può essere accaduto in passato”. Evidente l’allusione al minuetto Sarkozy-Merkel nei confronti di Berlusconi.
Sviluppo nell’armonia. “Usciamo da una fase politica nella quale l’obiettivo sembrava quasi quotidiano, era il confronto brutale tra le opposte posizioni politiche. […] vogliamo risanare l’economia italiana, vogliamo riavere, ridare all’Italia grande peso nel concerto delle nazioni e soprattutto in Europa e vogliamo anche aiutare la politica, che rispettiamo, a recuperare con l’opinione pubblica un rapporto più disteso perché della buona politica un Paese ha bisogno”.
Pur sorvolando su qualche stonatura che ricorda certa propaganda fascista, come l’orgoglio nazionale e l’aspirazione a contare di più nel consesso delle nazioni, non sembra comunicazione da tecnico quella di Mario Monti.
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Monti ha raccontato a “Porta a Porta” di Bruno Vespa che sua madre gli disse: figlio mio, guardati dalla politica! E lui si è sempre ben guardato. Berlusconi gli aveva offerto il ministero dell’economia e addirittura la presidenza del consiglio in un governo di centrodestra. E lui, il politofobo, ha rifiutato, memore di quanto gli aveva raccomandato la mamma. Ma, come spesso accade, più si cerca di fuggire dal lupo e più si finisce per cadergli in bocca. Oggi Monti è l'uomo del più sofisticato e abile politico italiano: Giorgio Napolitano.
Ma, che concezione ha della politica Mario Monti? Non è sbagliata, è limitativa. A sentirlo sembra che per lui la politica sia il luogo in cui più che pensare ai problemi del Paese in prospettiva si pensa ai bisogni immediati dei cittadini in funzione del consenso elettorale. Domanda: “Qual è il vero costo della politica?”. Risposta: “E’ che chi governa prenda decisioni miranti più all’orizzonte breve delle prossime elezioni che all’orizzonte lungo dell’interesse del Paese, dei nostri figli, dei nostri nipoti. […] è a causa di quella politica che oggi i giovani italiani fanno così fatica a trovare lavoro, che abbiamo squilibri territoriali rilevanti tra Nord e Sud, che abbiamo un debito pubblico molto grande. […] questo è il momento in cui il capo dello Stato e il Parlamento hanno chiesto a questo governo di aiutare a, direi, salvare l’Italia e a sviluppare l’Italia”.
Dunque la politica in Italia ha fallito, la democrazia è inadeguata. L’azione del suo governo “tecnico” è salvifica. Noi – sembra dire Monti – faremo bene dove gli altri hanno fallito; ma voi non sarete in grado di verificarlo, perché gli esiti li vedranno i vostri nipoti.
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Ma è proprio così? Ribadito che noi tutti in Italia invochiamo il Dio dell’Italia a mandarcela buona, con Monti o senza Monti, appare di tutta evidenza che nell’operato del governo si preannunciano fasi diverse. La prima, la più immediata, non è di salvare l’Italia, ma l’Europa; non è di salvare il reddito degli italiani, ma l’Euro dei mercati e delle banche. Si dirà: ma salvando l’Europa e l’Euro si salveranno anche l’Italia e gli italiani. Quali italiani? I “figli dei padri malati”, per usare un’immagine dello scapigliato Emilio Praga? No, ma i nipoti, se non addirittura i pronipoti. E’ in questo, evidentemente, la forza di un governo che non si preoccupa dei problemi immediati della gente viva e presente ma di quelli della gente che verrà. Soffrite, abbiate fede e tacete! Dunque, i giovani che oggi hanno trent’anni si mettano l’anima in pace, il loro destino è quello di fare gli accattoni; non potendo lavorare non avranno nemmeno una pensione; ma, in compenso, possono gioire al pensiero che i loro figli, se avranno il coraggio di farne, godranno domani in opulenza della loro fame di oggi. Tutto questo ha dell’assurdo. E c’è da temere che prima o poi il pallone scoppierà. Da temere, s’intende, perché gli scoppi provocheranno, come sempre è accaduto, delle tragedie nazionali e sociali.
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Non si vuole ammettere che oltre agli errori politici interni del passato, quelli richiamati da Monti, ci sono anche scelte politiche esterne altrettanto sbagliate, che, però, non vengono citate come tali perché ancora si insiste su di esse. Da Maastricht in poi – per venti anni – gli Stati nazionali dell’Unione Europea hanno ceduto non poche e non irrilevanti quote di sovranità, credendo ciecamente nel progetto europeo, al punto che nessuno si è preoccupato di un’uscita di sicurezza. Ci sono Stati, come l’Inghilterra e la Danimarca, che non hanno mai voluto cedere neppure la minima quota della loro sovranità, e non sono entrati nella moneta unica. Oggi questi Stati e i loro popoli non si trovano nella condizione disastrosa in cui si trova la gran parte degli Stati della cosiddetta zona euro e di dover cedere ancora altre quote della loro sovranità. Mentre hanno continuamente inglobato Stati su Stati, oggi sono ventotto, senza alcuna selezione, infatuati dall’Europa, non hanno pensato a dotarsi di qualche meccanismo di difesa.
Non è euroscetticismo, ma pragmatismo. La moneta unica si poteva anche fare con diverse garanzie, sia interne ai vari Stati – penso al disastro provocato in Italia per i lavoratori a reddito fisso che si son visto dimezzare il reddito – che esterne, per evitare che Stati meno virtuosi o più bisognosi trascinassero gli altri nella loro condizione di crisi.
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Non si vuole ammettere che aver fatto entrare la Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio è stato un danno enorme per l’Europa. Perché la Cina riesce a produrre a costi incomparabilmente più bassi che nei paesi europei, dove i salari tengono altissimo il costo del lavoro. Oggi la Cina ha invaso di suoi prodotti l’intera Europa. Peggio messa è l’Italia, dove – come si sa – non c’è vigilanza alcuna e le aziende cinesi, potendo lavorare e produrre a condizioni di favore, hanno costretto a chiudere le aziende italiane. Basti pensare al disastro di Prato, dove un’antichissima tradizione tessile oggi non ha più un solo telaio italiano in funzione. Basti pensare che i cinesi producono quello che prima veniva prodotto dalle grandi firme, le quali oggi devono puntare tutto oltre che sull’eccellenza sulla novità e creatività. Molte aziende italiane, che lavoravano per le grandi firme, hanno chiuso, altre son dovute riparare all’estero, creando disoccupazione in Italia e gravando sugli ammortizzatori sociali, meccanismo che prende dallo Stato senza dare.
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Non si vuole ammettere che è mancata in Italia una concreta e prudente politica dei giovani e del lavoro. La scuola italiana ha prodotto laureati e diplomati senza nessun criterio. La stupida convinzione che una volta la scuola di classe garantiva titoli solo ai ricchi si è trasformata nell’altrettanto stupida convinzione che bisognava dare un titolo a tutti, a loro libero e sconsiderato piacimento. Conclusione: oggi ci sono centinaia di migliaia di professionisti senza un posto di lavoro, molti dei quali inadeguati o scarsamente preparati, e ci sono centinaia di migliaia di posti di lavoro in non pochi settori dell’artigianato senza lavoratori. Ciò che ha indotto i titolari delle aziende a fare ricorso al lavoro degli immigrati.
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Ci saremmo aspettati che Monti facesse una disamina più corretta e meno “ideologica”, che non si limitasse alla critica della politica per giustificare i suoi duri provvedimenti e farli passare come inevitabili per scongiurare la catastrofe. Anche nell’ipotizzare uno scenario del tipo greco: stipendi e pensioni non pagati, Monti ha dimostrato una certa tecnica dell’uso della propaganda politica con un valore aggiunto: quello di apparire il salvatore della patria che nessuno deve disturbare.
Le promesse di Mario Monti, nelle quali vogliamo credere, ad onta del nostro abituale scetticismo, temiamo che, basandosi su cose dette e su altre non dette, potrebbero finire come quelle del marito farfallone, che alla moglie, che gli rimproverava di averle promesso da fidanzati mari e monti, alla fine regalò un atlante geografico, dove di mari e di monti ce n’erano un’infinità, ma di…carta.

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