domenica 4 dicembre 2011

Il governo Monti, King George e la palude degli intellettuali

“Qui non si canta al modo delle rane” diceva in un suo poemetto il poeta Cecco d’Ascoli, astrologo, bruciato vivo come eretico nel 1327. Verso ripreso poi in esergo dalla rivista futurista “Lacerba” di Giovanni Papini e Ardengo Soffici. Ma da quale necessità i futuristi Papini e Soffici traevano l’opportunità di precisare che la loro voce era fuori dalla palude? Beh, erano in polemica con la “Voce”. Al di là delle specifiche motivazioni primonovecentesche – allora se le davano di santa ragione in ogni senso – emerge un dato generale e diffuso: in Italia la condizione normale è la palude e chi vuole differenziarsene lo deve dire e fare ad alta voce, fuori dal gracidio.
Dico questo perché da quando è nato il governo Monti si è rinnovato un fenomeno straordinario: chi prima urlava a squarciagola in difesa della Costituzione e contro i suoi nemici, che erano berlusconiani e berluscones, ora o tace o si è opacizzato. Non so che cosa pensi di questo governo Giovanni Sartori, per esempio. Galli della Loggia scantona su tematiche più ampie. Panebianco è sfumato. Sabbatucci è comprensivo. Sergio Romano spiega e spiega, ma senza dire “la parola che mondi possa aprire”. Ostellino osa un po’ di più, ma anche lui preferisce morsicarsi le labbra piuttosto che dire apertis verbis quello che pensa. Insomma, intellettuali e giornalisti, studiosi e politologi, si sono bulgarizzati. O tacciono o fanno finta di non dire. Si può essere d’accordo fino ad un certo punto, dato che la situazione è grave, anzi gravissima. Ma qui torna a riproporsi la questione del ruolo degli intellettuali.
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Quanto è accaduto in Italia con la nascita del governo Monti è assai più grave, in termini politici, dei pur gravi fatti pregressi di questa nostra democrazia. Faccio alcuni esempi, per capirci: il rapimento e l’assassinio di Moro, la condanna per mafia di Andreotti, la fuga e la latitanza di Craxi, le “stravaganze” di Berlusconi. Aggiungerei perfino l’invasione del campo politico da parte di molti magistrati, i quali non hanno ancora capito l’ésprit des lois del Montesquieu. Che sosteneva che i tre poteri, legislativo-esecutivo-giudiziario, spettavano a tre soggetti diversi non già perché uno solo non fosse in grado di reggerli tutti – secoli di monarchia assoluta avevano dimostrato il contrario – ma perché uno Stato di Diritto si basa su precise garanzie di separazione dei poteri. In Italia ci sono magistrati che pretendono non solo di interpretare ad arbitrio le leggi ma addirittura di fare le riforme che riguardano la giustizia, che è come dire che un potere dello Stato, il giudiziario, pretende di sovrapporsi agli altri due, legislativo ed esecutivo. Nessuno si è scandalizzato finora per questo o ha alzato la voce, tranne i diretti interessati o piuttosto colpiti dalle prepotenze giudiziarie. Come nessuno ha alzato la voce contro Gianfranco Fini che ha fatto strame della terza carica dello Stato. La verità è che in Italia nessuno ha un minimo di compostezza etica, dal bambino che calpesta le aiuole al manager che corrompe i politici per ottenere favori e compiere affari. E’ così diffuso il cialtronismo che la magistratura trova corruttori e corrotti come l’ittica attinge spigole coltivate nelle vasche e nei bacini di produzione. La democrazia in Italia produce malaffare.
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Il New York Times ha intitolato il nostro Presidente della Repubblica “King George”, riempiendolo di lodi per come è riuscito a mettere da parte un governo di politici e fatto nascere un governo di tecnici. Bene, ci uniamo agli americani nel fare le lodi Napolitano. Ma corre l’obbligo di dire, come pure ha fatto Giovanni Sabbatucci sul “Messaggero” di venerdì, 2 dicembre 2011, che il governo Monti “Non nasce da un accordo politico tra i partiti, ovvero da un patto di «grande coalizione» alla tedesca; e nemmeno da un dichiarato «stato di eccezione» che consenta un temporaneo trasferimento delle prerogative delle Camere nelle mani del capo dello Stato (la soluzione di riserva più volte sperimentata nella Repubblica di Weimar, ma non prevista dalla nostra Costituzione). C’è solo una tregua non scritta, e quindi per definizione fragile, tra le forze politiche maggiori, con l’alto (e informale) patronato del presidente della Repubblica”.
Tregua? Ecco un modo tutto untuoso di dire le cose, tipico degli intellettuali italiani, che cantano al modo delle rane. Si tratta, a seconda di dove la si guarda, o di una resa dei partiti maggiori e dunque della politica, o di un autentico colpo di Stato istituzionale. L’una o l’altra cosa in sostanza fanno emergere la sconfitta della politica, ovvero della democrazia. Poi ad ognuno dei protagonisti la cosa può essere piaciuta o convenuta, per i motivi più vari, ma la realtà non cambia.
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Perché resa o colpo di Stato? Mettiamoci dalla parte della politica. Se ci fosse stata una classe politica seria e forte, responsabile e con amor di patria, pur nelle difficoltà straordinarie del momento, avrebbe fatto le cose che vorrebbe fare il governo tecnico. Invece, la maggioranza non se l’è sentita di adottare provvedimenti impopolari e ha ritenuto conveniente abdicare. L’opposizione, invece di fare la guerra selvaggia alla maggioranza, avrebbe potuto trovare una tregua – quella sì che sarebbe stata tregua politica – e collaborare per far uscire il Paese dal rischio fallimento. Né maggioranza né opposizione hanno saputo sfruttare le opportunità proprie della democrazia. Ora, mettiamoci dalla parte del Presidente della Repubblica. Lo sentiamo ogni giorno fare appello alla Costituzione. Perché allora non si è attenuto alla Costituzione, non ha sciolto le Camere e indetto nuove elezioni? La soluzione di Monti, nominato ad hoc senatore a vita, è più da king, come dicono gli americani, che da president. La sua soluzione – lo ha detto anche il morbido Sabbatucci - “non è prevista dalla Costituzione”. Poi, siamo d’accordo nel dire anche noi – e lo diciamo davvero – viva Napolitano!
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Ovviamente sappiamo perché Napolitano ha operato come ha operato. La barca non deve affondare e in casi di emergenza non si va per il sottile. Il caso Napolitano, in verità, richiama il comportamento del politico. Questi è tanto più autorevole quanto più opera fuori secondo le regole, secondo galateo, e dentro secondo necessità. Ciò che non ha mai voluto capire Berlusconi, che neppure sa che in politica c’è un fuori e un dentro e che il comportamento esterno, quando è corretto, rende dignitoso qualunque comportamento interno, anche il più scorretto e spregiudicato e fa apparire altamente costituzionale perfino un atto che non è previsto dalla Costituzione. In politica la maschera fa il volto.

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