domenica 22 luglio 2018

Trattativa Stato-mafia: Borsellino deve morire




Il 26° anniversario della strage di via D’Amelio a Palermo, avvenuta il 19 luglio 1992, in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque uomini della sua scorta, è stato anticipato di pochi giorni dalla deposizione da parte della Corte d’Assise di Caltanissetta delle motivazioni della sentenza del processo quater, quello dei depistaggi (30 giugno). 1.865 pagine in cui i giudici spiegano perché le indagini su quel terribile atto di guerra della mafia contro lo Stato furono depistate da settori dello Stato stesso. Ed è coinciso con le motivazioni della sentenza della Corte d’Assise di Palermo (19 luglio), che conferma che la trattativa Stato-mafia ci fu ed ebbe come effetto l’accelerazione della strage di via D’Amelio. Condannati, come non poteva non accadere, i soli militari coinvolti. I politici dell’establishment? Alcuni morti, altri moribondi; poi il solito Marcello Dell’Utri, refugium peccatorum, e l’ex Ministro degli Interni Nicola Mancino, il quale non poteva …pagare per tutti. Ma la verità acclarata di queste due sentenze è che lo Stato sa essere criminale quando lo ritiene “necessario”.
Che lezione deve trarre il popolo italiano da quest’altra tristissima vicenda? Se invece di vivere in un paese democratico vivessimo in una dittatura, probabilmente la magistratura non sarebbe giunta alle conclusioni a cui è giunta e cioè che a depistare le indagini sulla strage sono stati uomini delle stesse istituzioni.
Ma la domanda d’obbligo per chi ancora non ha il cervello in umido è per conto di chi hanno agito i depistatori? Cui prodest? si chiedevano i latini. A chi ha giovato la morte di Borsellino e a chi sono giovati i depistaggi per non giungere a sapere chi è stato e perché?
La risposta è scontata. La trattativa con quel che segue ha giovato alla mafia; ma la mafia non è tale se non ha agganci organici agli apparati delle istituzioni. Senza questi agganci non si può parlare di mafia.
Certo non basta la colpevolezza di un questore o di qualche ufficiale dei Carabinieri per dire che lo Stato ha tradito se stesso, che Borsellino è stato ucciso con la complicità dello Stato. Ma il caso Borsellino giunge in Italia dopo molti altri gravissimi eventi terroristici, a partire dal caso Mattei dell’ottobre 1962, in cui quando non è stata affermata la presenza dello Stato non è stata nemmeno esclusa o nelle fasi esecutive dei misfatti o nei successivi depistaggi.
Si sa che la mafia ricorre all’eliminazione degli ostacoli che le impediscono di operare nel malaffare e nel potere quando non ha altri metodi e quasi sempre dopo averli esperiti tutti. La soluzione traumatica è l’extrema ratio.
La lezione che si può trarre dalla vicenda Borsellino è devastante. Per un verso si conferma che una parte dello Stato, deviata si dice, è organica alla mafia in forme stabili e continuative. Dal caso Mattei ad oggi sono trascorsi 56 anni, sono tanti, sono troppi per non avere il timore che il male di cui è affetto lo Stato è cronico e sempre pronto a riacutizzarsi. Per un altro il sospetto che nell’affare Borsellino sia implicata la politica in una delle sue più importanti evoluzioni degli ultimi cinquant’anni, ci fa pensare che questa nostra democrazia, che si sputtana al punto di dire papale-papale di essere lei stessa colpevole dei mali di cui soffre il paese, non è più da preferire ad occhi chiusi ad una dittatura solo perché questa occulta le malefatte e lei no. Per non giungere all’assai più deprimente conclusione che una dittatura si può macchiare di nefandezze quanto si vuole, ma non lo fa mai in combutta con un soggetto, come la mafia, che è per definizione e storia nemica dello Stato.  Si può tollerare che lo Stato non riesca per debolezza a fronteggiare la mafia, ma non si può tollerare che diventi esso stesso mafia al punto da determinare svolte politiche con metodi e materiali mafiosi. Il Paese non può porsi di fronte ad una scelta tra una democrazia mafiosa e una dittatura che almeno garantisce la tenuta dello Stato.
Quando ciò accade gli esiti potrebbero essere terribili. Da cittadini non ce lo auguriamo, ma non possiamo neppure cedere al ricatto di un “soggetto” che, nonostante processi su processi, sentenze su sentenze, alla fine rimane sempre inconoscibile e perciò irresponsabile.

domenica 8 luglio 2018

Populismo o ruspantismo, sempre Salvini è




Forse sbaglio o forse no se attribuisco a Matteo Salvini, capo della Lega, vicepresidente del Consiglio dei Ministri e Ministro dell’Interno, l’esclusiva di un certo cafonismo politico, un misto di populismo e di ruspantismo, di cui lo stesso si compiace e si gloria. Diffuso, è diffuso, ma non al livello raggiunto da lui.
Roberto Fico, esponente di spicco dei Cinquestelle, anima di sinistra del Movimento, Presidente della Camera, non scherza neppure lui quanto ad atteggiamenti irrituali e cafoneschi. Basti pensarlo con le mani in tasca, comu nnu pampasciune, mentre la banda suona l’Inno Nazionale in una pubblica cerimonia in Sicilia.
Ma, che ce ne siano altri, come Salvini o quasi o peggio, nell’essere irriguardosi o insofferenti o ignari dell’etichetta, cambia poco per quanto stiamo per dire. Che non è solo questione di cafonaggine, ma anche di autentica visione prepolitica delle istituzioni.
La sentenza della Corte di Cassazione, in base alla quale alla Lega vanno sequestrati i danari fino all’estinzione del debito di 49mln di euro che ha nei confronti dello Stato in seguito ai fondi pubblici di finanziamento ai tempi di Umberto Bossi, è stata colta da Salvini come un attacco della magistratura alla democrazia, un’aggressione alla Lega e pertanto lo stesso ha deciso di rivolgersi al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per avere giustizia. Come in Turchia – ha detto – vogliono eliminare il più forte partito politico del Paese.
E l’alleato Cinquestelle? Un po’ d’imbarazzo per Luigi Di Maio nel dire che dopotutto è una questione vecchia, dei tempi di Bossi. Vecchia nel merito, d’accordo, ma nel modo come la sta gestendo Salvini è di oggi, è di un partito che sta al potere e in posizione anche di punta.
Ora è di tutta evidenza l’infantilismo di un simile comportamento. E’ come se un bambino, che crede di aver ricevuto un torto dalla sua maestra, minaccia di dirlo alla mamma o al papà. Loro sì che te la faranno pagare!
Che può fare Mattarella? Niente, perché non può fare niente. Non può un Presidente della Repubblica intervenire in alcun modo. Ci mancherebbe altro! Qualsiasi studente di scuola media inferiore sa che lo Stato di Diritto si qualifica per la divisione dei poteri. Evidentemente Salvini non ha studiato neppure i principi più elementari di questo grande traguardo della civiltà giuridica. Non stiamo parlando di Montesquieu o di Locke o di Tocqueville, ma semplicemente della nostra stessa Costituzione.
Se Salvini, in un moto di stizza, a tanto si è esposto è perché coerentemente coi suoi quotidiani gesti di ruspantismo, ha pensato che Mattarella potesse intervenire in un modo qualsiasi a trargli il ragno dal buco, escluso che a lui si sia rivolto per avere un finanziamento una tantum a fondo perduto.
Ma tu guarda a che cazzo di condizioni siamo arrivati!
Di fronte alle giuste rimostranze di quasi tutto l’ambiente politico, alleato Cinquestelle compreso, Salvini ha fatto marcia indietro. Non andrò da Mattarella a piangermi addosso per le ingiustizie che sta subendo la Lega dalla magistratura, ma a raccontargli le cose belle che ho fatto e sto facendo al Ministero dell’Interno. Parole che se non sono di sfottò sono di ironia irrispettosa se consideriamo che Mattarella è da sempre critico verso la politica delle espulsioni e dei porti chiusi a proposito dei migranti. Cose belle le considera lui! Ma Mattarella?
La quaestio salviniana pone problemi in parte vecchi e in parte nuovi. Vecchi, perché in fondo la pratica del sottobanco c’è sempre stata. Salvini può aver pensato: Mattarella non potrà formalmente intervenire, ma potrà sempre servirsi della sua moral-suasion per ammorbidire la magistratura o a non esigere il debito o a ratealizzarlo. Facciamo pure noi dell’ironia, quasi fosse una cartella da rottamare. Nuovi, perché il rivendicato cambiamento di questo governo – in verità più dei Cinquestelle che della Lega – sta naufragando nel peggiore dei modi.
Fin qui di cambiamento si è visto poco. Invece aumentano i casi di peggioramento del vecchio, a cui un Grillo, sempre incredibile, dà del suo con le sue straminchiate: le buche a Roma non ci sono, la Xylella non esiste e via con questi Sim-Sala-Bim, da autentico esorcista o illusionista da baraccone.
L’Italia ci mette poco, dopo aver assaggiato un po’ del “nuovo”, a reclamare il vecchio: arridatece er Puzzone! 
Nessun riferimento a Berlusconi. Ma nel centrodestra s’incomincia ad avere qualche mal di pancia. Che Berlusconi, come diceva Fabrizio De Andrè, possa dare oggi buoni consigli perché non più in grado di dare cattivi esempi può essere, quel che conta però è che un ambiente umano, importante per quantità e qualità, ci riferiamo al centrodestra, non può continuare a riconoscersi, sia pure con tutti i distinguo di questo mondo, in un’élite politica, la Lega, che con la destra ha poco a che fare. L’apertura di credito di Berlusconi a Salvini probabilmente durerà fino alle Europee del 2019, poi accadrà sicuramente qualcosa, che non ci vuole molto a capire trattarsi della rottura della più bizzarra alleanza politica della pur bizzarra politica italiana: essere alleati di una forza che è al governo mentre si fa opposizione a quel governo.

domenica 1 luglio 2018

Governo L-5S: dai buoni a nulla ai capaci di tutto




Due dei tanti cavalli di battaglia cavalcati da Leghisti e Cinquestelle erano in campagna elettorale i migranti e i vitalizi degli ex parlamentari. Sui migranti Salvini, nel dopoelezioni, ha costruito la sua egemonia mediatica pour cause, essendo il problema dei migranti urgente, continuo e a costo zero. Sui vitalizi i Cinquestelle stanno cercando di recuperare visibilità. Sulla tassa piatta (Lega) e sul reddito di cittadinanza (Cinquestelle) per ora si soprassiede; sono cose che costano l’iradidio.
Intanto la benzina sta per raggiungere quota due euro a litro; sono aumentate le tariffe di luce, gas e acqua. Aumenta la sofferenza dei bilanci famigliari, ma nessuno dice niente! La nostra è una società affetta da immunodeficienza acquisita.
La politica è una corte medievale con al centro un buffone che si diverte a prendere per il culo il sovrano, ossia il popolo, con le sue minchiate, delle quali non finisce di compiacersi. E niente; anzi, peggio! Alle sue trombate mentali si scatena un putiferio di dotti che si mettono a fare chiose ed esegesi, quasi a parlare fosse stato Ratzinger. Machiavelli s’ingaglioffiva giocando a tric-trac all’Albergaccio di San Casciano; i suoi omologhi di oggi s’ingaglioffiscono al seguito di Beppe Grillo.
C’è un governo, cosiddetto legastellato o pentaleghista – cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia – che sia in campo nazionale che in quello internazionale si comporta come se non ci fossero né princìpi giuridici né leggi. Così voglio e così faccio.
Sui migranti per anni abbiamo rispettato i trattati con gli altri paesi europei, anche se questo ci ha danneggiati. Colpa dei nostri governi che avevano stipulato e rinnovato il Trattato di Dublino, che ci obbligava ad accogliere in Italia quanti ne arrivavano, mentre gli altri paesi europei facevano finta di non vedere il grande complotto di scafisti e navi Ong che d’accordo facevano servizio di linea dalle coste africane all’Italia e intanto respingevano alle loro frontiere quanti, per gli accordi Schengen, avevano diritto di lasciare l’Italia per un altro paese europeo a loro scelta. Come dire: ci portavano i migranti che dovevamo accogliere in quanto primo paese di approdo, mentre loro li respingevano. Si fossero almeno astenuti dalle loro ipocrite missioni filantropiche! Invece, doglia e cazzinculo. Machiavelli avrebbe dettto: conviene allo Stato rispettare Dublino, Schengen? No! E allora pacta non sunt servanda.
E come abbiamo reagito col nuovo governo? Alla Machiavelli! Dublino o non Dublino, voi in Italia non attraccherete più con le navi cariche di migranti. Al cinismo degli altri abbiamo risposto da teppisti di mare e di terra. Intendiamoci, bisognava mettere fine alle false lacrime degli altri nei confronti di un’Italia lasciata sola a salvare l’onore dell’Europa. Sti cazzi!
In questo siamo riusciti almeno a creare una situazione nuova, dalla quale se non verrà fuori la soluzione ideale dei migranti, potrebbe essere l’inizio di un miglioramento.
La lotta mediatica per apparire meglio e di più, fomentata dalle opposizioni contro Lega e Cinquestelle, ha indotto Roberto Fico, Presidente della Camera, a riproporre la questione dei vitalizi degli ex parlamentari e di lì forse a rivedere tutta la normativa delle pensioni pregresse. Incredibile! Anche la tua, vecchio pensionato, che hai votato Cinquestelle per tenere contento tuo figlio o qualche tuo nipote e che pensavi di essere al riparo.
In un paese, che si è sempre vantato patria del diritto, parte proprio dalla fonte del legislativo, il Parlamento, un provvedimento che viola uno dei più forti e indiscussi principi, quello della non retroattività delle leggi. Che i Cinquestelle lo facciano, come si dice, per propaganda politica in vista delle Europee del 2019 o perché effettivamente convinti di fare giustizia di alcuni privilegi poco conta.
Le pensioni quantificate col sistema retributivo erano perfettamente legali e riguardavano tutti i lavoratori. Quindi, privilegio perché? C’erano forse categorie che non godevano dello stesso sistema? Ora, la situazione economico-finanziaria del Paese è cambiata. E’ stato introdotto il sistema contributivo. Ma l’introduzione di una novità non può far rivedere la situazione ante quem. E’ contro il più elementare principio giuridico.
Siamo nelle mani di autentici filibustieri. I Cinquestelle dicono: quello dei vitalizi non è un diritto acquisito ma un furto a cui bisogna mettere fine. E come? Pulendosi il culo con la legge? I masaniello in Italia hanno fatto sempre una brutta fine. A questi guappi bisogna ricordare il monito liturgico adattatto alla bisogna: Memento, homo, quia Rentius es et in Rentium reverteris!
Non c’è una sola voce autorevole che abbia il coraggio di assumere una posizione in difesa dei principi giuridici e delle leggi in vigore. Tutti fanno il calcolo dell’opportunità o meno di intervenire. Una volta gli anziani sedevano in consiglio, oggi non solo sono stati estromessi ma non riescono neppure ad immaginare di poter svolgere un ruolo fuori. Autentici analfabeti funzionali, perfino i più illuminati sono schiavi del politicamente corretto. Magari se ne stessero zitti! Parlano per aggiungere danno al danno.
E’ vero che gli educatori oggi se la passano male – vediamo continuamente professori derisi e svillaneggiati dagli studenti e picchiati dai genitori – ma la dignità del proprio Status non dovrebbe mai essere messa da parte. Quando mai un vegliardo ha avuto paura di farsi sentire?
Finora i nuovi governanti, che hanno fondato il loro successo sulla credenza popolare che i vecchi erano dei buoni…a nulla, nel senso che erano persone perbene e competenti ma incapaci di risolvere alcunché, hanno dimostrato di essere discoli e incompetenti ma capaci …di tutto, nel senso di violare perfino le più elementari regole della buona educazione e dell’etichetta e di fare strame del diritto e delle leggi.
Se dovessi scegliere l’icona del nuovo ordine di cose, sceglierei Fico, il Presidente della Camera, che ascolta l’inno nazionale con le mani in tasca. A me da bambino dissero che stare con le mani in tasca davanti ad una persona di rispetto era comportamento da facchino; oggi, che non si deve offendere più nessuno, non dico questo a Fico, mi limito a dirgli almeno di non soffiarsi il naso con le mani in una prossima circostanza.