domenica 25 dicembre 2011

Monti: l'anomalia c'è e si vede

In un evidente, per quanto contenuto, scatto di nervi il Presidente del Consiglio Mario Monti alla Camera, qualche giorno fa, discutendo la sua manovra, sbottò rivolto ai suoi critici parlamentari: se queste misure le potevate prendere voi politici, come voi asserite, perché non l’avete fatto e avete lasciato a noi tecnici l’incombenza?
Senza volerlo, Monti ammetteva l’anomalia del suo governo “tecnico”. Già, perché la politica ha lasciato alla tecnica? E’ normale che la politica abdichi come una regina ingualdrappita?
Il Presidente della Repubblica Napolitano dice sì, che è tutto normale, che “non c’è nessuno strappo costituzionale”, che “si doveva evitare uno scontro elettorale devastante”. Altra ammissione, dunque, di anomalia. Prioritariamente si doveva votare, ma era ancor più importante evitare il disastro delle votazioni, data l’incapacità dei soggetti di comportarsi da cristiani. Ma tutto questo prova che in Italia la democrazia ha dei limiti, che può trovarsi nelle condizioni di autosospendersi per uscire da un impasse.
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Ora un Presidente della Repubblica dovrebbe essere super partes, a condizione però che non sia lui stesso pars in partibus. Quando Napolitano difende la sua operazione tecnica, non lo è, difende la sua pars. Che l’operazione porti ad una soluzione della grave crisi è un augurio ed una speranza, che al momento sono ben lontani dal vedersi all’orizzonte. Quel che appare, invece, abbastanza chiaro è che in Italia si può eliminare un governo, una maggioranza parlamentare, legittimamente eletta dal popolo, con una autentica, ossessionante guerriglia mediatico-giudiziaria, in supporto ad una schizofrenica e fessa opposizione politica. Le dimissioni del governo Berlusconi l’hanno data vinta a tutti i suoi “nemici”. Non si può dire al momento se Napolitano fosse d’accordo con Bersani & Compagni sulla soluzione tecnica, quel che si può dire con certezza è che grazie alla soluzione Napolitano la parte politica che doveva trarre profitto dalle dimissioni di Berlusconi, ossia il centrosinistra, è stata messa col culo per terra. Basta guardarli in faccia i sinistri e i centrosinistri, sono tutti purgati. E qui Napolitano torna trionfalmente super partes.
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Ha scritto Beppe Severgnini, più esperto interista che analista, che “Mario Monti ha fatto più in un mese che i predecessori in diciassette anni” (La trappola del pessimismo – Corsera del 20 dicembre). Vede un’altra partita il pur simpatico e caustico editorialista del “Corriere della Sera”, da sempre sostenitore della soluzione Monti. A tutt’oggi non ci sono elementi per esprimere giudizio alcuno. E non potrebbe essere diversamente. Le manovre di governo non sono interruttori “on-off”; deve passare un po’ di tempo per vederne o sentirne gli effetti. Quel che gli italiani fanno in questi giorni è il conto di quanto costerà loro la manovra montiana in un anno. Si parla di circa duemila euro a famiglia. Non c’è da stare allegri e solo di fronte al costo della manovra si può dire, d’accordo con Severgnini, che Monti avrà fatto davvero in un anno più di quanto non abbiano fatto i suoi predecessori in diciassette – ma che dico? – in venti…trenta…quaranta anni.
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Il rischio reale che corriamo è che questo governo tecnico si trasformi in politico. Se tecnico doveva essere, tecnico sia! Invece ogni giorno che passa ci accorgiamo che i ministri tecnici somigliano sempre più ai ministri politici. Oggi dicono, il giorno dopo negano. Passano da un talk-show all’altro. La Fornero attacca l’art. 18 ma poi nega e apre sull’aumento dei salari, frastornando la gente. Siamo o non siamo in crisi? E allora che significa aumentare i salari? Che siano bassi tutti lo dicono da anni e tutti lo sentono sulla propria pelle, ma che per una ragione di compensazione o riequilibrio di rapporti coi sindacati si tenti lo zuccherino improbabile del salario è discorso decisamente poco tecnico e tanto più politico. Viene il sospetto che in Italia tecnici o politici sono sempre e prima di tutto italiani. Un mio vecchio amico comunista, che la sapeva lunga sulle cose patrie, a cui avevo chiesto se veramente lui sperasse nel comunismo in Italia, mi disse: vedi, noi italiani abbiamo avuto il peggiore liberalismo, il peggiore fascismo, la peggiore democrazia. Dio ci liberi dal comunismo – concluse – sarebbe il peggior comunismo! Aveva ragione. I tecnici come i politici, allora? Speriamo che almeno si differenzino in illibatezza amministrativa! Se no, dovremmo andare tutti in pellegrinaggio ad Hammamet.
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Intanto sembrano ricompattarsi anche i socialisti. La fiducia, a mio avviso eccessiva, che Berlusconi sia finito, sta facendo cercare a tutti nuovi posizionamenti. C’è la corsa al restauro. Tutti cercano di darsi una spazzolata e di cercare improbabili ricompattamenti in nome di antiche identità. Ma Berlusconi è lì, con tutti i suoi vivi e tutti i suoi morti, tanto per rispolverare una delle più celebri frasi di Mussolini, che al Cavaliere piacciono tanto. Chi sono i vivi? Ma quelli che gli sono rimasti accanto anche nella cattiva sorte! E i morti? Quelli che lo hanno abbandonato: i Fini, i Pisanu, gli Scaiola. A Berlusconi resta un après-saison importante. Farebbe bene a trascorrerlo senza simili soggetti, squalificati prima ancora dei tradimenti e dei voltafaccia compiuti.
E’ Natale; e gli auguri sono d’obbligo. Cosa ci riserverà il 2012? La politica, come la natura, non facit saltus. Quindi avremo ancora a che fare con molti degli uomini che hanno caratterizzato in negativo il 2011. L’augurio è di vederne alcuni ridotti all’accattonaggio politico. Ed è un augurio generoso, dato che molti di loro hanno già dato prova di essere dei validissimi accattoni. Penso a Fini, che, avuta in regalo una casa a Montecarlo “per la causa”, lui l’ha girata al cognato; penso a Pisanu, che chiedeva a Moggi favori per la sua Torres; penso a Scajola, che aveva avuto in regalo una casa a Roma con vista sul Colosseo all’insegna del manzoniano “tacer pudìco che lieto il don ti fa”. Penso…ma forse in un giorno santo, meglio avere pensieri santi; cambiamo perciò discorso.

domenica 18 dicembre 2011

Monti "disperato", Schifani "pagliaccio", Fini "cialtrone": W l'Italia!

Ora lo dice anche Ernesto Galli Della Loggia: “Stato d’eccezione ma non se ne parla” (“Corriere della Sera” del 12 dicembre 2011). Sì, ma chi ne doveva parlare?
L’episodio più grave da quando esistono la Repubblica e la Costituzione, l’autentico vulnus, è stato l’operazione Napolitano-Monti, altrimenti detto governo tecnico. Dice Della Loggia: “All’ordine del giorno nelle vicende della Repubblica è oggi uno dei temi chiave della grande riflessione politologica del Novecento: lo «stato d’eccezione». Cioè quella condizione di straordinarietà nella vita di una Costituzione in cui, per la necessità di fronteggiare una situazione di emergenza, le sue regole sono sospese, a cominciare da quelle riguardanti la formazione del governo e l’ambito dei suoi poteri. La sospensione può avvenire in via di fatto o di diritto, anche se per ovvie ragioni sono ben poche (almeno a mia conoscenza) le costituzioni democratiche che prevedono, al di fuori del caso di una guerra, le procedure per dichiarare lo stato d’eccezione e i modi di questo”.
E’ sufficiente per capire che anche per il professor Galli Della Loggia la situazione politica italiana, quale si è determinata col governo Monti, è eccezionale e grave.
Va ricordato che in questi ultimi tre anni berlusconiani, che hanno preceduto il governo Monti, più volte Berlusconi ha rivendicato la necessità di rivedere la Costituzione per renderla meno ostativa o ritardante della dinamicità politico-amministrativa dello Stato e del Paese, mentre i suoi oppositori, politici giudici intellettuali comici nani e ballerine, hanno fatto della Costituzione una sorta di “santo sepolcro” e hanno fatto in tutte le sedi, coperte e scoperte, delle “crociate” in sua difesa. Ora se quel sepolcro era davvero “santo” si può discutere, ma che sia stato violato e proprio da chi lo difendeva non c’è dubbio alcuno.
Ma a rendere particolarmente grave l’operazione Napolitano-Monti è che nessuno ha ancora dimostrato che la situazione richiedeva davvero uno “stato d’eccezione”. Le misure adottate dal governo Monti potevano benissimo essere adottate da un governo politico, tanto più che i tecnici, chiamati al governo da Monti, sono gli stessi chiamati da Berlusconi a fornire consulenza al governo. Ed è qui il punto di maggiore eccezionalità e gravità: la politica ha abdicato e il Presidente della Repubblica ha agito in stato di improrogabile necessità, proponendosi come autentico “motore di riserva” del sistema in panne.
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Naturalmente c’è in Italia chi è dell’avviso che nell’operazione Napolitano-Monti non c’è alcun vulnus costituzionale, che anzi si è verificato un “ritorno alla costituzione” e che c’è da auspicarsi che per l’avvenire si continui a fare come ha fatto nella circostanza Napolitano, che si facciano solo “governi istituzionali”, che i ministri siano di nomina presidenziale e che si dia così inizio alla “terza repubblica”. Così Eugenio Scalfari (“la Repubblica” del 4 dicembre 2011).
Nella posizione di Scalfari, non nuovo a contorsionismi mentali per giustificare ciò che a lui piace o condannare ciò che a lui non piace, c’è tutta l’avversione del vegliardo nei confronti dei suoi avversari politici. Scalfari non è più da prendere in seria considerazione e il suo più recente percorso intimistico-filosofico è assai più stimabile delle sue apologie della sinistra e delle sue scomuniche della destra. E’ di tutta evidenza che un gesto è costituzionale o incostituzionale in sé, che la necessità di adeguare la costituzione ai tempi è opportuna o inopportuna in sé. E’ inaccettabile che tutto dipenda da chi compie il gesto. Se lo compie Berlusconi è un attacco alla costituzione da condannare; se lo compie Napolitano è un atto legittimo da osannare.
A tenere bordone al vecchio Scalfari soccorre Casini, l’eterno apprendista della politica cattolica italiana. Ha detto che per lui “Monti può fare quello che vuole” e che sarà un bene che resti nella politica. E’ un altro esempio di soggettivismo valutativo. Casini, come per la verità altri politici, cerca di nobilitare la viltà della politica facendola passare per una scelta libera e sagace, per dimostrare che non c’è nessuna discontinuità tra il prima e il dopo Monti e che tutto è ascrivibile alla politica. Se lo deve proprio ripetere più volte al giorno per convincersi, il pinzochero di Dio!
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Luca Ricolfi su “La Stampa” del 12 dicembre sostiene che “Per tagliare bisogna studiare”. Tesi: Padoa Schioppa, Tremonti ed ora Monti hanno effettuato tagli lineari perché non hanno studiato per conoscere i vari settori ed i loro problemi per effettuare tagli mirati e chirurgici. Le manovre che puntano sull’aumento delle tasse piuttosto che sui tagli alla spesa pubblica non risolvono la crisi, soprattutto sul versante della crescita. “Una correzione di 20 miliardi – dice Ricolfi – fatta con 15, con 10, o con 5 miliardi di tasse in più ha effetti profondamente diversi sulla crescita, e quindi sul futuro di un paese. Se gli aumenti di tasse sono eccessivi e/o mal indirizzati, i rischi di recessione aumentano, e la correzione può non bastare”. Ricolfi ritiene che per poter fare dei tagli mirati occorrono almeno due anni di studi, che i governi non hanno.
Se Ricolfi ha ragione – e ce l’ha – occorre dare all’emergenza governativa tecnica un’altra concessione importante: il tempo. Si rafforza cioè l’idea che la tecnocrazia non è più una necessità transitoria della politica ma è la condizione più opportuna e richiesta se si vogliono risolvere i problemi del Paese. Vuoi vedere che qui prima o poi si fa l’elogio della dittatura perpetua?
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Nel corso del dibattito sull’approvazione della manovra, al Senato qualcuno ha dato del “pagliaccio” al Presidente Schifani; e alla Camera qualcuno ha dato del “cialtrone” al Presidente Fini. Condanno il primo, plaudo al secondo. In ogni caso, al di là di personali antipatie e simpatie, di cui tutti soffriamo, i due presidenti non se le meritavano nello specifico. La manovra è iniqua. Non c’è chi non lo veda, chi non lo sappia. Ma cosa c’entrano Schifani e Fini?
Berlusconi ha detto che Monti è “disperato” e sull’inutilità di governare gli italiani ha scomodato Mussolini. Se le citazioni mussoliniane di Berlusconi rientrano nelle sue imprudenze o stravaganze non so, ma gli do ragione. Monti può ostentare tutta la sua sicurezza – per la verità tanto sicuro non pare – ma sta di fatto che la sua manovra, iniqua – e lui lo sa meglio e più di altri – rischia di non risolvere i problemi dell’Italia. Forse quelli dell’Europa, dove Monti può sempre mimetizzarsi nell’operato comune. Gli auguriamo che riesca bene. Monti è probo; ma intanto, come diceva Giovenale, per quel che ci riguarda probitas laudatur et alget (l’onestà è lodata ma ti fa vivere al freddo). Brrr…

domenica 11 dicembre 2011

Che "Mari & Monti" non finiscano in atlante

C’è qualcosa di evidentemente politico nel linguaggio asettico, dal tono quasi impostato da robot, di Mario Monti; anzi, più di qualcosa. C’è la sicurezza che le sue misure avranno successo, c’è lo spirito messianico, la concezione dell’opposizione come disturbo e impedimento a ben operare. C’è un filigranato disprezzo della politica.
Ecco qualche passaggio del suo discorso, con cui ha presentato agli italiani i suoi provvedimenti.
Evasione fiscale. “Abbiamo preso misure significative contro l’evasione fiscale, voi direte è una cosa che è stata promessa tante volte in passato e che non ha avuto gli sviluppi che avrebbe dovuto: vedrete che i nostri provvedimenti sono piuttosto incisivi a questo riguardo”.
Risveglio della società e dell’economia. “Voi vedrete che sarà un passo significativo dell’Italia verso un maggiore ruolo al merito, alla concorrenza, alla lotta contro i privilegi, contro i nepotismi, contro le rendite e a favore di una maggiore concorrenza e di una maggiore apertura”.
Donne, giovani, territorio, Mezzogiorno. “Ci sono provvedimenti specifici che pur nelle ristrettezze finanziarie mirano a favorire la condizione delle donne, a favorire la condizione dei giovani, a favorire una migliore coesione territoriale e uno sviluppo del Mezzogiorno”.
Che nessuno più rida di noi italiani. Non mancano nelle sue promesse, che sono tipicamente politiche, delle battute polemiche, anch’esse tipiche della comunicazione politica. “Noi vogliamo che ci sia un’Italia che si senta orgogliosa di essere Italia, che gli italiani non si sentano derisi come qualche volta può essere accaduto in passato”. Evidente l’allusione al minuetto Sarkozy-Merkel nei confronti di Berlusconi.
Sviluppo nell’armonia. “Usciamo da una fase politica nella quale l’obiettivo sembrava quasi quotidiano, era il confronto brutale tra le opposte posizioni politiche. […] vogliamo risanare l’economia italiana, vogliamo riavere, ridare all’Italia grande peso nel concerto delle nazioni e soprattutto in Europa e vogliamo anche aiutare la politica, che rispettiamo, a recuperare con l’opinione pubblica un rapporto più disteso perché della buona politica un Paese ha bisogno”.
Pur sorvolando su qualche stonatura che ricorda certa propaganda fascista, come l’orgoglio nazionale e l’aspirazione a contare di più nel consesso delle nazioni, non sembra comunicazione da tecnico quella di Mario Monti.
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Monti ha raccontato a “Porta a Porta” di Bruno Vespa che sua madre gli disse: figlio mio, guardati dalla politica! E lui si è sempre ben guardato. Berlusconi gli aveva offerto il ministero dell’economia e addirittura la presidenza del consiglio in un governo di centrodestra. E lui, il politofobo, ha rifiutato, memore di quanto gli aveva raccomandato la mamma. Ma, come spesso accade, più si cerca di fuggire dal lupo e più si finisce per cadergli in bocca. Oggi Monti è l'uomo del più sofisticato e abile politico italiano: Giorgio Napolitano.
Ma, che concezione ha della politica Mario Monti? Non è sbagliata, è limitativa. A sentirlo sembra che per lui la politica sia il luogo in cui più che pensare ai problemi del Paese in prospettiva si pensa ai bisogni immediati dei cittadini in funzione del consenso elettorale. Domanda: “Qual è il vero costo della politica?”. Risposta: “E’ che chi governa prenda decisioni miranti più all’orizzonte breve delle prossime elezioni che all’orizzonte lungo dell’interesse del Paese, dei nostri figli, dei nostri nipoti. […] è a causa di quella politica che oggi i giovani italiani fanno così fatica a trovare lavoro, che abbiamo squilibri territoriali rilevanti tra Nord e Sud, che abbiamo un debito pubblico molto grande. […] questo è il momento in cui il capo dello Stato e il Parlamento hanno chiesto a questo governo di aiutare a, direi, salvare l’Italia e a sviluppare l’Italia”.
Dunque la politica in Italia ha fallito, la democrazia è inadeguata. L’azione del suo governo “tecnico” è salvifica. Noi – sembra dire Monti – faremo bene dove gli altri hanno fallito; ma voi non sarete in grado di verificarlo, perché gli esiti li vedranno i vostri nipoti.
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Ma è proprio così? Ribadito che noi tutti in Italia invochiamo il Dio dell’Italia a mandarcela buona, con Monti o senza Monti, appare di tutta evidenza che nell’operato del governo si preannunciano fasi diverse. La prima, la più immediata, non è di salvare l’Italia, ma l’Europa; non è di salvare il reddito degli italiani, ma l’Euro dei mercati e delle banche. Si dirà: ma salvando l’Europa e l’Euro si salveranno anche l’Italia e gli italiani. Quali italiani? I “figli dei padri malati”, per usare un’immagine dello scapigliato Emilio Praga? No, ma i nipoti, se non addirittura i pronipoti. E’ in questo, evidentemente, la forza di un governo che non si preoccupa dei problemi immediati della gente viva e presente ma di quelli della gente che verrà. Soffrite, abbiate fede e tacete! Dunque, i giovani che oggi hanno trent’anni si mettano l’anima in pace, il loro destino è quello di fare gli accattoni; non potendo lavorare non avranno nemmeno una pensione; ma, in compenso, possono gioire al pensiero che i loro figli, se avranno il coraggio di farne, godranno domani in opulenza della loro fame di oggi. Tutto questo ha dell’assurdo. E c’è da temere che prima o poi il pallone scoppierà. Da temere, s’intende, perché gli scoppi provocheranno, come sempre è accaduto, delle tragedie nazionali e sociali.
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Non si vuole ammettere che oltre agli errori politici interni del passato, quelli richiamati da Monti, ci sono anche scelte politiche esterne altrettanto sbagliate, che, però, non vengono citate come tali perché ancora si insiste su di esse. Da Maastricht in poi – per venti anni – gli Stati nazionali dell’Unione Europea hanno ceduto non poche e non irrilevanti quote di sovranità, credendo ciecamente nel progetto europeo, al punto che nessuno si è preoccupato di un’uscita di sicurezza. Ci sono Stati, come l’Inghilterra e la Danimarca, che non hanno mai voluto cedere neppure la minima quota della loro sovranità, e non sono entrati nella moneta unica. Oggi questi Stati e i loro popoli non si trovano nella condizione disastrosa in cui si trova la gran parte degli Stati della cosiddetta zona euro e di dover cedere ancora altre quote della loro sovranità. Mentre hanno continuamente inglobato Stati su Stati, oggi sono ventotto, senza alcuna selezione, infatuati dall’Europa, non hanno pensato a dotarsi di qualche meccanismo di difesa.
Non è euroscetticismo, ma pragmatismo. La moneta unica si poteva anche fare con diverse garanzie, sia interne ai vari Stati – penso al disastro provocato in Italia per i lavoratori a reddito fisso che si son visto dimezzare il reddito – che esterne, per evitare che Stati meno virtuosi o più bisognosi trascinassero gli altri nella loro condizione di crisi.
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Non si vuole ammettere che aver fatto entrare la Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio è stato un danno enorme per l’Europa. Perché la Cina riesce a produrre a costi incomparabilmente più bassi che nei paesi europei, dove i salari tengono altissimo il costo del lavoro. Oggi la Cina ha invaso di suoi prodotti l’intera Europa. Peggio messa è l’Italia, dove – come si sa – non c’è vigilanza alcuna e le aziende cinesi, potendo lavorare e produrre a condizioni di favore, hanno costretto a chiudere le aziende italiane. Basti pensare al disastro di Prato, dove un’antichissima tradizione tessile oggi non ha più un solo telaio italiano in funzione. Basti pensare che i cinesi producono quello che prima veniva prodotto dalle grandi firme, le quali oggi devono puntare tutto oltre che sull’eccellenza sulla novità e creatività. Molte aziende italiane, che lavoravano per le grandi firme, hanno chiuso, altre son dovute riparare all’estero, creando disoccupazione in Italia e gravando sugli ammortizzatori sociali, meccanismo che prende dallo Stato senza dare.
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Non si vuole ammettere che è mancata in Italia una concreta e prudente politica dei giovani e del lavoro. La scuola italiana ha prodotto laureati e diplomati senza nessun criterio. La stupida convinzione che una volta la scuola di classe garantiva titoli solo ai ricchi si è trasformata nell’altrettanto stupida convinzione che bisognava dare un titolo a tutti, a loro libero e sconsiderato piacimento. Conclusione: oggi ci sono centinaia di migliaia di professionisti senza un posto di lavoro, molti dei quali inadeguati o scarsamente preparati, e ci sono centinaia di migliaia di posti di lavoro in non pochi settori dell’artigianato senza lavoratori. Ciò che ha indotto i titolari delle aziende a fare ricorso al lavoro degli immigrati.
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Ci saremmo aspettati che Monti facesse una disamina più corretta e meno “ideologica”, che non si limitasse alla critica della politica per giustificare i suoi duri provvedimenti e farli passare come inevitabili per scongiurare la catastrofe. Anche nell’ipotizzare uno scenario del tipo greco: stipendi e pensioni non pagati, Monti ha dimostrato una certa tecnica dell’uso della propaganda politica con un valore aggiunto: quello di apparire il salvatore della patria che nessuno deve disturbare.
Le promesse di Mario Monti, nelle quali vogliamo credere, ad onta del nostro abituale scetticismo, temiamo che, basandosi su cose dette e su altre non dette, potrebbero finire come quelle del marito farfallone, che alla moglie, che gli rimproverava di averle promesso da fidanzati mari e monti, alla fine regalò un atlante geografico, dove di mari e di monti ce n’erano un’infinità, ma di…carta.

domenica 4 dicembre 2011

Il governo Monti, King George e la palude degli intellettuali

“Qui non si canta al modo delle rane” diceva in un suo poemetto il poeta Cecco d’Ascoli, astrologo, bruciato vivo come eretico nel 1327. Verso ripreso poi in esergo dalla rivista futurista “Lacerba” di Giovanni Papini e Ardengo Soffici. Ma da quale necessità i futuristi Papini e Soffici traevano l’opportunità di precisare che la loro voce era fuori dalla palude? Beh, erano in polemica con la “Voce”. Al di là delle specifiche motivazioni primonovecentesche – allora se le davano di santa ragione in ogni senso – emerge un dato generale e diffuso: in Italia la condizione normale è la palude e chi vuole differenziarsene lo deve dire e fare ad alta voce, fuori dal gracidio.
Dico questo perché da quando è nato il governo Monti si è rinnovato un fenomeno straordinario: chi prima urlava a squarciagola in difesa della Costituzione e contro i suoi nemici, che erano berlusconiani e berluscones, ora o tace o si è opacizzato. Non so che cosa pensi di questo governo Giovanni Sartori, per esempio. Galli della Loggia scantona su tematiche più ampie. Panebianco è sfumato. Sabbatucci è comprensivo. Sergio Romano spiega e spiega, ma senza dire “la parola che mondi possa aprire”. Ostellino osa un po’ di più, ma anche lui preferisce morsicarsi le labbra piuttosto che dire apertis verbis quello che pensa. Insomma, intellettuali e giornalisti, studiosi e politologi, si sono bulgarizzati. O tacciono o fanno finta di non dire. Si può essere d’accordo fino ad un certo punto, dato che la situazione è grave, anzi gravissima. Ma qui torna a riproporsi la questione del ruolo degli intellettuali.
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Quanto è accaduto in Italia con la nascita del governo Monti è assai più grave, in termini politici, dei pur gravi fatti pregressi di questa nostra democrazia. Faccio alcuni esempi, per capirci: il rapimento e l’assassinio di Moro, la condanna per mafia di Andreotti, la fuga e la latitanza di Craxi, le “stravaganze” di Berlusconi. Aggiungerei perfino l’invasione del campo politico da parte di molti magistrati, i quali non hanno ancora capito l’ésprit des lois del Montesquieu. Che sosteneva che i tre poteri, legislativo-esecutivo-giudiziario, spettavano a tre soggetti diversi non già perché uno solo non fosse in grado di reggerli tutti – secoli di monarchia assoluta avevano dimostrato il contrario – ma perché uno Stato di Diritto si basa su precise garanzie di separazione dei poteri. In Italia ci sono magistrati che pretendono non solo di interpretare ad arbitrio le leggi ma addirittura di fare le riforme che riguardano la giustizia, che è come dire che un potere dello Stato, il giudiziario, pretende di sovrapporsi agli altri due, legislativo ed esecutivo. Nessuno si è scandalizzato finora per questo o ha alzato la voce, tranne i diretti interessati o piuttosto colpiti dalle prepotenze giudiziarie. Come nessuno ha alzato la voce contro Gianfranco Fini che ha fatto strame della terza carica dello Stato. La verità è che in Italia nessuno ha un minimo di compostezza etica, dal bambino che calpesta le aiuole al manager che corrompe i politici per ottenere favori e compiere affari. E’ così diffuso il cialtronismo che la magistratura trova corruttori e corrotti come l’ittica attinge spigole coltivate nelle vasche e nei bacini di produzione. La democrazia in Italia produce malaffare.
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Il New York Times ha intitolato il nostro Presidente della Repubblica “King George”, riempiendolo di lodi per come è riuscito a mettere da parte un governo di politici e fatto nascere un governo di tecnici. Bene, ci uniamo agli americani nel fare le lodi Napolitano. Ma corre l’obbligo di dire, come pure ha fatto Giovanni Sabbatucci sul “Messaggero” di venerdì, 2 dicembre 2011, che il governo Monti “Non nasce da un accordo politico tra i partiti, ovvero da un patto di «grande coalizione» alla tedesca; e nemmeno da un dichiarato «stato di eccezione» che consenta un temporaneo trasferimento delle prerogative delle Camere nelle mani del capo dello Stato (la soluzione di riserva più volte sperimentata nella Repubblica di Weimar, ma non prevista dalla nostra Costituzione). C’è solo una tregua non scritta, e quindi per definizione fragile, tra le forze politiche maggiori, con l’alto (e informale) patronato del presidente della Repubblica”.
Tregua? Ecco un modo tutto untuoso di dire le cose, tipico degli intellettuali italiani, che cantano al modo delle rane. Si tratta, a seconda di dove la si guarda, o di una resa dei partiti maggiori e dunque della politica, o di un autentico colpo di Stato istituzionale. L’una o l’altra cosa in sostanza fanno emergere la sconfitta della politica, ovvero della democrazia. Poi ad ognuno dei protagonisti la cosa può essere piaciuta o convenuta, per i motivi più vari, ma la realtà non cambia.
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Perché resa o colpo di Stato? Mettiamoci dalla parte della politica. Se ci fosse stata una classe politica seria e forte, responsabile e con amor di patria, pur nelle difficoltà straordinarie del momento, avrebbe fatto le cose che vorrebbe fare il governo tecnico. Invece, la maggioranza non se l’è sentita di adottare provvedimenti impopolari e ha ritenuto conveniente abdicare. L’opposizione, invece di fare la guerra selvaggia alla maggioranza, avrebbe potuto trovare una tregua – quella sì che sarebbe stata tregua politica – e collaborare per far uscire il Paese dal rischio fallimento. Né maggioranza né opposizione hanno saputo sfruttare le opportunità proprie della democrazia. Ora, mettiamoci dalla parte del Presidente della Repubblica. Lo sentiamo ogni giorno fare appello alla Costituzione. Perché allora non si è attenuto alla Costituzione, non ha sciolto le Camere e indetto nuove elezioni? La soluzione di Monti, nominato ad hoc senatore a vita, è più da king, come dicono gli americani, che da president. La sua soluzione – lo ha detto anche il morbido Sabbatucci - “non è prevista dalla Costituzione”. Poi, siamo d’accordo nel dire anche noi – e lo diciamo davvero – viva Napolitano!
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Ovviamente sappiamo perché Napolitano ha operato come ha operato. La barca non deve affondare e in casi di emergenza non si va per il sottile. Il caso Napolitano, in verità, richiama il comportamento del politico. Questi è tanto più autorevole quanto più opera fuori secondo le regole, secondo galateo, e dentro secondo necessità. Ciò che non ha mai voluto capire Berlusconi, che neppure sa che in politica c’è un fuori e un dentro e che il comportamento esterno, quando è corretto, rende dignitoso qualunque comportamento interno, anche il più scorretto e spregiudicato e fa apparire altamente costituzionale perfino un atto che non è previsto dalla Costituzione. In politica la maschera fa il volto.