domenica 30 agosto 2015

Renzi ovvero la dittatura alla vasellina


Da qualche tempo non si vede più in televisione la pubblicità della caramellina per l’alito fresco “Mentos cool”; quella che immediatamente faceva pensare a Matteo Renzi, una specie di moderno italico Fonzie. Eliminata perché satireggiava il capo del governo? Può essere, non perché si minacciavano o si temevano rappresaglie dell’Ovra o squadristiche, come ai tempi del fascismo, ma perché in Italia c’è una vocazione al leccaculismo. Mussolini fece un grande errore a istituire censure e organismi di controllo e di repressione: in Italia si acquietano e si accodano tutti con grande contentezza, fino a quando la situazione non muta. Non ricordo più dove lessi qualche anno fa che la mattina del 25 luglio del 1943 la popolazione italiana si ritrovò di novanta milioni di abitanti: quarantacinque di fascisti e quarantacinque di antifascisti. Per fortuna la clonazione durò poco, mentre i primi scomparivano come per magia.
Renzi non si discute. Nessuno lo discute. Qualche volta in televisione giornalisti fessi chiedono alla personalità di turno se ha votato per Renzi, dimentichi o ignari che Renzi non si è mai candidato se non a sindaco di Firenze. E quelli danno risposte evasive ma non contrarie. Recentemente Paolo Villaggio ha detto “non lo conosco”; ma il signor Fantozzi – si sa – assume sempre posizioni surreali. Chi te la fa fare a metterti non contro Renzi ma contro l’opinione pubblica ormai infatuata? Tutti teniamo famiglia, tutti dobbiamo lavorare e mangiare. 
Il secondo indizio di un avvicinamento a forme di spontanea dittatura è la politica dell’opposizione a Renzi. Ogni volta che il nuovo duce promuove una riforma, a cui dà titoli pubblicitari di scuola berlusconiana, la “buona scuola” suona come la “buona pasta”, le opposizioni, a partire da quella interna, minacciano sfracelli; poi tutto scorre liscio come l’eracliteo “panta rei” di scolastica memoria.
Ora, non capite, signori oppositori, che quando si è contro qualcosa in democrazia si può e si deve manifestare il dissenso ma non si deve minacciare nulla, specialmente quando poi non si riesce a far nulla? In casi simili la gente incomincia a innamorarsi del “malvagio” di turno, che nonostante i “buoni” oppositori, riesce a fare quello che gli passa per la mente. Magari solo per raggirare il paese, come nel caso di specie.
Il paese tace. I giudici tacciono. Non c’è caso discutibile che non venga risolto in favore del partito di maggioranza: a Napoli resta De Magistris, a Roma resta Marino, alla Regione Campania resta De Luca. Tutti signori che stanno col centrosinistra. Incomincia a prendere piede che non c’è nulla da fare; e ammettere: questi sanno fare l’opposizione quando sono all’opposizione; la maggioranza quando sono in maggioranza.
A Roma, col caso Casamonica, dopo tuoni e fulmini per tre-quattro giorni, tutto si è aggiustato. Ognuno è rimasto al suo posto. Il governo si è inventato il doppio sindaco Marino e Gabrielli, con Marino nelle vesti di Ratzinger o di Celestino V: commissariato o esautorato? Facciamo noi!
L’immigrazione, la vera tragedia di milioni di persone e di paesi dalla civiltà millenaria, che rischiano di snaturarsi nel volgere di qualche decennio, scivola come biglia su un piano inclinato. Vogliono far passare l’idea che non c’è niente da fare. Il fenomeno è biblico - dicono - è una specie di calamità naturale, contro cui nulla si può. Che ci siano paesi europei che costruiscono muri e minacciano l’intervento dell’esercito, a noi italiani papisti e renzisti non ce ne fotte una minchia: noi siamo tutti fratelli e dunque apriamo le porte a tutti. Fino all’altro giorno perfino i preti dicevano che in fondo si trattava di poche persone che scappavano dalla guerra, oggi dicono che è un fiume in piena e che addirittura non ha senso distinguere i profughi da quelli, che sono la stragrande maggioranza, che vengono in Europa per lavorare e stabilirsi.
Per carità, fare politica, amministrare un paese lasciando che tutto accada spontaneamente può essere una posizione rispettabile; ma questo in realtà non accade. Tutto quello che si verifica è perché ci sono scelte a monte, che magari si camuffano o si finge di non aver compiuto. L’immigrazione è oggi un fiume in piena. Ma perché? Perché abbiamo fatto capire fin dall'inizio che accettiamo tutti e addirittura abbiamo favorito il fenomeno. Oggi ci sono regioni africane e asiatiche che si svuotano come sacchi sull’Europa? Accade perché noi lo abbiamo voluto, potevamo impedirlo. I modi sarebbero potuti essere tanti. Invece abbiamo fatto l’esatto contrario di ciò che sarebbe convenuto fare.
E tu – potrebbe dire qualcuno – sei in grado di dire che cosa sarebbe stato giusto fare? Non io, loro stessi lo dicono, i signori governanti, nel momento in cui arrestano e processano gli scafisti, i noleggiatori di barconi che trasportano immigrati. Non è possibile in diritto penale considerare legittima un’azione (il trasporto di immigrati) e illegittimo chi la compie (gli scafisti). E’ un assurdo, che solo in politica trova una spiegazione.
Ma torniamo all’avviamento italiano verso una nuova dittatura. Al di là di ogni analisi dei soggetti politici, delle leggi elettorali e dei metodi di lotta politica esistenti, c’è una pericolosa tendenza a considerare normale ciò che solo qualche anno fa, fino alla crisi della partitocrazia, si valutava in tutta la sua negatività, in tutta la sua carica antidemocratica. Una dittatura imposta con la vasellina, che scivola dentro senza dolore e anzi con una sensazione di piacere. Se questa è una metafora!

mercoledì 26 agosto 2015

Roma capitale...delle banane


Come volevasi dimostrare: per la sconcezza romana dei funerali rom-mafiosi non paga nessuno, ma – e non si vergognano di dirlo – da questo momento promettono che non accadrà più.
Non accadrà più? Ma siamo proprio dei coglioni! E che significa? I provvedimenti non riguardavano il futuro, riguardavano il passato; da sanzionare era l’accaduto. Che non debba accadere più è una minchiata, una frase fatta che non significa nulla.
Vogliamo che i responsabili paghino. In uno Stato, che voglia considerarsi tale, la punizione è terapeutica. Paghi il responsabile e non c’è bisogno neppure di dirlo, che non accadrà più. Se qualcuno paga, altri saranno bene attenti a non mettersi nelle stesse condizioni. Se, invece, mai nessuno paga, tutti si sentono autorizzati a strafottersene.
Ma lo assicura il Prefetto Gabrielli, lo assicurano tutti: sindaco, ministro, questore, comandante dei vigili urbani, tutti, ma proprio tutti, in un coro da far invidia a quello verdiano del Nabucco!
Roba da idioti. Idioti non quelli che le dicono e che le fanno queste cose; idioti noi, cittadini italiani, che le subiamo come tante pecore fesse.
In un paese dove la cialtroneria è diffusa al pari dell’arte e la delinquenza organizzata si confronta con la civiltà millenaria del diritto si esclude per scelta ideologica ogni e qualsiasi punizione. Qualunque cosa faccia uno, non è passibile di niente, a nessun livello. Siamo i talebani del cialtronismo, l’Isis della balordaggine, la Jihad del perdonismo. Gesù Cristo deve sembrare un boia implacabile al nostro confronto.
Dovrebbe montare una rabbia punitiva negli italiani da invocare punizioni esemplari e castighi chirurgici, solo per avviare un principio di sanatoria civile; e invece si continua imperterriti con la cultura dell’irresponsabilità, del non è successo niente, del mo’ faccia Dio, del non accadrà più. Assurdo e paradossale nel suo elementare infantilismo pensare di mettere le cose a posto con la nomina di un altro commissario all’ordine pubblico; come se finora tutto fosse stato lasciato al disordine e al fai da te. Non perché qualcuno non abbia fatto il suo dovere, ma perché nessuno sa cos’è il dovere, perché qui, in Italia, è vietato vietare, è proibito vigilare, è assolutamente esclusa ogni possibilità di chiedere un rendiconto, per il quale si è stipendiati e avviati a splendide carriere e spesso a laute pensioni. 
In questa incredibile deriva morale ci sono gli ideologi dell’imbecillità eretta a sistema culturale. Sono i professionisti dell’invettiva inutile, del colpo a salve, del tanto rumore per nulla, del paradosso per animare insulsi talk-show, con quel campione inossidabile che è Vittorio Sgarbi.  
E’ un paese irredimibile. A Natale ci sono dirigenti scolastici che non vogliono allestire il presepe per non offendere i musulmani. Ogni tanto qualcuno si rivolge all’Europa per togliere il Crocefisso dai locali pubblici. C’è gente che invoca per i marò italiani l’impiccagione. Ci sono preti che modificano inni e canzoni patriottici troppo spinti verso l’eroismo militare. In Alto Adige non si celebra la Grande Guerra per non offendere gli altoatesini che si considerano ancora sudtirolesi e cittadini austriaci. Non si studiano più quegli autori della letteratura italiana che risultano oggi dissonanti con lo spirito odierno.
E questo lo consideriamo un paese serio? Una nazione? Uno Stato? O non è, per caso, la repubblica delle banane, dove ogni tanto si fa finta di indignarsi per rivendicare un’improbabile dignità?
Quanto accaduto a Roma capitale – capitale delle banane – non doveva indignare nessuno, doveva semplicemente far scattare automatiche dimissioni dei signori ministro dell’interno, sindaco di Roma, prefetto, questore e comandante dei vigili urbani. In un paese serio quello che era accaduto non sarebbe accaduto ma se per remota ipotesi fosse accaduto ci sarebbero state automaticamente le autopunizioni. Ma aggiungo, in un paese serio – e il nostro non lo è – ci sarebbe stata una autorità superiore che sarebbe intervenuta per mettere le cose a posto. Ma in Italia parlare di autorità è apologia di fascismo, è negazione di democrazia, è offesa alla libertà.
Ora, a pagare – ma con un po’ di fumo negli occhi – sono solo i Casamonica, i quali un po’ per tradizione rom un po’ per jattanza mafiosa si sono fatto con le loro esagerazioni un colossale autogol. Intendiamoci, nemmeno loro pagheranno come dovrebbero; non si capirebbe perché finora nonostante gli arresti e i sequestri di beni e di soldi sono ancora lì a fare i re di Roma, sia pure in compagnia di altri tre o quattro loro pari. E’ probabile che qualche “reprimenda” la subiranno proprio dai loro consimili per aver rotto la pax mafiosa.
Vedrete, passata la festa, gabbato il santo. Tutto tornerà come prima, fino al prossimo sfregio civile. Accadrà, accadrà ancora di vedere in Italia spettacoli simili e peggio, perché in questo paese “cosa fatta capo ha” – diceva Malaparte, ma capo di che? 

domenica 23 agosto 2015

Casamonica: il funerale del padrino non indigna nessuno


Ma davvero in questo paese si può essere così ipocriti da indignarsi per cose assolutamente abituali? I funerali di Vittorio Casamonica a Roma, giovedì, 20 agosto, sfarzosi e pacchiani, nel più vieto stile hollywoodiano, con carrozza trainata da sei cavalli, elicottero che dall’alto semina petali di rose rosse sulla bara all’uscita dalla chiesa, Roll Royce e tanti vigili urbani impegnati a deviare il traffico dalla zona per non intralciare la messinscena, sono la logica e perfetta conclusione di un modo di essere in Italia che chiama e coinvolge tutti (iperbole). Sicché la finta indignazione di giornalisti e politici, intellettuali e persone comuni, indigna – questa volta a ragione – quei pochi (realtà) che vedono ogni giorno e in mille cose che accadono in questo paese i segni di quei funerali, di quel potere ostentato, di quella sfida allo Stato.
Che cosa sono l’approssimazione, la noncuranza, l’abituale violazione dei regolamenti da parte degli italiani, di tutti gli italiani (ancora una volta iperbole), se non i presupposti di quell’insulso spettacolo? La spazzatura in pubblico, le buche per strada, i divieti di traffico e di velocità continuamente violati, gli ascensori pubblici che si fermano, i pass falsi, le carrozze delle metropolitane senza condizionatori d’aria, le spiagge abusivamente occupate, i muri cittadini imbrattati, la schifezza diffusa sono elementi che non solo appartengono alla stessa cultura di quei funerali ma ne costituiscono la premessa. Sono piccole cose d’immenso significato. Ma poi ci sono le cose immense, enormi di questo nostro incredibile paese, come la legittimazione del fatturato delle attività illecite considerate nel Pil del paese per poter stare nei parametri europei, dalla stessa Commissione Europea approvato. Il che significa che perfino l’Europa accetta ormai, come fenomeno ineliminabile, quel che non dovrebbe mai accettare, ossia quella parte di prodotto interno lordo di provenienza illecita, frutto di attività illegali e criminose.
Il modo di essere degli italiani, così condannato a parole dagli italiani – lo leggiamo nei giornali e nei libri, lo sentiamo alla televisione da politici e opinionisti – ma poi così difeso ed esercitato dagli stessi italiani quale inimitabile modo di essere nel mondo – liberi, tolleranti, creativi, buoni; ovvero sciatti, cialtroni, opportunisti, menefreghisti – porta, nel senso che produce, disamministrazione, mafia, delinquenza, degrado. E’ un fenomeno in cui le premesse sono allo stesso tempo conseguenze: l’effetto produce a sua volta la causa, in un ciclo in cui alla fine è quasi impossibile individuare i termini e i tempi della catena.
Si dice che Vittorio Casamonica fosse uno dei capimafia più potenti di Roma. Chi doveva saperlo, lo sapeva da anni. Nel 2012 furono circa quaranta gli arrestati di quel clan, con sequestro di soldi e di beni.
Domanda ai sigg. Ministro dell’interno, Sindaco, Prefetto e Questore di Roma: perché non si teneva sottocontrollo la famiglia, sia per gli aspetti legali che per quelli etici e di costume? Non si poteva immaginare che i funerali del capo si sarebbero potuti trasformare nell’occasione buona per far dire a questa gente: è morto il re di Roma, il potere continua ad essere nostro, qui comandiamo ancora noi? Risposta: sicuramente sì, se non fosse che in questo paese tutto scorre alla buona, nell’infingardaggine, spontanea e perseguita, di chi dovrebbe vigilare e provvedere e invece se ne fotte nell’irresponsabilità assoluta.
Domanda, questa volta al Papa, che è anche Vescovo di Roma: signor Papa, che a giorni alterni dici di voler scomunicare i mafiosi ma poi non scomunichi nessuno, che inviti a peccare, tanto il Signore non si stanca mai di perdonare, mentre i tuoi vescovi e i tuoi parroci non devono permettersi di giudicare, che pensi del Casamonica che nella gigantografia esibita sembra più papa di te, con la croce che gli pende sul petto, in abito bianco che sovrasta San Pietro e il Colosseo e si accinge ad approdare in paradiso? Risposta: in fede mia non so immaginare una risposta. Bisognerebbe venire dalla fine del mondo per immaginare cose dell’altro mondo.
Il tam tam delle indignazioni continuerà per qualche giorno, il tempo per parlare d’altro, del ritorno a casa dei vacanzieri, dell’inizio della nuova stagione lavorativa, della riapertura dell’anno scolastico all’insegna dell’ennesima minchiata governativa, la “buona scuola”: poi, più niente, come è successo tante altre volte.
Del resto vediamo in ogni parte d’Italia ormai, una volta nel solo Mezzogiorno, che mentre si inaugurano strutture con gli immobili sequestrati ai mafiosi, altri mafiosi o magari gli stessi, coperti da prestanomi, comprano e costruiscono altri immobili, in un giro che fa pensare, per la sua ripetitività, alle storie dei fumetti, coi personaggi fissi: coi Paperon dei Paperoni e la Banda Bassotti, Topolino e Zio Paperino, Gastone e i nipotini Qui Quo Qua. E’ mai cambiato niente in quelle storie di Walt Disney? Niente. Così in Italia: si arrestano capi e pericolosi latitanti – spesso perché non servono più a niente e vengono bruciati dagli emergenti – e si consente ad altri di imporsi al loro posto più forti e arroganti, più minacciosi e sfarzosi.
Ecco perché i funerali di Vittorio Casamonica, così esibiti e sbattuti in faccia agli italiani, in realtà men che indignare non sorprendono nessuno. Tranne i professionisti dell’indignazione. 

domenica 16 agosto 2015

Immigrazione: verso il peggio a rimorchio della Chiesa


C’è del nervosismo nella Chiesa. Il Papa le spara sempre più grosse. Respingere i migranti è un atto di guerra. Da parte di chi e contro chi? Le guerre si fanno tra Stati, non tra masse informi e anonime di gente. Non sa quel che dice, parla come un veterocomunista che non ha mai visto mondo. Diventa minaccioso perfino quando prega la Madonna per accogliere i poveri e gli umili e sbaragliare i ricchi e i superbi (Angelus del 15 agosto).
Ben strano il suo guevarismo. Il testo della sua enciclica “Laudato si’…” è in testa alle classifiche dei libri più venduti; i suoi gadget vengono pubblicizzati perfino dalla televisione; in ogni edicola è pieno di pubblicazioni delle sue case editrici. E’ un business formidabile. Questo papa è una macchina di soldi, ben più dei suoi predecessori. Spara a zero contro i soldi e intanto ne produce in quantità industriali, da autentico capitalista. 
Il suo verbo, plebeo e risentito, sta creando nella Chiesa non pochi malumori, soffocati ma non eliminati. Quando Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, se ne esce con certi improperi e ingiurie contro dei politici, che fino a prova contraria rappresentano le istituzioni dello Stato, delle due l’una: o vuol lanciare un messaggio al Papa di smetterla e di lasciare agli “inferiori” di accapigliarsi coi politici o ha perso la testa nella confusione generale che regna nella Chiesa italiana da quando è giunto questo papa dai confini del mondo.
La Chiesa deve fare la Chiesa. E’ tanto difficile capire che lo Stato deve fare lo Stato? E che quel che deve fare lo Stato non è esattamente quello che vuole fare la Chiesa? Non è difficile capirlo. Ma la Chiesa ha dei flussi di memoria, che le creano illusioni di cesaropapismo; diventa arrogante e minacciosa; soprattutto ricattatoria. Sa che i politici italiani pendono da sempre dalle sue labbra. Sa che la politica italiana è in crisi, che non ha un solo suo rappresentante autorevole e credibile. Ne approfitta per ricattare l’azione del governo, del parlamento, delle istituzioni. Cerca di sfruttare il momento suo buono; dopo, chissà che cosa può accadere. Perfino Salvini che aveva ragione di rispondere al papa per come avrebbe meritato si è astenuto per non sentirsi a quell’altezza – così ha detto – e a Galantino ha risposto in modo morbido, da mezzo chierichetto.
Si può essere favorevoli o contrari alla politica del governo italiano verso l’immigrazione. Non è questo il punto. Nessuno può essere favorevole senza condizioni, a parte il Papa, che parla senza cognizione temporale. Ma è un fatto che né la maggioranza di governo né l’opposizione elaborano uno straccio di rimedio a quella che è un’autentica invasione, i cui effetti devastanti si vedranno di qui a qualche tempo.
Certo, non è solo una questione italiana. Ben lo vediamo. E’ una questione europea e mondiale, di non facile soluzione. In altri tempi si sarebbe già tentato di risolverla con la forza, non respingendo i barconi dei migranti, ma creando nelle loro terre le condizioni perché questi potessero vivere in pace e nel progresso, mettendo fine alle lotte tribali, alle dittature e dando concreti aiuti di ogni genere a quelle popolazioni. Ma  dopo settant’anni di pace e di rifiuto della guerra non è opzione neppure da considerare alla lontana. Vediamo che perfino a quattro passi da noi le soldataglie dell’Isis, in Libia, spadroneggiano, uccidono, distruggono sotto gli occhi della comunità internazionale. Le ambasciate chiudono. Gli Europei scappano con la coda tra le gambe, come cani bastonati.
La grande illusione delle democrazie occidentali è che la guerra per non volerla è sufficiente conoscerla. Invece la guerra, che lo si voglia o meno ammettere, è un’opzione da tenere sempre pronta. Si tratta casomai di gestirla nella maniera più opportuna.
Ci chiediamo fino a che punto dovranno arrivare i signori della guerra per provocare la giusta reazione dell’Occidente. Dobbiamo aspettare attentati sulla Cupola di San Pietro, alla Porta di Brandeburgo, a Westminster, alla Torre Eiffel? Dobbiamo aspettare stragi su stragi nel cuore delle nostre città, delle nostre stazioni, delle nostre metropolitane, dei nostri musei, delle nostre chiese? Dobbiamo aspettare che si arrivi a tanto?
La Chiesa non può predicare guerre, ma non può favorire le politiche di chi le guerre le fa in maniera ricattatoria e con prospettive di conquista di civiltà. C’è da rimanere trasecolati dalla noncuranza della Chiesa cattolica all’invasione islamica dell’Italia e dell’Europa. Di qui a non molto i cattolici finiranno per sentirsi discriminati in casa loro. E se una prospettiva del genere la si vuole considerare benzina sul fuoco della propaganda di destra, allora terra-terra ci chiediamo: che fanno qui tante moschee, parafrasando il manzoniano dell’Adelchi “che fan qui tante pellegrine spade?”.

A noi laici la questione della fede può interessare poco o punto; ma purtroppo non è solo questione di fede. Qui ci stanno cambiando tutto, ci stanno facendo diventare altro, non per buoni motivi, non per farci crescere, non per prospettive di miglioramento; ma per pusillanimità, per viltà, per quel poltronismo borghese che tanti guasti ha provocato nel passato all’Europa quando non affrontava i problemi con tempestività e determinazione e lasciava che diventassero enormi e catastrofici, come le due guerre mondiali hanno dimostrato. Ci avviamo al peggio!    

domenica 9 agosto 2015

Sandra Dicursi, nonostante tutto...


L’ultima ce la offre la stampa di questi primi giorni d’agosto. Una consigliera comunale di Manduria, Sandra Dicursi, si fa riprendere mentre fa il saluto romano insieme con altre persone e carica la foto sul suo profilo facebook con la scritta “Se ci fosse il Duce!”. Apriti cielo, si è scatenata la canea antifascista. Canea…canea, sissignori! Esiste una canea antifascista più stupida di quella fascista dei tempi del Duce.
Dato per scontato l’intento provocatorio ed esibizionistico del soggetto, come ormai accade sui social, specialmente con donnette stupide e maschietti idioti, il gesto della Dicursi offre l’opportunità di fare una piccola riflessione sul fascismo e l’antifascismo.
Come ognuno sa o dovrebbe sapere il fascismo fu un regime che durò circa vent’anni, il Ventennio per eccellenza. Come accade per ogni fatto della storia e per ogni prodotto della natura ebbe diverse fasi, nel corso delle quali si caratterizzò per cose buone, per altre meno buone e per altre ancora decisamente cattive e nefaste. Non ci sono prove che il consenso che ebbe, certificato dagli storici, fosse coatto, imposto con minacce e torture. Diciamo che essere fascista durante il fascismo era comodo, bello e produttivo. Via, siamo un popolo esperto di venti e di direzioni da farla pure a Eolo, il dio dei venti.
Non si può avere perciò sul fascismo un giudizio complessivo e totale né in senso positivo né in senso negativo. Nella storia ci sono fenomeni che non si discostano minimamente da quelli naturali. Per cui può anche non piacere un fenomeno politico, come può non piacere il freddo o il caldo eccessivi, ma non si possono eliminare; possono solo passare, e passano.
Si può essere fascisti per quanto di buono fece il fascismo dal 1922 al 1938 e antifascisti per quanto fece di cattivo dal 1938 al 1945. Né le cose buone devono indurre a considerar buone anche le cattive; né le cattive a considerar cattive anche le cose buone. Mi scopro inventore dell’acqua calda; ma in Italia simili invenzioni vanno per la maggiore.
Lo Stato sociale, lo Stato industriale, lo Stato garante dell’ordine, della giustizia e dell’efficienza, le grandi opere pubbliche, la fondazione di numerose città, relativamente ai tempi e a come questi lo consentivano, sono aspetti ormai universalmente riconosciuti come non buoni, ma ottimi. Poi ci furono le restrizioni di libertà, le leggi razziali e la guerra; e questi aspetti non si può considerarli che pessimi, sempre in rapporto ai tempi e ai modi.
Per quanto riguarda gli aspetti buoni del fascismo, gli antifascisti totali vorrebbero cancellarne perfino le insegne e i simboli materiali, la paternità, non potendo cancellare la storia, per poter accreditare un’immagine del fascismo interamente negativa e basta. Ogni tanto tornano a voler cancellare i fasci e le scritte da quel monumento o da quell’edificio. Per questa gente non si deve concedere al fascismo nulla che possa in qualche modo restituirgli un minimo di positività. Questo è l’atteggiamento degli antifascisti, più totalitari dei fascisti. Non inganni i nomi di noti buonisti alla Cazzullo, che sostengono simili cazzullate. Propongo formalmente di sostituire la parola minchiata con cazzullata. Quando il fascismo o l’antifascismo non sono ragionati, delle due l’una: o lo si è fatto proprio inconsapevolmente per idiozia e conformismo o per consapevole ricerca di carriere e prebende. Non saprei dire di Cazzullo e compagni. Così, su due piedi Cazzullo mi sembra fifty-fifty.
Per quanto riguarda, invece, gli aspetti negativi, leggi razziali e guerra – altro discorso va fatto sulla libertà – va detto senza equivoci che furono scelte sbagliatissime; anche a voler fare a meno del senno del poi. Le leggi razziali, specificamente rivolte contro gli ebrei, furono un danno per l’Italia, perché gli ebrei saranno pure odiosi per quello che è il loro stereotipo ma sono persone valide, eccellenti, lavorano e producono ad ogni livello e in ogni settore, sono la ricchezza del paese che li ospita. Chi li ha perseguitati nella storia non ha fatto una bella fine. Gli ebrei erano italiani a tutti gli effetti e andavano difesi come ogni altro connazionale, direi che per alcuni di essi si poteva anche menar vanto di averli tra gli italiani più illustri. Quindi l’averli perseguitati fu un errore e un orrore imperdonabili. La guerra non andava fatta, anche se non è facile rimanere fuori da un conflitto mondiale, salvo a scegliersi uno spazio di subalternità, i cui riflessi vanno a ricadere in ogni altro settore della vita e primo fra tutti quello economico. Ma non andava fatta perché il governo doveva sapere che non eravamo in grado di farla; sapeva che noi italiani venivamo da una serie di guerre perse per patente incapacità di farle. Se si esclude la Grande Guerra, vinta anche e soprattutto per la scelta della coalizione, le altre sono state un fallimento seriale.
Il fascismo e l’antifascismo tuttavia – e qui veniamo al nodo della questione – non sono solo fatti, sui quali si dovrebbe semplicemente valutare sulla base dell’accaduto, ma sono anche e soprattutto modi di pensare, di concepire i rapporti sociali, l’organizzazione dello Stato, della Nazione e della Società. La libertà, si diceva. Ecco, qui è più soggettivo lo stare da una parte o dall’altra, per pura indole e per la sua declinazione col vissuto; fermo restando che quando un qualsiasi regime si forma è perché la realtà lo consente. Voglio dire che se giunge un regime di tipo fascista – Se ci fosse il Duce! – il paese è ormai in maggioranza fascista, le cose stanno in un modo tale che esse richiedono quel tipo di governo.

Per tornare alla provocazione della consigliera Dicursi, che cosa ha voluto dire con quel suo gesto? Stupidità ed esibizionismo a parte, di cui si diceva in apertura, semplicemente che nel paese si avverte sempre più il bisogno di un governo che garantisca l’ordine e l’efficienza, l’onestà e la giustizia. C’è a chi non piacciono queste cose? E’ normale, ma il paese sta per non poterne più di tanta superficialità amministrativa, di tanto malcostume, di tanta giustizia politicizzata, di tanto pecorume francescano, di tanto disordine anche spicciolo e diffuso. Lanciare un allarme oggi, sia come sia, vale assai di più di un impegno più drammatico domani. Brava, perciò, la Dicursi!           

domenica 2 agosto 2015

Renzi mentos cool


Da qualche giorno la Rai manda in onda la pubblicità di “Mentos Cool”, la marca di una caramella per l’alito fresco. Un ragazzino, dal volto buono, assume una caramellina “Mentos Cool” e si trasforma subito in una specie di superman, che sa fare tutto, acrobazie in bicicletta, suonare il sax, spezzare dei mattoni con un colpo di karatè e cadere in una piscina dall’alto di un trampolino impattando un materassino gonfiato, che sta lì quasi ad attenderlo; il tutto nel tripudio di donnette che lo applaudono estasiate. Un guappetto, intorno al quale tutto sembra esistere e ruotare funzionalmente per servirlo.
Non ci vuole molto per associare il ragazzino-guappetto di Mentos Cool a Matteo Renzi e il pubblico che lo segue ammirato al suo governo. Uno spot un po’ maschilista, a dire il vero, con tutte quelle stupide di donne che sembrano svenire ammirandolo. Una macchietta formidabile. Irrita un po’ meno dell’originale a cui si è ispirato l’autore (o l’autrice?), ma non si può pretendere tutto.
Come e perfino peggio che nella dittatura fascista, l’unica opposizione al regime democratico viene dalla satira e dalla pubblicità in forma di satira: ieri Petrolini, oggi gli imitatori e gli autori di spot televisivi.
Qualche tempo fa Sabino Cassese, ex giudice costituzionale, sul “Corriere della Sera” paragonò Renzi al comico Jacques Tati. A me, francamente, ricorda, per come lo fa Maurizio Crozza, Jerry Lewis de “Il nipote picchiatello” nel film con Dean Martin.
Insomma, facciamola corta. Solo un paese come il nostro, aperto a tutto e a tutti, avrebbe consentito e mantenuto al governo uno come Renzi. Un capo del governo che in Italia fa ridere, qualche volta irrita; quando s’affaccia in Europa non lo caca nessuno. Perché in Europa ti considerano e per il paese che rappresenti e per la personalità politica e culturale che sei. Monti e Prodi, ma perfino Enrico Letta, erano personalità molto più serie ed autorevoli.
Va bene – si potrebbe obiettare – in un paese come ormai è ridotta l’Italia pure un cachiello come Renzi è passabile. Un paese, il nostro, dove stiamo ormai per essere lessati senza neppure accorgercene; ci passa sopra tutto. Un paese dove un Denis Verdini si stacca da Berlusconi e fonda una specie di formazione politica, Ala, col chiaro compito di appoggiare il governo Renzi. Il quale continua a proporre minchiate più e peggio di Berlusconi. E i frutti dell’ennesima acrobazia trasformistica non si fanno attendere: il Sen. Azzzollini del Ncd viene “graziato” dall’aula di Palazzo Madama dopo che la Commissione Parlamentare per le Autorizzazioni a Procedere lo aveva condannato all’arresto su richiesta dei pubblici ministeri.   
A Roma c’è un sindaco, Ignazio Marino, che nessuno vuole; e mentre si avvicina l’importante scadenza del Giubileo, nulla è stato ancora fatto. In Sicilia il governatore regionale, Rosario Crocetta, si comporta in modo tale da ipotizzare provvedimenti clinici prima ancora che politici. A Fiumicino un incendio doloso manda in tilt il più importante aeroporto d’Italia e si scatena il disordine generale. A Roma le vetture delle metropolitane non hanno l’aria condizionata; molte sono fuori uso e la gente deve spintonarsi e aggredirsi per rimediare un posto, mentre per il caldo si lasciano aperte le porte dei vagoni. Per le strade di Roma cumuli di immondizie si lasciano fotografare come nuovi souvenir. Qualche settimana fa non funzionò, sempre a Roma l’ascensore della metropolitana e morì un bambino. A Pompei sciopera il personale degli scavi con centinaia e migliaia di turisti impediti dal visitarli.
Cazzullo, a cui affiderei la revisione in senso moderno del libro “Cuore”, in un fondo sul “Corriere della Sera” – ma ha ancora un direttore? – piativa comprensione: in fondo l’Italia non è poi quello che gli Americani e i Francesi dicono sui loro giornali; un paese che noi non avremmo difficoltà a definire di merda. Ma è mai andato Cazzullo in Svizzera, in Austria, in Germania, in Francia, in un paese dell’Europa vera per vedere come vivono gli abitanti di quei paesi? Di che…cazzullo parla? In un paese serio e moderno ogni cittadino è il poliziotto di se stesso e ogni poliziotto è il cittadino di se stesso. Questa è la grande differenza tra noi, abituati a sorbirci tutto, e gli Europei centro-settentrionali. Non è questione di episodi, è questione di mentalità, di cultura, di costume, di abitudini; posso dire di razza? Lo dico!       
Sappiamo tutti che cosa fece l’Italia di Prodi per aggiustare le cose e consentire all’Italia di entrare in Europa con le cose apposto, coi conti in ordine. E tutti contribuimmo perfino con una tassa, che poi ci fu in parte restituita. Sappiamo tutti che cosa ci impone l’Europa con le sue normative, perfino sulla misura delle vongole, e ci costringe a pensarla su molte cose come la pensano a Bruxelles o a Copenhagen. Ma  come si fa ad essere Europei con tante associazioni criminali che imperano sul territorio, ormai nazionale; come si fa ad essere Europei con una mentalità cialtrona, i cui effetti si vedono ogni giorno e in tutti i settori della vita locale e nazionale.

L’Europa ti minaccia di espellerti dalla Comunità per debiti, ma non fa nulla, a parte qualche minaccia e qualche condanna, per patenti violazioni nel costume di vita politica e sociale. E lascia che il “giardino d’Europa”, così lo chiamavano Dante e Petrarca, stia in mano ad un giardiniere che non capisce nulla se non quello di pavoneggiarsi, di minacciare gratuitamente, e di porsi come modello per la satira e il cazzeggio.