domenica 25 settembre 2011

Vendola e il Papa sull'etica e sulla tecnica

Paradossalmente Nichi Vendola, quando sostiene che l’etica deve prevalere sulla tecnica, parla come il Papa, che da sempre dice la stessa medesima cosa. La differenza tra i due, presi a paradigmi di due diversi poli di riferimento esistenziale, politico l’uno, spirituale l’altro, è che Vendola è più sbilanciato sul fronte della tecnica, mentre il Papa lo è sul fronte dell’etica. Entrambi attaccano la tecnica, quando questa sembra vanificare i principi dell’etica.
E’ di tutta evidenza che la tecnica è opera dell’uomo, che in essa è la sua storia di progresso, è il senso dato alla sua esistenza fisica. Della tecnica l’uomo non può fare a meno; significherebbe, se vi rinunciasse, contraddire il senso della sua ricerca di vivere meglio di quanto la natura gli ha messo a disposizione fin dalla sua comparsa sulla terra. Ma è altrettanto evidente che l’etica è anch’essa opera dell’uomo, che in essa è la sua storia di civiltà, è il senso dato alla sua esistenza spirituale. Non si potrebbe vivere ignorando l’etica perché significherebbe contraddire la ricerca umana di dare all’esistenza una superiore finalità di vita. Per farla breve, l’uomo non può fare a meno della tecnica come non può fare a meno dell’etica; né vale la pena perdersi nella vana ricerca per stabilire se storicamente l’una abbia preceduto l’altra.
Vendola non si stanca di sostenere che la natura, intesa come ambiente fisico, habitat, paesaggio, va salvaguardata dalle manipolazioni, dallo sfruttamento, dagli inquinamenti della tecnica. Ma si ferma qui, escludendo la dimensione etica dell’uomo, che, a suo dire, può e deve tener conto per il suo benessere, dei ritrovati della tecnica, se questi gli consentono di vivere meglio, a prescindere dai limiti che l’etica gli impone. Egli riconosce alla terra, al mare, al cielo ciò che poi non riconosce all’uomo. Qualche esempio. La natura vuole che l’accoppiamento abbia il fine precipuo della riproduzione? Vendola non esclude altre forme di accoppiamento, anche per altre finalità, che estende anche alla più sociale della condizione naturale: la famiglia. La natura impedisce a talune donne di ingravidarsi e partorire secondo natura? C’è la tecnica che può intervenire per forzare la natura con la procreazione addirittura eterologa. Una gravidanza è indesiderata? La tecnica può risolvere il problema con un aborto procurato. Si potrebbe perfino lambire la sfera sessuale, ma qui il discorso scadrebbe inevitabilmente nella volgarità. Per Vendola ci sono sfere umane dove la tecnica non ha diritto d’ingresso ed altre dove invece il diritto d’accesso non ce l’ha l’etica. Per esemplificare, per l’ambiente non c’è tecnica che tenga; per l’uomo non c’è etica che tenga. Per Vendola varrebbe quasi la dottrina della regina Semiramide “quodcumque libitum licitum est” (ciò che piace è lecito). Per cui se l’uomo vuole sposare un uomo e una donna una donna, deve essere loro consentito; se un individuo vuole mettere fine alla sua sofferenza prima che lo faccia la natura, gli deve essere consentito; e via di seguito. Per Vendola, che è e resta fondamentalmente un politico, varrebbe addirittura una tecnica dell’etica, l’uso sapiente della stessa per conseguire risultati più utili e convenienti.
Il Papa, nel suo messaggio al Bundestag tedesco di giovedì, 22 settembre, ha concesso le ragioni al partito ecologico, riconoscendone l’etica, sapendo anche che fuori la gente manifestava contro di lui. Anche in Italia c’è un forte movimento ecologista, di cui Vendola è uno dei più autorevoli leader, che denuncia la tecnica dello sfruttamento della natura. Ma Benedetto XVI ha ribadito il primato dell’etica della natura con maggiore forza e coerenza. “Esiste anche un’ecologia dell’uomo – ha detto il Papa – Anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere. L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli ascolta la natura, la rispetta e quando accetta se stesso per quello che è, e che non si è creato da sé. Proprio così e soltanto così si realizza la vera libertà umana”.
Anche il Papa, tuttavia, pone qualche volta dei limiti all’etica in favore della tecnica. Perché non riconoscere all’uomo la morte naturale e insistere nell’accanimento terapeutico, fino all’estremo uso della tecnica per tenerlo in vita, vita si fa per dire?
Sarebbe perciò necessario, in ultima analisi, che l’uomo trovasse un giusto equilibrio, una sorta di etica della tecnica, l’opportunità cioè di servirsi della tecnica quando ciò non contraddicesse i principi etici. Sarebbe assurdo oltre che immorale il contrario, e cioè una tecnica dell’etica, per servirsene o non servirsene, come si diceva, a seconda della convenienza.

domenica 18 settembre 2011

L'Italia tra lo stallo e l'eversione en attendant Godot!

La storia si ripete, altro che! C’è un’opposizione in Italia che pur di eliminare Berlusconi è capace di distruggere la nazione. Se pure non si vuole scomodare l’Italia delle Signorie, l’una contro l’altra armate, come drammaticamente ci ricorda il Petrarca nella sua canzone “All’Italia”, c’è fresco-fresco ancora il caso fascismo. Pur di annientare Mussolini e il regime fascista, si sacrificò l’Italia nella II Guerra Mondiale. Nel mezzo un’infinità di vicende che hanno fatto dell’Italia nella storia il paese dove pur di vedere il nemico interno nella polvere non si esita a favorire il nemico esterno. L’Italia del Quattro-Cinquecento, così ben descritta da Machiavelli e Guicciardini, ben s’intreccia con quella del Franza o Spagna pur che se magna. Un’Italia che rimane divisa e in guerra fino all’unificazione nazionale, di cui quest’anno ricorre “indegnamente” il 150° anniversario dell’Unità.
Ora, diciamo le cose come stanno. Il governo Berlusconi ha mancato non poche delle sue prospettive, anche a causa di congiunture internazionali, a partire dall’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, da cui le guerre in Afghanistan e in Iraq. E’ caduto nelle sabbie mobili degli scandali giudiziari, alcuni meno nobili degli affari privati, che hanno pur sempre una loro giustificazione, scandali di porcherie, come in genere si indicano tutte le faccende di puttane o comunque le si voglia chiamare. Procure acefale costituiscono il nuovo esercito di liberazione mentre un gruppo di partiti forma un nuovo improbabile ci-elle-enne. Il gioco delle parti è chiaro: la magistratura scredita con le sue inchieste giudiziarie, mette sotto pressione il governo impedendogli di dedicarsi interamente all’azione governativa, l’opposizione ipso facto chiede le sue dimissioni. L’azione, concertata nei fatti se pure non lo è nelle intenzioni, ha tutti i caratteri del golpe. Si vuole abbattere un governo votato democraticamente dal popolo e che riceve sistematicamente la fiducia in Parlamento. Siamo all’eversione autentica. Questa è la realtà.
E’ un fatto, perciò, che Berlusconi è un cavaliere dimezzato, diviso tra gravi problemi economici nazionali e altrettanto gravi problemi giudiziari personali. La sua posizione gli impedisce di far fronte agli impegni politici, mentre si accaniscono contro di lui magistrati, televisioni e giornali. Gli uni, forti di uno dei più illiberali e antidemocratici strumenti di investigazione, le intercettazioni telefoniche, gli altri sputtanando tutti col pubblicarle sui giornali.
Il prete don Andrea Gallo, nel corso della trasmissione “In onda” su “La Sette”, sabato sera, 17 settembre, ha invitato Berlusconi, irridendolo, a chiedere il ricovero a qualche comunità per farsi curare. Siamo arrivati al grottesco. In questo paese ognuno può dire quello che vuole, nella irresponsabilità più assoluta. Compresa quella di chi, nelle decisioni della citata emittente televisiva, ha messo di fronte ad una persona di alto profilo, seria e competente, peraltro critica nei confronti del governo, come il prof. Antonio Martino, una barzelletta di prete, abbondantemente ormai fuori dalla normale fisiologia arteriosa, come don Andrea Gallo. Se si dovessero pubblicare le intercettazioni di cardinali, vescovi e preti, non sappiamo quante chiese resterebbero aperte il giorno dopo. Perciò la smettano questi preti d’avanspettacolo!
Ma se pure il governo Berlusconi cadesse, quale la prospettiva? Quattro soggetti, Pd-IdV-UdC-FL, sono talmente diversi e incapaci di elaborare un’azione comune che pensare ad un loro governo sarebbe come davvero credere al grande sogno alchemico di produrre l’oro. No, lo scopo di questi irresponsabili è di gettare il Paese nel caos e di dare poi la colpa al governo Berlusconi; e dallo scempio nazionale sperare di trarre un qualche profitto elettorale. Niente di nuovo. Sono riconoscibilissimi i democratici italiani. Sempre gli stessi e sempre con le stesse strategie, politicamente criminose.
Ma il Paese può andare avanti tra lo stallo politico della maggioranza e il golpe bianco dell’opposizione? E’ di tutta evidenza che così non può durare, anche per la gravissima crisi che sta attraversando l’Europa. L’azione politica di alcuni paesi europei, come Francia e Inghilterra, sta cambiando la geografia politica dei rapporti coi paesi dell’Africa petrolifera, mentre il governo italiano è come annichilito tra un’azione subita, non pienamente condivisa, la guerra alla Libia, e la necessità di riposizionarsi nel nuovo scenario.
Pur senza espliciti richiami, il nome di Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica, aleggia come di chi potrebbe con la sua autorevolezza richiamare tutti al senso di responsabilità. Lo ha fatto e lo fa, ma dovrebbe farlo con maggiore decisione. Quando dice che lui può fare ben poco fino a quando il governo ha la maggioranza del Parlamento, le opposizioni dovrebbero quanto meno essere rispettose. Inutile ripetere pappagallescamente che Berlusconi si deve dimettere. Sanno perfettamente che non lo farà, perché oltretutto le sue dimissioni peggiorerebbero le condizioni del Paese. Insistere significa soltanto contravvenire ai moniti del Presidente Napolitano e danneggiare l’Italia in un momento particolarmente difficile.
L’altro nome che aleggia, per un tentativo di giungere ad un governo di pacificazione, per cercare di uscire dall’impasse, è quello di Casini e dell’UdC. Ma purtroppo Casini, che pur si dice serio in un sintagma sì e nell’altro pure, non è poi capace di dimostrarlo dando una prova anche di indipendenza e di coraggio. E’ sufficiente che uno sgangherato Di Pietro gli dica che se entra nel governo fa la figura di una escort di Berlusconi per frenarsi e rientrare nei ranghi degli attendisti. Ma, a questo punto, è come nel teatro dell’assurdo, appunto en attendant Godot!

domenica 11 settembre 2011

Il Salento estremo di Rocco Normanno

Per Vittorio Sgarbi è l’ultimo dei caravaggeschi. Rocco Normanno per esprimersi è come se avesse scelto un contesto protettivo. Nel suo caso, Caravaggio, il pittore dei contrasti di luce violenti; maledetto per la sua vita disordinata e criminale. Ma la scelta, quale che sia, è rivelatrice, confacente.
Rocco è un mite. Lo è sempre stato. Ho un ricordo personale. Se mi sbaglio, spero che mi corregga. Mi recavo a scuola, una mattina di novembre del 1981. Insegnavo a Ruffano e sulla via che da Taurisano porta verso quel paese, col sole accecante di fronte – qui, nel Salento il sole basso è un laser – quasi investivo un bambino, di sei o sette anni non di più. Lo urtai con la fiancata della mia 126. Scappò via. Una persona mi disse che era figlio di Guerrino Normanno, che abitava nei paraggi. Conoscevo bene compare Guerrino, spesso ero stato a casa sua per chiamarlo a giornata nel mio giardino. Mi preoccupai di sincerarmi se gli avevo fatto male. Lo trovai a casa con la mamma. No, non è niente, professore; va tutto bene. Rimasi colpito dalla sua serenità e mitezza. Qui, nel basso Salento, a Taurisano, i bambini in genere sono come la luce del sole, vivaci, sfrontati, dispettosi. Il rione “Matonna”, dove i Normanno avevano le loro case, è come un paese nel paese. Abitato tradizionalmente da famiglie di contadini, giornalieri di campagna, una volta con dieci-dodici figli a testa e a volte anche di più. Fino all’età di undici-dodici anni i maschi vivevano per strada, dediti ai giochi più vari, capaci di ogni sorta di acrobazia, di scalare muri alti anche tre metri per entrare nei giardini privati, salire su alberi di sette-otto metri per raggiungere le primizie e andare per lamie da un capo all’altro dei caseggiati.
Fu per me come una meravigliosa scoperta, quando, alcuni anni dopo, nel 2006, ebbi il catalogo di una personale di pittura, tenuta a Piacenza, con la presentazione di Vittorio Sgarbi. Il pittore era Rocco Normanno, da Sgarbi considerato “l’ultimo dei caravaggeschi moderno”. Che è come dire che egli guarda e rappresenta la realtà di oggi come Caravaggio vedeva e rappresentava la realtà del suo tempo. La stessa realtà in abiti diversi.
Nato nel 1974, poteva essere quel bambino di trent’anni prima, che, per poco, non avevo messo sotto. Le immagini erano stupefacenti. Sembrava che il Merisi si fosse reincarnato in Normanno, Caravaggio in Taurisano, e si fosse espresso con volti nuovi, diversi, del luogo, quasi tutti famigliari. Sconvolgenti certe scene bibliche per la crudezza delle immagini e nello stesso tempo disarmanti per la normalità dei volti. In “Giuditta e Oloferne” sembra proprio che le due donne stiano svolgendo una pratica domestica, abituale, invece stanno scannando un uomo; una lo tiene per i polsi, l’altra con una mano gli tiene ferma la testa e con l’altra sta per tagliargli la gola. Raccapricciante. Anche nel “Davide e Golia” colpisce il contrasto tra la serenità dei volti dei protagonisti con l’enormità del gesto anche qui ripetuto del taglio della gola. Quello del contrasto tra il volto, quasi disteso e rassicurante, e il gesto enorme e brutale è una costante, con qualche eccezione, come in “Caino e Abele” e “Medea”, dove al gesto si accompagnano la violenza facciale e la drammaticità della scena. Altra costante è il mancinismo prevalente dei personaggi: il gesto risolutivo lo compiono quasi sempre con la sinistra.
Ovvio che le più celebri tele del Caravaggio sono ri-create da Normanno. Gli elementi specifici della re-invenzione sono essenzialmente riconducibili al realismo. Gli ambienti, i vestiti, gli oggetti, le armi appartengono al tempo presente, come del resto nelle opere del Caravaggio, dove, a parte il tema, tutto il resto si consuma nella realtà del tempo.
L’ho rivisto di recente a Taurisano nella manifestazione “Arte in Terra”. Ancora tre tele di carattere caravaggesco, con cui ha vinto il Premio dell’Edizione 2011. Mi ha fatto graditissimo omaggio di una sua elegante brochure che raccoglie i suoi “Dipinti dal 2003 al 2009” (Gipsoteca Libero Andreotti, Pescia, 2009).
E’ probabile che la scelta caravaggesca risponda a criteri estetici, che Normanno in Caravaggio abbia trovato la sua miniera di temi e di modi; e può essere solo una fase del suo percorso pittorico. Negli ultimi soggetti, infatti, appaiono temi e personaggi, forse non del tutto nuovi, ma di sicuro riconducibili alla ricerca. Il contrasto si riaffaccia ancora, ma è meno dissonante e trova equilibrio nell’analisi psicologica. Ne “Il Suicidio”, quadro con cui Normanno è presente nel “Padiglione Italia” della 54. Biennale di Venezia nell’ex Convento leccese dei Teatini, la “Biennale diffusa” di Sgarbi, la donna appare serena, eppure ha nella destra il pugnale di morte. Nella “Vecchia con la bambola” il contrasto diventa addirittura icona di una condizione, demenza senile in recupero di un’infanzia tradita.
Il Normanno, che mostra la sua più genuina appartenenza sotto le suggestioni forti, bibliche o mitologiche, è quello delle donne, riprese in una femminilità positiva “Madonna col bambino”. Ma anche quando sono delle peccatrici: “Maddalena penitente, “Salomè”, hanno una dignità che rivela consapevolezza del vissuto e compostezza interiore. Perfino nell’avvertito pericolo esistenziale, “Tossica”, la femmina è rispettata nel portato naturale della seduzione.
Produzione meno impegnata sotto il profilo culturale e più rispondente ad esigenze forse anche di committenza, sono “Ragazzo con casco e tulipani”, “Marte a riposo”, “Eva” (Fiona May,) e le tele d’ambientazione borghese: “”Il Collezionista”, “Gli Antiquari”, “Nicolo e Giulio”, “Collezionista di ventagli” e le “Nature morte”.
Qua e là si affacciano richiami diversi, tentazioni, che accennano ad una sorta di ricerca di exit strategy da una fase che potrebbe considerarsi conclusa. “Mercurio a riposo” propone motivi surrealisti che ricordano un certo Dalì, mentre in “Narciso” affiora, anche se contenuto, qualche motivo barocco, che nel Caravaggio è di stagione.
E’ sempre difficile e rischioso individuare le vie dell’arte, seguire il percorso artistico di qualcuno o addirittura prevederne gli esiti. Tanto più quando si ha a che fare con uno come Normanno, la cui tecnica è talmente raffinata e virtuosa che potrebbe egli percorrere la strada che volontà ed esigenza gli indicano volta per volta. Oltre tutto viene da una terra estrema, per oggettiva fisica collocazione, dove nella staticità di fondo si agitano contraddizioni enormi e da mattina a sera cambiano i venti e rendono inutili le previsioni; dove nella stanca da controra meridiana possono agitarsi violenze incredibili e contrasti estremi. Normanno è stato scelto, per un arcano dono di natura, ad avere in sé tutto della sua terra ed una straordinaria capacità di rappresentarlo.

domenica 4 settembre 2011

Eva o della cancellazione di Dio

E’ in corso in Italia una vera trasmutazione sociale, che vede ormai il sempre più forte affermarsi della donna. I più convinti sostenitori sono, manco a dirlo, gli uomini anziani, i quali danno il livello esatto dello sfaldamento ideologico della società storica, quella nata dalla cacciata dall’Eden. I giovani si possono capire. E comunque il pericolo non viene da loro. Sono gli anziani la spia dello sfascio spirituale. Essi non solo non riescono a difendere i loro tempi, i loro costumi e i loro valori, ma confondendo il progresso materiale con lo stato spirituale, non perdono occasione per esibirsi in sciagurati modernismi e avvenirismi. Si è rotto l’equilibrio storico: giovani e anziani, uomini e donne. Lasciamo pur da parte il vestire, le frequentazioni, gli svaghi, che una volta facevano la differenza e che ora non fanno distinzione alcuna, gli anziani dimostrano di aver perso la tramontana proprio sul Carso della specificità di genere. Non si equivochi sulla consonanza! Sul Carso era la linea inviolabile della resistenza nella Prima guerra mondiale; dunque, solo una metafora.
Le donne, per i nuovi vegliardi, sono sempre più intelligenti e capaci degli uomini. Dovrebbero essere loro a comandare il mondo, dicono. Benissimo che siano dappertutto, che facciano tutto quello che una volta era appannaggio degli uomini! Le donne hanno sempre ragione; e se pure qualche volta non ce l’hanno – può capitare – ne hanno subite tante nella storia che oggi non guasta qualche piccola rivincita. Mai visto gente che è contenta di perdere o di gioire per la rivincita dell’altro, in questo caso dell’altra.
A confermare il trend ci sono cinema e televisione; di meno la letteratura, perché non ha l’ampiezza divulgativa dei media visivi. Sempre più nei film si vedono donne picchiare a sangue gli uomini. In televisione, quando ci sono un conduttore e una conduttrice a coppia, lei è sempre più alta di lui, quasi a volerlo sovrastare, a rendere plastica una superiorità di natura, che in realtà non esiste. Non sono più i tempi di un Totò, che, pur, notevolmente più basso, con Mina o le Kessler, le equilibrava col suo gallismo bonario, comico, gustoso; né i tempi di un Sordi o di un Gassman, i quali riuscivano sempre a stabilire l’equilibrio. Oggi il conduttore sembra quasi ossequioso, secondario, subordinato all’avvenenza femminile, straripante di tutto. Non c’è più parità di sessi. C’è un’arroganza volgare del femminismo col compiaciuto godimento dei maschi.
Sono stati inventati reati assurdi. Se la moglie non vuole avere rapporti col marito, questi non la può obbligare; se lo fa è stupro. Se è lui che si rifiuta, lei esce o aspetta che esca il marito e riceve il ganzo per soddisfare un suo diritto. Non c’è giudice che non glielo riconosca. Potenzialmente ogni donna può trasformare un rapporto condiviso in una violenza al solo scopo di vendicarsi. Parola contro parola, quella di lei è pericolosamente più pesante di quella di lui. Intanto dico che mi hai molestata o violentata, poi si vedrà! Il caso dell’ex Presidente del Fondo Monetario Internazionale Strauss-Kahn è uno dei tanti, altri passano inosservati.
A dispetto della Costituzione italiana, che all’articolo 3 dei principi fondamentali recita “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, sono state istituite le “quote rosa” per garantire una tot presenza femminile nei consigli comunali, nelle giunte ecc. ecc.. E ci sono giudici, il più delle volte anziani, che sciolgono consigli e giunte per difetto di presenza femminile. Se non che si arriva all’assurda decisione di discriminare in ragione del sesso. Tu femmina sì, tu maschio no; non per opportunità politica, per competenze, per professionalità, ma unicamente per una questione di genere.
Le scuole sono piene di insegnanti donne; così le redazioni dei giornali, gli ospedali, gli uffici. Per mistificare la situazione le statistiche fanno conteggi complessivi, su tutto il personale, comprendendo anche quello di quaranta-cinquant’anni fa. Ma se le statistiche venissero fatte sugli ultimi vent’anni, ecco che le parti si rovescerebbero.
E’ stata cancellata una millenaria cultura che ha sempre spiegato i caratteri della donna, confermata in migliaia e migliaia di anni, convalidata da storici, filosofi, scrittori, artisti e scienziati, quasi fossero stati costoro degli idioti prepotenti e arroganti. Quella cultura oggi non conta niente, quando non è addirittura ignorata. E tutto questo per elevare la donna a regina incontrastata della società in ogni sua espressione. Si vuole addirittura lasciare per i nuovi nati libertà di cognome o di associare al cognome del padre anche quello della madre; libertà di cambiare il cognome per ogni cittadino.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Le famiglie si distruggono? Bene, se tanto accade per la libertà della donna, che non può essere schiava della famiglia! Ci sono poche nascite? Benissimo, se tanto accade per la liberazione della donna, che non può essere schiava della società! Nella società va tutto a ramengo, tre volte benissimo, se tanto accade per garantire alla donna la massima libertà! Sembra che l’umanità viva unicamente per la libertà della donna, come se non ci fossero superiori finalità.
Ci stiamo avviando verso un mulierato ottuso e pericoloso, perché fondamentalmente basato sulla negazione della realtà e dei valori sui quali da sempre si è basata l’organizzazione umana. E’ una moda, per qualche aspetto – o si spera che lo sia, perché se così fosse prima o poi passerebbe – ma intanto i guasti alla società e agli individui lasciano ferite gravi, difficilmente rimarginabili nel breve tempo. Intanto si vedono crescere quelli che per convenzione mediatica vengono fatti passare come drammi della follia: giovani che uccidono moglie e figli e poi si suicidano. Crescono gli assassini di giovani donne, punite dai loro ex fidanzati o mariti per aver esse deciso di interrompere il rapporto d’amore o coniugale. Aumentano i bambini che vengono tolti ai loro genitori, perché indegni o non in grado di provvedere alla loro educazione ed affidati a strutture di assistenza. La società, sotto il mulierato, si avvia a diventare sempre più atomizzata.
E dire che quando la donna stava al suo posto una vecchia strofetta popolare diceva “orfina orfinaja / meju te sire cca dde mamma / a mamma te riccoje / u sire te sparpaja” (preferibile essere orfano di padre che di madre, perché la madre tiene unita la famiglia mentre il padre la disperde). E in ogni piccola o grande comunità la gente ricorda mamme di grande coraggio e di grandi capacità, che, rimaste vedove, erano riuscite a mantenere la famiglia e a dare un avvenire decoroso o addirittura importante ai figli. Altri tempi! Oggi si sta tornando all’Eva edenica e pre-storica, non più soltanto tentatrice, ma padrona, come se quel Dio a cui doveva dare conto non ci fosse più o avesse rinunciato ad esercitare la sua potestà.