domenica 29 aprile 2012

Monti e le verità nascoste

Se politici e cantori al seguito (giornalisti, politologi, opinionisti) si decidessero una buona volta di dire tutta la verità e nient’altro che la verità sulla crisi finanziaria che sta travagliando l’Europa dovrebbero dire una cosa molto semplice; e cioè che in altre epoche, non molto lontane, diciamo prima metà del Novecento, già ci sarebbe stata la soluzione. Sarebbe stata la guerra. Sissignori, la guerra! Da Troia in poi, infatti, giusto per fare un riferimento, le guerre sono state determinate sempre da ragioni economiche e puntualmente mascherate da più o meno futili motivi: dall’onore di Menelao di Sparta al corridoio di Danzica. Come si dovrebbe rispondere alla pirateria commerciale di Cina, India, Coree, Pakistan e vicini di casa e di affari finanziari sporchi, se non con la guerra? Ma oggi, in piena globalizzazione e sapendo che un conflitto mondiale provocherebbe la fine di chissà quanta umanità, di guerra non se ne parla proprio. Ed è giusto così, ma ciò non significa che il problema non si pone. La guerra no, ma qualcos’altro sì. Ecco, il punto è: che cosa? Gli strateghi dovrebbero porsi la domanda e cercare di rispondere. Se non lo fanno per ignavia, prima o poi la situazione esploderà spontaneamente, come a maturazione di un processo.
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La riflessione nasce da una constatazione. Fino a qualche tempo fa nei nostri paesi, parlo del Salento, c’erano numerose fabbrichette di scarpe, di calzini, di cravatte, di pullover, di pantaloni, di camicie, di felpe, che, per conto proprio o per conto terzi, davano lavoro a centinaia e centinaia di operai. Diventavano migliaia a livello provinciale; centinaia di migliaia a livello regionale; milioni a livello nazionale. Le nostre aziende esportavano in tutta Europa. A causa della globalizzazione Cina & Compagni hanno portato quei prodotti, a costo lavorativo stracciato, in Italia e nel resto d’Europa, facendo chiudere le nostre aziende, buttando sul lastrico i nostri operai, innescando quel processo di indebitamento che ha portato alla crisi. Non è che in essa non ci siano anche altri fattori, in dipendenza da errori politici o calcoli sbagliati, ma la causa scatenante è stata la concorrenza piratesca dei paesi orientali. Essi producono i “nostri” prodotti fuori da ogni normativa europea di rispetto dei diritti umani, delle garanzie sindacali, in regime di sfruttamento selvaggio di uomini e di risorse naturali. Quando noi celebriamo la “Giornata della Terra” è come se facessimo un rito propiziatorio, come gli indiani d’America che danzavano intorno ad un totem, per non so quale risultato o appagamento. Basterebbe che si chiedesse a questi paesi di trattare gli operai e gli individui in genere come noi li trattiamo o rompere i rapporti commerciali, per impedire ai loro prodotti di contrabbando di scalzare dal mercato i nostri. E’ così difficile capirlo? Basta pensare ad un negozio che apra i battenti accanto ad altri, ma, diversamente dagli altri, non rispetti la legge, non paghi gli operai, non paghi le tasse, non versi al fisco, insomma fa quello che vuole. Se quel negozio illegittimo ed illegale non viene chiuso, dopo un po’ devono chiudere gli altri, i legittimi ed i legali. Da Romolo in poi siamo stati abituati a considerare accanto all’aratro la spada, ossia accanto al lavoro e alla produzione le armi per difenderli. I governi europei s’illudono di poter continuare a far finta di niente, perché essi, “servi” delle grandi multinazionali, puntano su altre esportazioni. L’Italia, per esempio, pensa di proteggere il suo Made in Italy permettendo ai paesi pirati di far giungere da noi la loro merce di contrabbando, che costringe le nostre aziende o a chiudere o delocalizzare in paesi ancora di mortidifame, dove il lavoro non costa molto. Così, invece di diventare tutti rispettosi della legge, diventiamo tutti irrispettosi, masnadieri. Così permettiamo che perfino il Cristo della comunione – con buona pace di Benedetto XVI – possa stare prima o poi in un’ostia prodotta in Cina!
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Tutto questo discorso perché? E cosa c’entra con Monti? C’entra, e come! Perché Monti fa parte di quella lobby di burocrati di Stato a livello internazionale che continua a fare gli interessi delle grandi aziende, delle grandi banche, dei grandi scambi finanziari, e poco gli cale se gli italiani, giovani e vecchi, versino nella merda. I giovani non trovano lavoro, i vecchi giungono a pensione in articulo mortis, giusto in tempo per l’obolo da dare a Caronte per il passaggio all’al di là, quello che gli antichi mettevano in bocca al morto. Ma il calcolo della tolleranza dell’illegalità internazionale in cambio di esportazioni di determinati prodotti non basta a spiegare la crisi dell’Europa. La verità è che la pace nel mondo la paghiamo con la fame nel mondo. Tolleriamo che la Cina faccia i suoi comodi per evitare la guerra. Un atteggiamento più deciso e serio nei confronti di questi paesi, peraltro dotati di armi nucleari, potrebbe provocare un inasprimento dei rapporti e dunque la guerra. Siamo pecore da pensionamento per non essere leoni da combattimento. E vorremmo che Monti dicesse la verità?
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Un’altra verità che i politici, parlo specificamente dei nostri, non dicono è che la crisi italiana, a parte le ragioni internazionali, è causata da due fattori perniciosi, italianissimi: evasione fiscale e corruzione politica. Mentre in questi ultimi tempi contro l’evasione si procede con spettacolare spiegamento di forze e altrettanti spettacolari azioni, sul fronte della corruzione politica, invece, si bizantineggia su una legge “che non c’è” e neppure si prendono in considerazione le leggi che ci sono, e sono molte e buone. Ma già Dante lo diceva “le leggi son, ma chi pon mano ad esse?”. Il fatto, però, che sul piano dell’evasione si operi e sul piano della corruzione si chiacchieri la dice lunga. I due fenomeni sono correlati, anzi e duobus unum. I contribuenti che evadono il fisco lo fanno per vizio, ma trovano nella corruzione dei politici quasi una giustificazione: ed io dovrei pagare le tasse per quei miserabili che coi soldi del mio lavoro si fanno le puttane, le ville, gli appartamenti con vista ecc. ecc.? In culo! Discorso speculare da parte dei corrotti: e noi dovremmo essere probi e onesti per fare gli interessi di gente che dichiara un reddito di duemila euro all’anno e vive con un reddito di duecentomila o di due milioni? In culo! Mettiamo da parte per un attimo gli sputtanatissimi uomini di centrodestra; ne abbiamo sentito uno, che fosse uno, del centrosinistra, affrontare il problema della corruzione con serietà? Tutti a dire: mettiamo una pietra sul passato, la colpa è della legge che non aveva strumenti per impedire la corruzione, da questo momento non lo facciamo più, ma per questo occorre una legge che ci impedisca di rubare. Vogliono una legge per non essere corrotti. Puah! Figli di puttana!
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Il Governatore della Banca Europea, Mario Draghi, dice che con le tasse non si cresce; e di rimando Monti dice che gli italiani devono cambiare costume di vita. Che significa? A parte il fatto che vivere da poveri significa impoverire gli altri. Chi non spende non dà alcun contributo alla crescita generale. Il denaro è come l’ape, deve andare di fiore in fiore per fecondare. Secondo Monti se io normalmente spendo venti euro la settimana a giornali e cento a libri, devo smettere di leggere, perché con quei soldi devo pagare addizionali, accise, tasse, ed altri ammennicoli e salvare l’euro e l’Europa. Se la gente la domenica si fa la passeggiata al mare, dando un contributo ai consumi, beh non lo deve fare più. Chiudano pure le pasticcerie, i bar, i ristoranti. Il denaro è tornato ad essere lo sterco del diavolo. Bentornato Monti-Savonarola nel ventunesimo secolo!
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Cesare Romiti ha detto a “Che tempo che fa” di sabato, 28 aprile, su Rai Tre, che Monti è come un chirurgo che necessariamente anche se con dolore deve tagliare per evitare il cancrena. A questo punto siamo? L’anziano ex Amministratore Delegato della Fiat ai tempi dell’Avvocato ha anche detto che la prospettiva è la Cina che ha saputo realizzare il capitalismo nel comunismo. E’ l’unica terza via. Ma allora la democrazia, per come l’abbiamo finora conosciuta è in fin di vita? E chi sarebbe allora il chirurgo che dovrà operare perché anche in Italia o in Europa si realizzi il capitalismo nel comunismo? Gli anziani possono dire quello che vogliono, parlano, in verità, a ruota libera; ma non è detto che dicano sciocchezze. Mi sa tanto che aveva ragione Almirante quando all’ultimo congresso missino da segretario nazionale disse che il fascismo non era il passato ma l’avvenire. Se non vogliamo il comunismo!

domenica 22 aprile 2012

Monti + Fornero = Montero

La coppia Monti-Fornero, rispettivamente Premier e Ministro dell’Economia, in fusione di provvedimenti e di modi, fa Montero e ricorda il difensore della Juventus di alcuni anni fa, il quale fermava gli avversari con le buone o con le cattive e qualche volta senza neppure tentare le buone li avvertiva direttamente con cazzotti dati a gioco lontano. Sono passati più di cinque mesi dal loro insediamento al governo e a parte le promesse lacrime e sangue non c’è altro all’orizzonte. E fin qui poteva anche starci, senonché le lacrime e il sangue riguardano soltanto le fasce più deboli della società. Niente per far piangere quelle più importanti, che non sono i cosiddetti ricchi tout-court. Qui bisogna fare una distinzione tra quelli che hanno la pecunia oziosa e quelli che sono titolari di qualche impresa e che hanno la pecunia attiva. Ai primi bisognerebbe togliere la moneta per farla lievitare, magari dandola ai secondi, i quali hanno grossi problemi e cercano pecunia che, parafrasando il Catone dantesco e la sua libertà, “è sì cara come sa chi per lei vita rifiuta”. E, infatti, molti si suicidano. Ma a versare davvero lacrime e sangue dovrebbero essere i parassiti pubblici, coloro i quali a vari livelli succhiano risorse allo Stato senza nulla dare in cambio. Qui né Monti né Fornero si dimostrano all’altezza dell’ottimo ma cattivissimo difensore juventino.
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Di Pietro, limitatissimo in sintassi e lessico, ma qualche volta efficace nella sua rozzezza, ha dato del “ragionierucolo” a Monti, con un ragionamentucolo: c’era bisogno di lui per fare un po’ di conti e farli pagare ai povericristi che non hanno la via per camminare, senza lavoro, senza pensione, senza prospettive e spesso col carico di figli trentenni et ultra, spesso laureati et ultra, qualche volta esigenti et ultra? Di rimando: ma perché allora i conti non li hanno fatti i politici se era così facile farli? Già, perché? Perché le opposizioni hanno fatto la guerra alla maggioranza impedendole di compiere qualsiasi gesto politico e amministrativo mettendo nel calderone antiberlusconiano tutto: puttane e giustizia, pensioni e debito pubblico, televisione e barzellette, con la complicità di magistratura, confindustria, sindacati, stampa e alla fine anche della chiesa. Ciò è tanto vero se si considera che ancora oggi tutte le agenzie politiche e culturali citate non dicono nulla mentre invece dovrebbero sputare fuoco come il drago di San Michele contro i politici tutti, ignavi e ladri, in concorso interno ed esterno con tutte le bande organizzate a vessare il popolo italiano. Perché la gente capisca a chi mi riferisco dico: Poste, trasporti, compagnie di assicurazioni, banche e cerca che trovi. Agenzie che rastrellano soldi né più né meno di come fanno in maniera più artigianale cosche mafiose e ndrine della ndrangheta e della camorra. Differenza? Una: hanno l’autorizzazione dello Stato.
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Uno dei più entusiasti testimonial di Monti è Casini, il due di coppe della cosiddetta maggioranza che sostiene il governo. A sentirlo – la persona seria! – lui il governo Monti lo sostiene “senza se e senza ma”. Figurarsi che perdita se non lo sostenesse! La democrazia è stata commissariata; e sembra che lui non se ne sia neppure accorto. Parlare di maggioranze e minoranze parlamentari oggi in Italia è come parlare di giardini e fontane nel deserto. Ma accorto Casini se n’è accorto, e come! Fa la mosca cocchiera. Domani si vanterà di essere stato il più convinto sostenitore di Monti, Fornero e Passera e magari cercherà di trascinarli nel suo Partito della Nazione, una parodia di Forza Italia di berlusconiana memoria. Perché Berlusconi, il vituperato, il maledetto, è come “La settimana enigmistica”, il più imitato di tutti.
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Sergio Romano, l’ex ambasciatore e storico apprezzabile, padre nobile dell’opinionismo corseristico, dice che il governo Monti ha l’appoggio di una maggioranza parlamentare; e dunque i partiti non se lo devono scordare, facendo i partiti di lotta e di governo un giorno sì e uno no. Tecnicamente ha ragione Romano; non c’è chi non lo veda. Ma quale è la condizione politica del Paese? Quando lui insieme a tanti altri rimprovera i partiti che ogni tanto si ricordano di avere degli elettorati e se ne preoccupano, dando fastidio al governo, fa un discorso che fece tanti anni fa a Taurisano il Sen. democristiano Francesco Ferrari che mi colpì moltissimo. All’epoca ero ragazzino in odor di missismo. Erano gli anni Cinquanta. Disse: cittadini di Taurisano, oggi viviamo in democrazia, siete liberi di votare chi volete; ma se non votate Democrizia Cristiana, scordatevi di poter ottenere qualcosa dal governo. Capita l’antifona? Erano i tempi in cui i parlamentari locali, quando erano governativi, facevano ottenere quello che volevano, finanziamenti, posti di lavoro, sussidi, il più delle volte indebiti, ai loro elettori. Ora: quando si dice, questo governo o il salto nel buio, di che cazzo di normalità democratica si parla?
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Monti, intanto, sembra pigliar gusto alla politica. Non gli va di essere considerato un robot. Scherza, civetta con la Milly Carlucci, con gli sportivi che gli danno la felpa della nazionale alle Olimpiadi. Blandisce gli italiani, che “stanno dando prova di maturità e responsabilità”; un po’ snobba i politici, che li vede suonati all’angolo. Non si preoccupa neppure più di dire qualche bugia. Dice che per la “crescita” se ne parla nel 2013. Garantisce che per quell’anno ci sarà il promesso pareggio del bilancio, per il quale si modifica l’art. 81 della Costituzione, per renderlo obbligatorio. Tenta di fare la forchetta a Berlusconi con la questione dell’asta per le frequenze televisive. Una cosa è certa: Monti farà carriera politica, a dispetto di sua madre. Il dolce, una volta assaggiato, non lo molla più nessuno. Non era anche Giolitti un tecnico? E Ciampi? E Dini? E Prodi? Italiani, temiamo i tecnici anche quando ci portano doni! E prepariamoci a tenerci Monti fino al 2020.
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A “Piazza Pulita”, il format televisivo di Corrado Formigli su “La 7” di giovedì, 19 aprile, un grillino torinese, consigliere comunale, faceva notare che non è la gente che deve sacrificarsi per l’economia ma l’economia per la gente. Una di quelle frasi fatte che non dicono nulla. Il politologo americano Edward Luttwak, però, presente in studio, ha commentato: ha ragione, il punto è che non bisogna considerare nessun tabù. Se restare nell’Euro vuol dire peggiorare anziché migliorare la condizione della gente bisogna avere il coraggio di uscirne; questo vale per qualsiasi altra cosa. La Grecia, per esempio, fa male a voler rimanere nell’Euro, perché questa moneta non è per la sua economia. L’Italia, invece, non ha questo problema, perché l’economia dell’Italia è enorme. Al di là di ogni altra considerazione, il ragionamento dell’opinionista americano fila. Un esempio probante? Alla Camera si voleva far passare il pagamento del ticket anche ai disoccupati, perché questo fa cassa. Ma se uno non lavora, da dove prende i soldi per pagare? Meno male che se ne sono accorti e hanno posto rimedio.
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Fine settimana agitato. Gli sproloqui di Casini, che millanta su Monti e ministri, quasi fossero “cosa sua”, mette in allarme Pd e PdL. Bersani a “Radio anch’io” di giovedì, 19 aprile, ha fatto capire che i tecnici devono pur, prima o poi, dire che opinioni politiche hanno, perché è di tutta evidenza che ne hanno, minacciando che allora le cose potrebbero cambiare. Di non diversa aria è l’ambiente nel PdL, dove si insiste ad andare a votazioni anticipate prima che il partito venga spazzato via con muli e conducenti al seguito. Il mare è agitato. Il solito Pisanu – ma quando cazzo muore, questo residuo della prima repubblica, rimasto residuo nella seconda e si promette residuo della terza? – ha raccolto 29 firme per non si capisce quale iniziativa. Pare che Berlusconi abbia incontrato Luca Cordero di Montezemolo per chissà quali piani. L’ambiente è in subbuglio. C’è chi vuole andare a votare a ottobre. Ma quando la paura fa novanta, tutto cambia in pochi minuti. A Monti continua a luciccare il pelo.

domenica 15 aprile 2012

Monti, da Prodi a Pilato

Romano Prodi nel fondo pasquale del “Messaggero” di domenica, 8 aprile, “L’Italia e la crisi. Perché non basta la cura del rigore”, senza mai nominare Monti – probabile che tra i due non corra buon sangue! – ha spiegato perché la cura del rigore, per quanto abbia prodotto effetti positivi, ma non ancora decisivi, non è sufficiente alla soluzione del problema Italia. In verità si tratta di un autentico “manifesto del rifiuto”. Per Prodi ci sono situazioni intollerabili e inaccettabili, tra queste il non cercare di frenare il trend negativo dei consumi, che, a suo dire, solo dal 2014 potrebbe riprendere a crescere. Il calo dei consumi significa crescita sì ma della disoccupazione. Ecco brevemente la ricetta Prodi: «In primo luogo è urgente mettere in atto una politica industriale volta ad aumentare la produttività delle imprese e incentivare gli investimenti…In secondo luogo, a seguito della politica della Bce, è possibile riattivare progressivamente i canali del credito bancario, anche se in molti casi è la domanda stessa di credito a essere deficitaria. E’ in terzo luogo doveroso accelerare i pagamenti ai fornitori da parte della pubblica amministrazione centrale e locale…Non è in ogni caso tollerabile che le imprese falliscano perché la pubblica amministrazione non paga i debiti e non è tollerabile che i prezzi delle forniture siano costantemente più elevati in Italia rispetto agli altri Paesi europei proprio in conseguenza di questi comportamenti dell’acquirente pubblico. Queste misure sono semplici e di facile applicazione…è inaccettabile che le conseguenze depressive di una necessaria operazione di risanamento del bilancio non siano accompagnate dall’adozione di tutte le misure capaci di accendere almeno una luce che ci aiuti ad attraversare il tunnel di una crisi che sembra non finire mai».
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Fa piacere constatare come l’impressione diffusa della gente trovi riscontro argomentato in un esperto come Prodi, tecnico e politico insieme di provata esperienza in Italia e in Europa. Si può dire che è un politecnico, nel senso di politico + tecnico? La gente sarebbe più contenta di sbagliarsi, ma i fatti purtroppo parlano chiaro. Gli unici consumi che aumentano sono quelli imposti dal governo, nelle più varie tipologie e forme di tassazione, mentre, attraverso controlli e ispezioni, si restringe sempre più lo “spread” tra il reddito legale e quello reale, ossia l’economia nera, di chi riusciva comunque a far fronte alla circolazione del denaro e alla spesa nascondendo allo Stato lavoro, produttività e reddito reali. Il governo Monti, nella sua battaglia ad eliminare il nero e l’evasione fiscale – operazione giustissima, sacrosantissima! – sta portando gli italiani ad avere in realtà quel reddito di fame che essi evadendo dichiaravano. Poveri non per frode, ma davvero! Il governo avrebbe dovuto, invece, mettere gli italiani nelle condizioni di lavorare e produrre in primis, perché è condizione di qualsiasi pagamento, e poi costringerli a dichiarare il vero. Invece di colpire la povertà finta Monti ha colpito la ricchezza vera.
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Ma al governo Monti manca, a parte l’arrosto, perfino il fumo, che probabilmente se ci fosse avrebbe un effetto benefico, incoraggiante. Mi spiego: Monti dovrebbe dare agli italiani dei segnali forti di fiducia, chiamiamoli pure populistici, ma necessari; in modo che restasse nella memoria collettiva come uno che fece “qualcosa” immediatamente avvertito come utile. Di fronte all’aumento del costo della benzina, per esempio, potrebbe imporre il prezzo unico ad un livello di costo più accettabile. Di fronte al dilagare della corruzione in ambito di fondi di finanziamento dei partiti potrebbe accelerare un decreto legge per intanto diminuirlo e poi regolarizzarlo, mettendo sotto controllo i bilanci. Di fronte ai ritardi con cui la pubblica amministrazione paga i suoi debiti potrebbe prendere provvedimenti per accelerare le pratiche di liquidazione. Sono esigenze avvertite dalla gente, che, se soddisfatte, renderebbero meno amare le misure adottate in materia di pensioni, di licenziamenti e di alleggerimenti della busta paga. Nessun governo, mai, può pretendere di dare bastonate al popolo, magari anche necessarie e inevitabili, senza concedere nulla in cambio se non generiche promesse di una migliore condizione di figli e nipoti. Dittatoriati sì, ma almeno contenti!
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Alberto Alesina e Francesco Giavazzi sul “Corriere della Sera” di mercoledì, 11 aprile, scrivono che è ora di procedere al taglio della spesa pubblica: “Ora date un taglio alle troppe spese”. Monti, infatti, ha pensato solo ad interventi di prospettiva, ma non ha ritenuto opportuno ridurre le spese immediate; forse ha paura che mettendo le mani alle forbici incomincino le lagnanze dei partiti. Secare necesse est; ma è meglio non farlo ora. Le rimostranze dei partiti per la marcia indietro del governo sul mercato del lavoro – lo dicono a parole il Wall Street Journal e il Financial Times, coi fatti lo dimostrano i mercati finanziari che hanno fatto risalire lo spread – potrebbero incasinare ulteriormente la situazione. Monti se l’è presa con la Marcegaglia e con la Spagna. La prima perché ha bocciato la riforma, la seconda perché non riesce a tranquillizzare i mercati trascinando l’Italia nel pessimismo finanziario. Giorni fa era la Spagna a prendersela con l’Italia. Casini a “Porta a Porta” di Bruno Vespa, la sera di mercoledì, 11 aprile, ha rubato agli italiani la battuta dei capponi di Renzo; ma è di tutta evidenza che i problemi interni di Italia e Spagna mettono l’uno contro l’altro i due Paesi. Oggi il governo Monti è decisamente più debole di un paio di mesi fa, mentre il quadro politico si scompone e si ricompone in immagini da caleidoscopio.
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Monti tace sulla questione dei soldi ai partiti. Una cosa davvero assurda. Tutti, dal PdL al Pd, dalla Lega all’IdV, parlano come quel genitore che di fronte allo svuotamento della cassaforte famigliare da parte del figlio discolo e ladro non si preoccupa di prendere dei provvedimenti per punirlo ma di cambiare la combinazione della cassaforte. Ora se si può capire il genitore – tutto sommato ha a che fare con un figlio – non si possono capire i leader politici italiani, tutti, da Napolitano a Nichi Vendola. Francamente sentire quel Casini pontificare come se venisse dall’altro mondo è un insulto alla gente. Sentire la Bindi: “Io non sapevo niente e non ero tenuta a saperlo” viene di chiedersi: ma in che cazzo di Paese viviamo? Il guaio è che neppure Napolitano, probabilmente per la stessa ragione – non inquietare i partiti – pronuncia una parola di fuoco, come dovrebbe. I partiti vorrebbero rinverginarsi parlando contro il finanziamento, invocando leggi positive che stroncassero il loro istinto naturale a rubare, che gli stessi sicuramente non sapranno rispettare. Siamo d’accordo. I partiti vanno finanziati, la politica va pagata. E’ assolutamente indispensabile. Un altro sistema senza i partiti sarebbe una dittatura. La democrazia, da Clistene ad oggi, ha sempre finanziato i politici. Non è questo il punto. Qui si tratta anzitutto di PUNIRE PUNIRE PUNIRE chi ruba ad ogni livello. E’ di tutta provata evidenza che finanziati i partiti, quale che ne sia la legge, gli stessi troveranno il modo per prendere soldi dai privati, per non registrarli, per spenderli per ragioni private. Non c’è possibilità alcuna di prevenire simili eventualità. Il ricco non è un bricco che si riempie; è un contenitore senza fondo. Perciò si dice “ricco sfondato”. Più denaro ha e più ne vuole. Non resta allora che colpire, senza pietà e misericordia, chi ruba il denaro pubblico. Che oggi si continui a far finta di niente, come se niente fosse successo, è uno schiaffo ad un Paese che boccheggia senza prospettive.
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Ce lo ricorda ancora una volta Dario De Vico sul “Corriere della Sera” con un discorso che è un capolavoro di imbarazzante pilatismo. Dice l’editorialista del “Corriere”: i politici sappiano che non c’è alternativa a Monti, perciò non gli diano fastidio per non doverci trovare tutti a saltare nel buio. Poi cambia registro e si mette a criticarlo lui: “Il governo ha sicuramente commesso degli errori”, ma basti il paragone col governo precedente a tacitarci tutti. Poi riprende: “Il limite è stato di aver adottato un mix di tassazione eccessivamente elevata e tagli di spesa troppo timidi”. Gli addebita l’accusa di aver dato l’impressione di “operare più nella direzione dei mercati finanziari che in quella del Paese reale”. Ritiene che Monti debba dare fiducia agli italiani col “dare un colpo alle tasse” e “saltare il previsto aumento dell’Iva”. E chiude con un infernale avviso “il suo governo non è il male minore, ma l’unico traghetto di cui disponiamo per raggiungere l’altra sponda”. Che evoca atmosfere dantesche, Monti come la porta dell’inferno: “per me si va nella città dolente…lasciate ogni speranza”! Un modo diverso di essere oggi Pilato.

domenica 8 aprile 2012

Monti, politico per forza

Monti ha veramente sulla coscienza i suicidi “economici” che da qualche tempo addolorano l’Italia? Antonio Di Pietro, che scorre sui binari dell’oratoria come una vecchia caccavella ferroviaria, ergo senza possibilità di scarti espressivi, gliel’ha gridato in faccia alla Camera, eo absente, mercoledì, 4 aprile. Una cosa indecorosa. Guai, quando un contadino cambia mestiere!, disse una volta un tale ad un barista ex contadino che gli aveva chiesto se il caffè che gli aveva preparato era buono. Monti, che invece parla come un robot – lo ha fatto felicemente notare il comico Crozza – si è limitato a rispondere “no”, quando un giornalista, nel corso di una conferenza stampa, gli ha chiesto di rispondere a Di Pietro. Certo che il momento è grave. Nel mitico Nord-Est già i suicidi per fallimenti e indebitamenti sono diverse decine; il ritmo del farla finita nel Paese aumenta; in Puglia sono già sette. Ma, che c’entra il governo Monti? Si può dire – e lo abbiamo detto – che la soluzione della crisi finanziaria richiedeva una sospensiva della politica, che c’è stata. Essa non piace, potrebbe produrre guasti di altro genere; ma la situazione non è certo dipesa da Monti, che oggi è alle prese con una politica confusa, smarrita. Egli stesso è in difficoltà – è pur sempre un uomo – si abbandona a dichiarazioni politicamente discutibili, poi si corregge, rientra, trova l’ingresso del politicamente corretto. Ma questi sono dettagli, che afferiscono più i modi che i fatti. E i fatti, purtroppo, non sembra gli diano sempre ragione; né la sua fiducia, a volte anche eccessiva, pare che porti il Paese veramente fuori dalle secche. A Monti si può e si deve imputare che opera più per l’Europa che per l’Italia, più in favore dei grandi soggetti economici che per i lavoratori e i poveri. Quando sarà e se sarà lo dovranno inserire tra i padri della patria europea insieme all’altro padre italiano Alcide De Gasperi.
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L’accordo sulla riforma del mercato del lavoro è stato raggiunto (4 aprile). Lo ha detto lo stesso Monti, anche se solo sulla parola; nulla di scritto. La segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, ha detto: voglio prima leggere il testo. Quale il nodo sciolto? Il licenziamento per cause economiche, per cui ci può essere il reintegro se si prova che le cause sono insussistenti, prima attraverso una conciliazione tra le parti interessate e poi, eventualmente, col ricorso al magistrato. Un po’ come accade in Germania, che era quanto chiedevano la Cgil e Bersani. Ma, a questo punto, è sorto un altro problema: chi deve provare la causa di licenziamento, il datore di lavoro o il lavoratore? In via di principio generale non c’è dubbio, deve essere chi contesta l’atto, in questo caso il lavoratore. Ma – obietta il sindacato – il lavoratore non ha i mezzi per affrontare un contenzioso; perciò deve essere il datore di lavoro. I soliti bizantinismi, che dimostrano solo che in Italia riforme vere non se ne possono mai fare. Se veramente il nodo è stato sciolto, la riforma è stata un po’ svuotata, perché non c’è giudice in Italia che in un contenzioso tra datore di lavoro e lavoratore non dia ragione al lavoratore; per non parlare dei tempi della magistratura. Sicché se la riforma mirava ad una maggiore flessibilità in uscita, ovvero facilità nel licenziare, per incoraggiare i datori di lavoro ad assumere e gli stranieri ad investire in Italia, il ricorso al giudice la nega in radice. Perfino l’art. 18, come è, potrebbe andar bene solo in presenza di una magistratura diversa, meno appiattita su posizioni di classe e più rapida. Monti si convince sempre più che sua madre aveva ragione quando gli diceva: “Mario mio, guardati dalla politica!”. Se la riforma dovesse subire altri ritocchi in Parlamento, non si capisce che cosa di essa resterebbe.
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Alla Marcegaglia, leader di Confindustria in uscita, non va proprio il passo indietro che ha fatto il governo Monti sull’art. 18, in specifico sulla possibilità di reintegro anche per i licenziamenti per cause economiche. Monti ha ribattuto con poco fair play: se la sognava la Marcegaglia una riforma del mercato del lavoro simile tre mesi fa! La Fornero ha invitato la Marcegaglia ad astenersi dagli isterismi e a leggere meglio il testo. Ma la Marcegaglia è stata dura: se non sarà cambiata in Parlamento ci saranno meno assunzioni e non saranno rinnovati i contratti di lavoro a termine o a progetto. In verità Monti si è inchinato a Bersani e alla Cgil come la Costa Concordia all’Isola del Giglio. Erano decisamente diversi gli accordi contestati da Bersani a “Porta a Porta” da Bruno Vespa. Bonanni ha parlato di compromesso e la Camusso, se pure non è paga del tutto – ma i sindacalisti non lo sono mai per corruzione genetica – ha ammesso che è un passo avanti. Lo stesso Wall Street Journal di venerdì 6 aprile parlava di resa di Monti, che perciò gli ha scritto una lettera di chiarimenti. Ma che significa: il giudice “può”, non “deve” reintegrare? Siamo ancora al post-ovvio; siamo ai soliti bizantinismi, agli arrampicamenti sugli specchi per negare o mistificare la realtà. E la realtà è che prima della levata di scudi del Pd e delle minacce della Cgil la riforma su quel punto era diversa.
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Intanto dei quattro punti promessi da Monti appena nominato Capo del Governo: rigore, crescita, sviluppo ed equità, si è visto e sentito solo il primo: il rigore. E son passati cinque mesi! E gli altri? Pur lasciando stare l’equità – Monti continua a dire che nel rigore è stato equo, bontà sua! – non si vede neppure l’ombra di crescita e sviluppo! Lo spread sale e scende come un ascensore guasto. Si riavvicina ai quattrocento punti. Probabilmente non è cosa di stagione, ma di epoca. Non è come semina quando vuoi che a giugno mieti. Qui le cose vanno per le lunghe, non solo per il rigore, che in genere viene annunciato antifrasticamente: non ci sarà nessuna manovra aggiuntiva; e intanto la preparano. Sviluppo e crescita sono all’approdo sulla terra che non c’è, che per ora non si vede.
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E’ accaduto sotto il governo Monti: ha un senso? Umberto Bossi, giovedì, 5 aprile, si è dimesso da segretario della Lega Nord e, sebbene eletto seduta stante presidente, non sfugge a nessuno l’importanza di quanto è accaduto e sta accadendo nella Lega. Il tesoriere Belsito – quando si dice il nome! – si è dimesso. Accuse? Tre Procure della Repubblica lo accusano di aver elargito soldi a famigliari di Bossi e ad amici personali. Lo stesso Calderoli sarebbe stato della profenda. Soldi per ristrutturare la villa di Bossi; soldi per pagare il diploma del Trota; soldi per pagare la Porsche di Belsito; soldi per aiutare un’amica imprenditrice in difficoltà economica: soldi del partito, come rimborso elettorale. Bossi parla di complotto di Roma ladrona, ma farebbe meglio a star zitto: la cacca più cerchi di rimuoverla e peggio è. Quel che sconcerta ancora di più è il comportamento dei leader politici, Bossi come Rutelli, che non si accorgono di niente e posti davanti al fatto compiuto riconoscono che i soldi di rimborso elettorale sono troppi e invocano una legge per rivedere il criterio di assegnazione. Casini – uomo d’onore, direbbe Shakespeare – chiede addirittura una legge che imponga di restituire i soldi in esubero. La chiede a chi? Fanno ridere gli uomini d’onore italiani, quando non ti fanno girare le scatole. Somigliano a quei pedofili che, dopo aver violentato e abusato di numerosi bambini, chiedono di essere sottoposti a castrazione chimica per non fare ciò che gli stessi ritengono turpe. Si castrino i politici italiani, allora; e non se ne parli più!
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Rispondo alla domanda: ha un senso che il patatrac della lega si sia verificato sotto Monti? Non lo so. Mi rifiuto di pensare che in Italia la giustizia sia sempre ad orologeria, ma sicuramente le indagini della magistratura non possono risalire a qualche mese fa. La Lega era già nel mirino da molto prima. L’inchiesta è maturata come una pera sull’albero e colta prima che cadesse? Può darsi. Oggi il caso ha una triplice valenza. Primo, la Lega, che è all’opposizione del governo, è praticamente alle corde per guasti interni. Secondo, il movimento, componente essenziale dei governi di centrodestra, ha subito un colpo fortissimo che ne mette in forse la sopravvivenza. Terzo, l’effetto devastante sulla credibilità della politica in generale tanto più grave quando crolla una forza politica che si presenta come “dura e pura”. Certo, la sua caduta oggi produce meno effetti collaterali che se fosse caduta sotto il governo Berlusconi o sotto altro governo di cui ne avesse fatto parte. Sulla Lega, in questi giorni, si stanno buttando come sciacalli per deriderla e irriderla; ma, quando cade una speranza, quando si dissolve una prospettiva, c’è poco da far festa. E’ la campana che suona ancora una volta a morto, ma quando muore qualcuno muore sempre qualcosa anche degli altri. Hemingway docet. Il fallimento squallido della Lega è una sconfitta per la politica in generale, un altro terribile colpo per la politica italiana.

domenica 1 aprile 2012

Monti e le parole in libertà

Parole in libertà, quelle della ministra Elsa Fornero: noi facevamo il nostro lavoro, siamo stati chiamati per risolvere un problema grave che richiede interventi duri, provvedimenti difficili, non per distribuire caramelle come facevano i politici di prima. Più o meno queste le parole dette all’inviato di “Report”, la trasmissione domenicale della Gabanelli, la sera di domenica 25 marzo. Ora, questa storia del “siamo stati chiamati a purgare il paese” incomincia davvero a non essere più tollerabile. Lo abbiamo capito tutti che il Paese è mal messo, che è necessario adottare provvedimenti duri e difficili, ma non si può procedere come un bulldozer e travolgere tutto quello che s’incontra sul proprio cammino. La ministra non può disconoscere che ci sono centinaia di migliaia di lavoratori, che, avendo fatto un accordo con le loro aziende da ristrutturare, sulla base della vecchia normativa, sarebbero andati in mobilità, coperti dagli ammortizzatori sociali, e poi in pensione. Sono i cosiddetti esodati, che ora, a causa della riforma delle pensioni, che allunga il periodo di pensionamento, rischiano, dopo la cessazione degli ammortizzatori sociali, di rimanere senza salario e senza pensione. Il vuoto che si è creato ai loro danni “per salvare il Paese” deve essere colmato. Il governo non può chiamare “caramella” la soluzione di un problema così drammatico. Rimanere per alcuni anni senza lavoro e senza pensione non è uno scherzuccio da dozzina, così per ricordare il Giusti di Sant’Ambrogio. Essersi espressa in questi termini la ministra ha offeso gli italiani. E va bene che tradisce un disprezzo nei confronti dei politici forse degno di miglior causa!
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Da lunedì, 26 marzo, Monti è in Oriente, in India, in Sud Corea, in Giappone, in Cina. Va a concludere affari, cerca investitori in Italia. Si sa che raccoglie consensi. Figurarsi se in diplomazia ad un capo del governo di un paese amico si dice che fa schifo! Non l’hanno mai detto neppure a Saddam Hussein o a Gheddafi! Intanto Monti pensa all’Italia. “Se il Paese non è pronto per le mie riforme, lascio. Non mi va di tirare a campare”. Così ha detto. Una minaccia che coinvolge sia i partiti che gli consentono di governare sia i sindacati. La riforma del mercato del lavoro ha creato un po’ di maretta. Di Pietro, nella sua rozzezza contadina ha esclamato: “Ma come, il Paese deve essere pronto per Monti, non il contrario: Monti per il Paese?”. A Monti non piace tirare a campare, ma intanto gli italiani campano costretti a tirare, e non solo la cinghia.
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La stampa che conta continua a sostenere Monti. Sergio Romano sul “Corriere della Sera” di martedì, 27 marzo, fa un ragionamento per il quale, se avesse la possibilità di leggerlo fra qualche anno, potrebbe arrossire. Dice: “Questo governo non ha mai avuto i pieni poteri, ha fatto leggi grazie al voto del Parlamento e ha potuto contare, bene o male, sull’appoggio di una grande coalizione che ambedue gli schieramenti, anche se in momenti diversi, avevano già ripetutamente auspicato”. Dopo l’ovvio – si sa – c’è l’ottuso. Quello che dice non è né nuovo né falso. E’ quel che non dice che è grave. Certo che Monti non è un dittatore, non ha i pieni poteri – e chi glieli doveva dare? – ciò non significa che è espressione di normalità democratica. Ma soprattutto non significa che il suo operato è da condividere a prescindere. Sergio Romano circoscrive l’universo politico a governo, partiti e parlamento. Ma c’è un popolo, nei confronti del quale se non hanno ragione i partiti e il parlamento, non ne ha neppure il governo.
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La realtà, che è sotto gli occhi di tutti, è di una gravità sconosciuta alle generazioni nate dopo la guerra. L’Italia sta diventando il Tibet dei bonzi che si danno fuoco, degli imprenditori falliti, dei debitori che non sanno come risolvere i loro problemi. Mai visti tanti suicidi per fallimento. I provvedimenti del governo tecnico sono estremamente penalizzanti sotto qualsiasi aspetto: occupazione, reddito, sicurezza, sanità, pensione. Mentre da un lato il governo rende più costosa la vita, dall’altro aumenta le tasse, fa prelievi, spegne speranze. Si combattono evasori ed abusivi – e si fa benissimo – ma non si provvede a rimuovere nessuna causa che è a monte dei malvizi italiani. Come si combattevano i briganti nell’Italia postunitaria senza chiedersi le ragioni per le quali tanti si erano dati al brigantaggio, così oggi, in questo avvio di secondo millennio, in Italia si fa la guerra a chi non rispetta la legge, ma non ci si chiede perché la legge non è rispettata. Evasione fiscale ed abusivismi vari non sono una bella cosa; ma il governo non può combatterli senza offrire alla gente “malviziata” delle soluzioni economiche legali.
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Parole in libertà, anche quelle di Monti a Tokio, non nel senso futurista, purtroppo; ma presentista. Avevamo tutti tirato un respiro di sollievo con la fine del governo Berlusconi, proprio a causa delle sue stravaganze verbali all’estero, ora contro i giudici ora per burla contro i suoi colleghi europei, ora per le barzellette ora per qualche altra minchiata. E, invece, con Monti è perfino peggio. A Tokio ha detto: “In Italia le imprese hanno paura di assumere perché è molto difficile licenziare. Il governo ha consensi, i partiti no”. Ora, era proprio il caso di dire certe cose all’estero, dove si è recato proprio per convincere gli imprenditori stranieri ad investire in Italia? Quanto alla sua sortita sul consenso al governo e non ai partiti, è stato come gettare benzina sul fuoco. E difatti in Italia si sono scatenate le polemiche. Forse non si rende conto Monti che in Italia il consenso al suo governo è istituzionale e perciò politicamente fittizio. E’ vero che il popolo ce l’ha coi partiti, ma anche perché hanno consentito il governo tecnico. Monti sarà pure un gran bravo manager, ma sul piano politico stenta perfino a leggere una scheda elettorale.
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Bersani ha reagito duramente alle parole di Monti: o qui tecnici e politici risolvono insieme il problema o tecnici e politici insieme falliscono e allora meritano cazzotti dalla gente gli uni e gli altri. Togliatti avrebbe usato scarpe chiodate per calci in culo. Gli ha dato ragione, invece, Berlusconi, non dimentico di aver costruito le sue fortune politiche parlando male dei politici professionisti. Monti ha risposto subito alla gaffe giapponese con una lettera al “Corriere della Sera” del 30 marzo “I meriti dei partiti e la maturità del paese”. Ha fatto la palinodia: tecnici e politici insieme per risolvere i mali dell’Italia, i partiti si sono rivelati molto responsabili; il paese è maturo. Bersani ha detto che le parole di Monti sono rassicuranti. E’ il solito teatrino della politica italiana. Io ti dico che sei uno svergognato e un figlio di puttana, e poi dico che non lo sei; e tutto è a posto. Ma le cose non stanno così, il teatro rappresenta la realtà, non è la realtà. Non c’è chi non lo veda.
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Giovanni Sartori chiude la settimana di stronzate con un fondo sul “Corriere della Sera” di domenica, 1° aprile. Come nella letteratura del tardo Settecento immagina di aver fatto un sogno “Notturno italiano”. Sostiene che Monti sbaglia a perseguire obiettivi come l’art. 18 e ipotizza provocazioni, tipo “provvedimenti che Alfano, su ordine del suo capo, sarebbe costretto a bocciare”, come riforme sulla giustizia e della Rai. A questo punto Napolitano scioglie il Parlamento, si va a nuove elezioni col Porcellum e Monti stravince le elezioni e così può fare finalmente quello che vuole perché legittimato dal voto popolare. Questo il sogno. Al mio paese si dice che “vecchi e forestieri possono dire quello che vogliono”. Quel che non si può tollerare è che questa gente continui a mancare di rispetto agli altri. Parlare di capi e di ordini, come per una faccenda mafiosa, se non è demenza senile è solo perché dopo tutto si deve continuare ad aver rispetto di “vecchi e forestieri”. Pesce d’aprile, permettendo!