domenica 14 maggio 2017

Populismo, variazioni sul tema


C’è un populismo buono. Premesso che la parola, come tutte quelle che finiscono in ismo, evoca  pensieri, azioni e comportamenti mirati al bene del popolo, che è la referenza lessicale di base, il populismo buono è quello che tende ad educare il popolo, non già per renderlo migliore ma per guidarlo negli eventi e nelle situazioni della vita allo scopo di trarre il massimo e il miglior profitto. Il popolo, in quanto tale, non può diventare né migliore né peggiore di quello che è. Neppure se fosse formato in somma di geni, per il fatto di essere indistinto e perciò privo di dialettica, non è in grado di provvedere da sé al suo bene. Un popolo di geni equivarrebbe ad un soggetto idiota. Il popolo va perciò sempre convenientemente informato e guidato, volta per volta, per perseguire i propri interessi, che non sono mai di parte ma generali, comprendendo lo Stato e tutte le sue articolazioni. Il popolo, per intenderci, non è la massa; questa è una sua componente, la parte più numerosa e più passiva.
In genere il popolo-massa – così lo chiamiamo per comodità di ragionamento – si lascia guidare ed è contento di farlo; ma si verificano nella storia situazioni in cui gli esiti della guida sono negativi, inadeguati ai bisogni, progressivamente disastrosi. Allora il popolo-massa prende l’iniziativa, da guidato diventa guida e impone ai suoi rappresentanti di pensare, parlare e fare come lui pensa, parla e fa. E’ a questo punto che i suoi rappresentanti diventano populisti.
In condizioni normali chi provvede alla guida del popolo e alla sua educazione, che sempre guida significa, e-ducere =  condurre dall’errore sulla retta via, sono gli intellettuali, i politici, i dirigenti di partiti e di aziende; in una parola: la classe dirigente. La guida può essere costituita da soggetti che hanno punti di vista e interessi diversi – la qual cosa è un bene – ma, proprio perché si tratta di soggetti avveduti e motivati, sono ben lontani dal pensare e dall’agire del popolo-massa, che è istintivo e brutale. Essi, nella dialettica, trovano sempre la via migliore per risolvere i problemi.
Deve essere chiaro perciò che il popolo è l’insieme di tutti gli individui insistenti su un territorio, dai confini ben precisi e regolato da leggi, che ha nella sua classe dirigente la sua guida. Come il cervello fa parte del corpo e ne è la guida; così la classe dirigente o altrimenti detta politica o élite è il cervello del popolo, ovvero la guida del popolo.
Di questi tempi, purtroppo, ci troviamo ad intendere il populismo nella sua accezione negativa: non la classe dirigente alla testa del popolo-massa, ma questo che influenza e condiziona la classe dirigente. Che è il rovesciamento dei ruoli, quello che una volta, secondo il sociologo russo Mikhail Bachtin, avveniva nel breve tempo del carnevale. In questo periodo si raffigurava l’asino sul trono del re o sul soglio pontificio del papa, in un ribaltamento dei ruoli e dei valori. Ma chi lo faceva aveva almeno la consapevolezza dei suoi comportamenti, ben limitati in un breve lasso di tempo: semel in anno licet insanire. E le classi dirigenti lasciavano fare nel suddetto periodo perché quanto veniva fatto era funzionale al loro ruolo istituzionale; solo una piccola e breve licenza, per divertirsi dopo tanto lavoro.
I vari populismi che agitano oggi i paesi europei di antica e antichissima civiltà hanno trovato soggetti che li interpretano nella maniera rovesciata. Per fare degli esempi. Che se ne deve fare l’Italia di un leader che la pensa come un ubriaco di osteria? Che se ne deve fare la Francia di un leader che la pensa come un frequentatore di bistrot? Che se ne deve fare la Germania di un leader che la pensa come un bavarese frequentatore di Bierhalle? Si potrebbe continuare con tanti altri leader europei, che, per aver sposato gli umori del popolo più basso, vengono considerati populisti. Questi leader negano di fatto il loro ruolo, lasciandosi trascinare dal popolo-massa piuttosto che essere loro a guidarlo.
Essi tuttavia si difendono e contrattaccano. Nei loro slogan – uno dei più abusati è “sono uno di voi” – si compiacciono di essere come uno dei tanti del popolo-massa, sia pure dotati di quelle capacità utili a farsi rappresentante senza tradire la parte di cui si sentono leader e trovano nel cosiddetto establishment il nemico del popolo da sconfiggere. Essi tendono ad esprimersi come la componente più bassa e perfino triviale del popolo-massa.
L’esempio più eclatante è costituito dal comico Beppe Grillo e dai suoi urlati e reiterati vaffanculo, diventati veri e propri riti politici: i vaffaday, sorta di assemblee senza dibattito, orge in cui il capo si esibisce in esilaranti gag, attraverso i quali veicola i suoi messaggi populistici, contenenti ingiurie e minacce contro uomini, cose e istituzioni del cosiddetto establishment.

Gli attacchi all’Euro sono subliminali. I populisti non ce l’hanno con l’Euro in quanto moneta comune, che andrebbe per tanto apprezzata, ma perché costituisce l’icona di un nemico da abbattere, la prova della frode e degli inganni. L’Euro dà corpo ad un nemico invisibile, lo rende vulnerabile. E’ il populismo di chi non vede oltre l’immediato, oltre il problema del momento, e si esprime con continue doléances prive di contestualizzazione e di prospettiva.

domenica 7 maggio 2017

La marcia trionfale del M5S


Ebbene sì, mi vado convincendo che il Movimento 5 Stelle vincerà le prossime elezioni politiche e andrà al potere. E’ fatale. A convincermi però non è il fatalismo ma il vento che soffia in suo favore; un vento che si sprigiona da alcuni semplici ragionamenti e da una constatazione: l’impazzimento irrimediabile del mondo. Non si creda che l’Italia costituisca un caso, ormai l’Italia è una declinazione nazionale di un fenomeno generale.
In Francia: un signor nessuno, tale Emmanuel Macron, sposato con la sua ex docente di lettere, di lui più anziana di 24 anni, si avvia a diventare dall'oggi al domani presidente della repubblica francese passando dal fantastico mondo dei media, che lo hanno reso personaggio dal nulla. Ora capisco anche la trasfigurazione, quella di Nostro Signore Gesù Cristo, un evento che credevo una trovata evangelica, basata sul nulla. No no, è proprio vero. Semplicemente prima non l’avevo capito. Macron da un grigio e sconosciuto burocrate dell’alta finanza è diventato un personaggio osannato dalle folle e poi eletto presidente. E’ un trasfigurato.
I grillini sono nati anch’essi dal nulla, anzi dal peggio del nulla. Sono figli di un comico rancoroso che si è fatto strada a suon di vaffanculo, urlati in piazza e portati in casa della gente dalla televisione, la fama della mitologia. Sarà pure una metafora il culo, ma sempre culo è. Con rispetto parlando. C’è da inorridire, ma è il mondo di oggi, che non vive nelle cose bensì nella loro finzione. Questi cachielli – i grillini, dico – figli molto spesso di genitori fascisti, ancora oggi fascisti, evitano la cultura storiografica come Nembo Kid la criptonite. Non senza calcoli. Se avessero conoscenze, non dico importanti ma almeno elementari, non si azzarderebbero a dire certe minchiate. Per loro non sapere è potere, è coraggio di osare. E anche qui si nota l’impazzimento. Una volta si diceva che sapere è potere. Questi si buttano su tutto con grande slancio. Se la politica fosse un mare annegherebbero, perché si è visto che non sanno nuotare. Ma non sanno neppure volare: sono maldestri Icari che al calore del sole precipitano liquefatti. Ma non se ne rendono conto. E neppure gli altri si rendono conto di quanto li favoriscano.
A favorirli, infatti, non è soltanto l’immagine del nuovo, che a quanto pare è vincente ad ogni latitudine – lo dimostrano i casi di Trump in America e di Macron in Francia – ma soprattutto il nulla che li circonda, costituito dal mondo tradizionale della politica, quello che va da Renzi a Pisapia, attraversando Berlusconi, Salvini e Meloni. Lasciamo stare questi ultimi, della cosiddetta destra, i quali non riusciranno mai a mettersi insieme per costituire qualcosa di attendibile. Prendiamo l’unico partito, il Pd, che teoricamente potrebbe contendere il successo elettorale al Movimento di Grillo. Prendiamolo! Hanno fatto recentemente le primarie. Un fiasco colossale, non solo e non tanto per la scarsa affluenza – dicono un milione e ottocentomila votanti – nonostante i tentativi di gonfiarla con espedienti tra i più vari, fino a quelli di mettere schede neppure votate nelle urne (circa 15.500), ma per lo spettacolo indecoroso offerto. Come si può pretendere di ostacolare la marcia trionfale di Bacco e di Arianna, leggi M5S, con prove di così piccolo e miserabile cabotaggio, con espedienti di piccole furbizie, di incallite prepotenze e di tanta tanta coglionaggine? A Nardò hanno chiuso il seggio elettorale perché dei cittadini erano andati in massa a votare per Emiliano. Con quale motivazione i responsabili locali del Pd, evidentemente renziani, hanno impedito ai cittadini di Nardò di accogliere l’invito del loro stesso partito di votare? Nel Pd ormai non si capisce chi ne fa parte e chi no. A Lecce hanno nascosto le chiavi dell’ufficio del segretario provinciale, perché, a quanto pare, non sarebbe renziano. Già, perché ormai è accertato: nel Pd o si è renziani o si è fuori.  
L’ennesimo scandalo, quello della Consip, è svanito; non se ne parla più. Come se i suoi tanti protagonisti non fossero mai esistiti, non fossero mai stati coinvolti. Neppure processati. Tutti assolti, anzi, meglio che assolti; i personaggi, come certi reati, non sussistono. Eppure, erano coinvolti il padre di Renzi, un ministro del governo Gentiloni, alti e medioalti ufficiali dei carabinieri. Sim sala bim: spariti, come d’incanto.

Ormai è chiaro a tutti che l’immigrazione è un affare diffuso tra scafisti e ong, e non solo, ma gridano allo scandalo piccoli e grandi personaggi dell’establishment, compresi i presidenti delle camere, per la denuncia fatta da Frontex, da alcune procure e dal grillino Di Maio. Non ci meraviglieremmo affatto se fra qualche tempo si legalizzasse anche l’illegale se questo “salva vite umane”. Salvare vite umane in circostanze impreviste è un conto, andare di proposito, con tanto di pianificazione, con mezzi e scali stabiliti, è un altro. Qui ci sono navi militari e navi delle ong che iniziano la giornata e la chiudono andando a “salvare vite umane”, stabilendo contatti con gli scafisti e incrementando un fenomeno che incomincia davvero a presentare reati gravi nei confronti dello Stato nazionale e di tradimento del proprio Paese. Almeno per quel che ci riguarda. Anche questo è vento che gonfia le vele dei grillini. Mentre gli altri paesi europei chiudono le frontiere e non fanno passare nessuno, noi li andiamo a prendere da casa e li portiamo in Italia e lasciamo che altri, sotto copertura ong, lo facciano. Mentre i nostri governanti si masturbano con le parole del Presidente della Commissione Europea Juncker. Il quale, da quel furbo e scafato politico che è, ci elogia e ci dice che l’Europa ci è grata perché con le “vite salvate” agli emigranti le abbiamo salvato l’onore. Capita l’antifona? Dopo l’amaro danno, la dolce beffa!     

giovedì 4 maggio 2017

Se il plagio non è più una vergogna


Questa volta il caso di plagio Le Pen-Fillon è clamoroso. Marine Le Pen, candidata alla presidenza della Repubblica Francese, ha copiato di sana pianta parti di un discorso che un paio di settimane prima aveva pronunciato il leader dei repubblicani Fillon, anche lui in corsa per la presidenza francese. I media si sono scatenati, proponendo la Le Pen e Fillon in contemporanea, una accanto all’altro, quasi fosse una gara di sci in parallelo, come i più anziani ricordano tra il nostro Thöni e lo svedese Stenmark.
Dallo staff della Le Pen si è ammesso il plagio, ma si è aggiunto “è stato voluto”, per dimostrare che il programma della Le Pen è lo stesso di Fillon e che dunque gli ex elettori di quest’ultimo avrebbero potuto fidarsi di lei e votarla “ad occhi chiusi” e magari anche “ad orecchi tappati”.
Sembrerebbe infantile come spiegazione, ma in un mondo come l’attuale, veramente una “gabbia di matti”, in cui la post-verità è più vera della verità, vale tutto e il suo contrario.
Fuori da infantilismi e mattane, il plagio è ancora da condannare? Forse a farlo oggi è solamente la scuola. Quando uno studente copia un compito in classe, in tutto o in parte, rimedia un “due” senza pietà e misericordia. Il professore non punisce solo l’incapacità dello studente di elaborare un tema con le sue sole capacità, come è normale che sia, ma anche la furbata. Nel voto stroncatorio scarica la sua rabbia perché costretto a perdere del tempo per trovare la fonte alla quale lo studente ha attinto. Glielo impongono in primis lo studente stesso, e poi il preside della scuola e la famiglia del ragazzo. Non più venti minuti per la correzione dell’elaborato ma a volte anche un’ora e più, per via del mare magnum di pubblicazioni che spesso circolano sull’argomento su libri, giornali e web.
Più sottilmente si sostiene che copiare parte di un testo non è plagio senz’altro, dato che lo si può utilizzare inserendolo in un contesto per fargli svolgere una funzione argomentativa diversa da quella originale. Sottigliezze in qualche modo fondate, a cui però non bisognerebbe mai ricorrere. In casi del genere, infatti, sarebbe d’obbligo indicare tra parentesi la fonte. Non facendolo, si compie un atto comunque disonesto.
Se a compierlo poi è un politico è estremamente grave. Già i politici sono, secondo la vulgata populistica, bugiardi e ladri; se poi si fanno scoprire in un modo così plateale, allora si danno la patente di fessi; che, in un paese come il nostro, è qualifica assai più infamante.
Utilizzare un argomento, già utilizzato da altri, ci sta, basta saperlo rielaborare dandogli una veste formale e stilistica propria. Non è originale ma neppure plagio.
Quando si verificano casi come questo, è di tutta evidenza che l’autore del plagio, che è quasi sempre un collaboratore del politico, è stato incauto, escludendo che lo abbia fatto apposta o per la ragione anzidetta o per dolo. Nel caso specifico, si ha l’impressione che chi ha preparato il discorso della Le Pen non ha copiato da chi aveva preparato il discorso di Fillon; più verosimilmente sia l’uno che l’altro, ovvero sia Le Pen che Fillon, potrebbero avere attinto alla stessa fonte; una fonte terza.
Comunque siano andate le cose, è certo che ormai a farla da padrona, perfino ai livelli alti della politica, è la sciatteria, che la facilità e la comodità di trovare testi bell’e pronti sul web, alimentano. E’ vero altresì che con altrettanta facilità si viene scoperti, perché basta digitare poche parole del testo galeotto, in sequenza compositiva, ed ecco l’indicazione della fonte.

Quel che fa impressione – ma si fa per dire – è che oggi neppure l’essere pubblicamente sbugiardati produce niente di particolare; e meno che niente produce nei politici. Essi, infatti, diventano sempre più sfacciati – non parlo solo dei nostri – ed anzi passare per dei “copioni” li riporta al loro essere ragazzi con tutta la simpatia che certi studenti discoli fanno.