C’è un populismo buono. Premesso
che la parola, come tutte quelle che finiscono in ismo, evoca pensieri, azioni e comportamenti mirati al
bene del popolo, che è la referenza lessicale di base, il populismo buono è quello
che tende ad educare il popolo, non già per renderlo migliore ma per guidarlo
negli eventi e nelle situazioni della vita allo scopo di trarre il massimo e il
miglior profitto. Il popolo, in quanto tale, non può diventare né migliore né
peggiore di quello che è. Neppure se fosse formato in somma di geni, per il
fatto di essere indistinto e perciò privo di dialettica, non è in grado di
provvedere da sé al suo bene. Un popolo di geni equivarrebbe ad un soggetto
idiota. Il popolo va perciò sempre convenientemente informato e guidato, volta
per volta, per perseguire i propri interessi, che non sono mai di parte ma
generali, comprendendo lo Stato e tutte le sue articolazioni. Il popolo, per
intenderci, non è la massa; questa è una sua componente, la parte più numerosa
e più passiva.
In genere il popolo-massa – così
lo chiamiamo per comodità di ragionamento – si lascia guidare ed è contento di
farlo; ma si verificano nella storia situazioni in cui gli esiti della guida
sono negativi, inadeguati ai bisogni, progressivamente disastrosi. Allora il
popolo-massa prende l’iniziativa, da guidato diventa guida e impone ai suoi
rappresentanti di pensare, parlare e fare come lui pensa, parla e fa. E’ a
questo punto che i suoi rappresentanti diventano populisti.
In condizioni normali chi
provvede alla guida del popolo e alla sua educazione, che sempre guida
significa, e-ducere = condurre dall’errore sulla retta via, sono
gli intellettuali, i politici, i dirigenti di partiti e di aziende; in una
parola: la classe dirigente. La guida può essere costituita da soggetti che
hanno punti di vista e interessi diversi – la qual cosa è un bene – ma, proprio
perché si tratta di soggetti avveduti e motivati, sono ben lontani dal pensare
e dall’agire del popolo-massa, che è istintivo e brutale. Essi, nella
dialettica, trovano sempre la via migliore per risolvere i problemi.
Deve essere chiaro perciò che il
popolo è l’insieme di tutti gli individui insistenti su un territorio, dai
confini ben precisi e regolato da leggi, che ha nella sua classe dirigente la
sua guida. Come il cervello fa parte del corpo e ne è la guida; così la classe
dirigente o altrimenti detta politica o élite è il cervello del popolo, ovvero
la guida del popolo.
Di questi tempi, purtroppo, ci
troviamo ad intendere il populismo nella sua accezione negativa: non la classe
dirigente alla testa del popolo-massa, ma questo che influenza e condiziona la
classe dirigente. Che è il rovesciamento dei ruoli, quello che una volta,
secondo il sociologo russo Mikhail Bachtin, avveniva nel breve tempo del
carnevale. In questo periodo si raffigurava l’asino sul trono del re o sul
soglio pontificio del papa, in un ribaltamento dei ruoli e dei valori. Ma chi
lo faceva aveva almeno la consapevolezza dei suoi comportamenti, ben limitati
in un breve lasso di tempo: semel in anno
licet insanire. E le classi dirigenti lasciavano fare nel suddetto periodo
perché quanto veniva fatto era funzionale al loro ruolo istituzionale; solo una
piccola e breve licenza, per divertirsi dopo tanto lavoro.
I vari populismi che agitano oggi
i paesi europei di antica e antichissima civiltà hanno trovato soggetti che li
interpretano nella maniera rovesciata. Per fare degli esempi. Che se ne deve
fare l’Italia di un leader che la pensa come un ubriaco di osteria? Che se ne
deve fare la Francia di un leader che la pensa come un frequentatore di
bistrot? Che se ne deve fare la Germania di un leader che la pensa come un bavarese frequentatore di Bierhalle? Si potrebbe continuare con tanti altri leader europei, che,
per aver sposato gli umori del popolo più basso, vengono considerati populisti.
Questi leader negano di fatto il loro ruolo, lasciandosi trascinare dal popolo-massa
piuttosto che essere loro a guidarlo.
Essi tuttavia si difendono e
contrattaccano. Nei loro slogan – uno dei più abusati è “sono uno di voi” – si
compiacciono di essere come uno dei tanti del popolo-massa, sia pure dotati di
quelle capacità utili a farsi rappresentante senza tradire la parte di cui si
sentono leader e trovano nel cosiddetto establishment
il nemico del popolo da sconfiggere. Essi tendono ad esprimersi come la
componente più bassa e perfino triviale del popolo-massa.
L’esempio più eclatante è costituito
dal comico Beppe Grillo e dai suoi urlati e reiterati vaffanculo, diventati veri e propri riti politici: i vaffaday, sorta di assemblee senza
dibattito, orge in cui il capo si esibisce in esilaranti gag, attraverso i
quali veicola i suoi messaggi populistici, contenenti ingiurie e minacce contro
uomini, cose e istituzioni del cosiddetto establishment.
Gli attacchi all’Euro sono
subliminali. I populisti non ce l’hanno con l’Euro in quanto moneta comune, che
andrebbe per tanto apprezzata, ma perché costituisce l’icona di un nemico da
abbattere, la prova della frode e degli inganni. L’Euro dà corpo ad un nemico
invisibile, lo rende vulnerabile. E’ il populismo di chi non vede oltre l’immediato,
oltre il problema del momento, e si esprime con continue doléances prive di contestualizzazione e di prospettiva.
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