martedì 6 giugno 2017

Juventus: maledizione e stile


Ancora una volta la Juventus in finale della Champions League, una volta Coppa dei Campioni, ha naufragato, smentendo tutto il bello e il buono che aveva fatto per giungere all’appuntamento finale. Poiché la Juve porta con sé molti caratteri del popolo italiano e milioni sono i tifosi, in Italia soprattutto, per spiegare la sua ennesima débâcle sono stati scomodati molti ragionamenti, quasi sempre dettati o dalla frustrazione, se fatti da juventini, o dall’odio viscerale se fatti dagli antijuventini. Non è un caso che una delle spaccature antropologiche del popolo italiano è tra juventini e antijuventini, comprendendo questi ultimi la rimanente parte dell’universo tifo.
C’è chi è convinto che grava su di lei una maledizione, dato che la Juve in finale perde sempre, anche quando la squadra avversaria è modesta e di gran lunga a lei inferiore. La Juve, insomma, come Montezuma o Tutankhamon.
Più semplicemente la Juve, quando arriva a giocarsi la finale ha già vinto il Campionato e qualche volta anche la Coppa Italia, come quest’anno; arriva perciò stanca e paga. Affronta l’importantissimo appuntamento non come qualcosa da vincere sul campo imponendosi all’avversario fino allo spasimo, ma quasi come un epilogo scontato, una formalità, o col favore del calcolo delle probabilità: fusse ca fusse è la volta bbona. Ricordo ai tempi dell’Università che c’erano studenti che invece di pensare all’esame pensavano al giorno dopo, rimuovendo l’oggetto che doveva essere del massimo impegno. Così ha fatto ancora una volta la Juve, più che pensare alla partita, ha pensato al triplete, come ad un obiettivo raggiunto.
Chi ha ascoltato Allegri in conferenza stampa prima della partita ha capito che il tecnico juventino era fortemente preoccupato e cercava di esorcizzare un risultato, che sapeva perfettamente essere, quanto meno, in bilico. Sapeva anche di avere due uomini chiave del suo gioco, Dybala e Higuain, fuori forma. Nelle ultime partite di Campionato lo avevano dimostrato chiaramente. Allegri avrebbe dovuto coraggiosamente tenerli in panchina e farli entrare caso mai a partita avviata, per far loro sprigionare quella rabbia che in genere contraddistingue i calciatori bravi ma momentaneamente non in forma. Invece li ha portati in campo, con il risultato che conosciamo.
Per intenderci, le finali di quel livello i calciatori, tutti, dovrebbero affrontarle con lo spirito e l’agonismo di un Mandzukich. Non perché il croato abbia firmato un bellissimo gol, ma perché si batteva alla pari con gli avversari; come aveva fatto, in un crescendo verso la fine della stagione, in Campionato e in Coppa Italia.
Maledizione? Forse, ma si tratta di qualcosa di razionale, perché, a disamina della partita, ci si accorge degli errori pacchiani compiuti. La Juve a Cardiff ha perso perché è arrivata con dei giocatori importanti fuori forma – e questa è sfortuna – e con un tecnico che non ha avuto il coraggio di scelte diverse – e questa non è sfortuna, ma mancanza di capacità di affrontare i problemi come le circostanze vogliono. I tecnici stranieri ma perfino i nostri, quando allenano all’estero, riescono a tentare soluzioni che qui in Italia neppure si sognano di adottare. In Italia tutto è fatale, nessuno sfida il destino, che poi nessuno conosce quale sia.

Si potrà insistere con la maledizione. In fondo si è tifosi anche per il bello dell’irrazionale. E sia, allora gli juventini accettino questa loro condizione come componente ineliminabile del loro essere, del loro vincere e del loro perdere, del loro stile, come orgogliosamente chiamano un vero o presunto modo di approcciarsi al tifo che li rende unici. La Coppa dei Campioni ieri, la Champions League oggi, è diventata un traguardo troppo atteso, troppe volte sfuggito, perché possa arrivare facile facile, come è capitato anche a squadre italiane. La maledizione del risultato si è intrecciata a volte con gli eventi tragici che hanno accompagnato l’evento. Ricordiamo la finale di Bruxelles e la tragedia sfiorata di Piazza San Carlo quest’anno. Il tifo per la Juve è fatale. Facciamocene una ragione.         

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