“Quando si parte il gioco della zara – dice Dante nel VI del
Purgatorio – colui che perde si riman
dolente, repetendo le volte, e tristo impara”. Normale che dopo una
sconfitta ognuno rifaccia il percorso per trovare gli errori compiuti e i
responsabili.
Per la sconfitta di Mauro
Giliberti, candidato sindaco del centrodestra nelle Amministrative leccesi dell’11-25
giugno, è accaduta puntuale la conta degli errori e l’indicazione di chi li
avrebbe compiuti. Ma più che Giliberti, lo sconfitto, sono i suoi mentori a
cercarli. E, come prima cosa, è stata messa sotto accusa l’improvvida
scelta di un candidato che con la politica non aveva avuto fino a quel momento
nulla a che fare.
Bravo conduttore di fortunate
trasmissioni a “TeleRama” e poi inviato di “Porta a Porta” di Bruno Vespa per
la Rai, Giliberti si è impegnato a fondo nella campagna elettorale, ha messo la
faccia per un’impresa partita male, si è presentato col garbo che lo ha sempre
contraddistinto e sorprendentemente con buone competenze anche politico-amministrative,
sapendo individuare problemi cittadini ed emergenze sociali, proponendo
soluzioni e dando prospettive. Nei confronti diretti col suo antagonista Carlo
Salvemini non solo non ha sfigurato ma è riuscito perfino a metterlo alle corde
quando gli ha rinfacciato l’asimmetrica e discordante alleanza con Delli Noci,
candidato proveniente dal centrodestra sconfitto al primo turno. Evidentemente
l’aver avuto a che fare per tanti anni con politici e amministratori ha reso
Giliberti “del mondo esperto e de li vizi
umani e del valore”, per tornare a Dante.
Giliberti ha riconosciuto subito
la sconfitta, ritenendola forse assai più probabile, se non scontata, di tanti
altri esperti leader del suo schieramento, avendo anche per il vincitore parole
politicamente opportune e interessanti. Ma i leader del centrodestra hanno
fatto subito processi a uomini e a cose: Raffaele Fitto, la Poli Bortone e
perfino la neve caduta in abbondanza a gennaio, quando in incontri se non
segreti comunque silenziosi si puntò sulla candidatura di Giliberti.
A Mauro personalmente voglio
bene. Mi ha invitato tante volte alle sue trasmissioni. Ho veramente gioito per
lui quando seppi del suo successo in carriera con l’approdo a Rai Uno. Ma la
sua candidatura mi parve subito come un atto di arroganza politica e di
faciloneria di chi l’aveva disposta. Come dire: noi siamo il centrodestra e
siamo talmente consapevoli della nostra forza che possiamo candidare un
estraneo al mondo della politica, sicuri di vincere al primo turno come nelle
precedenti quattro elezioni amministrative. Il messaggio era questo, almeno per
come poteva essere recepito dall’elettorato.
Allora, la domanda: perché uomini
politici scafati come Perrone, Fitto, Poli Bortone et similes hanno tirato fuori il coniglio dal cilindro – absit iniuria verbis – dando alla città
di Lecce un messaggio offensivo? In politica chi insulta l’elettorato, sia come
sia, facendogli capire di essere un povero fesso che beve tutto quello che gli
propini, va incontro ad una giusta e salutare scoppola. Viene il sospetto che non
di troppa sicurezza si sia trattato ma di calcolo nella scelta di Giliberti. Pur
di non cedere a nessuno dei probabili eredi politici del centrodestra leccese,
con buone probabilità di altri dieci anni di governo cittadino, i responsabili
della scelta hanno pensato: mettiamo Giliberti, se vince tanto di guadagnato; e
se perde, ha perso uno che non ha niente di politico da perdere; e intanto noi
ci prepariamo per future competizioni.
In politica – mi scusino i
lettori per queste mie incidentali – tutto ciò che accade a Roma accade anche nel
più piccolo e sperduto paesino, perché la politica ha le sue leggi; e gli
uomini tanto più istintivi sono, tanto più obbediscono a quelle leggi. Mi
ricordo di un tale a Taurisano che, in occasione di candidature a sindaco,
quando vedeva vacillare la sua, per stornare l’ambiente, tirava fuori una
proposta che non stava né in cielo né in terra e perciò destinata a fallire;
fino a quando non si arrivava, anche per stanchezza, alla sua. Guarda caso, era
anche quel tizio di destra.
A Lecce la candidatura di
Giliberti è passata, per arroganza o per calcolo poco importa. L’elezione,
invece, si era vista problematica già al primo turno con quel voto disgiunto in
favore di Salvemini che la diceva lunga. L’elettorato, che in genere si esprime
più liberamente e senza calcoli al primo turno, al secondo si è accorto che tra
i due contendenti chi aveva le carte in regola per fare il sindaco era
Salvemini. Il mettere nel presepe amministrativo un santo qualsiasi, nel nostro
caso una specie di Santo Stefano, al posto di San Giuseppe, al ballottaggio è
risultato in tutta la sua incongruenza. E, infatti, Giliberti si è preso le
pietre del protomartire. No, amici, il presepe va fatto coi pupazzi giusti.
Nelle amministrative conclusesi non era Giliberti il “santo” giusto. Ma Mauro
fa bene a non mollare e a prepararsi per futuri cimenti, perché il centrodestra
di Lecce ha bisogno di lui. Salvo che non voglia mettere una pietra sopra e
tornare alla sua professione.
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