C’è sempre un grande vecchio
nella storia d’Italia, in genere occulto. Quello di oggi non si nasconde, è
Giorgio Napolitano, sopravvissuto a se stesso e pronto a difendere le sue
scelte quirinalesche, a partire da quella famigerata del 2011, quando fece
fuori Berlusconi per mettere in sella Mario Monti. Sono bastate la sua sortita
contro l’accordo fra i quattro (Renzi, Berlusconi, Grillo e Salvini) sulla
legge elettorale e la sua sparata contro le elezioni anticipate che Pd e M5S
corressero ai ripari, facendo fallire l'accordo. Ed ora, si voterà nel 2018. Ancora una
volta il vero obiettivo da colpire era Berlusconi. Napolitano vede rosso, come
i tori, quando s’intravede il recupero del signore di Arcore. Vede crollare il
suo castello fatato.
Ora i furbastri del Pd e del M5S si
rinfacciano reciproci tradimenti. Gli uni e gli altri hanno tradito il popolo
italiano. Sanno che non è così e che la loro è una messa in scena.
Ci è capitato in passato di
parlar bene di Napolitano; continuiamo a farlo. Fra una caterva di nanerottoli
presuntuosi è un gigante. Esserlo in politica è già un fatto positivo. Ma lo è
per il bene del paese o per se stesso, come spesso si giudicano i politici in
Italia? Lo rilevava proprio Mario Monti dalla Gruber, venerdì sera, 9 giugno.
Ha detto Monti, riassumo: la stampa italiana non giudica le scelte politiche
per la ricaduta benefica o malefica sul paese, ma per successo o l’insuccesso
di chi le fa. E’ l’eterno equivoco machiavelliano. Eppure Machiavelli è chiaro:
si può e si deve fare perfino il male, ma sempre per il bene dello Stato; chi
opera per se stesso è un tiranno.
Una legge elettorale era sul
punto di essere varata, finalmente. La sua mancanza è una vergogna per un paese
come l’Italia, che ha una storia grandiosa. Poteva essere una cattiva legge, ma
a quel punto era una legge. Mala lex sed
lex. E lo sa chi capisce di politica e di diritto quanto sia preferibile
una cattiva legge alla mancanza di legge.
Sono anni che giochiamo
assurdamente al latinorum. Si partì col mattarellum, si continuò col
tatarellum, col porcellum, con l’italicum, col consultellum, col rosatellum,
col tedeschellum e penso proprio di non ricordarne qualcun altro; ma sempre
alla ricerca del fottutellum.
Giochiamo noi italiani con la
cosa più importante di una democrazia: la legge elettorale. Ci sono paesi in
Europa che votano con una legge elettorale in vigore da centinaia di anni. Noi
ne facciamo una ogni due-tre anni e non riusciamo neppure, perché nessuno pensa
al bene del paese e della democrazia ma al proprio tornaconto partitico. Magari
parte bene, poi, strada facendo viene ridotta ad una porcata, come disse
Calderoli per la sua legge, detta poi porcellum.
La soglia di sbarramento al 5 %
non può piacere a chi non raggiunge neppure il 2-3 %. Cosa conta la
governabilità a fronte della rappresentatività? Cosa conta il fare a fronte del
chiacchierare, del brigare, dell’inciuciare continuo?
Ma rappresentano chi questi
iperrappresentativisti? Sono quattro gatti che di stare insieme con altri non
vogliono. Ci sono quattro o cinque frasche di sinistra, quattro o cinque
frasche di destra, che impediscono che si faccia una legge da cristiani. Quel
che manca in Italia è uno che faccia veramente politica. Ce ne sono troppi che
chiacchierano dalla mattina alla sera senza costrutto alcuno, anzi pronti a
buttar giù tutto quello che si cerca di costruire.
Si sono infuriati contro
l’accordo i nanerottoli, temevano di perdere l’osso. Vogliono le preferenze,
non vogliono le liste bloccate. Vogliono la rappresentanza al doppio zero come la farina. Vogliono …vogliono…vogliono…
e intanto passa il tempo e scoprono che poi dopotutto Gentiloni governa bene.
Sì, ma che fa e chi lo ha votato? E’ il terzo governo uscito dal cilindro:
Letta, Renzi, Gentiloni. Il potere politico in Italia è come il marchese del
grillo: io so’ io – dice agli italiani – e voi nun siete un cazzo.
Le democrazie muoiono anche di
democratite acuta quando diventa cronica e non consente più di governare. Oggi
rischi del genere non se ne corrono, non già perché ce lo impedirebbe lo stare
nell’Europa, ma perché gli italiani si sono rincoglioniti. Tutto quello che
hanno saputo esprimere è Beppe Grillo, un comico che sa solo fare spettacolo a
suon di volgarità, di insulti e di minacce; che non riesce ad intraprendere una
via per paura di sbagliare, anzi convinto di sbagliare. La politica, infatti,
non è mai quello che era il giorno prima. Grillo sa che la tomba del grillismo
è diventare partito, diventare cioè come tutti gli altri. Lo sa a tal punto che
smatassa oggi quel che ha filato ieri. E ci sono osservatori politici e
politici medesimi che inneggiano a Grillo per essere riuscito ad assorbire la
protesta populistica strappandola a pericolosi populisti e incanalandola nelle
forme costituzionali. Il che significa che la giusta protesta populista è stata
svuotata e resa un gioco di confusa e inutile rappresentanza.
In realtà le cose stanno
diversamente: i grillini sono figli di una cultura snervata, di una malintesa
politica, di un’ignoranza della storia e della cultura italiana. I grillini
sono l’espressione più mortificante dell’ignoranza coltivata dalla scuola
italiana, che da trent’anni a questa parte ha smesso di formare le generazioni
sulla base della storia e di ogni altro sapere. A vederli i grillini appaiono
in tutta la loro contraddittorietà: sono arrabbiati contro qualcuno e qualcosa
ma mai sereni verso qualcuno o qualcosa. Di qui le difficoltà che incontrano,
quando giungono al potere, di governare le realtà comunali e cittadine.
In una simile desertificazione
culturale e politica basta che un “vecchierel canuto e bianco”, per dirla con
un poeta dimenticato come il Petrarca, si agiti poco poco e l’ira funesta dei
cacchielli del Pd e del M5S si ritirino in buon ordine con la coda fra le gambe.
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