domenica 11 giugno 2017

Il grande vecchio di oggi è Giorgio Napolitano


C’è sempre un grande vecchio nella storia d’Italia, in genere occulto. Quello di oggi non si nasconde, è Giorgio Napolitano, sopravvissuto a se stesso e pronto a difendere le sue scelte quirinalesche, a partire da quella famigerata del 2011, quando fece fuori Berlusconi per mettere in sella Mario Monti. Sono bastate la sua sortita contro l’accordo fra i quattro (Renzi, Berlusconi, Grillo e Salvini) sulla legge elettorale e la sua sparata contro le elezioni anticipate che Pd e M5S corressero ai ripari, facendo fallire l'accordo. Ed ora, si voterà nel 2018. Ancora una volta il vero obiettivo da colpire era Berlusconi. Napolitano vede rosso, come i tori, quando s’intravede il recupero del signore di Arcore. Vede crollare il suo castello fatato.
Ora i furbastri del Pd e del M5S si rinfacciano reciproci tradimenti. Gli uni e gli altri hanno tradito il popolo italiano. Sanno che non è così e che la loro è una messa in scena.
Ci è capitato in passato di parlar bene di Napolitano; continuiamo a farlo. Fra una caterva di nanerottoli presuntuosi è un gigante. Esserlo in politica è già un fatto positivo. Ma lo è per il bene del paese o per se stesso, come spesso si giudicano i politici in Italia? Lo rilevava proprio Mario Monti dalla Gruber, venerdì sera, 9 giugno. Ha detto Monti, riassumo: la stampa italiana non giudica le scelte politiche per la ricaduta benefica o malefica sul paese, ma per successo o l’insuccesso di chi le fa. E’ l’eterno equivoco machiavelliano. Eppure Machiavelli è chiaro: si può e si deve fare perfino il male, ma sempre per il bene dello Stato; chi opera per se stesso è un tiranno.
Una legge elettorale era sul punto di essere varata, finalmente. La sua mancanza è una vergogna per un paese come l’Italia, che ha una storia grandiosa. Poteva essere una cattiva legge, ma a quel punto era una legge. Mala lex sed lex. E lo sa chi capisce di politica e di diritto quanto sia preferibile una cattiva legge alla mancanza di legge.
Sono anni che giochiamo assurdamente al latinorum. Si partì col mattarellum, si continuò col tatarellum, col porcellum, con l’italicum, col consultellum, col rosatellum, col tedeschellum e penso proprio di non ricordarne qualcun altro; ma sempre alla ricerca del fottutellum.
Giochiamo noi italiani con la cosa più importante di una democrazia: la legge elettorale. Ci sono paesi in Europa che votano con una legge elettorale in vigore da centinaia di anni. Noi ne facciamo una ogni due-tre anni e non riusciamo neppure, perché nessuno pensa al bene del paese e della democrazia ma al proprio tornaconto partitico. Magari parte bene, poi, strada facendo viene ridotta ad una porcata, come disse Calderoli per la sua legge, detta poi porcellum.
La soglia di sbarramento al 5 % non può piacere a chi non raggiunge neppure il 2-3 %. Cosa conta la governabilità a fronte della rappresentatività? Cosa conta il fare a fronte del chiacchierare, del brigare, dell’inciuciare continuo?
Ma rappresentano chi questi iperrappresentativisti? Sono quattro gatti che di stare insieme con altri non vogliono. Ci sono quattro o cinque frasche di sinistra, quattro o cinque frasche di destra, che impediscono che si faccia una legge da cristiani. Quel che manca in Italia è uno che faccia veramente politica. Ce ne sono troppi che chiacchierano dalla mattina alla sera senza costrutto alcuno, anzi pronti a buttar giù tutto quello che si cerca di costruire.
Si sono infuriati contro l’accordo i nanerottoli, temevano di perdere l’osso. Vogliono le preferenze, non vogliono le liste bloccate. Vogliono la rappresentanza al doppio zero come la farina. Vogliono…vogliono…vogliono… e intanto passa il tempo e scoprono che poi dopotutto Gentiloni governa bene. Sì, ma che fa e chi lo ha votato? E’ il terzo governo uscito dal cilindro: Letta, Renzi, Gentiloni. Il potere politico in Italia è come il marchese del grillo: io so’ io – dice agli italiani – e voi nun siete un cazzo.
Le democrazie muoiono anche di democratite acuta quando diventa cronica e non consente più di governare. Oggi rischi del genere non se ne corrono, non già perché ce lo impedirebbe lo stare nell’Europa, ma perché gli italiani si sono rincoglioniti. Tutto quello che hanno saputo esprimere è Beppe Grillo, un comico che sa solo fare spettacolo a suon di volgarità, di insulti e di minacce; che non riesce ad intraprendere una via per paura di sbagliare, anzi convinto di sbagliare. La politica, infatti, non è mai quello che era il giorno prima. Grillo sa che la tomba del grillismo è diventare partito, diventare cioè come tutti gli altri. Lo sa a tal punto che smatassa oggi quel che ha filato ieri. E ci sono osservatori politici e politici medesimi che inneggiano a Grillo per essere riuscito ad assorbire la protesta populistica strappandola a pericolosi populisti e incanalandola nelle forme costituzionali. Il che significa che la giusta protesta populista è stata svuotata e resa un gioco di confusa e inutile rappresentanza.
In realtà le cose stanno diversamente: i grillini sono figli di una cultura snervata, di una malintesa politica, di un’ignoranza della storia e della cultura italiana. I grillini sono l’espressione più mortificante dell’ignoranza coltivata dalla scuola italiana, che da trent’anni a questa parte ha smesso di formare le generazioni sulla base della storia e di ogni altro sapere. A vederli i grillini appaiono in tutta la loro contraddittorietà: sono arrabbiati contro qualcuno e qualcosa ma mai sereni verso qualcuno o qualcosa. Di qui le difficoltà che incontrano, quando giungono al potere, di governare le realtà comunali e cittadine.

In una simile desertificazione culturale e politica basta che un “vecchierel canuto e bianco”, per dirla con un poeta dimenticato come il Petrarca, si agiti poco poco e l’ira funesta dei cacchielli del Pd e del M5S si ritirino in buon ordine con la coda fra le gambe.    

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