giovedì 31 maggio 2018

Governo Lega-5Stelle: il minuetto delle comparse




La tattica di stoppare le iniziative del Quirinale da parte di Lega e M5S, che probabilmente all’inizio è stata casuale, è stata poi usata deliberatamente. Sono passati quattro giorni dal fatidico 27 maggio, quando il Presidente Mattarella disse no al dictat dei due cosiddetti Dioscuri Salvini-Di Maio e chiamò Cottarelli per dargli l’incarico a formare un governo tecnico. Ma, invece di avere il governo Cottarelli, continuiamo a baloccarci con un altro confuso tentativo di fare un governo politico.
Di Maio, autodefinitosi il Calimero della politica italiana, piccato dalle accuse dei suoi per essersi fatto raggirare da Salvini, ha rilanciato l’idea di riproporre Giuseppe Conte a Premier, quello del curriculum drogato, e di spostare Savona in un’altra casella del governo, leggasi ministero, sperando di poter fare un governo secondo i suoi desiderata o, se non riesce, obbligare l’amicus-hostis Salvini a scoprirsi come il vero responsabile del mancato varo di un governo politico come s’aspetta il Paese.
Salvini ha capito l’antifona e prende tempo, facendo credere che stia pensando addirittura ad un governo ancora più ampio, più forte e più duraturo. Insomma, ad una mossa si risponde con una contromossa che però va in un’altra direzione e che contiene qualcosa che l’altro si spera non possa o non voglia accettare. Si alimenta, così, la giostra: altro giro, altro vincitore. Il che è tipico di chi vuole perdere tempo e stancare l’avversario.
Che vorrebbe Salvini?  Che il “contratto” venga sottoscritto anche da Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia, che fino al giorno prima aveva gridato che mai avrebbe accettato un governo coi grillini, e che non è gradita ai Cinque Stelle. Insomma, un’altra mossa per non fare.

I tempi e i costumi, per dirla con Cicerone italianizzato, sono quelli che sono. Se i politici di oggi fossero muti e non avessero nemmeno le mani per i segni, sarebbe molto, ma molto meglio. Quello che dicono non vale niente. E’ stata la Meloni stessa a proporsi e lo ha fatto lanciando l’insulsa idea di mettere sotto accusa Mattarella dopo il no a Savona. Così si è guadagnati i galloni sul campo. Idea della quale dovrebbe rispondere, se non in sede giudiziaria, quanto meno politica. Non si attacca il Presidente della Repubblica come se fosse un consigliere comunale di Canicattì. La Meloni si sta accorgendo di perdere consensi quasi nascosta nella rissa di questi giorni ed ecco che va all’attacco per dimostrarsi più “grillina” dei grillini.
Ma il protagonista assoluto di questa sconcertante vicenda politica italiana è proprio il Professor Paolo Savona, il quale, invece di dimostrare dignità e fermezza, quali età e prestigio richiederebbero, se ne sta zitto…o quasi, lasciando che altri giochino col suo nome. Ma è solo una questione di forma? C’è ben altro nel suo discutibile comportamento.
C’è che o sbava per diventare ministro pur che fosse, magari perfino di un ministero di nessuna importanza strategica e visibilità mediatica, o effettivamente è determinato a fare quello che altri negano che egli voglia fare ed è disposto a pagare anche il prezzo di un comportamento indegno del suo rango. Escluderei la prima ipotesi. Resta la seconda, che però non trova una spiegazione razionale. Che potrebbe fare in un ministero non di sua competenza? L’Ovidio a Tomi?
Più giorni passano e più eventi si susseguono e più si realizza il sospetto che fra Mattarella e Savona, o, se vogliamo, fra Savona e Mattarella, ci sia qualcosa di personale. L’uno non tollera l’altro, l’altro s’impegna a mettere in difficoltà l’uno.

Da tutta questa vicenda chi esce malconcio è il Quirinale, che a questo punto non è solo chi oggi lo rappresenta, ossia Mattarella, ma l’istituzione medesima.
In questi giorni l’Italia si è scoperta il paese dei presidenti della repubblica come durante i campionati europei o mondiali di calcio lo è dei commissari tecnici. Si sono sentite continuamente espressioni del genere: Mattarella avrebbe dovuto…se fossi stato io al suo posto… Mattarella ha sbagliato…Mattarella … e così via. Una situazione che include nel dibattito politico un gran numero di persone – e questo è positivo – ma dimostra anche di non avere l’idea di cosa sia e rappresenti l’istituzione.
Anche a me, per un momento, è venuto di pensare ad un Mattarella che chiama due corazzieri per far sbattere fuori i due cialtroni che gli avevano mancato di rispetto; ma poi sono rientrato nei ranghi dei cittadini interessati, arrabbiati, ma consapevoli che un Presidente della Repubblica non è un cittadino qualsiasi e che deve dire e fare solo ciò che rientra nei suoi doveri istituzionali. E sicuramente uno è di non lasciarsi coinvolgere in beghe politiche, come in un botta e risposta con persone che non hanno la minima educazione politica oltre ad essere degli ignoranti. Dove e quando hanno studiato i Di Maio, i Salvini, la Meloni?
Al momento – scrivo alle ore tredici di giovedì, 31 maggio, la situazione è la seguente: Cottarelli è fermo, in stand-by dicono, con la sua lista di ministri tecnici pronta, mentre Di Maio aspetta la risposta di Salvini alla sua proposta di collocare Savona in una casella diversa dall’Economia. I giornali infuriano col toto ministri.
E i cittadini? C’è da scommettere che ognuno di essi vorrebbe essere un  Di Maio, un Salvini, una Meloni e, ovviamente un Mattarella, per partecipare al minuetto delle comparse. Perché lui sì, che la soluzione ce l’avrebbe! 

mercoledì 30 maggio 2018

Quirinale-5 Stelle: fino a quando, Catilina?




Credo che nessuno in Italia, a meno che non sia un pazzo fanatico, possa aver gioito per il fallimento dell’incarico di formare un governo conferito dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al Prof. Giuseppe Conte. Non solo e non tanto per la ricaduta d’immagine negativa, peraltro abbondantemente nota, del M5S e della Lega, quanto e soprattutto per la pessima figura che ha fatto l’intero Paese, trascinato da due sconsiderati capetti politici, espressione entrambi della degenerazione politica italiana, intesa nel suo insieme. Che questi due soggetti assommino il cinquanta per cento dei voti non significa affatto che abbiano ragione. Solo chi parla per propaganda politica dà sempre ragione al cosiddetto popolo. Chi, invece, cerca di ragionare sulle cose, fa sempre della guicciardiniana discrezione.
L’uno, Matteo Salvini, è un furbetto venditore di ravanelli, che gioca col Presidente della Repubblica, facendo finta di volere e nello stesso tempo ponendo l’ostacolo per impedire. L’altro, Luigi Di Maio, svolazza senza rotta come il passero di Del Piero, fa finta di volare oltre per poi ritornare sulla spalla del promoter dell’acqua Uliveto.
Dall’indomani del voto del 4 marzo ad oggi, 30 maggio, i due, indegnamente chiamati Dioscuri, hanno cambiato atteggiamento un’infinità di volte, passando dalla rinuncia a fare un governo al ripensamento e alla resa, alternando aggressioni all’arma bianca a indecorosi ritorni pecorini. Mentre una sterminata platea, composta anche da menti illuminate, si trastulla in oziose discettazioni sulla Costituzione della Repubblica. Questa, sarà pure ambigua in taluni snodi, ma un conto è chiacchierare su di essa, senza responsabilità alcuna, come fa ognuno nel suo salotto o al bar, un altro applicarla nel rispetto del dettato e nella preoccupazione degli esiti che ne potrebbero conseguire.
I Soloni della politica italiana discettano mischiando il merito con la forma, il metodo con il fine. E questo è già grave per un piccolo artigiano. Che senso ha dire che la posizione di Paolo Savona è di tutto rispetto e condivisa da sette Premi Nobel per l’economia se il problema è se in questo momento la sua nomina a ministro è opportuna o meno? Si diventa ministri come le medaglie d’oro alle Olimpiadi o per una proposta politica che deve risolvere i problemi del Paese hic et nunc, qui ed ora? E se il Presidente della Repubblica, che è il garante della Nazione, ritiene che è più opportuno nominare un ministro dell’economia più consono alla situazione del momento, dove sta l’alto tradimento, sparato da questi cachielli, senza istruzione e senza educazione?
Dice: si sono pentiti e hanno fatto marcia indietro. Ma se è da quando sono alla ribalta che fanno marcia avanti e marcia indietro! Non è ora di finirla? I Soloni che li osservano e li applaudono, siamo sicuri che stanno bene di testa?
La verità è che spesso si parli per turbamenti interiori. Chi giudica male Mattarella lo fa anche perché invidioso del suo stato. L’Italia è piena di Cassii che odiano Cesare perché Cesare è Cesare e loro non sono un cazzo. Come il Marchese del Grillo, di sordiana memoria.
Chi dice bene di questi sconsiderati capetti non lo fa convinto della loro bontà ma sempre nell’ottica dell’invidia nei confronti del Presidente della Repubblica, a cui, quando si può, si dà volentieri un colpo.
Quanto hanno fatto in questi tre mesi di dopoelezioni i Salvini e i Di Maio coi loro contratti, coi loro programmi, fatti rifatti disfatti, con provvedimenti campati in aria, assolutamente irrealizzabili, è di una gravità da invocare mazzate. Ce ne asteniamo non solo perché evocare mazzate significa evocare fascismo, ma perché poi dalle mazzate non si sa che potrebbe derivare, probabile pure qualcosa di peggio.
Ma rendiamoci conto che in questo momento una classe politica improvvisata, figlia dei vaffanculo di un comico, risentito come il rigoletto del Duca di Mantova, sta veramente prendendo in giro il Paese, esponendolo al ludibrio europeo e mondiale e al danno economico e finanziario derivante dai soliti speculatori nostrani ed esteri. Non si invocano le mazzate, ma si fa appello al senso di responsabilità delle persone, che, per condizione e cultura, potrebbero esercitare sul Paese una sorta di moral suasion. Se queste persone non riescono ad uscire dai loro turbamenti e incoraggiano la deriva verso cui siamo avviati siamo davvero messi male.
Ora torniamo a Bomba. Per l’ennesima volta, appena il Presidente della Repubblica ha cercato di trovare una soluzione alla crisi, ecco che gli stessi capetti che ieri erano irati ai patri numi e minacciavano sfracelli, si dicono disposti a ricominciare daccapo. E lo fanno giusto per impedire l’iniziativa presidenziale.
Ma fino a quando deve durare questo giochetto? Si badi, se pure si dovesse finalmente raggiungere un traguardo politico con un governo Lega-M5S, potremmo correre il rischio, per le note condizioni di incertezza politica e di contraddizioni esistenti tra i due partiti, di ritrovarci in uno stato peggiore di quello lasciato col governo Gentiloni. Che, coi tempi che corrono, in alcuni settori non ha affatto demeritato. La sindrome romana del Sindaco Raggi è il fantasma che aleggia sui grillini al potere. Doveva irradiare la città eterna, risolvere tutti i suoi problemi e invece impedisce addirittura di farsi una passeggiata in bicicletta tra i fori imperiali.
Crediamo che ormai il tempo della pazienza stia per finire e che quelli che solo per un riferimento importante chiamiamo Catilina debbano fare sacco e cappuccio e lasciare che governi il Paese chi veramente ne è capace.

martedì 29 maggio 2018

Quirinale-5 Stelle: la Caporetto della Repubblica




Su una cosa siamo tutti d’accordo in Italia, sul fatto che quanto è accaduto nella giornata di domenica 27 maggio è qualcosa di estremamente grave per la nostra Repubblica. Un conflitto senza precedenti si è scatenato fra i partiti politici incaricati di fare il nuovo governo dopo il voto del 4 marzo e la Presidenza della Repubblica, con conseguente richiesta di messa in stato d’accusa “per alto tradimento” del Presidente, dopo che questi ha respinto la proposta (ex art. 92 della Costituzione) da parte del Presidente del Consiglio incaricato di nominare un ministro della lista presentatagli.
Ma era proprio imprevedibile l’accaduto? Su questo e sulle ragioni del Presidente Mattarella si discuterà all’infinito. Ma procediamo per gradi.
All’indomani delle elezioni del 4 marzo si è dovuto prendere atto che non c’era alcun vincitore in grado di fare un governo che avesse il voto di fiducia della maggioranza parlamentare. C’erano due semivincitori (coalizione del Centrodestra e Movimento Cinquestelle in ambiguità di primato) e uno sconfitto (il Pd). All’interno del Centrodestra c’era un vincitore (la Lega di Matteo Salvini) e uno sconfitto (Forza Italia di Silvio Berlusconi). Questo, di lì a pochi giorni veniva restituito con sorprendente puntualità all’agibilità politica dal Tribunale di Sorveglianza di Milano. Un fatto questo non di poca rilevanza. Berlusconi, abbacchiato per il suo esilio politico e per la recente sconfitta, recuperava animo e opportunità. Salvini avvertiva l’importanza della novità e diceva che nella vita politica conta pure la fortuna, che lui in quel momento sembrava non avesse.
Le strade da percorrere per fare un governo erano impervie e strette per l’assoluta indisponibilità a trattare da parte degli attori. Per i Cinquestelle chiusura netta a Forza Italia; per la Lega chiusura netta al Pd; per il Pd chiusura netta al Centrodestra e ai Cinquestelle. Sembrava un gioco ad evitarsi più che ad incontrarsi. Un gioco da irresponsabili o da incapaci. Volavano insulti d’inaudita violenza. I Cinquestelle a indicare Berlusconi solo con ingiuriosi epiteti; Berlusconi a dire che lui i dirigenti del Movimento pentastellato li avrebbe volentieri assunti alle sue aziende per pulire i cessi.  
Solo dopo la minaccia del Presidente della Repubblica di andare a nuove votazioni Cinquestelle e Lega si mettevano a ipotizzare un’intesa, ma c’era bisogno che Berlusconi desse il via libera a Salvini, per non compromettere la coalizione. Ricevuto il via libera, le due forze politiche davano vita ad un “contratto”, in cui venivano fissate le cose più importanti da fare; bene attente a non fare nomi di ministri, non per virtù, ma per opportunità.
Conclusa la fase del “contratto”, sottoposto dai due partiti ai loro rispettivi elettorati per averne il consenso, è iniziato il braccio di ferro fra Di Maio e Salvini per chi dovesse essere il premier. Per uscire dall’ennesima impasse, i due decidevano di farsi da parte in favore di una terza persona, che i Cinquestelle individuavano in uno sconosciutissimo Giuseppe Conte, professore universitario di diritto privato e avvocato. Per bilanciare il protagonismo pentastellare sul nome del Premier la Lega si accaparrava la nomina del Ministro dell’Economia e indicava il Prof. Paolo Savona, famoso per le sue posizioni antieuro ed antieuropa. Di Maio e Salvini stringevano il patto d’acciaio di non cedere su questi due nomi qualunque cosa fosse accaduta.
Essi così sancivano di fatto una politica iniziata con chiusure e indisponibilità. In buona sostanza, Cinquestelle e Lega mettevano le basi per far saltare quello che loro stessi sostenevano di avere faticosamente realizzato per quindici lunghi giorni. Sia Salvini che Di Maio, a cui dava manforte non richiesta un Di Battista pentito di non essersi candidato e particolarmente provocatore, si esibivano in comportamenti e toni irriguardosi nei confronti della Presidenza della Repubblica e della grammatica costituzionale, dando ad intendere che a comandare erano loro e che Mattarella mai si sarebbe permesso di respingere la proposta di qualche ministro. 
C’è abbondante materiale per convincersi che Salvini soprattutto non voleva che la cosa giungesse in porto, poiché sapeva che il Presidente della Repubblica mai avrebbe fatto passare Paolo Savona, nei confronti del quale l’Europa intera incominciava a manifestare inquietudine, che si traduceva subito nella salita dello spread fra titoli italiani e Bund tedeschi.
Quanto si faceva finta di non sapere o di esorcizzare è puntualmente accaduto il 27 maggio. Mattarella, nel rispetto dell’art. 92 della Costituzione, ha detto no a Savona, in quanto percepito in Europa e dai mercati come uno che avrebbe avviato l’Italia ad uscire dalla zona euro. Tanto ha fatto gridare all’alto tradimento e all’invocazione dell’art. 90, che prevede la messa in stato d’accusa del Presidente “per alto tradimento”. Un’accusa che di per sé è già un’infamia. Ma lasciamo stare questi incontinenti, bisognosi di andar coi pannoloni sulla bocca!
Chi cavilla su una diversa interpretazione di questo articolo, pur munito da ventose costituzionali e scientifiche, si arrampica sugli specchi di una scelta di campo fatta a monte. Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio e i ministri su proposta di questi. E’ di tutta evidenza che quanto meno fra le due massime istituzioni debba esserci convergenza. In difetto chi deve cedere non è il Presidente della Repubblica che rappresenta lo Stato, la Nazione e la Società nel loro insieme, ma chi di Stato, Nazione e Società rappresenta solo taluni aspetti e talune parti.
Chi allegramente invoca la possibilità di governare per farsi giudicare poi a “cose fatte” fa finta di ignorare o ignora davvero che i danni che ne deriverebbero al Paese, per improntitudine e incapacità, non sarebbero revocabili e potrebbero essere letali.
Il Presidente della Repubblica ha il diritto-dovere di impedire che il Paese vada verso il precipizio, peraltro annunciato.
Mattarella forse ha sbagliato a non impuntarsi subito quando Di Maio e Salvini hanno messo in essere procedure inconsuete (contratto, consultazione della base), a spregio del dettato costituzionale, o affermato delle gratuite espressioni di arroganza: il Presidente non si permetterebbe di…il Presidente stia attento…il Presidente non può mettersi contro chi è stato votato dal popolo e via di questo passo. Non è solo una questione di etica e di buona educazione. I due hanno ingaggiato fin dall’inizio una gara a chi più appariva prepotente e arrogante per soddisfare i volgarissimi sentimenti popolari dei loro rispettivi “tifosi”.
Un linguaggio intollerabile. “Vengo qui per fare l’avvocato del popolo italiano” disse Giuseppe Conte all’uscita dal colloquio al Quirinale dopo aver ricevuto l’incarico. Ma, tanto per dirne una, il Presidente Mattarella allora che fa, la guida turistica?

domenica 27 maggio 2018

Governo Lega-5S: cambiamento in peggio




Si potrebbe chiudere il discorso appena iniziato: so’ ragazzi! Così, per lo spettacolo offerto in questi giorni dai grillini nelle persone dei loro massimi rappresentanti.
Cambiamento, è indubbio: c’è stato. Cafonaggine, maleducazione, ignoranza, mancanza di rispetto per le istituzioni, iattanza, ricatti, intimidazioni. Un repertorio di comportamenti che rende un profilo antropologico subpolitico.
All’osservazione di un giornalista nel caso Mattarella non avesse dato l’incarico al premier da loro suggerito-imposto, Di Maio ha risposto: “Il Presidente non si permetterebbe”. Tre parole, due paroline monosillabiche e un condizionale che pesano come una minaccia. Ribadita dalle parole di un altro grillino, Alessandro Di Battista, il quale ha addirittura usato toni intimidatori: “Stia attento…” rivolto al Presidente della Repubblica.
L’enfasi usata nel rimarcare la rivoluzione, il cambiamento, la nascita della Terza Repubblica, la scrittura della storia, esprime una volontà di affermare il minimo rachitico facendo del gigantismo, la voce grossa, roboante per nascondere la preoccupazione di non farcela. Si potrebbe pure dire che tanto entusiasmo è tipico dei neofiti, dei principianti. So’ ragazzi!
L’art. 92 della Costituzione dice che la designazione del Presidente del Consiglio incaricato di fare un governo è prerogativa del Presidente della Repubblica. Dire che non potrebbe fare diversamente da quanto due capi partito gli hanno suggerito-imposto, vuol dire che il Presidente della Repubblica è meno di un notaio. E’ meno, perché un notaio, in quanto pubblico ufficiale, si rifiuta di fare qualcosa contro legge. Qui non si è contro legge, per certi aspetti è peggio. Perché si vuole ostentare la prepotenza di una scelta, che è di per sé nelle cose.
Non contenti della loro prepotenza e arroganza, i grillini continuano ad autoesaltarsi, a mettere veti, a fare ricatti: o così o si torna al voto! In questo, coadiuvati dai leghisti.
Robero Fico, che è Presidente della Camera, grillino doc, ascolta l’Inno Nazionale con le mani in tasca. Accanto gli è il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, con la mano sul cuore; e un militare, irrigidito nel saluto. E quando gliel’hanno fatto notare, se n’è uscito col solito ribaltamento del male: meglio con le mani in tasca che con le mani contro lo Stato.
Siamo in presenza di ragazzi poco educati, meno ancora istruiti, che, invece di riconoscere le insufficienze e le inadeguatezze, le esaltano come qualità e virtù civiche. I grillini hanno sempre qualcosa di peggiorativo di quello che fanno loro da rovesciare sugli altri.
Il Presidente del Consiglio suggerito-imposto, Giuseppe Conte, neppure erano trascorse ventiquattr’ore dalla designazione, che già veniva pizzicato per aver drogato il proprio curriculum, con millanterie tanto miserabili quanto inutili. Professore e avvocato! Che bisogno c’era di infarcire un profilo professionale, già di prestigio, con minchiate per allocchi? Ma so’ ragazzi! No, questo ha cinquantaquattro anni, ha già varcato da un pezzo il “mezzo del cammin”.
In questi giorni mi è venuto spesso da pensare alla Marcia su Roma di Mussolini del 1922. Anche lui era un ragazzo. Aveva più o meno la stessa età di tanti capi grillini; e dietro lo seguivano i ragazzi che erano stati in trincea e alcuni avevano fatto gli arditi “pugnal tra i denti e bombe a mano”. Me ne sono ricordato perché in tutti i trascorsi anni dalla fine del fascismo e della guerra ci hanno detto che il re Vittorio Emanuele III per quel 28 ottobre del ’22 avrebbe dovuto firmare lo stato d’assedio e prendere a connonate quei ragazzi fascisti, peraltro armati e poco intenzionati a cedere le armi. Le cannonate sono una cosa, il rispetto, anche liturgico, della Costituzione un’altra.
Né Vittorio Emanuele III né Sergio Mattarella hanno saputo farsi sentire, i due hanno ceduto ai ragazzi. Il primo per evitare uno spargimento di sangue dagli esiti imprevedibili. Il secondo non si sa, forse per non indispettire questi ragazzi che dicono di aver vinto le elezioni. Ma so’ ragazzi!
Chi sta facendo la figura dello sbruffone è Salvini, il capo della Lega. Altro convinto di avere vinto! Il quale guida una pattuglia di deputati e senatori, alcuni dei quali, quelli eletti nell’uninominale, hanno beneficiato del voto di Forzisti e Fratellisti d’Italia, ovvero della coalizione. Non dico che è un traditore, parola troppo grossa, dico che un irruento poco riflessivo, ha ceduto alla lettura politica di Di Maio, il quale da sempre sostiene che non c’era nessuna coalizione. Non solo gli ha dato politicamente ragione, ma, mettendosi in una posizione subalterna, si è di fatto consegnato con muli e conducenti alla parte politica avversa. Avversa non solo alla coalizione, ma anche alla sua componente, la Lega. Salvo che non si voglia fare una sola famiglia, e duabus una. In fondo, so’ ragazzi! Fanno presto ad intendersi.
A voler essere pignoli, occorre dire due cose. La prima è che Mattarella è oggettivamente sottoscopa. Ha cercato di menare il can per l’aia, con tutti i suoi giri di consultazioni, ma senza esito. La seconda è che violazioni alla Costituzione, vere e proprie, finora non ce ne sono state. Quel che c’è stato, però, e in maniera pacchiana esibito, è la strafottenza verso persone e istituzioni. Comportamenti tra il cafonesco e l’infantilistico, che potrebbero nascondere cose assai più gravi non ancora emerse, e che potrebbero diventare consuetudini istituzionali. Che sarebbe come eleggere l’arroganza e l’ignoranza a regole politiche. Il fascismo iniziò coi suoi “me ne frego”. I grillini coi “vaffanculo”. Aspettiamoci il resto!   

domenica 20 maggio 2018

M5S-Lega: peggio per loro o peggio per noi?




Ha detto Massimo Giannini di Repubblica che se i diarchi Salvini-Di Maio non faranno quanto promesso sarà peggio per loro, ma se lo faranno sarà peggio per tutti. Condivido, ma aggiungo che tra un’ipotesi e l’altra c’è che si può impedire che facciano o che non facciano, semplicemente mandandoli affanculo prima. Perché qui non si tratta, come qualche belloccia famosa, scambiando il Movimento 5 stelle con “Ballando sotto le stelle”, dice dalla Gruber lasciamoli fare tanto poi possiamo sempre recuperare; no, i danni che potrebbero fare a loro o a tutti potrebbero essere molto seri.
Il Presidente Mattarella fino ad ora ha dimostrato qualche incertezza e se è presto per dire che la situazione gli è sfuggita di mano si può dire che forse non era proprio questa la direzione che avrebbe voluto che prendesse. Lo dico col rispetto che ritengo si debba avere per il simbolo e l’istituzione che rappresenta. Ha alternato lentezza e pazienza ad una sospetta precipitosa fretta, per tornare alla lentezza e pazienza iniziali.
Agli inizi poteva dare l’incarico a Salvini, in quanto leader della coalizione vincente. Non ha voluto. Avrà avuto delle pressioni. Comunque era nelle sue facoltà. Ha incominciato a fare giri di consultazioni, dimostrando un eccessivo zelo per la liturgia costituzionale. Uno…due…tre giri, fino a quando – come volevasi dimostrare – non ha constatato che le tre forze politiche in gioco non riuscivano a mettersi d’accordo, essendo tra di loro vetative. I Cinquestelle no a Forza Italia, la Lega no al Pd, il Pd no ai Cinquestelle e al centrodestra. Un gran casino! Un gioco a perdere, dato che di vincere non se ne parlava proprio.
Era quanto Mattarella si aspettava. Di qui la fretta di dire: adesso il governo lo faccio io perché ci sono alcuni ineludibili adempimenti; poi si andrà al voto, non prima del 31 dicembre, ovviamente ragionandoci sopra. Ma i Cinquestelle e i Leghisti, che del tutto fessi non sono, si sono subito ricreduti sulla possibilità di fare il governo e gli hanno chiesto del tempo per gli opportuni accordi. A questo punto Mattarella non poteva negarglielo.
Di qui la ripresa, favorita, se non proprio determinata, dal via libera di Berlusconi. Il quale, dopo aver consultato i suoi - famiglia, azienda, politica – ha ritenuto che gli conveniva “cedere”, perché aveva tutto da guadagnare. Ma doveva saper assumere anche una posizione plausibile. E quale migliore in Italia di quella ossimorica di essere allo stesso tempo pro e contro? Ecco fatto: mantenere salda la coalizione con la Lega di Salvini (pro) e fare l’opposizione al suo governo con Di Maio dei Cinquestelle (contro). Qualcosa che ricorda il gioco del passa-passa, quando il padrone concede al sottopadrone di fare a modo suo ma fino ad un certo punto.  
Si può mai capire una cosa del genere? Si può mai accettare l’idea di essere a favore e contro allo stesso tempo? E gli elettori che hanno votato Forza Italia e Fratelli d’Italia e che potrebbero ritrovarsi coi Cinquestelle al potere, che avrebbero da dire, da guadagnare? Sono stati strafottuti. Ergo, vale la pena votare più in questo cazzo di Paese? Domanda retorica.
Intanto abbiamo assistito per un’altra settimana ad un indecoroso avanti-indietro di cose da fare o da non fare nel contratto di governo tra le due forze amiche-nemiche. Mentre nulla si è detto sulla cosa più importante di tutte. Chi sarà il nuovo Presidente del Consiglio, il soggetto più importante, riconosciuto dalla Costituzione?
L’art. 92 dice: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”. E’ chiaro: la proposta è limitata ai nomi dei ministri, non al Presidente del Consiglio, la cui nomina spetta al Presidente della Repubblica. Qui, invece, pare che il Presidente del Consiglio non conti un cazzo e che a sceglierlo siano “quei due” che giuridicamente sono fuori dalla Presidenza della Repubblica. Un dettaglio, come se si trattasse di arredare una piazza con la statua di Garibaldi o con quella di Mazzini.
L’art. 95 dice cose molto importanti, altro che statua d’arredo urbano. “Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile”. Invece, a quanto pare, è l’ultima ruota del carro.
Non ci nascondiamo l’elemento politico della situazione. E’ di tutta evidenza che il Presidente della Repubblica finisca per nominare il Presidente del Consiglio solo dopo aver ascoltato i leader delle forze politiche e valutato le loro prospettive. Ha, tuttavia, tra le sue prerogative la facoltà di essere decisivo sulla nomina del Presidente del Consiglio e sulle proposte dei singoli ministri. In passato è accaduto, con maggiore frequenza nel corso della cosiddetta Seconda Repubblica.
Si spera, a questo punto, che il Presidente Mattarella abbia capito con chi e con che cosa ha a che fare e che sappia mettersi nel solco di alcuni suoi predecessori, tipo Scalfaro e Napolitano. Dai quali si può dissentire per una diversa posizione politico-ideologica, ma non si può non riconoscere che essi hanno saputo intervenire in situazioni difficili per trovare vie d’uscita tutto sommato positive per il Paese.
La situazione, questa volta, è ancora più complicata, perché il quadro politico ha ben poco delle forze tradizionali e delle loro regole di comportamento. Non è gratuita estensione dell’esterofilia, vizio italico, riferirsi a quanto ha fatto la Germania per avvalorare quanto si vuol fare in Italia, è che il divario tra Italia e Germania non è solo economico, a quanto pare, ma anche culturale. E l’uno francamente ci deprime più dell’altro. Troppi riferimenti ai sette mesi della Merkel per fare il governo e al contratto alla tedesca! Qui siamo in Italia e almeno nel campo delle idee per risolvere i nostri problemi dovremmo essere più originali.

domenica 13 maggio 2018

Berlusconi, il riabilitato




E mo’, verrebbe di dire, sono cazzi amari. Berlusconi è stato riabilitato dal Tribunale di Sorveglianza di Milano, con effetto immediato. In soldoni, ipso facto è candidabile. Se si dovesse votare per un seggio vacante alla Camera o al Senato, lui potrebbe concorrervi. Anche domani. Così è risorto un’altra volta, se mai fosse veramente morto!
Di qua a cento anni, quando morirà davvero, forse è bene che si assistesse alla sua tumulazione per essere certi di non rivederlo più in circolazione.
Non è senza conseguenza questo ennesimo ritorno. E graverà non poco sulle trattative per la formazione del governo. I suoi nemici continueranno a chiamarlo pregiudicato, mafioso, evasore fiscale, corruttore di persone e di costumi, ma ormai con rabbia più che con scherno come hanno fatto prima della sua riabilitazione.
Il suo essere in campo, però, non deve illudere nessuno. La giustizia continuerà a fare il suo corso per quanto lo riguarda. Se Berlusconi dovesse ideare un suo stemma con quattro quarti da riempire, uno dovrebbe riempirlo con i segni proprio della giustizia. Gli altri tre: con una bella gnocca, con un’antenna, con la facciata di Palazzo Chigi: penare, godere, vedere, potere. Da distribuire a piacimento. Ma l’azione penale nei suoi confronti lo accompagnerà per tutta la vita. Come lo accompagnerà per tutta la vita ed oltre quell’immagine che si vuole dare di lui: il potente che costringe gli altri a mortificarsi nel corpo e nello spirito.
Il film di Sorrentino è l’ennesima cinemata italiana, la distorsione della realtà in chiave psico-estetica. Maledetto Fellini! Per sostenere che cosa? Che Berlusconi è un malvagio, un Erode moderno che fa stragi di innocenti fanciulle, immolate come i giovani ateniesi al Minotauro? Via, ci sono alti prelati pedofili conclamati, omosessuali confessi, ladroni e profittatori di denari, di femmine e di fanciulli! In fondo Berlusconi non si presenta come un francescano, né primario, né secondario, né terziario. Si presenta per quello che è e costringe gli altri a presentarsi per quello che sono. 
Se si guarda attorno, non vede più nemici. Dove sono Occhetto, Prodi, Veltroni, Rutelli, Bertinotti, D’Alema e compagnia cantando? Dove le nevi dell’altro anno? Se ne sono andati con gli anni della sua florida grinta. Lui è sempre lì, come l’eroe omerico, “a dritta e a manca a rigirar lo scudo e a pie’ fermo danzar nel sanguinoso ballo di Marte”.
Di Maio, da buon napoletano, è superstizioso. Non credo che si arrischierà più a chiedere la sua testa. E qualche ravvedimento c’è già stato. E’ vero che il potere val bene delle scuse, come Parigi per Enrico IV una messa; ma la diversità dei tempi dovrebbe impedire emulazioni del genere. Forse per Di Maio è giunto il tempo di conoscere la vita e i suoi signori.
Quando venticinque anni fa Berlusconi si affacciava alla politica in prima persona c’erano tanti partiti e ognuno – noi medesimi – aveva ragione di esprimersi contro, sollecitato dalla propria formazione politica. Ma oggi che i partiti non ci sono più e si inneggia alla deideologizzazione, cosa resta ad ognuno di noi per attaccare Berlusconi se non l’antipatia personale o magari l’invidia, non più per i suoi soldi e per i suoi piaceri, in parte vanificati dall’età, ma per la sua storia, per quello che ha rappresentato per l’Italia, per la politica, per quello che ha fatto dovunque si sia impegnato?
Non condividerlo sul piano politico e ideologico, morale o sociale, non significa disconoscere la sua grandezza e la sua importanza. La figlia Marina, giustamente ha detto al grillino Di Battista che suo padre ha fatto la storia, mentre lui ancora deve imparare a leggerla. Non ha detto proprio così, ma così mi sarebbe piaciuto che gli avesse detto.
Il suo ritorno alla grande nell’agone politico contribuirà a bilanciare lo spostamento all’estrema di una politica italiana che incomincia a preoccupare tanto noi italiani quanto gli osservatori interessati stranieri. Forse, l’arrivo improvviso di questa sua riabilitazione all’indomani di un governo che si preannuncia carico di incognite e di rischi, ha anche un significato politico voluto “là dove si pote ciò che si vuole”.  E se così fosse, sarebbe un’altra medaglia per lui; un’altra piaga per chi ormai non spera che nella sua morte fisica.
In attesa che arrivi uno migliore di lui, noi intanto gli auguriamo di continuare a esistere e di resistere. Amen.

sabato 5 maggio 2018

Governo: nessuno vuole accordarsi




Ha ragione Walter Veltroni quando dice che i grillini non sanno fare politica perché è contro il loro essere. Non ci si inventa dall’oggi al domani. Come si possono Di Maio e compagni confrontare con gli altri, trovare intese (brevi o lunghe), mediare sulle cose da fare, se da quando sono nati non sanno far altro che porsi in rapporto esclusivo? Sono come una squadra di calcio che, abituata a partitelle interne, improvvisamente si trova di fronte ad altre squadre e non vuole riconoscere loro neppure il diritto di avere un campo. Testa o croce? Dice l’arbitro. E loro: la moneta o non si gioca!
Si sta profilando una prova di incompetenza e di incapacità del Movimento senza precedenti ed una sonorissima scoppola personale al Di Maio.
Tanto perché nessuno si smentisse, è tornato il Grillo parlante, detto il garante, il quale ha rispolverato il referendum sull’uscita dall’Euro. Ma come, Di Maio ha fatto tanto per imbrogliare le carte e convincere del suo europeismo e mo’ viene lui a rovesciare il banco? Euro sì o Euro no? Una storia…tesa, verrebbe di dire.
Nella sortita grillesca c’è chi vede il siluramento di Di Maio, rivelatosi uno sfasciacarrozze. Infatti, mentre il Movimento aumenta nei sondaggi – ha raggiunto il 33,7 % - Di Maio retrocede nella graduatoria del gradimento dei leader, dietro Salvini e Gentiloni (Ipsos – Corriere della Sera, 5 maggio 2018).
Lo scenario che si offre al Presidente Mattarella è tra i più problematici della storia della Repubblica. Tutti sottolineano l’inadeguatezza del sistema elettorale aggravato dall’inadeguatezza dei protagonisti della scena politica. Ma, invece di dolersene per averlo approvato, se ne compiacciono e addirittura dicono: andiamo a votare di nuovo. A giugno! Hanno detto i grillini.
Rifiutarsi a qualsiasi accordo sembra che lo facciano programmaticamente. E che senso ha se è solo con l’accordo che si può fare un governo?
Se Di Maio dice: con la Lega e senza Forza Italia e Salvini risponde: o tutto il centrodestra o niente; e se Salvini dice: con tutti tranne che col Pd e il Pd risponde: né col centrodestra né coi Cinquestelle, se Renzi si dice orgoglioso di aver impedito l’accordo del Pd coi Cinquestelle e i suoi colleghi di partito continuano a guardare ai Cinquestelle, non viene di prestarsi il repertorio di Grillo e mandarli tutti affanculo?
Ma l’aspetto più inquietante della situazione è che tutti i protagonisti della non esaltante vicenda politica lanciano velati ricatti al Presidente Mattarella. Il più grave è quello dei grillini, i quali hanno detto che ricorreranno alla piazza. Non siamo più ai tempi di Almirante, che alla minaccia della piazza di sinistra rispondeva con la piazza di destra. I grillini in versione black-block sarebbero una novità assoluta; salvo che non intendano la piazza virtuale, che non hanno mai abbandonato.
C’è chi teme che da nuove elezioni venga fuori la possibilità per Cinquestelle e Lega di fare un governo da soli, dando per scontato un loro aumento di consensi. Se tanto fosse veramente nell’ordine delle cose, allora il disastro sarebbe completo perché la situazione nazionale si riprodurrebbe in ogni parte d’Italia  a livello locale, salterebbero tutte le giunte regionali, cittadine e comunali dove il centrodestra da anni governa, e bene! Sarebbe impensabile che Forza Italia e Fratelli d’Italia accettassero lo strappo leghista senza far nulla.
In realtà chi paventa l’asse Lega-M5S e farebbe il diavolo a quattro pur di evitarlo – nel Pd c’è una bella componente – dimostra lo stesso radicalismo esclusivista degli altri.  
L’unica strada percorribile è quella di un governo istituzionale, breve e con poche cose da fare. Anzitutto onorare gli impegni internazionali. In secondo luogo approvare una legge elettorale che tenesse conto possibilmente della situazione contingente e di un minimo di respiro oltre. E non farebbe male, nel frattempo, sottoporsi ad una bella terapia contro l’esclusivite, autentica epidemia della politica italiana.
Ben si comprende che ancora una volta l’elemento incompatibile, perfino in un governo di responsabilità condivisa, sarebbe il M5S, che per sua stessa natura non vuole stare con altri se non per capeggiare la compagnia. Per loro sarebbe una presunta disfatta lo stare con gli altri e una sfida reale il rifiutarsi. L’elettorato potrebbe premiarli ancora di più ma potrebbe convincersi che nel dibattito politico democratico non servono, sono incompatibili e costituiscono un danno per il Paese. Non dimentichino i Cinquestelle che potrebbero fare la fine di quelle piante, le stelle di Natale, che si vendono senza radici per la durata breve delle festività. Non si lascino ingannare da quel che così rapidamente è apparso, guardino che c’è sotto; potrebbe non esserci niente.