domenica 31 marzo 2013

Pasqua per Francesco Primo e Napolitano ultimo


Una pausa pasquale è d’obbligo, anche per quel comandamento di Dio che ricorda di santificare le feste. Ce la concediamo, ma non senza qualche utile riflessione sul nostro essere cittadini, credenti, a prescindere dalla fede religiosa di ciascuno, nella bontà della Chiesa e dello Stato. In tempi assai difficili per l’una e per l’altro.
Ho appena finito di leggere un libretto di Vittorio Messori, fresco fresco di stampa “La Chiesa di Francesco”, ovvero la Chiesa che il papa argentino ha ereditato e quella verso la quale egli vuole andare. I credenti sono in calo un po’ dappertutto nel mondo. In Europa si è passati dal 45 % agli inizi del Novecento al 35 % della fine. Perfino nelle Americhe la Chiesa è erosa da numerose sette tra il superstizioso e il folkloristico. Messori è fiducioso nella ripresa, ripone molte speranze nel nuovo Papa, che, senza togliere nulla ai suoi due predecessori, di grande carisma e valore, ha impresso una sterzata, per ora coi suoi gesti e coi suoi comportamenti.
Non ci vuole molto a rendersi conto che qualcosa si vuole cambiare. Sia Giovanni Paolo II sia Benedetto XVI hanno interpretato la missione di Cristo sulla terra in maniera tradizionale, come fino al Novecento era intesa.
Di quel modo sicuramente il primo e maggiore interprete è stato Pio XII, solenne e ieratico. Quando apriva le braccia sembrava toccare i due poli della Terra. Un Papa anche molto criticato per certi suoi silenzi, per certe sue simpatie, per un certo modo aristocratico e distaccato di intendere la figura del pontefice. Giovanni XXIII, suo successore, volle proporsi in discontinuità. Lo aiutava la sua immagine di uomo più schiacciato sulla Terra, mentre Pio XII sembrava proiettato, con la sua figura alta e slanciata, verso il cielo. Un papa alla buona Angelo Roncalli, parlava un linguaggio poetico, ma sapeva essere anche diretto. Seppe uscire fuori da San Pietro  e soprattutto concepire una svolta col Concilio Vaticano II. Ma una svolta in buona sostanza fallita, dopo il tentativo di darle concretezza di Paolo VI, a cui passò per la testa perfino di dimettersi. Sua la norma nel diritto canonico delle dimissioni papali.
Oggi si tende a limitare l’importanza di Giovanni Paolo II alla caduta del comunismo, di considerarlo un pontificato di scopo. Quanto a Benedetto XVI, si può dire che è stato un grande teologo, un Innocenzo III dei nostri tempi, ma per certi altri aspetti una sorta di Celestino VI. E’ proprio vero che la frase che si pronuncia alla morte di un papa, “sic transit gloria mundi”, vale anche per la fama che essi si lasciano dietro. Grandi papi ai loro tempi, si sono come dissolti nella posterità. Un piccolo e quasi insignificante eremita, come Pietro dal Morrone, è rimasto nell’immaginario collettivo come un “povero cristiano”, come ebbe a definirlo il suo conterraneo Ignazio Silone, ma anche un papa che compì un gesto storico.
Questo nuovo papa, che abbiamo visto il giovedì santo lavare e baciare i piedi ad alcuni giovani detenuti, è capace di trasmettere messaggi importanti. La sua è una scommessa e una sfida. E’ un papa che porta con sé il crisma del continente da dove è venuto, che non è quello dell’Europa, ma neppure quello dell’Africa o dell’Asia. Il rischio che si perda l’universalità del messaggio cristiano, che deve saper giungere a tutti gli uomini della Terra, in qualunque condizione essi vivano, c’è tutto. Potrebbe Francesco I inaugurare i pontificati geopolitici, oggi l’America del Sud, domani la Cina. Messori li prevede come in serie: oggi un papa latino-americano, domani  un papa cinese.
Personalmente sono rimasto colpito dal gesto papale “dei piedi”, ma non ho saputo trattenere un moto di indignata incomprensione di fronte a tanti, pur sfortunati giovani, che si son lasciati lavare i piedi da un uomo di quasi ottant’anni. E’ un gesto che incomincia a non essere più compreso qui in Europa. Non erano malati quei giovani. Non erano impossibilitati di lavarsi da sé. Il gesto è simbolico, d’accordo, ma anche il simbolo deve avere un fondamento di concretezza. Ogni cambiamento passa da fatti e non solo da gesti simbolici, peraltro non più comprensibili come una volta.
Napolitano ha formulato a Francesco I gli auguri pasquali senza nascondere il grave momento politico dell’Italia, al bivio di grandi cambiamenti nella nostra democrazia. Quasi abbia voluto gemellare il nostro Paese alla Chiesa, nella comune congiuntura, Napolitano è uscito dalla convenzionalità augurale e ha trasformato un gesto di cortesia in un messaggio estremamente significativo.
Pare che agli irresponsabili politici, che non sanno trovare la quadra di un governo, abbia minacciato le dimissioni. Se lo ha fatto, vuol dire che è proprio stanco più degli uomini che delle cose. Ha ragione, ma non a tutti gli uomini è consentito avere ragione. La ragione è banale.
Figure diverse, il Capo dello Stato e il Capo della Chiesa, ma in questa congiuntura si trovano entrambi a sperare davvero che i loro popoli sappiano recuperare la condizione per iniziare un nuovo cammino. In entrata o in uscita dal mondo, “navigare necesse est”. Buona Pasqua a tutti.

mercoledì 27 marzo 2013

Grasso-Travaglio: il problema dell'informazione in Italia



Nella puntata “Servizio Pubblico” di giovedì, 21 marzo, la trasmissione condotta da Michele Santoro su “La 7” con l’ospite fisso Marco Travaglio, irruppe con una telefonata il Presidente del Senato Piero Grasso, già Capo della Procura Nazionale Antimafia, chiamato in causa dall’editoriale di Travaglio, come al solito ricco di ironia, di ingiurie, di volgarità e di interpretazioni unidimensionali. Accuse pesanti a fatti e comportamenti che possono oggettivamente essere al massimo interpretati, e magari condivisi nell’interpretazione, ma non proposti come verità acclarate. Questo come atteggiamento di fondo di Travaglio, che si vanta di essere stato un pupillo di Indro Montanelli.
Per venire allo specifico, secondo Travaglio, Grasso sarebbe stato aiutato da Berlusconi con tre leggi incostituzionali a far fuori Caselli, si sarebbe rifiutato di sottoscrivere la richiesta d’appello alla sentenza di assoluzione di Andreotti, avrebbe nascosto ai pubblici ministeri palermitani le confessioni del pentito Gruffé, sarebbe stato insomma l’uomo del sistema, che fa finta di fare tanto contro la mafia per non fare nulla contro quel livello di mafia che più conta e che opera nel Palazzo e per il Palazzo. Oggi, perciò, premiato con la seconda carica dello Stato.
Legittimo il risentimento e l’intervento di Grasso nel corso della trasmissione, disposto ad un confronto con Travaglio ad un tu per tu televisivo. Meno comprensibile il rifiuto di attendere una settimana per farlo nel corso della successiva puntata di “Servizio Pubblico”, perché, a suo dire, certe cose vanno chiarite subito. A questo punto Corrado Formigli, ex Santoro boys, che sempre su “La 7” conduce il lunedì sera la trasmissione “Piazza Pulita”, invitava Grasso nel suo salotto televisivo e stesso invito faceva a Travaglio. L’intrusione di Formigli – non saprei definirla diversamente – irritava Travaglio e Santoro, i quali ritenevano che era giusto che il confronto continuasse dove era iniziato, e cioè da “Servizio Pubblico”. La questione tuttavia è marginale a quella di fondo, che è il rapporto politica-informazione e il giornalismo d’inchiesta.
La situazione in cui la politica oggi si trova in Italia è di gravissima perdita di credibilità. La colpa, evidentemente, è della politica stessa, che ne ha fatti di tutti i colori; e quando si pensava ad un suo rinsavimento, nei primi anni Novanta, con Mani Pulite, c’è stato invece un precipitare verso forme sempre più abiette e tracotanti. Il giornalismo televisivo, con le sue trasmissioni, tipo “Samarcanda”, “Il rosso e il nero”, “Tempo reale”, cui si sono aggiunte altre trasmissioni d’inchiesta, ha avuto per anni il grande merito di scoprire le frodi e gli inganni dei politici, fino a mostrarli nudi, con tutte le loro vergogne di fuori. Ma è accaduto anche che le porcherie dei politici sono diventate materia prima preziosa per poter continuare ad esercitare il mestiere di pubblici scopritori di frodi e di inganni, a tal punto che oggi si tende a vederne dappertutto, anche laddove non ci sono, interpretando unilateralmente fatti, piegando situazioni, stravolgendo gesti, il tutto nella solita macedonia di insulti barbari e gratuiti, come quelli che spesso vengono rivolti per difetti fisici. In difetto dell’originalità e dell’autenticità, certo tipo di giornalismo s’inventa il surrogato.
E’ giusto che la pubblica informazione non abbassi la guardia, ma è inaccettabile che diventi il tritacarne di tutto e di tutti, di buoni e cattivi, di competenti e incompetenti, di persone serie e di buffoni patentati, e di ostinate campagne contro il mostro di turno: ieri Craxi, oggi Berlusconi, domani un altro ancora. Perché il mostro può anche non esistere, ma esisteranno sempre in Italia i creatori di mostri. Il risultato è che il Paese perde la fiducia perfino nelle sue risorse migliori.
Grasso, lunedì sera, da Formigli, ha risposto con grande e disarmante serenità, punto per punto, alle accuse di Travaglio, riformulategli de relato da Formigli. Non credo che in Italia si sia rimasti assolutamente convinti dalle risposte di Grasso e che lo stesso abbia dalla sua tutta la ragione. Quel che è emerso chiaramente è che i fatti in narrativa possono essere spiegati da chi li ha compiuti, come ha fatto Grasso, e interpretati dalla stampa critica, non come in genere fa Travaglio, che pretende di propinarli come verità indiscutibili.
Oggi ci troviamo – e noi giornalisti dovremmo preoccuparcene quanto altre categorie – in una situazione che richiede un impegno al recupero della nostra credibilità. Il tempo di diffamare, calunniare, malparlare, ingiuriare, vilipendere è finito; oggi si deve ricominciare a pescare il ladro e il farabutto come fa chi fa pesca con la canna o con la fiocina e non a strascico o di frodo. E anche quando c’è da denunciare, va fatto con discrezione, intesa come capacità di distinguere e separare. Se no, oltre al danno generale, e già ce n’è tanto, si danneggia anche il particolare della categoria cui si appartiene.

domenica 24 marzo 2013

Napolitano a Bersani: incomincia tu, poi si vedrà



Come era prevedibile, Napolitano, dopo aver creato un po’ di suspense coi suoi appunti e le sue riflessioni – secondo me sapeva già che cosa fare fin da giovedì, 21 marzo, giorno delle consultazioni – ha dato l’incarico esplorativo a Bersani per verificare se ci sono i presupposti per un governo che abbia i numeri per ottenere la fiducia nei due rami del Parlamento, letteralmente “un sostegno parlamentare certo”. A leggere bene fra le righe, Napolitano ha tenuto a rendere quasi proibitivo l’esito del tentativo. Un’impresa davvero disperata, che l’onesto Bersani proverà ad intraprendere. Dove va a trovare i numeri certi per un voto di fiducia?
Viene di ricordare il refrain di quella canzone che Alberto Sordi e Monica Vitti cantavano in “Polvere di Stelle”: “ma a ‘ndo vai se la banana nu ‘nce l’hai”. Lo diciamo non per mancanza di rispetto ad un uomo politico, al quale si può solo rimproverare di non essere abbastanza politico e di essere forse un po’ troppo ottimista, ma perché la metaforica banana Bersani non ce l’ha davvero e non sa da quale banano coglierla.
Troppi gli errori fatti nel passato prossimo. Egli avrebbe dovuto osare nel corso dell’anno sabbatico di Monti per l’approvazione di una legge elettorale che sortisse un effetto chiaro e inequivocabile su chi alle elezioni avrebbe vinto e chi perso. Senno del poi, si dirà. E va bene, ma la lungimiranza è dote di un politico. Se uno ce l’ha, evviva; se non ce l’ha, abbasso.
Che non sia stata colpa del Pd non aver voluto una legge simile non convince nessuno. C’è un criterio che taglia la testa al toro in simili circostanze e rimanda come al solito alla pragmatica saggezza latina. Il cui prodest ci dice chiaramente che era nell’interesse del Pd conservare il porcellum prospettando quella che poteva sembrare una vittoria a mani basse. Così non è stato. Sono giunte due variabili non previste nelle dimensioni avute: l’exploit di Grillo e l’ottavo spirito di Berlusconi, uno in più dei proverbiali sette, di cui sono provvisti i gatti.
A questo risultato ha contribuito il guastatore Monti, il quale non doveva fare una sua lista. Il Professore si è immiserito oltre che banalizzato. I montiani hanno reso ancor più ingarbugliato il confronto. Mi piacerebbe che uscissero dalle loro nicchie i profeti di un corso annunciato come nuovo ed era solo un tentativo di riciclaggio: i Casini, i Fini, i Cordero di Montezemolo, giustamente bacchettati a dovere dal popolo giustiziere.
Ora, Bersani deve trovare un machiavello per tentare di convincere Napolitano che può cercare nelle due assemblee parlamentari la fiducia richiesta. Scontata quella della Camera, improbabile quella del Senato, dove nemmeno a mettere insieme i voti del Pd e dei montiani si ottiene alcunché. La prospettata o invocata “non sfiducia” non esiste fuori da un accordo quale fu raggiunto ai suoi dì da Moro e Berlinguer nella prospettiva di raddrizzare le gambe ai cani, ovvero di rendere le convergenze meno parallele. La cosa funzionò, ma a Moro costò la vita.
Qualcosa Bersani deve concedere. Che cosa e a chi? Continua a dire, come se le parole fossero esorcizzanti, che lui non insegue Grillo, ma intanto gli sta dietro con concessioni fin troppo evidenti. Vito Crimi, capogruppo grillino al Senato, ha fatto sapere che se Bersani è disposto ad abolire subito il finanziamento pubblico dei partiti, si potrebbe parlare di una qualche concessione. Poi si dice che se Bersani rassicura sulla sospensione della Tav si potrebbe pure ripensare il rapporto col M5S. Si dice, si dice, ma Grillo è soprattutto un burlone, dopo potrebbe rispondere a Bersani che le parole di Crimi e di altri non sono le sue, e che comunque le concessioni, posto che fossero vere, a lui non bastano.
L’unica strada di Bersani è, se non proprio un abbraccio, una stretta di mano con Berlusconi. Il Cavaliere – è notorio – è un uomo d’affari. Con lui un “affare” è sempre possibile. Se poi questo “affare” può risolvere la difficile situazione dell’Italia, tanto di guadagnato.
Napolitano, nell’affidargli il compito esplorativo, ha detto di verificare, cercando intese con tutte le forze presenti in Parlamento, se è possibile una maggioranza che consenta al Paese di uscire dalle sabbie mobili in cui si è cacciato e in cui sprofonda sempre più quanto più si agita per uscirne. Se Bersani – ma è più esatto dire il Pd – si ostina a non tener conto della realtà, davvero le cose potrebbero mettersi molto male.
Si teme il rischio Grillo, che da un’intesa “B & B”, Bersani-Berlusconi, potrebbe crescere. E’ un rischio che bisogna correre. Se il Frankenstein, il mostriciattolo governativo messo al mondo, riesce a dimostrare qualcosa di buono e che insistere con Grillo si va incontro all’ingovernabilità e al disastro, il fenomeno Grillo potrebbe rientrare in quella rete di rapporti web, in cui anime sconsolate, giovani in cerca di incontri, attempate signore desiderose d’avventure, hanno trovato finora di che svariare il loro tempo.
L’impresa non è impossibile. Certo, la pillola è amara. Ma Bersani potrebbe prenderla provvista di pellicola protettiva per non avere dolori o danni allo stomaco. Per il resto, non c’è che da sperare.

mercoledì 20 marzo 2013

La primavera italica...ha dda venì



La politica dovrebbe seguire l’esempio della chiesa. Si fa per dire, perché la politica non è l’istituzione, l’ordine, il definito; è il magma, il disordine, l’indefinito. Perciò si dice che la politica è l’arte del possibile. Ma guardare a quel che accade dove l’ordine c’è non è male, può servire.
Ho sempre pensato e qualche volta detto che non ha senso essere antifascisti o anticomunisti e prendersela col fascismo e col comunismo storici, perché quando l’uno o l’altro si riproporranno nell’attualità politica lo faranno con forme e apparenze diverse e non chiederanno permesso a nessuno, perché a quel punto nessuno o quasi gli è più contro.
Stiamo assistendo tra il compiaciuto e il bonario ad un tentativo comunque antidemocratico in non pochi e marginali suoi aspetti, che è il fenomeno di Beppe Grillo. Il fatto che questi sia un comico apparentemente non desta preoccupazioni, perché le forme antidemocratiche storicamente si sono sempre concretizzate con tutt’altri metodi e scenari. Per chi, invece, ha una visione sacrale della politica e ne segue gli sviluppi, non è un’attenuante ma un’aggravante.
Facciamo alcuni esempi, per capirci. Di fronte ad una chiesa piena di preti pedofili e puttanieri, di riciclatori di denaro sporco e di complici in corruzione dei politici, la chiesa non si è affidata ad un Crozza o ad un Benigni, come ha fatto la politica che si è data a Grillo, ma ha avuto la forza straordinaria di mettere da parte un papa non all’altezza del compito, come ormai appare chiaro a tutti essere stato Benedetto XVI e si è data ad un papa, che a quanto pare – per la verità è ancora presto per trarre conclusioni – è volto a raddrizzare la barca di Pietro. Facciamo un altro esempio. Vado dal dentista per farmi curare un dente, mi accorgo che è disonesto e incapace. Che faccio, mi rivolgo ad un fabbro ferraio, o cerco un altro dentista, sperabilmente onesto e competente? Di esempi se ne potrebbero fare a iosa. Ma sono inutili perché sono ragionamenti fondati sul nulla, mentre ci troviamo di fronte ad una realtà, che è tale perché ha in sé tutti i presupposti per essere tale e non diversa. Dunque, facciamo pure i conti con Beppe Grillo, ma che si sia scaduti a livello di chiacchiere e tabacchiere non c’è davvero di che andar fieri.
“L’ora del tempo e la dolce stagione”, diceva Dante, alludendo all’alba e alla primavera, spaventatissimo nella “selva oscura”, avendo smarrito la “diritta via”, fanno ben sperare che l’Italia riesca ad uscire dalla gravissima impasse politica in cui si è cacciata.
L’Italia ha bisogno di un governo. Qualcuno potrebbe dire che ho scoperto l’acqua calda. Magari! Lo dico come priorità assoluta. Il che cambia un po’ le cose perché l’Italia non ha bisogno di un governo qualsiasi, qualcuno lo verrebbe rosso e qualcun altro azzurro, ma di un governo vero, di salute e aggiungerei di rigenerazione pubblica. Non è più tempo per scegliere il vestito, fa freddo, ho bisogno di coprirmi, prima di tutto di coprirmi per non morire assiderato.
Lo hanno capito, questo, le forze politiche? Pare di no. Bersani pensa di poter ancora scegliere. Grillo non vuole affatto scegliere e preferisce andare in giro con le pudenda di fuori, dice che non sono sue. A Berlusconi, al punto in cui si trova, andrebbe bene tutto. Lo scenario, così bene disegnato dal costituzionalista Michele Ainis sul “Corriere della Sera” (La cruna dell’ago), fa disperare che si possa addivenire ad un governo per evitare le elezioni anticipate, anticipatissime anzi. Tutto fa supporre che Bersani fallisca il mandato, pieno o esplorativo che sia, e che ancora una volta Napolitano decida per un governo provvisorio, cosiddetto del Presidente, che proprio per il suo carattere di provvisorietà è un non-governo. 
La felice conclusione dell’elezione dei presidenti delle due Camere – felice sempre in rapporto a quel che passa il convento – fa ben sperare in un esito diverso, sia che lo produca Bersani sia un altro di riserva presidenziale. Certo, le forze politiche dovrebbero parlarsi, quanto meno accordarsi su alcuni punti fermi, nella duplice direzione della legge elettorale e della situazione sociale.
L’elettorato, andando a votare il 24 e 25 di febbraio, ha fatto la sua parte. Ora tocca agli eletti trovare la soluzione del problema. Se si ostinano a rifiutarsi di incontrarsi – cosa del tutto antidemocratica, direi antipolitica – la situazione nel Paese potrebbe precipitare verso forme politiche similari al grillismo ma di tutt’altra consistenza persuasiva.
Noi ci credevamo; e crediamo che il buon senso prevalga su tutto e su tutti. Non si può chiedere a Grillo di suicidarsi, questo è scontato. Ma si può chiedere e attendersi che le altre tre forze politiche, con qualche sacrificio e passo indietro, possano accordarsi su un governo, pur di breve durata, ma non provvisorio, nel senso che duri per fare tutto quello che si prefigge in limine di fare.

domenica 17 marzo 2013

Grillo: quella sporca dozzina!



Piero Grasso ha battuto Renato Schifani 137 a 127 ed è stato eletto Presidente del Senato. Una dozzina di voti sono provenuti dal Movimento 5 Stelle. Ininfluenti, ma che tali fossero lo abbiamo saputo dopo. Nell’incertezza dell’esito, dodici senatori grillini non hanno voluto rischiare e contro le disposizioni del “telecomando” si sono espressi per l’ex Presidente della Commissione nazionale antimafia. L’uomo rischiò la scomunica pochissimi anni fa quando disse che il governo Berlusconi aveva fatto delle buone leggi contro la criminalità organizzata. 
Ma il fatto politicamente più  rilevante è che il fronte granitico dei grillini si è rotto. Grillo è stato durissimo: i traditori lascino il gruppo! Lo smacco è doppio, perché tradire si può tradire, ma quando il tradimento è atteso, quasi sbattuto in faccia con irrisione come cosa del tutto normale in condizione di pretesa diversità, allora brucia di più. Lo pensano e lo dicono tutti; e tutti sono in attesa che la rappresentanza parlamentare di Grillo si disgreghi o si liquefaccia secondo fisiologia politica e parlamentare. Grillo si ostina a dire di no; ma quando accade, c’è poco da negare. Tutto ciò che accade in un luogo politico è politica, è frutto cioè di scelta e di calcolo.
Certo, il caso è stato enfatizzato ad arte; e direi per diverse considerazioni, finalizzate a colpire sia il Movimento di Grillo sia il partito di Bersani. Grillo, per dimostrare che gli uomini sono tutti della stessa pasta; Bersani, per contestargli di farsi egemonizzare dai grillini. Le accuse un po’ sono vere entrambe. Della volubilità dei parlamentari di Grillo si è detto. Del partito di Bersani non si può che prendere atto di aver cambiato rotta rispetto alla precedente scelta di destinare Franceschini alla presidenza della Camera e Finocchiaro a quella del Senato. Boldrini alla Camera e Grasso al Senato sono venuti dopo e sono due risultati graditi ai grillini. Per la Boldrini, la capogruppo Lombardi ha esplicitamente riconosciuto che il suo gruppo ha esercitato una sorta di moralsuasion; per Grasso, addirittura una concreta partecipazione. Dunque, in modo diverso, il Movimento di Grillo si è reso protagonista in entrambe le elezioni. Può piacere o non piacere, ma è così. Trarre, però, da questo affrettate conclusioni, di crisi del grillismo o di perdita di autonomia politica da parte del Pd, onestamente è prematuro.
Il cambiamento effettuato da Bersani, al netto di speculazioni propagandistiche, che non riguardano i comuni cittadini, è nelle cose della politica. Nel momento in cui un partito cerca un alleato, deve essere disposto a rinunciare a qualcosa di suo e recepire qualcosa dell’altro, per potersi incontrare. Poi, a volte, le dinamiche portano lontano e possono tralignare. Ma per ora, come ha detto lo stesso Renzi, chapeau!, riconoscendo a Bersani due buoni successi politici.
Non si può, infatti, non sottolineare con soddisfazione la felice scelta dei due presidenti eletti, i quali rimandano entrambi alla imperiosa domanda da parte del Paese di perbenismo, di serietà, di onestà, di militanza per i diritti umani e dei cittadini. Tutte categorie che rientrano nel canone democratico, quale è definito dalla Costituzione.
Da questo canone sono fuori i due partiti che all’ingrosso vanno sotto l’etichettatura di destra, ossia la Scelta Civica di Monti e il Pdl di Berlusconi. Questi due partiti sono stati messi all’angolo per incapacità di incontrarsi per elaborare una strategia comune perfino per il breve periodo. I montiani, con una motivazione assurda, hanno spiegato la loro scheda bianca per l’assenza di una intesa più ampia su un possibile governo. Ma intesa con chi? E’ che, fallito il tentativo di Monti della presidenza del Senato, per il veto di Napolitano, il gruppo è rimasto come suonato.
Il Pdl è allo sbando totale, nell’isolamento più assoluto. Privo di idee, di strategie e di possibilità di incontrarsi con altri per il rifiuto totale degli altri, alle prossime elezioni, che sono alle viste, rischia la débâcle. Questo partito avrebbe una sola cosa da fare, un intervento chirurgico doloroso e rischioso, ma assolutamente necessario, rimuovere il tumore maligno costituito da Berlusconi. E’ lui l’impedimento per qualsiasi sviluppo, per qualsiasi strategia, per qualsiasi collaborazione con altre forze politiche. Qui non si vuole condannarlo unilateralmente. C’è stata e c’è una magistratura ostile, militante, impegnata usque ad mortem contro di lui; è vero come è vero che il sole nasce e muore. Ma vanno fatte due considerazioni. La prima è che i suoi comportamenti e stili di vita sono inaccettabili, offensivi della dignità nazionale e si prestano ad ogni forma di attacchi, da quelli della magistratura a quelli dei giornali e dei media in genere, a quelli della chiesa e dei governi stranieri. Sarebbe, però, ingeneroso e ingiusto prendersela solo con lui. Il centrodestra ha fallito nella sua totalità. Basti considerare a Bossi e alla Lega, a Fini e ad An, ad Alemanno, alla Polverini e a tanti altri piccoli, medi e importanti rappresentanti di quella destra che si diceva pulita e rivendicazionista di pulizia. Ciò detto, la seconda considerazione da fare è che se pure Berlusconi avesse le sue ragioni, e qualcuna ce l’ha, oggettivamente costituisce un danno e pertanto dovrebbe togliere l’incomodo. Se non accade, quella parte politica che lo ha seguito e sostenuto, anche quando non si è riconosciuta del tutto, dovrebbe trarre le conclusioni. E non dovrebbe tardare a farlo.   

giovedì 14 marzo 2013

Francesco I, il Papa che fa sperare



Come tutti gli eventi straordinari, non poteva che avvenire in una data straordinaria, in questo caso palindroma, 13.3.13, dai significati oltre tutto bene auguranti, come il numero 13 dice da sempre. Papa Bergoglio è il primo papa in molte cose: il primo Francesco, il primo gesuita, il primo dell’America Latina. Aggiungerei il primo “italiano non italiano”. I suoi avi erano astigiani, emigrarono in Argentina nell’800. Bisogna sperare che tante novità producano a loro volta novità; buone, sperabilmente.
E subito, purtroppo, i sursum corda dei soliti sapientoni, occupati a tempo indeterminato su tutti i fronti. I quali l’hanno messa subito su vittoria e sconfitta, vittoria di un cattolicesimo evangelico, sconfitta di un cattolicesimo curiale, dietro cui non si sono risparmiati dall’indicare chi sono i vincitori e chi i vinti. Soprattutto i vinti, che, a loro dire, sono gli europei e in particolare gli italiani, Scola tanto per non fare nomi. Rei, questi, di aver appoggiato Berlusconi per tanti anni, che ora vanno incontro a inevitabili rese dei conti e a dei repulisti.
Io non credo sia il caso di metterla su questo piano. Certo, capisco la tentazione di dire che la chiesa italiana s’è meritata la bastonata, ma è sbagliato e rivela un dato, che se nella chiesa, con l’elezione di Francesco I, qualcosa può cambiare, in certi critici italiani della chiesa non cambierà mai niente. Acidi erano e acidi restano, inutilmente bellicosi, perché hanno con la chiesa un approccio sbagliato considerandola uno strumento che affianca e giustifica il potere politico.
La Chiesa ha da sempre una regola, che può non piacere, ma finora le ha consentito di attraversare millenni e sistemi di potere, crisi storiche e tragedie epocali, che è di stabilire con chi ha il potere politico una sorta di modus vivendi, basato sul reciproco rispetto. Ricordo la formula Bona mixta malis di Pio XI nei confronti del regime fascista. Quanto alla bontà dell’elezione di Francesco I, perché non considerare che ad eleggerlo è stato un conclave preparato dai pontefici precedenti, che pur europei erano? L’assemblea cardinalizia, che ha eletto papa Francesco I, era formata da cardinali in gran parte nominati dagli ultimi due pontefici, che per i signori militanti dell’antichiesa italiana oggi sono gli sconfitti. Essa ha interpretato una sorta di consegna, che, ad essere credenti, si riporta allo Spirito Santo, ad essere laici alle scelte e alle decisioni di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Cosa ci aspettiamo da questo Papa? Escluso di identificarci nei menzionati combattenti dell’antichiesa italiana, all’insegna del tutto a tutti – preservativi, matrimoni gay, procreazioni assistite, sacerdozio femminile, eutanasia e via liberalpensando – siamo laici, nel senso di non credenti, ma liberi. In quanto tali speriamo soprattutto in ciò che il Papa può fare, senza che debba togliere da sotto le fondamenta della Chiesa il terreno sul quale è costruita.
E’ di tutta evidenza che ci saranno dei cambiamenti nella curia. Accade in ogni passaggio per così dire di potere, senza per questo pensare a repulisti o a chissà quali rese dei conti. Ogni Papa deve avere i suoi uomini chiave. Forse un errore di Benedetto XVI, pagato a carissimo prezzo, è stato proprio di non aver saputo creare una governance intorno a sé, composta da uomini validi e fidati. Un governo pontificio come si deve saprà evitare gli scandali di vatileaks, i sospetti che la banca vaticana operi non proprio con modalità cristiane e legali, se mai è possibile manipolare danaro senza  diabolizzarsi, dato che – come si dice – il denaro per un verso è lo sterco del diavolo per un altro è capace perfino di accecarlo.
La speranza che riponiamo in questo Papa è che le grandi questioni che travagliano l’individuo e la società, cui si faceva prima riferimento, più la povertà, vengano affrontate con spirito francescano. Vale a dire con disponibilità ad attutire l’impatto esistenziale che questi problemi provocano, tra cui la concessione di far vivere in maniera meno liturgica il rapporto con Dio. Un percorso, in verità, già intrapreso dagli ultimi pontefici. Non è cosa di poco conto, anche se probabilmente lascerà l’amaro in bocca a quanti vorrebbero pubbliche dispense dagli obblighi di fede.
Sul fronte dei rapporti col potere politico, è appena il caso di ricordare ai tanti neofrancescani di occasione che Francesco, dico quello di Assisi, ebbe il permesso di fondare la sua regola prima da Innocenzo III e poi da Onorio III proprio perché, a differenza dei tanti moti pauperistici che aggredivano pubblicamente la chiesa, lui, il poverello di Assisi, la chiesa la lasciava nella sua grazia di Dio, volendo solo dare l’esempio di povertà coi suoi fraticelli. Certo, i tempi sono cambiati. Oggi non basta che il Papa francescano abbia modi da persona comune, ma deve operare perché il complesso mondo del potere non scarichi sui poveri tutto il peso del suo egoismo e del suo cinismo.
Lo Spirito Santo non lascia sul campo vincitori e vinti, non vittime sacrificali, ma uomini di buona volontà che fanno sperare.      

lunedì 11 marzo 2013

Napolitano dimostri che il Paese non è allo sbando



Lo spettacolo che si ripete ogni giorno in Italia è di una spensieratezza inaudita. Come se tutto andasse a gonfie vele e che le criticità economiche, politiche e finanziarie fossero di una fiction che non ci riguarda. Come assistere ad una pioggia torrenziale e fredda guardando dai vetri della finestra, al caldo e al sicuro dentro casa. C’è da rimanere trasecolati. Invece, piove su di noi.
Dico io: capiamo il fenomeno Grillo, ma rendiamoci conto anche che se è umano sbagliare – come si dice – è diabolico perseverare. Non si tratta solo di irritarsi per quello che all’estero dicono e scrivono di noi, in ragione dell’aver votato due clown, ma soprattutto per quello che fanno. Il declassamento dell’Italia da parte di Fitch, una delle più autorevoli agenzie finanziarie, è solo il primo allarme di quanto potrebbe accadere di qui a non molto. Insomma, dobbiamo vedere la festa per credere al santo?
Continuiamo a fare esattamente quello che abbiamo sempre fatto: i giudici attaccano Berlusconi, Berlusconi escogita espedienti coi suoi avvocati per sottrarsi all’accerchiamento, il Pd s’incarta da sé precludendosi vie di soluzione e nel frattempo litiga al suo interno, Grillo vuole il cento per cento dei consensi del Paese e minaccia se il suo Movimento dovesse dare la fiducia a qualsiasi governo, il Pdl organizza proteste contro i giudici che gli vogliono accoppare il capo e dice tocca al Pd fare la prima mossa, le televisioni continuano a magnificare Grillo e non riescono a vedere il pericolo per la democrazia insito in un fenomeno che opera fuori da ogni controllo e non si sa dove ci potrebbe portare, vecchi e ringalluzziti preti e giullari si risentono sulla scena come protagonisti. Uno scenario che fa ridere per un verso gli stranieri e per un altro li fa impensierire, dato che ormai con la sovranità ridotta dei singoli stati è cresciuta la responsabilità degli stessi nei confronti degli altri. Intanto tutti gli indicatori socio-economici nazionali peggiorano: cresce la disoccupazione, l’euro perde potere d’acquisto e aumenta il costo della vita. 
Napolitano, or non è molto, ha detto in Germania che l’Italia non è allo sbando. E’ tempo che dimostri quello che ha detto. Si stanno verificando cose in Italia fuori da quanto prevede la Costituzione, un po’ per la rivoluzione tecnologica della comunicazione e dell’organizzazione politica, un po’ per l’inadeguatezza della classe dirigente di capire i tempi e i problemi. L’art. 49 della Costituzione dice che “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico  a determinare la politica nazionale”. Ma valgono ancora simili categorie politiche? Quanto meno si dovrebbe chiarire che cos’è un partito e che cos’è il metodo democratico. Quello di Grillo, per esempio, non è un partito, è un movimento di rete che opera fuori dalle norme costituzionali di democraticità. E’ una sorta di società semisegreta, perché c’è una grandissima parte dell’Italia che è esclusa dal sapere che cosa faccia questo movimento. Non è colpa di Grillo;  è l’arretratezza del Paese.
Grillo è libero di dare o non dare l’appoggio ad un governo, libero di lasciare la politica. Ma gli altri – e dicendo altri intendo anche i parlamentari cosiddetti grillini – hanno il dovere di essere uomini e cittadini, come del resto preferiscono chiamarsi piuttosto che onorevoli; hanno la responsabilità di dare risposte concrete al Paese, che sia come sia, li ha chiamati a rappresentarlo.
Purtroppo è inutile pensare di responsabilizzare gli intellettuali, gli uomini di cultura, perché essi sono sempre andati in soccorso del vincitore, senza neppure preoccuparsi di chi fosse e dove andasse. Il modo sussiegoso con cui parlano di Grillo li inchioda ad una categoria umana che perfino Dante avrebbe avuto difficoltà a sistemare in qualche girone infernale. Continuano a pensare che l’essere intellettuali appaia tanto più chiaro quanto più eccentrica è la posizione che assumono di fronte alla semplicità e all’immediatezza delle situazioni. Se la macchina corre a rotta di collo non c’è intellettuale italiano che pensi di frenare; e se arranca perfino ad una salita insignificante non c’è intellettuale italiano che pensi di dover accelerare. Nella loro dissonanza di facciata sono di un conformismo vergognosissimo di sostanza.
L’intervento di Napolitano, anche in moral-suasion – trovi lui il modo, come lo ha trovato per la Procura di Palermo e per l’Ilva di Taranto – è più che mai necessario per scuotere un ambiente che si sta pericolosamente accartocciando come – se è permessa qualche divagazione letteraria – la “foglia riarsa” del Montale, simbolo di un male di vivere che vale tanto per il singolo quanto per la società.

domenica 10 marzo 2013

Con Grillo o oltre Grillo? La seconda per non perdere tempo



Mi è venuto spesso in questi giorni, di fronte al busillis politico postelettorale, di pormi una curiosa domanda. E se oggi, invece, di un presidente della repubblica, ci fosse un re, come si comporterebbe? La prima risposta che mi son dato è banale e scontata: farebbe esattamente la stessa cosa, dato che comunque sarebbe un re costituzionale. Ma di qui, la seconda e più specifica domanda: a chi darebbe l’incarico? L’elettorato, in buona sostanza, premi di maggioranza a parte, si è espresso quasi in maniera triplicemente salomonica, dando la stessa percentuale di voti a Grillo, Bersani e Berlusconi.
La matematica non è un’opinione, si sa; lo è però la politica. Così mi son detto: a Berlusconi no, la sua vicenda personale e politica ha dimostrato tutto nel bene e nel male, qualcuno potrebbe storcere la bocca sul bene, ma lasciamo stare, ognuno la pensi come vuole. E poi, bisogna prendere atto che con lui il Paese continuerebbe ad andare verso il precipizio di una lotta continua tra cittadini e tra istituzioni. A Bersani nemmeno, perché non ha saputo vincere quando tutto sembrava arridergli; e chi non sa vincere in politica conviene (alla Machiavelli) che “ruini”, valutazioni sull’uomo a parte. Non resta che Grillo, forte delle debolezze degli altri, rappresenta la novità e potrebbe davvero, almeno agli inizi, fare quello che gli stanchi e svogliati suoi competitors non hanno saputo o non hanno voluto fare.
Allora mi sono ricordato del povero Vittorio Emanuele III, che, nell’ottobre del 1922, di fronte alla novità Mussolini, la pensò come potrebbe pensarla oggi il presidente della repubblica Napolitano. Perciò niente stato d’assedio, per come oggi potrebbe essere inteso, e incarico a Grillo.
Non lo dico con lo spirito ancora salodiano di un Dario Fo o di un Giorgio Albertazzi, volontari entrambi nella Repubblica Sociale, poi con diverse successive scelte, ma perché la politica ha le sue leggi, nelle quali in gran parte mi riconosco. Sono convinto che il comico genovese, a differenza di Mussolini, che a Roma non portò soltanto l’Italia di Vittorio Veneto, come la vulgata sostiene che dicesse presentandosi al re con una frase ad effetto, ma gli interessi specifici di alcune componenti forti della società italiana, non ha nulla di consistente da portare e da proporre. Ve lo immaginate Grillo che, presentandosi a Napolitano, dicesse: Presidente, vi porto l’Italia di Caporetto o di Cassibile, per tali riferimenti da intendersi la sconfitta, il disordine e la confusione?
Sul nulla grilliano sono concordi quasi tutti i commentatori politici né lui dice o fa nulla per convincere il Paese e chi lo ha votato del contrario. Un governo Grillo dovrebbe avere una maggioranza, vale a dire la fiducia di una parte di quella politica (Bersani e Berlusconi) che lui aborre, alla quale non intende dare la propria fiducia, riservandosi di approvare volta per volta, ossia legge per legge o provvedimento per provvedimento che sia. Lo dice, ma probabilmente non lo farebbe, con qualche pezza a colore per giustificarsi. Aggiunge che non farà alleanze in attesa di conquistare il cento per cento, un’iperbole che evidentemente nasconde una intima debolezza.
Un governo Grillo, perciò, sarebbe la prova delle prove dell’adeguatezza o dell’inadeguatezza del movimento 5 Stelle di governare l’Italia dopo che gli altri non hanno saputo farlo, che costituiscono però – bisogna sempre ricordarlo – sebbene divisi, il 75 % del popolo italiano.
Questa, appena enunciata, è una provocazione, dato che sarebbe come dire che per accorgerci che il fuoco brucia e distrugge tutto, bisogna prima appiccarlo. Aggiungo, per prudenza di storico, che Grillo potrebbe avviare un cambiamento in Italia dagli esiti importanti. Lo dico perché anche di Mussolini i più pensavano che sarebbe stato una meteora e che nulla di durevole avrebbe costituito. Sappiamo, invece, che le cose non andarono così. Un’intelligenza vivace e restia a farsi catturare come Curzio Malaparte nella Cantata dell’Arcimussolini disse “cosa fatta capo ha”.
Provocazioni a parte, come vada a finire è prevedibile. Napolitano darà l’incarico prima a Bersani, il cui schieramento, porcellum o non porcellum suilla lex sed lex – ha vinto le elezioni. I numeri sono numeri. Ma siccome questi non bastano, Bersani dovrà rinunciare all’incarico. E allora Napolitano, preso atto che Grillo non accetta inviti nemmeno per una pizza, lo ha dimostrato negandosi già a Bersani e a Monti, si affiderà ad un uomo delle istituzioni, così si dice, e proporrà un governo del presidente, che si farà carico di fare alcune importanti cose, per poi tornare al voto. Fra le cose importanti dovrebbe esserci la legge elettorale. Di riduzione del numero dei parlamentari non se ne parla. Bisognerebbe rivedere la Costituzione che ne fissa il numero di seicentotrenta alla Camera (art. 56) e di trecentoquindici al Senato (art. 57). E neppure dell’abolizione delle province (art. 114), che però si potrebbero ridurre, accorpandone alcune. Questo governo, insomma, dovrebbe fare tutto quello che andrebbe fatto per poter recuperare la condizione democratico-parlamentare del Paese, senza perdere di vista i problemi economico-finanziari, per i quali si è in dipendenza, ormai acclarata, dai mercati e dall’Europa. Per questo Bersani e Berlusconi dovranno per forza contrarre un matrimonio d’affari, si dovranno accordare sulle cose da fare senza trucchetti ed egoismi, che in passato hanno immobilizzato l’attività politico-riformatrice.
Sul fronte elettorale chi ha votato Grillo, convinto che potrebbe dare un contributo per risolvere i guai politici ed economici del Paese, si dovrà ricredere e mandarlo affanculo, luogo che il comico ben conosce, essendo in quel posto di casa.

giovedì 7 marzo 2013

Berlusconi negozi il suo ritiro



Berlusconi è stato condannato dai giudici milanesi a un anno di reclusione per la faccenda della rivelazione del contenuto di una telefonata tra Piero Fassino e il Presidente della Banca Unipol Giovanni Consorte, nel corso della quale l’esponente degli allora Democratici di Sinistra, esclamò contento: “allora, abbiamo una banca!”. E’ l’ennesima condanna vuota di qualsiasi contenuto penale, a parte i danni alla parte lesa (Fassino) quantificati in ottantamila euro, a fronte del milione richiesto. Seguirà, infatti, prescrizione.
Da quando è sceso in politica, Berlusconi ha dovuto affrontare un fiume lungo, sinuoso e torrentizio di processi, dai quali è uscito quasi sempre assolto, spendendo centinaia di milioni di euro in spese legali. Saranno stati una cinquantina i processi, che hanno impedito al Paese di procedere lungo un cammino già di per sé impervio per le note congiunture internazionali, che hanno esposto l’Italia a giudizi e battute gravemente lesivi della reputazione nazionale.
Una guerra giudiziaria, già iniziata nel 1994, all’indomani della nomina a Presidente del Consiglio, mentre Berlusconi era a Napoli in una conferenza internazionale, dalla quale non è uscito né sconfitto né malconcio, ma alleggerito di centinaia di milioni di euro. Non altrettanto si può dire del sistema politico e giudiziario italiano, che invece è ridotto alle pezze: quello politico lo abbiamo sotto i nostri occhi, delegittimato e invalidato; quello giudiziario non credibile in quanto incapace di vincere la guerra ingaggiata, se si eccettuano piccole scaramucce, pagate in termini di reputazione e di credibilità del sistema giudiziario italiano nel suo complesso. E’ appena il caso di aggiungere che i tanti magistrati che si sono dati alla politica è il segno di un processo di politicizzazione della giustizia che scredita e inficia lo Stato di diritto.
La strada giudiziaria per combattere Berlusconi ha finito per coinvolgere tutte le più importanti istituzioni del Paese, piegando un sistema politico già di per sé gravemente compromesso. Addentrarsi nei vari processi, che si sono conclusi con assoluzioni, prescrizioni, amnistie, depenalizzazioni, è un compito lungo e complesso, che in ogni caso non darebbe un’indicazione per uscire dall’ingorgo politico-giudiziario. Il punto dal quale partire è come giungere ad un armistizio in questa guerra che vede magistrati contro Berlusconi, molto spesso su posizioni strumentali, come a non voler concedere tregua ad un uomo che sembra come quegli eroi del mito, Achille o Sigfrido, praticamente invulnerabile. Trovare la soluzione non dovrebbe essere difficile in un paese come il nostro, che vanta i più scafati pensatori politici del mondo e della storia.
Berlusconi è da vent’anni a questa parte il vero problema del Paese. Qui non si vuole affatto né condannarlo né assolverlo, non per ignavia, da cui chi scrive è assolutamente immune, ma perché ormai si è giunti ad un punto tale che la questione non ritarda ma impedisce qualsiasi ripresa del sistema Italia. Lo prova il fatto che mentre la congiuntura in cui ci troviamo necessita di un’intesa tra le forze politiche per dar vita ad un governo che prepari una sorta di rifondazione del Paese, la magistratura imperversa vanamente contro un uomo, che, forte di una cintura di protezione politica testata dalle ultime elezioni, resiste e rilancia manifestazioni di piazza, che aggiungono disordine e confusione nel Paese.
Massimo D’Alema vorrebbe che ci fosse un’intesa tra le forze politiche, Pdl compreso, ma con l’esclusione della persona di Berlusconi, per dar vita ad un governo di emergenza, che facesse alcune cose importanti, fra le quali la legge elettorale, per poter ripartire. Si può anche pensare che D’Alema abbia assunto questa posizione con un occhio al Quirinale, che aspetta, come sappiamo, il nuovo inquilino. Ma, ingenua o maliziosa considerazione che sia, questa del Quirinale, non si può non essere d’accordo su un’intesa di vera e propria costituente, da realizzare con tappe programmate.
Dalle ultime consultazioni è uscito un quadro politico davvero sconfortante, in un momento politico e sociale che avrebbe richiesto indicazioni più precise e serie. Siamo invece in presenza di tre forze politiche che più o meno, premi di maggioranza a parte, si equivalgono. Due appartengono all’establishment, l’altra è espressione di una sorta di confuso ribellismo indisponibile a dare il proprio contributo alla rifondazione del sistema politico italiano.
Di fronte alle incertezze del momento, agli attacchi che ormai si sferrano anche selvaggiamente, sarebbe auspicabile che si giungesse ad una tregua costruttiva. Qualcuno dovrebbe negoziarla, sapendo di dover rinunciare a qualcosa per il bene del Paese.

mercoledì 6 marzo 2013

Roberta Lombardi, la grillina impertinente



Roberta Lombardi, grillina – pare – di qualche capacità, se è stata eletta capogruppo alla Camera dei Deputati, non ha messo ancora del tutto piede in politica che già incomincia a conoscere che aria tira. Circa un mese fa, sul suo blog aveva espresso sul fascismo dei giudizi non in linea con la vulgata antifascista. Nulla di particolarmente eretico. Addirittura si chiedeva perplessa che tipo di ideologia fosse mai stata quella del fascismo, che, dopo aver pensato e fatto cose buone, ne fece altre di pessime e di obbrobriose.
Se la Lombardi ha studiato, come credo abbia fatto, avrà appreso che il fascismo non fu quello che per ragioni di opportunismo politico fu il male assoluto – Fini docet! – ma fu un movimento prima socialisteggiante, un partito poi strumentalizzato dagli agrari e dagli industriali, un regime violento e liberticida successivamente, imperialista, razzista e via di seguito fino alla catastrofe della guerra. Questo, in estrema sintesi, sono le tappe del fascismo. Ognuna di esse ha però i suoi contenuti, positivi alcuni, discutibili altri, assolutamente da respingere altri ancora. Sembra che stia recitando il rosario delle ovvietà. Me ne scuso coi lettori.
Ora, negare che all’interno di alcune fasi, il fascismo ebbe una politica sociale importante, che di fatto introdusse lo stato sociale, che bonificò zone del paese da millenni malariche prosciugando e costruendo città, che mise ordine nelle banche, nelle industrie, nei trasporti, nei servizi, delle due l’una: o è frutto di ignoranza autentica o espressione di pusillanimità opportunistica, che in politica purtroppo vale oro colato.
Io non credo che i grillini vengano da un altro pianeta, sono italiani come tutti gli altri, diciamo da almeno mille anni in qua; non sembrano molto esperti né particolarmente colti. Se mi sbaglio sarò felice di riconoscerlo. Per ora vedo che sono in gran parte giovani e non hanno avuto le opportunità di crescere in politica come i loro omologhi precedenti, nelle sezioni dei partiti e nelle piazze, ad ascoltare dalla viva voce i loro leader. Ma sono pur sempre della stessa razza italica, nel bene e nel male; finiranno per diventare, come diceva Nietzsche, quello che sono. Persone normalissime, che hanno avuto le loro esperienze politiche giovanili, professionali ed ora politiche. Certo è che si sono proposti come persone pulite, oneste, sincere in discontinuità coi politici tradizionali: sporchi, disonesti e bugiardi. Mi permetterei di non generalizzare.
Mi chiedo, come si può pretendere che uno sia pulito, onesto e sincero e nello stesso tempo intellettualmente disonesto, pusillanime e opportunista? Non lo so. E’ come chiedere ad un asino di ragliare e cinguettare a seconda di chi lo ascolta. Consiglierei a qualcuno di andare a leggersi l’Asino d’oro di Apuleio.
Mi pare che tutti siamo stanchi di un certo tipo di politico. Se dobbiamo dire basta a costui, che nel nome di un Machiavelli mai letto o mai capito, pensa di poter dire e fare quello che vuole, perché la politica è una zona franca, non possiamo chiedere alla giovane grillina di fare mea culpa, battendosi il petto con una pietra, e giurare di essere tutta antifascista, nient’altro che antifascista.
Lo potrebbe pure fare, la Lombardi, ma da quel momento non ci sarebbe da meravigliarsi se la stessa cercasse o non respingesse occasioni di profitto personale, sgomitasse e tradisse per avere un posto di maggiore prestigio, accettasse regali costosi, si ritrovasse, senza saperlo, con conti in banca cifrati e via politicando come i tanti politici tradizionali hanno fatto da sempre in Italia ma in un crescendo vertiginoso in questi ultimi anni.
Perché impedire ad una persona di esprimere il suo pensiero, motivato e giustificato? Perché continuare a pensare che le menzogne siano produttive e politicamente corrette? Il fascismo, come il socialismo, il liberalismo, il comunismo, sono ismi che appartengono al Novecento, sono finiti, si sono in qualche modo trasformati, in alcuni casi sono diventati una cosa completamente diversa. Ma la verità, l’onestà, la libertà, la giustizia sono valori assoluti, universali, che non sono cambiati dalla notte dei tempi e non possono cambiare. E’ a simili valori che tutti coloro che si occupano di politica e dunque del bene e del destino comune, devono ispirarsi, senza vuoti ed eccezioni. 

Grillo: prorogatio o provocatio?



Il prof. Paolo Becchi, docente di filosofia del diritto all’Università di Genova, sta cercando di spiegare sulla stampa, alla televisione e in rete, che l’uscita dal confuso dopoelezioni sta nella “prorogatio” (dal latino proroga, aggiornamento), fino a quando non si formerà il nuovo governo e nel frattempo il Parlamento in maniera del tutto autonoma potrà procedere all’approvazione di leggi importanti, prime fra tutte la legge elettorale e quella sul conflitto di interessi. Dice lui: né la Costituzione né una legge pongono limiti e scadenze ad una eventuale “prorogatio”. Una simile proposta prefigura un regime di tipo assembleare, le Camere intese come delle assemblee liquide, fluttuanti, all’interno delle quali si formano e si sformano maggioranze, ora su un problema ora su un altro. E’ il disordine generale, che farebbe comodo solamente a chi dal disordine pensa di trarre nuova linfa elettorale.
Che la proposta di Becchi sia politica lo dice il professore stesso: «Ora, la mia tesi è la seguente: le forze politiche possono prendere atto che non sarà possibile formare nessun nuovo governo, per evidenti ragioni politiche e di numero» (Corriere della Sera, 5 marzo). Cavilli giuridici a parte questa proposta è politica, nel senso che mira al raggiungimento di risultati politici. Il ragionamento è questo: il pollo (leggi sistema politico) non è ancora cotto, ha bisogno di una “prorogatio” di cottura; lasciamo perciò il gas a fiamma lenta e quando il pollo sarà ben cotto il pranzo è servito. Il Movimento di Grillo pensa che in un modo o nell’altro, sia che le leggi importanti si facciano sia che non si facciano, ha tutto da guadagnare. Se si fanno, il merito è suo; se non si fanno, la colpa è degli altri. Sarà banale e semplice il ragionamento, ma per chi al momento non è pronto per affrontare la situazione politica difficile e complessa, com’è quella italiana, fa come Quinto Fabio Massimo, detto appunto il “cunctator”, il temporeggiatore che, non potendo affrontare Annibale in campo aperto, optò per una sorta di “prorogatio”.
Quella di Grillo rientra nel genere delle “primavere arabe”. Ne ha tutti i caratteri. Improvvisamente folle impensabili formatesi in rete si riuniscono e danno la spallata al regime di turno. Nei paesi arabi tanto è avvenuto nella violenza e negli scontri armati; da noi è avvenuto in una sorta di scontro non sanguinoso ma oltraggioso parimenti. Quel Grillo che ha insultato e insulta continuamente uomini, leggi e istituzioni, prima o poi evocherà qualcosa di non perfettamente pacifico. La storia, che non è un museo ma un racconto vivo di fatti, questo fa temere. Non a caso altri paesi europei temono il rischio contagio.
La risposta dei partiti – per come oggi possono essere intesi – deve essere consequenziale, dopo aver individuato il pericolo comune e della democrazia. Questo pericolo è il Movimento di Grillo, che ha dato dimostrazione che può portare milioni di persone sulle piazze e nelle urne, ma che non capisce nulla di governo della cosa pubblica. I suoi parlamentari – absit iniuria verbis – sembrano usciti dalle uova  di Bulgakov; espressione di una volontà neodittatoriale. Chi ha votato per il Movimento 5 Stelle ha votato per Grillo, in nessun caso ha pensato ad uno dei suoi cento e passa eletti. Anche a metterla su questo piano, dato che neppure gli altri partiti hanno ricevuto voti di preferenza, Grillo ha superato tutti quanti gli altri in uno dei difetti più gravi per i quali lui accusa. Parlamentari nominati e non eletti, che ora lui vuole addirittura vincolare, contro l’art. 67 della Costituzione.
Da questa situazione si può uscire con un governo del Presidente, politico, che operi all’interno di Camere ben strutturate nelle loro componenti politiche e parlamentari. Dopo aver approvato alcune leggi importanti, direi prima fra tutte la legge elettorale, si potrà andare a nuove elezioni. Intese di governissimi sarebbero esiziali e farebbero aumentare a dismisura la protesta. Non “prorogatio”, dunque, che gonfierebbe ancora di più Grillo, ma “provocatio”, che in latino significa appellarsi a qualcuno, in questo caso al popolo, per sgonfiare il fenomeno Grillo, che in questo momento è il pericolo dei pericoli della nostra democrazia e anche della nostra condizione economico-sociale. Bisogna dimostrare al popolo che votare Grillo non serve, che anzi costituisce un aggravarsi della situazione. Far capire che l’aggravarsi può significare aumento della disoccupazione, crescita della povertà, riduzione e tagli alle pensioni, all’assistenza, ai servizi. La gente spesso non capisce che tra il voto e tutte queste cose c’è un nesso di causa ed effetto.  Bisogna che lo capisca.

domenica 3 marzo 2013

Bersani tra senno del prima e senno del poi



A sentirli tutti oggi i commentatori politici, Bersani doveva far vincere Renzi alle primarie perché questi poi avrebbe a sua volta vinto le elezioni politiche. Come – mi chiedo – mettendosi graziosamente da parte? Qui non si tratta più del senno del poi, è piuttosto in questione il senno del prima, che è dote assai più consistente e importante del senno del poi, che non vale niente. Ne son piene le fosse, diceva il Manzoni.
Già Bersani dimostrò nell’occasione delle primarie una grande disponibilità a mettersi in gioco, pur potendo trincerarsi dietro una norma dello Statuto del partito, che voleva che fosse lui il candidato premier nell’ipotesi di elezioni. Si obietta: ma il quadro politico era in movimento, il fenomeno Grillo era minaccioso e le risorse di Berlusconi erano e sono più infinite delle vie del Signore, come poi è stato dimostrato. Obiezione respinta, perché se Bersani avesse ceduto il passo a Renzi, quanti della vecchia guardia postcomunista, che ancora è consistente, sarebbero rimasti nel partito e quanti se ne sarebbero andati con Vendola o con un’altra formazione di cui abbonda la sinistra italiana? E’ il bisogno di coprirsi quando la coperta è corta. Ti copri in alto e inevitabilmente ti scopri in basso. Chi ha responsabilità di guida in politica deve avere grande senso dell’equilibrio. Bersani dimostrò di avere il senno del prima in quell’occasione. L’errore semmai – era chiaro prima ed è stato ancor più chiaro dopo – è il non aver voluto una legge elettorale nuova, diversa dal porcellum. Bersani aveva visto giusto per la Camera, e difatti è bastata una manciata di voti in più per assicurarsi una maggioranza solida, ma non ha voluto ascoltare gli ammonimenti per il Senato, dove sarebbe stato assai difficile avere una maggioranza. Troppo ghiotta sembrava l’occasione per lasciarsi sfuggire quello che il porcellum offriva. E, invece, il porcellum ha “tradito”.
I problemi che si pongono oggi e che riguardano Bersani, ma anche Berlusconi e soprattutto il Paese, è che c’è un soggetto, Grillo, che rifiuta di gestire il risultato elettorale in maniera parlamentare, come in una democrazia accade o deve accadere. Intendiamoci, la scelta di stare all’opposizione è legittima. Non è altrettanto legittima la prospettiva. Grillo è come invasato, vuole il governo e le forze politiche tradizionali al suo servizio. E’ una sfida, la sua, molto pericolosa.
Siamo in democrazia, fino a prova contraria, malata malata, ma ancora è democrazia. Se il suo partito ha conseguito il 25 % del favore dell’elettorato, vuol dire che il 75 % gli è contro. Fino ad oggi ha avuto a che fare con gente responsabile, matura e disposta perfino a tendergli la mano. Anche alcuni dei suoi amici ed estimatori, come Dario Fo e Massimo Cacciari, lo invitano ad assumere atteggiamenti più conciliativi. Ma lui, niente, è convinto che da qualsiasi governo, ipotetico, dal quale tenersi alla larga, lui finirebbe per trarre vantaggio alle prossime elezioni, nel significato di vicine più che successive.
Il Presidente della Repubblica getta acqua sul fuoco, rassicura i governi stranieri e non solo i governi, soprattutto i mercati. Dice che l’Italia non è allo sbando. Fa il suo mestiere. Ma la realtà è assai complicata. Il Paese continua ad andare alla deriva, tutti gli indicatori sociali ed economici lo dicono impietosamente. All’estero ci considerano spensierati, perché in una situazione così drammatica ci siamo affidati a due clown. Sarà pure offensivo, ma chi non ne è convinto anche in Italia? La magistratura si è di nuovo scatenata contro Berlusconi, il quale minaccia grandi manifestazioni popolari. No, francamente la situazione è davvero non dico senza vie d’uscita, ma richiede maniere forti e decise.
Dimostrarsi debole e incerto o addirittura con rimorsi sulla coscienza in politica non paga. Le forze in campo sono tutte espressione della volontà dei cittadini. Non ci sono forze più legittime di altre finché restano nelle regole democratiche. Bersani fa male a non mostrarsi all’altezza del compito e a non rispondere a Grillo, se non con insulti, quanto meno con messaggi politicamente virili (si può dire?).
Un governo di scopo è possibile. Lo ha ricordato anche D’Alema, il quale ha detto che la legislatura dovrebbe avere carattere costituente. Forse la seconda che ha detto, giusta quanto e più della prima, sarebbe troppa grazia. A questo punto occorre proprio un governo che governi, che dia garanzie di ordine e di stabilità, che provveda a fare una legge elettorale da cristiani, che preservi la democrazia anche da avventure jacqueristiche o come oggi le chiamano di rete, e poi andare a nuove elezioni.
Gli strumenti per tirarci fuori dalle secche li abbiamo. Forse non abbiamo il comandante della nave giusto. Ma non è neppure uno Schettino qualsiasi chi oggi potrebbe mettersi al timone. Un grande popolo trova sempre il modo per risolvere i problemi senza ricorrere a mezzi estranei all’ordine democratico e costituzionale.