giovedì 14 marzo 2013

Francesco I, il Papa che fa sperare



Come tutti gli eventi straordinari, non poteva che avvenire in una data straordinaria, in questo caso palindroma, 13.3.13, dai significati oltre tutto bene auguranti, come il numero 13 dice da sempre. Papa Bergoglio è il primo papa in molte cose: il primo Francesco, il primo gesuita, il primo dell’America Latina. Aggiungerei il primo “italiano non italiano”. I suoi avi erano astigiani, emigrarono in Argentina nell’800. Bisogna sperare che tante novità producano a loro volta novità; buone, sperabilmente.
E subito, purtroppo, i sursum corda dei soliti sapientoni, occupati a tempo indeterminato su tutti i fronti. I quali l’hanno messa subito su vittoria e sconfitta, vittoria di un cattolicesimo evangelico, sconfitta di un cattolicesimo curiale, dietro cui non si sono risparmiati dall’indicare chi sono i vincitori e chi i vinti. Soprattutto i vinti, che, a loro dire, sono gli europei e in particolare gli italiani, Scola tanto per non fare nomi. Rei, questi, di aver appoggiato Berlusconi per tanti anni, che ora vanno incontro a inevitabili rese dei conti e a dei repulisti.
Io non credo sia il caso di metterla su questo piano. Certo, capisco la tentazione di dire che la chiesa italiana s’è meritata la bastonata, ma è sbagliato e rivela un dato, che se nella chiesa, con l’elezione di Francesco I, qualcosa può cambiare, in certi critici italiani della chiesa non cambierà mai niente. Acidi erano e acidi restano, inutilmente bellicosi, perché hanno con la chiesa un approccio sbagliato considerandola uno strumento che affianca e giustifica il potere politico.
La Chiesa ha da sempre una regola, che può non piacere, ma finora le ha consentito di attraversare millenni e sistemi di potere, crisi storiche e tragedie epocali, che è di stabilire con chi ha il potere politico una sorta di modus vivendi, basato sul reciproco rispetto. Ricordo la formula Bona mixta malis di Pio XI nei confronti del regime fascista. Quanto alla bontà dell’elezione di Francesco I, perché non considerare che ad eleggerlo è stato un conclave preparato dai pontefici precedenti, che pur europei erano? L’assemblea cardinalizia, che ha eletto papa Francesco I, era formata da cardinali in gran parte nominati dagli ultimi due pontefici, che per i signori militanti dell’antichiesa italiana oggi sono gli sconfitti. Essa ha interpretato una sorta di consegna, che, ad essere credenti, si riporta allo Spirito Santo, ad essere laici alle scelte e alle decisioni di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Cosa ci aspettiamo da questo Papa? Escluso di identificarci nei menzionati combattenti dell’antichiesa italiana, all’insegna del tutto a tutti – preservativi, matrimoni gay, procreazioni assistite, sacerdozio femminile, eutanasia e via liberalpensando – siamo laici, nel senso di non credenti, ma liberi. In quanto tali speriamo soprattutto in ciò che il Papa può fare, senza che debba togliere da sotto le fondamenta della Chiesa il terreno sul quale è costruita.
E’ di tutta evidenza che ci saranno dei cambiamenti nella curia. Accade in ogni passaggio per così dire di potere, senza per questo pensare a repulisti o a chissà quali rese dei conti. Ogni Papa deve avere i suoi uomini chiave. Forse un errore di Benedetto XVI, pagato a carissimo prezzo, è stato proprio di non aver saputo creare una governance intorno a sé, composta da uomini validi e fidati. Un governo pontificio come si deve saprà evitare gli scandali di vatileaks, i sospetti che la banca vaticana operi non proprio con modalità cristiane e legali, se mai è possibile manipolare danaro senza  diabolizzarsi, dato che – come si dice – il denaro per un verso è lo sterco del diavolo per un altro è capace perfino di accecarlo.
La speranza che riponiamo in questo Papa è che le grandi questioni che travagliano l’individuo e la società, cui si faceva prima riferimento, più la povertà, vengano affrontate con spirito francescano. Vale a dire con disponibilità ad attutire l’impatto esistenziale che questi problemi provocano, tra cui la concessione di far vivere in maniera meno liturgica il rapporto con Dio. Un percorso, in verità, già intrapreso dagli ultimi pontefici. Non è cosa di poco conto, anche se probabilmente lascerà l’amaro in bocca a quanti vorrebbero pubbliche dispense dagli obblighi di fede.
Sul fronte dei rapporti col potere politico, è appena il caso di ricordare ai tanti neofrancescani di occasione che Francesco, dico quello di Assisi, ebbe il permesso di fondare la sua regola prima da Innocenzo III e poi da Onorio III proprio perché, a differenza dei tanti moti pauperistici che aggredivano pubblicamente la chiesa, lui, il poverello di Assisi, la chiesa la lasciava nella sua grazia di Dio, volendo solo dare l’esempio di povertà coi suoi fraticelli. Certo, i tempi sono cambiati. Oggi non basta che il Papa francescano abbia modi da persona comune, ma deve operare perché il complesso mondo del potere non scarichi sui poveri tutto il peso del suo egoismo e del suo cinismo.
Lo Spirito Santo non lascia sul campo vincitori e vinti, non vittime sacrificali, ma uomini di buona volontà che fanno sperare.      

Nessun commento:

Posta un commento