Come tutti gli eventi
straordinari, non poteva che avvenire in una data straordinaria, in questo caso
palindroma, 13.3.13, dai significati oltre tutto bene auguranti, come il numero
13 dice da sempre. Papa Bergoglio è il primo papa in molte cose: il primo
Francesco, il primo gesuita, il primo dell’America Latina. Aggiungerei il primo
“italiano non italiano”. I suoi avi erano astigiani, emigrarono in Argentina
nell’800. Bisogna sperare che tante novità producano a loro volta novità;
buone, sperabilmente.
E subito, purtroppo, i sursum corda dei soliti sapientoni,
occupati a tempo indeterminato su tutti i fronti. I quali l’hanno messa subito
su vittoria e sconfitta, vittoria di un cattolicesimo evangelico, sconfitta di
un cattolicesimo curiale, dietro cui non si sono risparmiati dall’indicare chi
sono i vincitori e chi i vinti. Soprattutto i vinti, che, a loro dire, sono gli
europei e in particolare gli italiani, Scola tanto per non fare nomi. Rei,
questi, di aver appoggiato Berlusconi per tanti anni, che ora vanno incontro a
inevitabili rese dei conti e a dei repulisti.
Io non credo sia il caso di
metterla su questo piano. Certo, capisco la tentazione di dire che la chiesa
italiana s’è meritata la bastonata, ma è sbagliato e rivela un dato, che se
nella chiesa, con l’elezione di Francesco I, qualcosa può cambiare, in certi
critici italiani della chiesa non cambierà mai niente. Acidi erano e acidi
restano, inutilmente bellicosi, perché hanno con la chiesa un approccio sbagliato
considerandola uno strumento che affianca e giustifica il potere politico.
Cosa ci aspettiamo da questo Papa?
Escluso di identificarci nei menzionati combattenti dell’antichiesa italiana,
all’insegna del tutto a tutti – preservativi, matrimoni gay, procreazioni
assistite, sacerdozio femminile, eutanasia e via liberalpensando – siamo laici,
nel senso di non credenti, ma liberi. In quanto tali speriamo soprattutto in
ciò che il Papa può fare, senza che debba togliere da sotto le fondamenta della
Chiesa il terreno sul quale è costruita.
E’ di tutta evidenza che ci
saranno dei cambiamenti nella curia. Accade in ogni passaggio per così dire di
potere, senza per questo pensare a repulisti o a chissà quali rese dei conti.
Ogni Papa deve avere i suoi uomini chiave. Forse un errore di Benedetto XVI,
pagato a carissimo prezzo, è stato proprio di non aver saputo creare una governance intorno a sé, composta da
uomini validi e fidati. Un governo pontificio come si deve saprà evitare gli
scandali di vatileaks, i sospetti che la banca vaticana operi non proprio con
modalità cristiane e legali, se mai è possibile manipolare danaro senza diabolizzarsi, dato che – come si dice – il
denaro per un verso è lo sterco del diavolo per un altro è capace perfino di
accecarlo.
La speranza che riponiamo in
questo Papa è che le grandi questioni che travagliano l’individuo e la società,
cui si faceva prima riferimento, più la povertà, vengano affrontate con spirito
francescano. Vale a dire con disponibilità ad attutire l’impatto esistenziale
che questi problemi provocano, tra cui la concessione di far vivere in maniera
meno liturgica il rapporto con Dio. Un percorso, in verità, già intrapreso
dagli ultimi pontefici. Non è cosa di poco conto, anche se probabilmente
lascerà l’amaro in bocca a quanti vorrebbero pubbliche dispense dagli obblighi
di fede.
Sul fronte dei rapporti col
potere politico, è appena il caso di ricordare ai tanti neofrancescani di
occasione che Francesco, dico quello di Assisi, ebbe il permesso di fondare la
sua regola prima da Innocenzo III e poi da Onorio III proprio perché, a
differenza dei tanti moti pauperistici che aggredivano pubblicamente la chiesa,
lui, il poverello di Assisi, la chiesa la lasciava nella sua grazia di Dio,
volendo solo dare l’esempio di povertà coi suoi fraticelli. Certo, i tempi sono
cambiati. Oggi non basta che il Papa francescano abbia modi da persona comune,
ma deve operare perché il complesso mondo del potere non scarichi sui poveri
tutto il peso del suo egoismo e del suo cinismo.
Lo Spirito Santo non lascia sul
campo vincitori e vinti, non vittime sacrificali, ma uomini di buona volontà
che fanno sperare.
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