domenica 17 marzo 2013

Grillo: quella sporca dozzina!



Piero Grasso ha battuto Renato Schifani 137 a 127 ed è stato eletto Presidente del Senato. Una dozzina di voti sono provenuti dal Movimento 5 Stelle. Ininfluenti, ma che tali fossero lo abbiamo saputo dopo. Nell’incertezza dell’esito, dodici senatori grillini non hanno voluto rischiare e contro le disposizioni del “telecomando” si sono espressi per l’ex Presidente della Commissione nazionale antimafia. L’uomo rischiò la scomunica pochissimi anni fa quando disse che il governo Berlusconi aveva fatto delle buone leggi contro la criminalità organizzata. 
Ma il fatto politicamente più  rilevante è che il fronte granitico dei grillini si è rotto. Grillo è stato durissimo: i traditori lascino il gruppo! Lo smacco è doppio, perché tradire si può tradire, ma quando il tradimento è atteso, quasi sbattuto in faccia con irrisione come cosa del tutto normale in condizione di pretesa diversità, allora brucia di più. Lo pensano e lo dicono tutti; e tutti sono in attesa che la rappresentanza parlamentare di Grillo si disgreghi o si liquefaccia secondo fisiologia politica e parlamentare. Grillo si ostina a dire di no; ma quando accade, c’è poco da negare. Tutto ciò che accade in un luogo politico è politica, è frutto cioè di scelta e di calcolo.
Certo, il caso è stato enfatizzato ad arte; e direi per diverse considerazioni, finalizzate a colpire sia il Movimento di Grillo sia il partito di Bersani. Grillo, per dimostrare che gli uomini sono tutti della stessa pasta; Bersani, per contestargli di farsi egemonizzare dai grillini. Le accuse un po’ sono vere entrambe. Della volubilità dei parlamentari di Grillo si è detto. Del partito di Bersani non si può che prendere atto di aver cambiato rotta rispetto alla precedente scelta di destinare Franceschini alla presidenza della Camera e Finocchiaro a quella del Senato. Boldrini alla Camera e Grasso al Senato sono venuti dopo e sono due risultati graditi ai grillini. Per la Boldrini, la capogruppo Lombardi ha esplicitamente riconosciuto che il suo gruppo ha esercitato una sorta di moralsuasion; per Grasso, addirittura una concreta partecipazione. Dunque, in modo diverso, il Movimento di Grillo si è reso protagonista in entrambe le elezioni. Può piacere o non piacere, ma è così. Trarre, però, da questo affrettate conclusioni, di crisi del grillismo o di perdita di autonomia politica da parte del Pd, onestamente è prematuro.
Il cambiamento effettuato da Bersani, al netto di speculazioni propagandistiche, che non riguardano i comuni cittadini, è nelle cose della politica. Nel momento in cui un partito cerca un alleato, deve essere disposto a rinunciare a qualcosa di suo e recepire qualcosa dell’altro, per potersi incontrare. Poi, a volte, le dinamiche portano lontano e possono tralignare. Ma per ora, come ha detto lo stesso Renzi, chapeau!, riconoscendo a Bersani due buoni successi politici.
Non si può, infatti, non sottolineare con soddisfazione la felice scelta dei due presidenti eletti, i quali rimandano entrambi alla imperiosa domanda da parte del Paese di perbenismo, di serietà, di onestà, di militanza per i diritti umani e dei cittadini. Tutte categorie che rientrano nel canone democratico, quale è definito dalla Costituzione.
Da questo canone sono fuori i due partiti che all’ingrosso vanno sotto l’etichettatura di destra, ossia la Scelta Civica di Monti e il Pdl di Berlusconi. Questi due partiti sono stati messi all’angolo per incapacità di incontrarsi per elaborare una strategia comune perfino per il breve periodo. I montiani, con una motivazione assurda, hanno spiegato la loro scheda bianca per l’assenza di una intesa più ampia su un possibile governo. Ma intesa con chi? E’ che, fallito il tentativo di Monti della presidenza del Senato, per il veto di Napolitano, il gruppo è rimasto come suonato.
Il Pdl è allo sbando totale, nell’isolamento più assoluto. Privo di idee, di strategie e di possibilità di incontrarsi con altri per il rifiuto totale degli altri, alle prossime elezioni, che sono alle viste, rischia la débâcle. Questo partito avrebbe una sola cosa da fare, un intervento chirurgico doloroso e rischioso, ma assolutamente necessario, rimuovere il tumore maligno costituito da Berlusconi. E’ lui l’impedimento per qualsiasi sviluppo, per qualsiasi strategia, per qualsiasi collaborazione con altre forze politiche. Qui non si vuole condannarlo unilateralmente. C’è stata e c’è una magistratura ostile, militante, impegnata usque ad mortem contro di lui; è vero come è vero che il sole nasce e muore. Ma vanno fatte due considerazioni. La prima è che i suoi comportamenti e stili di vita sono inaccettabili, offensivi della dignità nazionale e si prestano ad ogni forma di attacchi, da quelli della magistratura a quelli dei giornali e dei media in genere, a quelli della chiesa e dei governi stranieri. Sarebbe, però, ingeneroso e ingiusto prendersela solo con lui. Il centrodestra ha fallito nella sua totalità. Basti considerare a Bossi e alla Lega, a Fini e ad An, ad Alemanno, alla Polverini e a tanti altri piccoli, medi e importanti rappresentanti di quella destra che si diceva pulita e rivendicazionista di pulizia. Ciò detto, la seconda considerazione da fare è che se pure Berlusconi avesse le sue ragioni, e qualcuna ce l’ha, oggettivamente costituisce un danno e pertanto dovrebbe togliere l’incomodo. Se non accade, quella parte politica che lo ha seguito e sostenuto, anche quando non si è riconosciuta del tutto, dovrebbe trarre le conclusioni. E non dovrebbe tardare a farlo.   

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