Piero Grasso ha battuto Renato
Schifani 137 a
127 ed è stato eletto Presidente del Senato. Una dozzina di voti sono provenuti
dal Movimento 5 Stelle. Ininfluenti, ma che tali fossero lo abbiamo saputo
dopo. Nell’incertezza dell’esito, dodici senatori grillini non hanno voluto
rischiare e contro le disposizioni del “telecomando” si sono espressi per l’ex
Presidente della Commissione nazionale antimafia. L’uomo rischiò la scomunica
pochissimi anni fa quando disse che il governo Berlusconi aveva fatto delle
buone leggi contro la criminalità organizzata.
Ma il fatto politicamente
più rilevante è che il fronte granitico
dei grillini si è rotto. Grillo è stato durissimo: i traditori lascino il
gruppo! Lo smacco è doppio, perché tradire si può tradire, ma quando il
tradimento è atteso, quasi sbattuto in faccia con irrisione come cosa del tutto
normale in condizione di pretesa diversità, allora brucia di più. Lo pensano e lo
dicono tutti; e tutti sono in attesa che la rappresentanza parlamentare di
Grillo si disgreghi o si liquefaccia secondo fisiologia politica e
parlamentare. Grillo si ostina a dire di no; ma quando accade, c’è poco da
negare. Tutto ciò che accade in un luogo politico è politica, è frutto cioè di
scelta e di calcolo.
Certo, il caso è stato
enfatizzato ad arte; e direi per diverse considerazioni, finalizzate a colpire
sia il Movimento di Grillo sia il partito di Bersani. Grillo, per dimostrare
che gli uomini sono tutti della stessa pasta; Bersani, per contestargli di
farsi egemonizzare dai grillini. Le accuse un po’ sono vere entrambe. Della
volubilità dei parlamentari di Grillo si è detto. Del partito di Bersani non si
può che prendere atto di aver cambiato rotta rispetto alla precedente scelta di
destinare Franceschini alla presidenza della Camera e Finocchiaro a quella del
Senato. Boldrini alla Camera e Grasso al Senato sono venuti dopo e sono due
risultati graditi ai grillini. Per la Boldrini , la capogruppo Lombardi ha
esplicitamente riconosciuto che il suo gruppo ha esercitato una sorta di moralsuasion; per Grasso, addirittura
una concreta partecipazione. Dunque, in modo diverso, il Movimento di Grillo si
è reso protagonista in entrambe le elezioni. Può piacere o non piacere, ma è
così. Trarre, però, da questo affrettate conclusioni, di crisi del grillismo o
di perdita di autonomia politica da parte del Pd, onestamente è prematuro.
Il cambiamento effettuato da
Bersani, al netto di speculazioni propagandistiche, che non riguardano i comuni
cittadini, è nelle cose della politica. Nel momento in cui un partito cerca un
alleato, deve essere disposto a rinunciare a qualcosa di suo e recepire
qualcosa dell’altro, per potersi incontrare. Poi, a volte, le dinamiche portano
lontano e possono tralignare. Ma per ora, come ha detto lo stesso Renzi, chapeau!, riconoscendo a Bersani due
buoni successi politici.
Non si può, infatti, non
sottolineare con soddisfazione la felice scelta dei due presidenti eletti, i
quali rimandano entrambi alla imperiosa domanda da parte del Paese di
perbenismo, di serietà, di onestà, di militanza per i diritti umani e dei
cittadini. Tutte categorie che rientrano nel canone democratico, quale è
definito dalla Costituzione.
Da questo canone sono fuori i due
partiti che all’ingrosso vanno sotto l’etichettatura di destra, ossia la Scelta Civica di Monti e il Pdl
di Berlusconi. Questi due partiti sono stati messi all’angolo per incapacità di
incontrarsi per elaborare una strategia comune perfino per il breve periodo. I
montiani, con una motivazione assurda, hanno spiegato la loro scheda bianca per
l’assenza di una intesa più ampia su un possibile governo. Ma intesa con chi?
E’ che, fallito il tentativo di Monti della presidenza del Senato, per il veto
di Napolitano, il gruppo è rimasto come suonato.
Il Pdl è allo sbando totale,
nell’isolamento più assoluto. Privo di idee, di strategie e di possibilità di
incontrarsi con altri per il rifiuto totale degli altri, alle prossime
elezioni, che sono alle viste, rischia la débâcle.
Questo partito avrebbe una sola cosa da fare, un intervento chirurgico doloroso
e rischioso, ma assolutamente necessario, rimuovere il tumore maligno
costituito da Berlusconi. E’ lui l’impedimento per qualsiasi sviluppo, per
qualsiasi strategia, per qualsiasi collaborazione con altre forze politiche. Qui
non si vuole condannarlo unilateralmente. C’è stata e c’è una magistratura
ostile, militante, impegnata usque ad
mortem contro di lui; è vero come è vero che il sole nasce e muore. Ma
vanno fatte due considerazioni. La prima è che i suoi comportamenti e stili di
vita sono inaccettabili, offensivi della dignità nazionale e si prestano ad
ogni forma di attacchi, da quelli della magistratura a quelli dei giornali e
dei media in genere, a quelli della chiesa e dei governi stranieri. Sarebbe, però,
ingeneroso e ingiusto prendersela solo con lui. Il centrodestra ha fallito
nella sua totalità. Basti considerare a Bossi e alla Lega, a Fini e ad An, ad
Alemanno, alla Polverini e a tanti altri piccoli, medi e importanti
rappresentanti di quella destra che si diceva pulita e rivendicazionista di
pulizia. Ciò detto, la seconda considerazione da fare è che se pure Berlusconi
avesse le sue ragioni, e qualcuna ce l’ha, oggettivamente costituisce un danno
e pertanto dovrebbe togliere l’incomodo. Se non accade, quella parte politica
che lo ha seguito e sostenuto, anche quando non si è riconosciuta del tutto,
dovrebbe trarre le conclusioni. E non dovrebbe tardare a farlo.
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