Nella puntata “Servizio Pubblico”
di giovedì, 21 marzo, la trasmissione condotta da Michele Santoro su “La 7” con l’ospite fisso Marco
Travaglio, irruppe con una telefonata il Presidente del Senato Piero Grasso,
già Capo della Procura Nazionale Antimafia, chiamato in causa dall’editoriale
di Travaglio, come al solito ricco di ironia, di ingiurie, di volgarità e di
interpretazioni unidimensionali. Accuse pesanti a fatti e comportamenti che possono
oggettivamente essere al massimo interpretati, e magari condivisi
nell’interpretazione, ma non proposti come verità acclarate. Questo come
atteggiamento di fondo di Travaglio, che si vanta di essere stato un pupillo di
Indro Montanelli.
Per venire allo specifico,
secondo Travaglio, Grasso sarebbe stato aiutato da Berlusconi con tre leggi
incostituzionali a far fuori Caselli, si sarebbe rifiutato di sottoscrivere la
richiesta d’appello alla sentenza di assoluzione di Andreotti, avrebbe nascosto
ai pubblici ministeri palermitani le confessioni del pentito Gruffé, sarebbe
stato insomma l’uomo del sistema, che fa finta di fare tanto contro la mafia
per non fare nulla contro quel livello di mafia che più conta e che opera nel
Palazzo e per il Palazzo. Oggi, perciò, premiato con la seconda carica dello
Stato.
Legittimo il risentimento e
l’intervento di Grasso nel corso della trasmissione, disposto ad un confronto
con Travaglio ad un tu per tu televisivo. Meno comprensibile il rifiuto di
attendere una settimana per farlo nel corso della successiva puntata di
“Servizio Pubblico”, perché, a suo dire, certe cose vanno chiarite subito. A
questo punto Corrado Formigli, ex Santoro boys, che sempre su “La 7” conduce il lunedì sera la
trasmissione “Piazza Pulita”, invitava Grasso nel suo salotto televisivo e
stesso invito faceva a Travaglio. L’intrusione di Formigli – non saprei
definirla diversamente – irritava Travaglio e Santoro, i quali ritenevano che
era giusto che il confronto continuasse dove era iniziato, e cioè da “Servizio
Pubblico”. La questione tuttavia è marginale a quella di fondo, che è il
rapporto politica-informazione e il giornalismo d’inchiesta.
La situazione in cui la politica
oggi si trova in Italia è di gravissima perdita di credibilità. La colpa,
evidentemente, è della politica stessa, che ne ha fatti di tutti i colori; e
quando si pensava ad un suo rinsavimento, nei primi anni Novanta, con Mani
Pulite, c’è stato invece un precipitare verso forme sempre più abiette e
tracotanti. Il giornalismo televisivo, con le sue trasmissioni, tipo
“Samarcanda”, “Il rosso e il nero”, “Tempo reale”, cui si sono aggiunte altre
trasmissioni d’inchiesta, ha avuto per anni il grande merito di scoprire le
frodi e gli inganni dei politici, fino a mostrarli nudi, con tutte le loro
vergogne di fuori. Ma è accaduto anche che le porcherie dei politici sono
diventate materia prima preziosa per poter continuare ad esercitare il mestiere
di pubblici scopritori di frodi e di inganni, a tal punto che oggi si tende a
vederne dappertutto, anche laddove non ci sono, interpretando unilateralmente
fatti, piegando situazioni, stravolgendo gesti, il tutto nella solita macedonia
di insulti barbari e gratuiti, come quelli che spesso vengono rivolti per
difetti fisici. In difetto dell’originalità e dell’autenticità, certo tipo di
giornalismo s’inventa il surrogato.
E’ giusto che la pubblica
informazione non abbassi la guardia, ma è inaccettabile che diventi il
tritacarne di tutto e di tutti, di buoni e cattivi, di competenti e
incompetenti, di persone serie e di buffoni patentati, e di ostinate campagne
contro il mostro di turno: ieri Craxi, oggi Berlusconi, domani un altro ancora.
Perché il mostro può anche non esistere, ma esisteranno sempre in Italia i
creatori di mostri. Il risultato è che il Paese perde la fiducia perfino nelle
sue risorse migliori.
Grasso, lunedì sera, da Formigli,
ha risposto con grande e disarmante serenità, punto per punto, alle accuse di
Travaglio, riformulategli de relato da Formigli. Non credo che in Italia si sia
rimasti assolutamente convinti dalle risposte di Grasso e che lo stesso abbia
dalla sua tutta la ragione. Quel che è emerso chiaramente è che i fatti in
narrativa possono essere spiegati da chi li ha compiuti, come ha fatto Grasso,
e interpretati dalla stampa critica, non come in genere fa Travaglio, che
pretende di propinarli come verità indiscutibili.
Oggi ci troviamo – e noi
giornalisti dovremmo preoccuparcene quanto altre categorie – in una situazione
che richiede un impegno al recupero della nostra credibilità. Il tempo di
diffamare, calunniare, malparlare, ingiuriare, vilipendere è finito; oggi si
deve ricominciare a pescare il ladro e il farabutto come fa chi fa pesca con la
canna o con la fiocina e non a strascico o di frodo. E anche quando c’è da denunciare,
va fatto con discrezione, intesa come capacità di distinguere e separare. Se
no, oltre al danno generale, e già ce n’è tanto, si danneggia anche il
particolare della categoria cui si appartiene.
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