Il prof. Paolo Becchi, docente di
filosofia del diritto all’Università di Genova, sta cercando di spiegare sulla
stampa, alla televisione e in rete, che l’uscita dal confuso dopoelezioni sta
nella “prorogatio” (dal latino proroga, aggiornamento), fino a quando non si
formerà il nuovo governo e nel frattempo il Parlamento in maniera del tutto
autonoma potrà procedere all’approvazione di leggi importanti, prime fra tutte
la legge elettorale e quella sul conflitto di interessi. Dice lui: né la Costituzione né una
legge pongono limiti e scadenze ad una eventuale “prorogatio”. Una simile
proposta prefigura un regime di tipo assembleare, le Camere intese come delle
assemblee liquide, fluttuanti, all’interno delle quali si formano e si sformano
maggioranze, ora su un problema ora su un altro. E’ il disordine generale, che
farebbe comodo solamente a chi dal disordine pensa di trarre nuova linfa
elettorale.
Che la proposta di Becchi sia
politica lo dice il professore stesso: «Ora, la mia tesi è la seguente: le
forze politiche possono prendere atto che non sarà possibile formare nessun
nuovo governo, per evidenti ragioni politiche e di numero» (Corriere della
Sera, 5 marzo). Cavilli giuridici a parte questa proposta è politica, nel senso
che mira al raggiungimento di risultati politici. Il ragionamento è questo: il
pollo (leggi sistema politico) non è ancora cotto, ha bisogno di una
“prorogatio” di cottura; lasciamo perciò il gas a fiamma lenta e quando il
pollo sarà ben cotto il pranzo è servito. Il Movimento di Grillo pensa che in
un modo o nell’altro, sia che le leggi importanti si facciano sia che non si
facciano, ha tutto da guadagnare. Se si fanno, il merito è suo; se non si
fanno, la colpa è degli altri. Sarà banale e semplice il ragionamento, ma per
chi al momento non è pronto per affrontare la situazione politica difficile e
complessa, com’è quella italiana, fa come Quinto Fabio Massimo, detto appunto
il “cunctator”, il temporeggiatore che, non potendo affrontare Annibale in
campo aperto, optò per una sorta di “prorogatio”.
Quella di Grillo rientra nel
genere delle “primavere arabe”. Ne ha tutti i caratteri. Improvvisamente folle
impensabili formatesi in rete si riuniscono e danno la spallata al regime di
turno. Nei paesi arabi tanto è avvenuto nella violenza e negli scontri armati;
da noi è avvenuto in una sorta di scontro non sanguinoso ma oltraggioso
parimenti. Quel Grillo che ha insultato e insulta continuamente uomini, leggi e
istituzioni, prima o poi evocherà qualcosa di non perfettamente pacifico. La
storia, che non è un museo ma un racconto vivo di fatti, questo fa temere. Non
a caso altri paesi europei temono il rischio contagio.
La risposta dei partiti – per
come oggi possono essere intesi – deve essere consequenziale, dopo aver
individuato il pericolo comune e della democrazia. Questo pericolo è il
Movimento di Grillo, che ha dato dimostrazione che può portare milioni di
persone sulle piazze e nelle urne, ma che non capisce nulla di governo della cosa
pubblica. I suoi parlamentari – absit
iniuria verbis – sembrano usciti dalle uova
di Bulgakov; espressione di una volontà neodittatoriale. Chi ha votato
per il Movimento 5 Stelle ha votato per Grillo, in nessun caso ha pensato ad
uno dei suoi cento e passa eletti. Anche a metterla su questo piano, dato che
neppure gli altri partiti hanno ricevuto voti di preferenza, Grillo ha superato
tutti quanti gli altri in uno dei difetti più gravi per i quali lui accusa.
Parlamentari nominati e non eletti, che ora lui vuole addirittura vincolare,
contro l’art. 67 della Costituzione.
Da questa situazione si può
uscire con un governo del Presidente, politico, che operi all’interno di Camere
ben strutturate nelle loro componenti politiche e parlamentari. Dopo aver
approvato alcune leggi importanti, direi prima fra tutte la legge elettorale,
si potrà andare a nuove elezioni. Intese di governissimi sarebbero esiziali e
farebbero aumentare a dismisura la protesta. Non “prorogatio”, dunque, che
gonfierebbe ancora di più Grillo, ma “provocatio”, che in latino significa
appellarsi a qualcuno, in questo caso al popolo, per sgonfiare il fenomeno
Grillo, che in questo momento è il pericolo dei pericoli della nostra
democrazia e anche della nostra condizione economico-sociale. Bisogna
dimostrare al popolo che votare Grillo non serve, che anzi costituisce un
aggravarsi della situazione. Far capire che l’aggravarsi può significare
aumento della disoccupazione, crescita della povertà, riduzione e tagli alle
pensioni, all’assistenza, ai servizi. La gente spesso non capisce che tra il
voto e tutte queste cose c’è un nesso di causa ed effetto. Bisogna che lo capisca.
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