Mi è venuto spesso in questi
giorni, di fronte al busillis politico postelettorale, di pormi una curiosa
domanda. E se oggi, invece, di un presidente della repubblica, ci fosse un re,
come si comporterebbe? La prima risposta che mi son dato è banale e scontata:
farebbe esattamente la stessa cosa, dato che comunque sarebbe un re
costituzionale. Ma di qui, la seconda e più specifica domanda: a chi darebbe
l’incarico? L’elettorato, in buona sostanza, premi di maggioranza a parte, si è
espresso quasi in maniera triplicemente salomonica, dando la stessa percentuale
di voti a Grillo, Bersani e Berlusconi.
La matematica non è un’opinione,
si sa; lo è però la politica. Così mi son detto: a Berlusconi no, la sua
vicenda personale e politica ha dimostrato tutto nel bene e nel male, qualcuno
potrebbe storcere la bocca sul bene, ma lasciamo stare, ognuno la pensi come
vuole. E poi, bisogna prendere atto che con lui il Paese continuerebbe ad
andare verso il precipizio di una lotta continua tra cittadini e tra
istituzioni. A Bersani nemmeno, perché non ha saputo vincere quando tutto
sembrava arridergli; e chi non sa vincere in politica conviene (alla
Machiavelli) che “ruini”, valutazioni sull’uomo a parte. Non resta che Grillo,
forte delle debolezze degli altri, rappresenta la novità e potrebbe davvero,
almeno agli inizi, fare quello che gli stanchi e svogliati suoi competitors non
hanno saputo o non hanno voluto fare.
Allora mi sono ricordato del
povero Vittorio Emanuele III, che, nell’ottobre del 1922, di fronte alla novità
Mussolini, la pensò come potrebbe pensarla oggi il presidente della repubblica
Napolitano. Perciò niente stato d’assedio, per come oggi potrebbe essere
inteso, e incarico a Grillo.
Non lo dico con lo spirito ancora
salodiano di un Dario Fo o di un Giorgio Albertazzi, volontari entrambi nella
Repubblica Sociale, poi con diverse successive scelte, ma perché la politica ha
le sue leggi, nelle quali in gran parte mi riconosco. Sono convinto che il
comico genovese, a differenza di Mussolini, che a Roma non portò soltanto
l’Italia di Vittorio Veneto, come la vulgata sostiene che dicesse presentandosi
al re con una frase ad effetto, ma gli interessi specifici di alcune componenti
forti della società italiana, non ha nulla di consistente da portare e da
proporre. Ve lo immaginate Grillo che, presentandosi a Napolitano, dicesse:
Presidente, vi porto l’Italia di Caporetto o di Cassibile, per tali riferimenti
da intendersi la sconfitta, il disordine e la confusione?
Sul nulla grilliano sono concordi
quasi tutti i commentatori politici né lui dice o fa nulla per convincere il
Paese e chi lo ha votato del contrario. Un governo Grillo dovrebbe avere una
maggioranza, vale a dire la fiducia di una parte di quella politica (Bersani e
Berlusconi) che lui aborre, alla quale non intende dare la propria fiducia,
riservandosi di approvare volta per volta, ossia legge per legge o
provvedimento per provvedimento che sia. Lo dice, ma probabilmente non lo
farebbe, con qualche pezza a colore per giustificarsi. Aggiunge che non farà
alleanze in attesa di conquistare il cento per cento, un’iperbole che
evidentemente nasconde una intima debolezza.
Un governo Grillo, perciò,
sarebbe la prova delle prove dell’adeguatezza o dell’inadeguatezza del
movimento 5 Stelle di governare l’Italia dopo che gli altri non hanno saputo
farlo, che costituiscono però – bisogna sempre ricordarlo – sebbene divisi, il
75 % del popolo italiano.
Questa, appena enunciata, è una
provocazione, dato che sarebbe come dire che per accorgerci che il fuoco brucia
e distrugge tutto, bisogna prima appiccarlo. Aggiungo, per prudenza di storico,
che Grillo potrebbe avviare un cambiamento in Italia dagli esiti importanti. Lo
dico perché anche di Mussolini i più pensavano che sarebbe stato una meteora e
che nulla di durevole avrebbe costituito. Sappiamo, invece, che le cose non
andarono così. Un’intelligenza vivace e restia a farsi catturare come Curzio
Malaparte nella Cantata dell’Arcimussolini
disse “cosa fatta capo ha”.
Provocazioni a parte, come vada a
finire è prevedibile. Napolitano darà l’incarico prima a Bersani, il cui
schieramento, porcellum o non porcellum – suilla lex sed lex – ha vinto le elezioni. I numeri sono numeri. Ma
siccome questi non bastano, Bersani dovrà rinunciare all’incarico. E allora
Napolitano, preso atto che Grillo non accetta inviti nemmeno per una pizza, lo
ha dimostrato negandosi già a Bersani e a Monti, si affiderà ad un uomo delle
istituzioni, così si dice, e proporrà un governo del presidente, che si farà
carico di fare alcune importanti cose, per poi tornare al voto. Fra le cose
importanti dovrebbe esserci la legge elettorale. Di riduzione del numero dei
parlamentari non se ne parla. Bisognerebbe rivedere la Costituzione che ne
fissa il numero di seicentotrenta alla Camera (art. 56) e di trecentoquindici
al Senato (art. 57). E neppure dell’abolizione delle province (art. 114), che
però si potrebbero ridurre, accorpandone alcune. Questo governo, insomma, dovrebbe
fare tutto quello che andrebbe fatto per poter recuperare la condizione
democratico-parlamentare del Paese, senza perdere di vista i problemi
economico-finanziari, per i quali si è in dipendenza, ormai acclarata, dai
mercati e dall’Europa. Per questo Bersani e Berlusconi dovranno per forza
contrarre un matrimonio d’affari, si dovranno accordare sulle cose da fare
senza trucchetti ed egoismi, che in passato hanno immobilizzato l’attività
politico-riformatrice.
Sul fronte elettorale chi ha
votato Grillo, convinto che potrebbe dare un contributo per risolvere i guai
politici ed economici del Paese, si dovrà ricredere e mandarlo affanculo, luogo
che il comico ben conosce, essendo in quel posto di casa.
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