domenica 10 marzo 2013

Con Grillo o oltre Grillo? La seconda per non perdere tempo



Mi è venuto spesso in questi giorni, di fronte al busillis politico postelettorale, di pormi una curiosa domanda. E se oggi, invece, di un presidente della repubblica, ci fosse un re, come si comporterebbe? La prima risposta che mi son dato è banale e scontata: farebbe esattamente la stessa cosa, dato che comunque sarebbe un re costituzionale. Ma di qui, la seconda e più specifica domanda: a chi darebbe l’incarico? L’elettorato, in buona sostanza, premi di maggioranza a parte, si è espresso quasi in maniera triplicemente salomonica, dando la stessa percentuale di voti a Grillo, Bersani e Berlusconi.
La matematica non è un’opinione, si sa; lo è però la politica. Così mi son detto: a Berlusconi no, la sua vicenda personale e politica ha dimostrato tutto nel bene e nel male, qualcuno potrebbe storcere la bocca sul bene, ma lasciamo stare, ognuno la pensi come vuole. E poi, bisogna prendere atto che con lui il Paese continuerebbe ad andare verso il precipizio di una lotta continua tra cittadini e tra istituzioni. A Bersani nemmeno, perché non ha saputo vincere quando tutto sembrava arridergli; e chi non sa vincere in politica conviene (alla Machiavelli) che “ruini”, valutazioni sull’uomo a parte. Non resta che Grillo, forte delle debolezze degli altri, rappresenta la novità e potrebbe davvero, almeno agli inizi, fare quello che gli stanchi e svogliati suoi competitors non hanno saputo o non hanno voluto fare.
Allora mi sono ricordato del povero Vittorio Emanuele III, che, nell’ottobre del 1922, di fronte alla novità Mussolini, la pensò come potrebbe pensarla oggi il presidente della repubblica Napolitano. Perciò niente stato d’assedio, per come oggi potrebbe essere inteso, e incarico a Grillo.
Non lo dico con lo spirito ancora salodiano di un Dario Fo o di un Giorgio Albertazzi, volontari entrambi nella Repubblica Sociale, poi con diverse successive scelte, ma perché la politica ha le sue leggi, nelle quali in gran parte mi riconosco. Sono convinto che il comico genovese, a differenza di Mussolini, che a Roma non portò soltanto l’Italia di Vittorio Veneto, come la vulgata sostiene che dicesse presentandosi al re con una frase ad effetto, ma gli interessi specifici di alcune componenti forti della società italiana, non ha nulla di consistente da portare e da proporre. Ve lo immaginate Grillo che, presentandosi a Napolitano, dicesse: Presidente, vi porto l’Italia di Caporetto o di Cassibile, per tali riferimenti da intendersi la sconfitta, il disordine e la confusione?
Sul nulla grilliano sono concordi quasi tutti i commentatori politici né lui dice o fa nulla per convincere il Paese e chi lo ha votato del contrario. Un governo Grillo dovrebbe avere una maggioranza, vale a dire la fiducia di una parte di quella politica (Bersani e Berlusconi) che lui aborre, alla quale non intende dare la propria fiducia, riservandosi di approvare volta per volta, ossia legge per legge o provvedimento per provvedimento che sia. Lo dice, ma probabilmente non lo farebbe, con qualche pezza a colore per giustificarsi. Aggiunge che non farà alleanze in attesa di conquistare il cento per cento, un’iperbole che evidentemente nasconde una intima debolezza.
Un governo Grillo, perciò, sarebbe la prova delle prove dell’adeguatezza o dell’inadeguatezza del movimento 5 Stelle di governare l’Italia dopo che gli altri non hanno saputo farlo, che costituiscono però – bisogna sempre ricordarlo – sebbene divisi, il 75 % del popolo italiano.
Questa, appena enunciata, è una provocazione, dato che sarebbe come dire che per accorgerci che il fuoco brucia e distrugge tutto, bisogna prima appiccarlo. Aggiungo, per prudenza di storico, che Grillo potrebbe avviare un cambiamento in Italia dagli esiti importanti. Lo dico perché anche di Mussolini i più pensavano che sarebbe stato una meteora e che nulla di durevole avrebbe costituito. Sappiamo, invece, che le cose non andarono così. Un’intelligenza vivace e restia a farsi catturare come Curzio Malaparte nella Cantata dell’Arcimussolini disse “cosa fatta capo ha”.
Provocazioni a parte, come vada a finire è prevedibile. Napolitano darà l’incarico prima a Bersani, il cui schieramento, porcellum o non porcellum suilla lex sed lex – ha vinto le elezioni. I numeri sono numeri. Ma siccome questi non bastano, Bersani dovrà rinunciare all’incarico. E allora Napolitano, preso atto che Grillo non accetta inviti nemmeno per una pizza, lo ha dimostrato negandosi già a Bersani e a Monti, si affiderà ad un uomo delle istituzioni, così si dice, e proporrà un governo del presidente, che si farà carico di fare alcune importanti cose, per poi tornare al voto. Fra le cose importanti dovrebbe esserci la legge elettorale. Di riduzione del numero dei parlamentari non se ne parla. Bisognerebbe rivedere la Costituzione che ne fissa il numero di seicentotrenta alla Camera (art. 56) e di trecentoquindici al Senato (art. 57). E neppure dell’abolizione delle province (art. 114), che però si potrebbero ridurre, accorpandone alcune. Questo governo, insomma, dovrebbe fare tutto quello che andrebbe fatto per poter recuperare la condizione democratico-parlamentare del Paese, senza perdere di vista i problemi economico-finanziari, per i quali si è in dipendenza, ormai acclarata, dai mercati e dall’Europa. Per questo Bersani e Berlusconi dovranno per forza contrarre un matrimonio d’affari, si dovranno accordare sulle cose da fare senza trucchetti ed egoismi, che in passato hanno immobilizzato l’attività politico-riformatrice.
Sul fronte elettorale chi ha votato Grillo, convinto che potrebbe dare un contributo per risolvere i guai politici ed economici del Paese, si dovrà ricredere e mandarlo affanculo, luogo che il comico ben conosce, essendo in quel posto di casa.

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