martedì 30 ottobre 2012

La scomparsa di Giovanni Papuli


Il filosofo che studiava gli autori senza farsi contagiare dal loro pensiero

Giovanni Papuli aveva 81 anni. E’ morto inaspettatamente nel corso della notte tra sabato 27 e domenica 28 ottobre. Da qualche anno si era ritirato dalla mondanità dei convegni, delle conferenze, delle pubblicazioni.
Rarissime le comparse in pubblico. Per gli ottant’anni di Raffaele Colapietra, suo vecchio amico, un anno fa nella cerimonia promossa agli Olivetani dalla sezione leccese della Società di Storia Patria per la Puglia, di cui era socio. Non seppe dire di no all’amico aquilano che aveva chiesto espressamente a Mario Spedicato di fargli avere accanto per la circostanza Giovanni Papuli e Mario Marti. Per ricordare l’amico polacco Andrzej Nowicki, scomparso il 1° dicembre dell’anno scorso, con una plaquette “in memoria” pubblicata nel gennaio di quest’anno nei Quaderni del Brogliaccio di “Presenza Taurisanese”; occasione per fare il punto sugli studi vaniniani, da lui per anni intensamente coltivati.
Da qualche tempo indagava alcuni aspetti della filosofia del Cinquecento; sulla sua scrivania un libro lasciato aperto su Cardano. Lo scrupolo dello studioso non lo sollecitava più di tanto all’approdo editoriale, procedeva col suo solito metodo, interamente concentrato sul presente dell’indagine scientifica e dell’elaborazione critica. 
Oggi il suo lascito più prezioso è l’Istituto di Filosofia, sono le tante opere storiografiche, le collaborazioni con gli amministratori comunali che hanno avuto l’onore di averlo nelle tante iniziative culturali. Rosario Coluccia, preside di facoltà – nel suo breve necrologio ai funerali – lo ha contestualizzato nella storia dell’Ateneo salentino. Lo ha ricordato evidenziando il ruolo di tramite che ha avuto nella vita dell’Università tra la fase iniziale, dei grandi nomi della cultura universitaria nazionale, di qui fatti transitare per conferire prestigio, e la fase più recente, di costruzione delle istituzioni interne, la più importante delle quali e da lui la più amata l’Istituto di Filosofia. Mimmo Fazio, l’allievo a lui più vicino, ha ricordato che il traguardo più ambito del suo magistero era di creare una “scuola”. E’ senz’altro riuscito, non solo nel senso più proprio del termine, ma anche come comunità umana. Teneva ad essere il riferimento costante degli allievi. Barone in senso nobile e buono, li promuoveva con sé, facendoli crescere negli studi e nel prestigio sociale. Alcuni da lui proposti e fatti soci dell’Accademia Pugliese delle Scienze, perché la componente leccese non sfigurasse nell’importante istituzione barese.
Giovanni Papuli era il professore universitario vecchio stampo. Era passato attraverso tutti i gradi di insegnamento, dalla scuola media inferiore ai licei, all’università, assistente a Bari di Antonio Corsano, poi dal 1975 ordinario di Storia della Filosofia a Lecce, infine Professore Emerito nel 2007, a coronamento di una prestigiosa carriera. Accanto all’insegnamento – i suoi corsi monografici costituiscono un patrimonio di studi tra i più significativi della filosofia moderna – va ricordato il lavoro di promotore e organizzatore di convegni di studio. Notevoli le sue iniziative editoriali, fra cui la collana “Testi e saggi” del Dipartimento della Facoltà di Lettere e Filosofia, di cui Papuli era Direttore, che dal 1979 ha accompagnato l’esercizio accademico di discepoli e collaboratori con numerose pubblicazioni. Imponente l’impresa di ripubblicare, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale di Taurisano, le opere più importanti di Antonio Corsano, le cui edizioni originali incominciavano a diventare rare. Sei volumi tra il 1999 e il 2002 sulla storia della filosofia del tardo Rinascimento, Bruno, Campanella, Grozio, Leibniz, Vico, riletti e curati dai suoi allievi e collaboratori migliori: De Bellis, Spedicati, Fazio, Longo, Sava, Raimondi.
Il suo “Bollettino di Storia della Filosofia dell’Università degli Studi di Lecce”, uscito in volumi annuali dal 1973 al 2002, dodici in circa trent’anni, con una tiratura di oltre 1.300 copie, diffuse ogni volta in tutta Europa, è stato un autentico convivio mediatico tra gli studiosi di filosofia salentini, italiani ed europei. Il Bollettino ha fatto crescere l’interesse per Vanini ed ha arricchito il suo pensiero di nuove ipotesi di ricerca e di interpretazione; ha fatto conoscere molti altri autori; ha seguito la vita universitaria dell’Istituto di Filosofia, dai corsi alle tesi, ai convegni, ai seminari, ad ogni iniziativa volta all’interno e all’esterno dell’Università. Papuli era anche presidente della Sfi salentina (Società Filosofica Italiana), oltre che membro della Consulta per lo studio della tradizione dell’aristotelismo veneto dell’Università di Padova, socio dell’Accademia delle Scienze di Bari, membro del Comitato scientifico del Centro Studi Salentini e Cavaliere Ufficiale “Al merito” della Repubblica.
Aperto alla comprensione delle posizioni ermeneutiche anche le più ardite, delle quali aveva rispetto nonostante le riserve, egli era convinto e rigoroso sostenitore del metodo storicistico, vichiano, del verum factum, l’anello che lo teneva ancorato al suo Maestro Antonio Corsano.
Tra le sue opere più importanti quelle su Girolamo Balduino, sui platonici salentini del tardo Rinascimento, su Fichte, Kant, Corsano, Namer, Giordano Bruno, Bernardino Telesio, Paolo Mattia Doria, Cartesio e ovviamente Vanini, i cui studi furono raccolti in volume nel 2006. Tredici densi saggi con l’introduzione di Loris Sturlese. Cui si è aggiunto il ricordato saggio del 2012 “Studi vaniniani: riflessioni e prospettive”, dedicato in memoria di Andrzej Nowicki.
In seguito al suo pensionamento nel 2008 ben 110 studiosi gli dedicarono altrettanti saggi “In onore”, ben quattro ponderosi volumi, che attestano l’affetto e la stima che il suo universo di conoscenze, di colleganze, di amicizie aveva nei suoi confronti.
L’esempio più notevole, pur tra i tanti che ha dato nel corso della sua vita di studioso, è quel suo indagare gli autori e gli indirizzi con approccio scientifico, quell’indagarli munito di una sorta di corazza intellettuale che lo ha preservato da affezioni e contagi ideologici. Il caso più rilevante è proprio il Vanini, da lui percorso in tutte le dimensioni, ma sempre con assoluta aderenza al testo e alla storia, senza mai cedere ad assunzioni di pensiero o a facili e suggestive formulazioni di precorrimenti.
E’ la sua lezione che ci piace di più.

domenica 28 ottobre 2012

Monti e la democrazia novant'anni dopo la Marcia su Roma



Ma come si fa? Come si può pensare di aumentare il numero settimanale di ore ad un insegnante, portarle da diciotto a ventiquattro, senza creare il disordine, la confusione nell’ambiente scolastico, invivibile così concepito, e mettere i presupposti per non assumere insegnanti di qui a non si sa quanti anni ancora? Ebbene, il governo Monti lo ha fatto nella cosiddetta – senza ironia – legge di stabilità. Stabilità di conti, ovviamente; ma instabilità sociale e politica. I partiti che sostengono il governo, già in fibrillazione per l’aumento dell’iva e per il taglio delle detrazioni, sono decisi ad opporsi. Il Pd ha fatto sapere che non voterà quelle misure. Ma, al di là degli aspetti politici e sociali, pur importanti, ci sono aspetti di merito, che sono assolutamente prioritari. Questi signori del governo, cosiddetti tecnici – ma sono tutti ragionieri e commercialisti? – dimostrano di non conoscere il mondo dell’istruzione o se lo conoscono di avere uno smisurato disprezzo. Cosa pensano, che i professori vadano a scuola per passare il tempo, sicché stare diciotto o ventiquattro ore la settimana è solo una questione di prolungamento di noia? Non sanno questi signori – ma a scuola, quando frequentavano da ragazzi, che facevano? – che occorre preparare le lezioni, eseguirle in classe frontalmente, far svolgere compiti in classe, correggerli e riportarli in classe per farli rivedere dai ragazzi, fare le verifiche orali? Non sanno che è sufficiente aumentare da due a tre prove scritte, da due a tre verifiche orali per quadrimestre per mettere in crisi il normale andamento didattico di una classe, che oggi si compone di circa trenta alunni? Monti ha perso quella che Vittorio Feltri chiama la sinderesi, con linguaggio filosofico medievale, e che a me piace chiamare, con un termine più musicale, trebisonda.  
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Ora anche Renzi attacca Monti. Neppure a lui piace la legge sulla stabilità per gli stessi motivi per i quali non piace a Pdl, Pd e Udc. Ma il suo è solo un mettersi in coda, tanto perché non si dica che non s’interessa dei problemi della gente. E’ incredibile come uno che non fa che polemizzare, insultare i suoi stessi compagni di partito solo perché di lui più anziani possa avere tanto credito in tanta gente che dovrebbe avere ben altro equilibrio valutativo. Da perfetto toscano è vocato all’insulto e alla battuta. Ma finora non è riuscito mezza volta a parlare di problemi politici, sociali, economici, culturali, quasi che tutto l’universo politico suo si riduca a fare polemiche con gli altri. Un po’ somiglia a Monti. Anche lui è ad una sola dimensione, quella economico-finanziaria; e di lì non esce neppure per andare al bagno. E un po’ somiglia a Berlusconi, che ha fatto davvero scuola. I Di Pietro, i Grillo, i Renzi e lo stesso Monti sono tutte anomalie che hanno i caratteri del berlusconismo; tutti hanno fatto irruzione nell’agone politico, chi con le pantofole e chi con gli anfibi; e tutti per salvare l'Italia. 
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La recidiva Fornero, ministro del welfare del governo Monti, è tornata sul luogo del delitto. Luogo virtuale, s’intende. A Nichelino, comune in provincia di Torino, lunedì, 22 ottobre, in un’assemblea pubblica ha affrontato i giovani dicendo che non devono essere “choosy”, ossia pignoli, esigenti, schizzinosi in tema di lavoro. E subito fischi ed urla che l’hanno costretta ad abbandonare la sala. La Fornero non è nuova ad imprese del genere. Rotto il “muro del pianto” della sua prima uscita, dopo è andata spedita come una caterpillar. Sul “Corriere della Sera” di martedì, 23 ottobre, ha risposto ad un precedente articolo di Piero Ostellino, il liberale, critico nei confronti del governo, che, a suo dire, pensa poco ai poveri. La Fornero ha spiegato che la sua riforma delle pensioni oltre che rigorosa è anche equa. Ostellino in quattro righe di risposta si è detto soddisfatto, augurandosi che anche Monti sia equo e liberale come il suo ministro. Bah! Cosa abbia voluto dire l’Ostellino si capisce poco. Qui due sono i punti sui quali, gira e rigira, si torna. Il primo è quello continuamente rivendicato dal governo Monti, ossia quadrare i conti. Il secondo è quello continuamente denunciato dalla gente, ossia il peggioramento in tutti i sensi e in tutti i modi della sua condizione. Vero l’uno e vero l’altro. Uno è figlio dell’altro. Sull’equità la Fornero ha torto se non altro perché è legge di natura che uno stesso provvedimento non colpisce tutti allo stesso modo, il debole lo accusa più del forte. Un governo di rigore è come un inverno di rigore. Chi mette in più difficoltà, il povero o il ricco? Si capisce che l’Ostellino stia con “l’’amica Elsa”, sono entrambi della stessa scuola.
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Eugenio Scalfari, il fondatore della “Repubblica”, di recente “meridianizzato” da Mondadori, ha detto a Lecce che è augurabile che Monti finisca al Quirinale anche se non è Napolitano. E Monti dove andrà a trovare un altro Monti, un “Montino”? Scalfari avrebbe dovuto suggerirlo. In verità queste esternazioni, per quanto comprensibili nell’hic et nunc anche della piaggeria, rivelano l’incertezza del momento. Dove si va, dove si possa andare resta un mistero. Le elezioni costituiscono una pausa di buoni propositi, una boccata di ossigeno. Ma dopo? L’Italia sta dimostrando al mondo, se mai ve ne fosse bisogno, che chi giunge al potere e lo tiene più di qualche anno, è un malfattore. Negli ultimi anni presidenti del consiglio sono finiti sotto processo con accuse gravissime e infamanti. Andreotti, per mafia; Craxi, per tangenti; Berlusconi per una interminabile serie di reati. Tutti più o meno condannati. Perfino alcuni ministri del governo “tecnico”, scelti da Monti, come dire: i santi della nuova chiesa, quando erano alti dirigenti di banche, hanno dovuto patteggiare col fisco; due si son dovuti dimettere per pregressi comportamenti illegali. E’ allora proprio irrimediabile il nostro Paese? Premesso che il male fa parte della realtà e in quanto tale non è del tutto eliminabile, è bensì vero che noi ci ostiniamo a darci leggi e istituzioni inadeguate alla nostra natura e che pertanto abbiamo bisogno di periodiche terapie d’urto. Che fanno male, ma riportano il Paese nella sua giusta carreggiata. 
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Oggi, domenica, 28 ottobre 2012, cade il 90° anniversario della Marcia su Roma: 28 ottobre 1922. Novant’anni dopo ci ritroviamo con un governo, quello di Mario Monti, una persona chiamata dal presidente Napolitano come re Vittorio Emanuele III chiamò Benito Mussolini, che almeno era stato eletto deputato, non espressamente votato dal popolo, come democrazia insegna e vuole. Altri tempi, altre atmosfere, con un comun denominatore, però: la nostra precaria democrazia. Ha scritto Piero Ostellino sul “Corriere della Sera” di sabato, 27 ottobre, che “Evidentemente, c’è qualcosa che non va nella nostra democrazia. Che molti italiani, soprattutto di una certa età, non sappiano cosa sia la democrazia liberale, e non la amino, è un residuo storico” (Tecnocrazia al potere e scarsa cultura politica). C’è, caro Ostellino, che gli italiani non smettono mai di essere partigiani, per cui non credono in qualcosa che è fuori o sopra le parti, sicché è bene sempre tutto ciò che sta dalla mia parte, è male tutto ciò che sta dall’altra. E se si tratta in maniera lampante della stessa cosa? Non cambia niente! E lo dimostra quell’Eugenio Scalfari – ha ragione di non credere in Dio! E come potrebbe credere in Dio uno di quelli? – che con grande disinvoltura si mette sotto i piedi idee e principi democratici pur di vedere i suoi avversari più immediati nella polvere e i suoi amici sugli altari. Lo dimostrano i tanti giudici che sfilano con la Costituzione in mano quando conviene e la nascondono quando è di intralcio ai loro desiderata del momento. Non diamo la colpa alle idee. Sono gli uomini inadeguati a gestirle con decoro e coerenza. No, nessuna eccezione! Perché chi tace di fronte ad un torto è responsabile ugualmente di quel torto. E chi beneficia di quel torto, come Monti, è ancor peggio che responsabile.  

mercoledì 24 ottobre 2012

Taurisano, un monumento a Vanini o al filosofo "ignoto"?

Il Comune di Taurisano ha pubblicato un bando di concorso di idee per un’opera scultorea dedicata al filosofo Giulio Cesare Vanini, da collocare nell’area dove una volta sorgeva il Palazzo Vecchio del fu Francesco Lopez y Royo, il cosiddetto “Palazzetto”.
“L’opera – dice il bando – dovrà raffigurare il pensatore, il filosofo laico, innovatore, che con la sua critica razionalistica apre l’età moderna e diventa un punto di riferimento per le più significative correnti filosofiche europee dal Seicento al Novecento. Essa dovrà contenere altresì un’esplicita dedica da parte della cittadinanza di Taurisano, di quella Taurisano che il Vanini definì «patria mia nobilissima, quasi gemma nell’anello del mondo» (De Adm., p. 424)”.
Come è noto non ci è pervenuto il ritratto di Vanini, ma da quasi un secolo e mezzo il Vanini è riconoscibile nell’unica immagine variamente proposta dei ritratti di Antonio Bortone (Biblioteca Provinciale a Lecce - 1868), di Eugenio Maccagnani (Villa Garibaldi a Lecce - 1888), del medaglione di Ettore Ferrari (Monumento a Giordano Bruno a Roma - 1889) e in tanti altri luoghi mediatici. Qualche anno fa lo scultore Donato Minonni, che peraltro aveva già realizzato dei busti e un medaglione convenzionali del Vanini (1969), in nome della libertà dell’arte e del fatto che non c’era un ritratto ufficiale del filosofo, ne realizzò uno per il Liceo Scientifico di Casarano, che propone un volto completamente diverso. Quel nuovo “Vanini” generò sconcerto tra gli studiosi e i cittadini ormai abituati al volto del filosofo ormai adottato dall’iconografia diffusa.
Ora sul bando, di cui in oggetto, si legge: “Non ci è pervenuto un ritratto del filosofo. Tuttavia i Capitouls che lo arrestarono a Tolosa ci hanno lasciato di lui la seguente descrizione fisica: «Era un uomo di assai bell’aspetto, un po’ magro, capelli castani, naso lungo e curvo, gli occhi brillanti e alquanto vivaci, alto di statura» (cfr. Vanini Iliesi. CNR, Doc, CXC. Annali manoscritti dell’Hotel de la Ville). Tra i ritratti che in passato hanno raffigurato il filosofo taurisanese quello che più si approssima alla descrizione dei Capitouls tolosani è il ritratto pubblicato da Johann Adam Delsenbach per la “Neue Bibliothec” del 1714, reperibile tanto nel sito del Comune di Taurisano quanto nel sito Vanini Iliesi, Iconografia, già menzionato. E’ auspicabile che il monumento contenga un riferimento alle due opere vaniniane a noi pervenute (l’Amphitheatrum e il De Admirandis)”.
Davvero il ritratto del Delsenbach è quello che più si approssima alla descrizione dei Capitouls? E chi lo dice? E’ un’opinione priva di fondamento storico perché non risulta da nessuna parte che il Delsenbach nell’eseguirlo avesse tenuto conto della descrizione dei Capitouls o di altra fonte documentale. Lo storico francese della filosofia Emile Namer dice che “questo ritratto risponde esattamente alla descrizione che danno di lui gli Annali manoscritti dell’Hotel de la Ville di Tolosa” (Documents sur la vie de Jules-Cesar Vanini de Taurisano - 1965). Si può essere o meno d’accordo con lui sulla resa grafica, ma in difetto di un riferimento documentale resta un’opinione. Il Prof. Domenico Fazio dell’Università del Salento di questo ritratto ha scritto con opportuna cautela: “presumibilmente opera di Johann Adam Delsenbach (1687-1765). Così, nella Germania del Settecento, immaginavano Vanini” (Giulio Cesare Vanini nella cultura filosofica tedesca del Sette e Ottocento - 1995).
Ma, al di là se è quello il vero volto di Vanini o quello che più gli somiglia – nessuno lo può dire – da più di un secolo è l’immagine riprodotta dai vari Bortone, Maccagnani, Ferrari e via di seguito che ha fatto l’iconografia vaniniana nel mondo, che pure alla stessa fonte descrittiva dei Capitouls si rifà. Oggi, in ogni dove, ove si chieda a qualcuno di riconoscere il ritratto di Vanini lo fa senza esitazione, come fa con Hegel o Kant, Socrate o Aristotele. E non è certamente quello del Delsenbach, ma quello del Bortone e compagni.
Allora perché un altro volto del Vanini? Per creare altro sconcerto? Per soddisfare la vanità di qualche presuntuoso che si ritaglia uno spazio di esclusivo “dominio” culturale? Qui si tratta di realizzare un monumento, che per definizione e funzione è il massimo della comunicazione immediata, popolare e universale.
Dispiace dover tornare sullo stesso punto, ossia sull’opportunità – dato che ancora non c’è un obbligo, ma sarebbe tempo di imporlo in ogni comune – di creare una consulta culturale che si occupi di tutti quei problemi inerenti i beni culturali e ambientali del paese.
Per tornare a Vanini e al Comune di Taurisano, esiste un verbale del 30 maggio 2000 in cui risulta che la Commissione comunale all’uopo formata, nulla ebbe da eccepire ai suggerimenti del Prof. Giovanni Papuli: «l’opera artistica dovrebbe consistere in una predominanza del pensiero, con figura umana sfumata».
Ora, se l’Amministrazione comunale, non ha inteso assumere la proposta Papuli – e ne ha avuto la più ampia facoltà, benché a decidere sia stata una sola persona – e ha voluto invece un monumento che raffigurasse il filosofo, sarebbe stato opportuno, più che giusto, che ne avesse specificato anche la riconoscibilità. Il volto indicato nel bando (quello del Delsenbach) può prestarsi ad un’infinità di esiti.
Così, dopo tanti anni di prediche per il monumento a Vanini, corriamo il rischio di fare un monumento al filosofo “ignoto” o rendere Vanini un personaggio pirandelliano, con uno, nessuno e centomila volti.

martedì 23 ottobre 2012

Fango sull'Università del Salento


Il plagio è reato e motivo di esclusione da un concorso pubblico,
ma accusare qualcuno è mettersi nei guai

Un altro Rettore dell’Università del Salento è nella bufera giudiziaria. E’ l’ing. Domenico Laforgia. Al netto di altre questioni, sulle quali – se ci sono – non metto lingua, sembra che tutto sia riconducibile ad un concorso per tre posti di assistente amministrativo. La questione è sorta quando il concorso è stato annullato essendosi accorto il direttore generale dell’Università salentina, il dr. Emilio Miccolis, che gli elaborati dei tre vincitori contenevano brani interamente copiati. Il Tar ha dato ragione ai “vincitori”.
Ma, allora, davvero Laforgia gestisce l’Università in maniera eccessivamente autoritaria e autocratica? C’è chi lo difende, ed è una bella parte del corpo docente dell’Università; e c’è anche chi lo accusa. Comunque sia, qui ancora una volta è l’Università salentina che si copre di fango, che si mostra al Paese come un luogo di irrimediabile degrado, dalle spese pazze di rettorati pregressi, agli incarichi e ai concorsi dell’attuale.
“Il problema morale del nostro paese – dice indignato il Rettore Laforgia – è proprio qui: tre persone copiano durante una prova di un concorso pubblico e, invece di vergognarsi, aggrediscono mediaticamente chi li ha scoperti”. Un linguaggio diretto, come raramente si sente e si legge. Segno che ormai lo scontro è al coltello, come dimostrano gli interventi di Mantovano contro e di Emiliano pro.
Se le cose stanno così, limitatamente al concorso in oggetto, non si può non dare ragione al Rettore. Il giudizio del Tar in genere riguarda le formalità esterne del concorso e non già il merito. Il Tar – si sa – annulla giudizi scolastici, anche ben motivati, solo perché dal punto di vista formale c’è qualche difetto, manca un foglio, una firma, un timbro o cose del genere. Ne abbiamo sentite e ne sentiamo ogni anno di questioni simili. E, invece, di confermare il giudizio e caso mai di fare un richiamo all’amministrazione in difetto, butta giù tutto, con gravi risvolti economici e morali per le professionalità offese, e gioia dei veri colpevoli redenti. In molti casi il Consiglio di Stato ha ribaltato la sentenza del Tar.
Ma il fatto che i candidati in un concorso copino è talmente diffuso che ormai si è tentati di abolire qualsiasi selezione attraverso elaborati scritti e sostituirli coi quiz. Che, piuttosto che far emergere le qualità giuste dei concorrenti, come conoscenze, capacità di analisi e di sintesi, riflessione critica, capacità progettuali ecc., premiano l’azzardo e l’intuito, che di per sé sono insufficienti a svolgere in continuità di lavoro un compito importante in una pubblica amministrazione.
Quanto al vizio di copiare, copiano tutti, dai professori in sede di concorso agli alunni in sede di compiti in classe e prove di maturità; copiano agli esami di procuratore legale e di avvocato; copiano ai concorsi per entrare in magistratura; copiano per accedere a qualsiasi esercizio professionale. E’ talmente diffuso e “accettato” che voler abolire un elaborato o annullare una prova per plagio bisogna avere coraggio e volersi mettersi nei guai.
Allora il problema potrebbe essere un altro, quello che si sospetta. Non sarà che aver annullato l’esito del concorso per “plagio” è solo un espediente per farlo vincere ad altri concorrenti? Può essere. Ma il Rettore lo esclude. “Per questo concorso – ha detto Laforgia in un’intervista – c’erano due soluzioni tecnicamente percorribili sul piano amministrativo. La prima, escludere i tre plagiari e valutare i rimanenti candidati; la seconda, ripetere le prove e dare una nuova possibilità anche ai tre di dimostrare le proprie capacità. Abbiamo optato per la seconda possibilità nella speranza di evitare ricorsi che avrebbero bloccato il concorso. Siamo stati troppo generosi, i tre plagiari andavano esclusi”. 
Sì, andavano esclusi; ma in un’altra Italia, che purtroppo non esiste. In quest’Italia ormai perfino i campionati di calcio si vincono e si perdono coi cavilli giuridici. Figurarsi i concorsi pubblici!     

domenica 21 ottobre 2012

Monti, sempre meglio di Mussolini!



Con Monti e il suo governo tecnico c’è una dittatura vera e propria. Anzi, qualcosa di più di una dittatura, perché nasconde il suo vero volto dietro una maschera di perbenismo, di costituzionalismo, di correttezza politica. In buona sostanza Monti si è circondato di yes-man, i quali fanno quello che viene ordinato loro di fare. In un primo momento si è voluto far passare questa anomalia, come dettata da cause di forza maggiore. Stiamo fallendo. Finiremo come la Grecia. Fermiamoci un attimo, sospendiamo lo scontro politico, facciamoci bene i conti. Poi, invece, questo governo, non legittimato da un voto popolare e dunque non democratico, ha debordato dall’area economico-finanziaria per occuparsi di tutto, anche di settori che spettano a soluzioni politiche non tecniche, anzi congiunturalmente tecniche. Ora si sta rifacendo l’Italia, la si sta ristrutturando con la revisione dell’ordinamento amministrativo. Si vogliono accorpare regioni, si vogliono eliminare province. C’è una Costituzione della Repubblica, che sembra non esserci. Dove sono i magistrati che entravano nei saloni per l’inaugurazione dell’anno giudiziario con la Costituzione in mano, come tante guardie rosse sulla piazza di Tien An Men inneggianti col libretto rosso di Mao Tse Tung? Dove stanno? Neige d’antan! E dove le tante oche del Campidoglio delle sinistre girotondine e variamente starnazzanti per le piazze d’Italia in difesa della Costituzione? Neige d’antan! Il popolo italiano è stato espropriato della sua sovranità con l’inganno. Gli è stato detto: stai morendo, a che ti serve essere libero e sovrano se stai morendo? Rinuncia ai tuoi beni. E il popolo italiano, fesso-fesso, ci ha creduto e ha rinunciato. Ora sta per trovarsi col culo per terra, vivo, ma senza neppure la via per camminare.
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A questo punto si ha il legittimo sospetto che dietro la presa di posizione di Napolitano nei confronti della Procura di Palermo non ci sia solo la questione delle intercettazioni della trattativa Stato-Mafia, ma ben altri timori. Napolitano potrebbe essere preoccupato che altre intercettazioni siano state fatte, magari relative a questo momento di emergenza democratica. Potrebbe essere stato intercettato in relazione alle sue scelte politiche, al suo nominare Monti prima senatore a vita e poi presidente del consiglio – disposizioni senza precedenti – al suo dettargli l’agenda, all’assicurargli ogni copertura e a farsi assicurare, a sua volta, la discrezione più assoluta. Sicché oggi, grazie ai moderni mezzi di comunicazione, che dovrebbero consentire agli osservatori e agli storici di sapere di più, non possiamo sapere né oggi né mai come effettivamente sono andate le cose. E’ probabile che nel groviglio di cavilli giuridici il Presidente della Repubblica riesca a dimostrare di aver ragione, che lui nell’esercizio delle sue funzioni non deve essere intercettato; ma da uomo democratico dovrebbe convincere il popolo italiano su quale differenza passa tra le sue prerogative e quelle di un sovrano assoluto e soprattutto se la sua “copertura” è un bene per la democrazia o è un male, se va in direzione della giustizia o in direzione della più cinica ragion di stato.
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Appare sempre più questa nostra democrazia ridotta e guidata. Ridotta potrebbe pure passare, ma guidata no. Una democrazia guidata è una contraddizione in termini. Siamo fuori dalla propaganda e da tutti quei mezzi di persuasione occulta tipici di ogni governo, e quindi anche dei governi democratici; qui siamo in presenza di una continua menomazione della democrazia. Un governo, che non è espressione del popolo, sia pure mediata dal parlamento, non è un governo democratico. I parlamentari nominati dai partiti costituiscono una menomazione del voto, che è limitato ad una scelta fatta a monte. Poco conta, sul piano politico, che si voglia svecchiare la classe politica o che la si voglia rendere più equilibrata nella rappresentanza di genere. Conta che nomina di qua e nomina di là, al popolo resta ben poco da scegliere. La democrazia, così tosata, somiglia a quelle monete di oro o di argento che venivano tagliate ai bordi e ridotte nel loro valore reale. Il valore reale, ossia il metallo, era garanzia del valore nominale. In siffatte monete restava il valore nominale scritto, ma in quanto alla quantità di metallo prezioso di cui erano fatte, erano fortemente deprezzate con grave nocumento ai traffici e ai commerci. Ecco, una democrazia che impedisce a chi è stato già quindici anni in parlamento di ricandidarsi, che impone le quote rosa, non è più la democrazia originaria, ma una moneta ridotta e svilita, che, prima o poi, viene sostituita dal baratto. E’ ben strano che persone come Napolitano e Monti non si rendano conto di questa progressiva svalutazione della democrazia. Quel che viene definita corruzione è in qualche modo baratto.
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Monti bacchetta i partiti per i rilievi fatti al Patto di stabilità (ex Finanziaria). Disponibile a ricevere ritocchi purché i saldi restino gli stessi. E’ la solita solfa, cambiamo tutto purché non si cambi il saldo. Che è come applicare la proprietà commutativa: cambiamo gli addendi tanto la somma non cambia. Ma Monti non capisce che per i politici la questione è politica. E se essi devono fare in qualche modo anche gli interessi della gente devono necessariamente intervenire sui conti. E’ inutile abbassare di un punto l’irpef se poi quel punto se lo mangia il punto di aumento dell’iva, se lo mangia et ultra il taglio delle detrazioni. Secondo lui, i politici che ci stanno a fare? Adesso non esageriamo, meritano la gogna finora per quello che hanno fatto, probabilmente fra poco solo per quello che sono. E saranno cazzi amari per loro, capiteranno come i nobili durante la rivoluzione francese, responsabili solo perché nobili. Ma finché ancora hanno un minimo di coscienza politica di rappresentanza di chi, fosse come fosse, li ha voluti dove stanno, devono dare un segnale di ruolo. Certo, la coperta è quella che è, e se la tiri su scopri i piedi, se la tiri giù scopri la testa. Ma, per Dio, tiriamola una volta tanto un tantino giù. I piedi non si sono mai influenzati per la testa, la testa per i piedi sì. In fondo si è sempre camminato coi piedi, lasciando alla testa di decidere la direzione.  
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L’aspetto più grave della crisi politica che stiamo vivendo in Italia è che non si vede una prospettiva. Mentre per quella economica ogni tanto Monti dà i numeri, per quella politica tace, dice e non dice, afferma e smentisce. E’ stata creata una situazione senza possibilità di sviluppo. Nel centrosinistra si stanno autorottamando reciprocamente, stessa cosa a destra: si stanno azzerando. E’ incredibile. Lo storico Giuseppe Galasso sul “Corriere del Mezzogiorno” (21 ottobre) si consola pensando che “Per fortuna non vi sono in giro dei Mussolini o degli Hitler, che possano fare la festa al regime di libertà e al nostro status europeo. Molti temono che ciò accada. Ma noi non lo crediamo”. Ne è convinto l’autorevole storico? Caso mai qualche Mussolini o Hitler c’è e nessuno lo vede senza mascella o baffetto? Galasso avrebbe mancato di rispetto a Napolitano e a Monti se avesse detto che dopo tutto Napolitano e Monti sono sempre meglio di Mussolini e Hitler. Ma Galasso non lo direbbe mai. Galasso, come diceva Marc’Antonio di Bruto nel Giulio Cesare di Shakespeare, è per la democrazia di questo paese, un uomo d’onore. E non è il solo. Questa forse è la vera fortuna. 

domenica 14 ottobre 2012

Monti, Marchionne dice for ever



Berlusconi ha ufficialmente annunciato che non intende candidarsi e che cede la leadership del centrodestra, ove costui lo volesse, a Mario Monti. Si sa che l’eccesso è del maligno. E francamente la sortita berlusconiana è eccessiva per stare col benigno. Sembra più il tentativo di togliere la scena al centrosinistra, che da più di una settimana l’aveva fatta totalmente sua con Bersani, Renzi e Vendola, che altro. Ma, se pure fosse credibile – ragioniamo per assurdo come per dimostrare certi teoremi – il centrodestra sarebbe d’accordo tutto? E’ assai difficile rispondere. C’è una parte che beve senza chiedere che cosa c’è nel bicchiere, ma ce n’è un’altra che non intende più farlo. Monti non accetterà mai la proposta di Berlusconi; e questa servirà soprattutto a farsi qualche ragione politica con gli avversari. Casini l’aveva già capito e perciò alla domanda se ora si sarebbe avvicinato al centrodestra ha risposto che è sempre disponibile agli incontri ma non agli inganni. Casini come Lacoonte: teme Berlusconi anche quando porta doni. Comunque sia, accetti o non accetti Monti, ci stia o non ci stia Casini, resti unito o meno il centrodestra, è molto probabile che si vada nella direzione – finalmente! – di definire il leader dello schieramento. Dovrebbe essere Alfano. Se così non fosse si andrebbe alle primarie, come vuole la Santanchè, che ha annunciato di volersi candidare.  Beh, lo sfizio se lo vuole togliere pure lei! 
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Il governo Monti ha approvato il Patto di Stabilità (9 ottobre), ex Finanziaria, per l’anno 2013. Un miliardo e mezzo in meno alla sanità. Figurarsi! Se prima le cose andavano male, liste d’interminabile attesa, ricoveri ridotti al minimo, con malati dimessi il giorno dopo aver subito un intervento chirurgico, e con ciofeche per medicinali, detti generici, ora le cose precipiteranno. Vietato ammalarsi, italiani! Abbassato di un punto l’Irpef per i redditi più bassi, ma sono state tagliate detrazioni e deduzioni, e inoltre è stata aumentata l’Iva di un punto. Grave la retroattività delle detrazioni, un provvedimento contro ogni principio giuridico. Tutto questo annulla i benefici dell’abbassamento dell’Irpef e comporterà un ulteriore aumento del costo della vita, con un sostanziale peggioramento della situazione. In compenso – compenso per chi? – bisogna fare economia di luce elettrica: non si lascia la luce accesa nei palazzi pubblici! Addio agli emuli di Mussolini, che non potranno più dare ad intendere di lavorare fino a notte tarda lasciando, come prova dell’indefessa applicazione al servizio pubblico, la luce accesa. Una manovra di tredici miliardi di Euro che la stampa amica, “Corriere della Sera” in testa, ha lodato. In verità le cose continueranno ad andare bene nella vetrina europea, male e malissimo nel retrobottega nazionale, dove si lavora e si vive. A pochi mesi dalle elezioni non si capisce ancora dove si andrà a finire, con Monti, che il Pdl vorrebbe a capo del suo schieramento, magari insieme a Casini. Se ciò dovesse accadere riprenderebbe la “guerra civile” che in Italia, senza punto vergognarsi, chiamano democrazia. 
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Gioca il nostro Monti come fa il gatto col topo, anzi coi topi, perché lui se la prende non con un uomo politico o un partito solo, ma coi politici, coi partiti tutti. “Siamo più popolari noi – ha detto – dei partiti”. Quale cattivo gusto! E’ come andare in un camposanto con un compare e dire: siamo più vivi noi, caro compare mio, di tutti i qui sepolti. Io dico che Monti si sta giocando la reputazione di uomo serio, quale ostentava con quel suo aplomb e con quel parlare a risparmio di prima. Evidentemente si è lasciato contagiare pure lui dallo Zeitgeist, lo spirito del tempo, che ha i suoi epigoni in Berlusconi, in Grillo e nei tanti comici che infestano le televisioni. Si lascia prendere dal gusto di sfottere, di fare la battuta, vezzo tipicamente toscano e per qualche verso salentino, non certo lombardo, che indulge più sul gradasso. E in effetti un po’ gradasso Monti è, forte, però, di una condizione che gli è stata confezionata da Napolitano, nominandolo su due piedi prima senatore a vita e poi presidente del consiglio. Una cosa mai vista, che non viene ancora chiamata col suo nome per rispetto del Presidente della Repubblica. Io dico che Monti schiatta dal desiderio di raccontare una barzelletta, magari una da fare il paio con una di Berlusconi. Perché a Monti l’idea di battere il suo predecessore in toto gli passa spesso per la testa.
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Piovono su Monti consensi forti. Grandine che arriva come sassate sui politici italiani. La Clinton da Washington si complimenta col ministro degli esteri italiano Giulio Terzi e si augura che la leadership del governo si rafforzi. Diplomazia, si dirà. Ed è vero, parole che si dicono. Che poteva o doveva dire il segretario di stato americano ad un ministro degli esteri di un paese amico e alleato? Ma da Londra arriva un altro consenso forte a Monti. E’ quello dell’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne. Per lui Monti dovrebbe essere premier a vita. Non siamo ancora a Monti uomo della provvidenza, ma ci stiamo avvicinando. E questo francamente è un altro indizio che la nostra democrazia è davvero all’ossigeno. O forse l’Italia si sta sudamericanizzando. Marchionne, che ormai litiga con tutti, dal sindacalista  Landini al sindaco di Firenze Renzi, ha ragione di prendersela coi politici italiani, ma non è per caso che si sta preparando il terreno per un addio all’Italia, suo e ovviamente della Fiat? Si porterà via anche la Juventus? Beh, questo mi preoccupa ancora di più. Vorrebbe dire che a metà degli italiani si toglierebbe lo sfogatoio dell’irrazionale e che gli stessi potrebbero cercarlo altrove. Meglio che l’irrazionale resti e si esaurisca nel tifo calcistico.  Meglio, Marchionne, meglio!
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L’agenda Monti è sparita dall’intesa elettorale tra Pd-Sel-Psi. E’ il primo effetto dell’alleanza tra Bersani e Vendola. Può non significare niente. L’agenda Monti non è l’agenda rossa di Borsellino. Ma può significare tanto. Per esempio, che ormai lo schieramento di centrosinistra considera Monti lontano, magari su posizioni in prospettiva di centrodestra. In Italia le situazioni durano lo spazio di un mattino. Tutto può cambiare. Intanto Monti non smentisce, non chiarisce, si limita a fare come quelle donne, un po’ vanitose e civettuole, che amano farsi corteggiare, non dicono no ma non dicono neppure sì, per non interrompere il corteggiamento. Nel Pdl la componente forzista vorrebbe liberarsi di quella post-missina di An, che non ama Monti, per quel residuo di socialismo che la stessa conserva nel suo dna storico. Se l’affare con Monti andrà in porto gli ex missini lasceranno probabilmente il Pdl e torneranno al loro partitino, in condizioni però diverse da quelle in cui erano ghettizzati dalle fisime costituzionali. Oggi, di costituzionale c’è tutto e c’è niente.
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E bravi gli indiani, bravi! Non quelli d’America, i pellerossa, per intenderci, ma proprio quelli dell’India. E rimanda oggi e rimanda domani, i due militari italiani del Battaglione San Marco, Latorre e Girone, accusati di avere ucciso due pescatori indiani scambiati per pirati, stanno scontando una pena a cui non sono stati mai condannati. Il ministro degli esteri del governo Monti, Giulio Terzi, continua a dire che è inaccettabile il comportamento delle autorità indiane. Ma, al di là, di questa povera parola, “inaccettabile”, il governo italiano non può fare proprio nulla? E’ difficile da digerire che gli indiani diano una lezione di machiavellismo alla patria di Machiavelli e che, colpevoli o innocenti, i due militari intanto pagano per una colpa non commessa. Lo spirito di un popolo si uccide anche così, subendo ingiustizie e umiliazioni.

domenica 7 ottobre 2012

Monti, Berlusconi e l'asse italo-tedesco



Ormai siamo abituati: un giorno a scirocco ed un altro a tramontana. Monti, che aveva dato la sua disponibilità ad un Monti bis senza il passaggio elettorale – non si capisce poi come possibile senza violare la Costituzione – due giorni dopo si è smentito. Ha detto: tra qualche mese il governo tornerà ai politici. Ma nel frattempo c’erano stati i pronunciamenti dei suoi sostenitori, tra cui Casini e Cordero di Montezemolo. Dichiarazioni, di questi due, di enorme gravità. Come si può dire “Monti in servizio permanente effettivo”, come ha fatto Casini, o Monti bis prima ancora di votare, come ha fatto Cordero di Montezemolo e tutta la filiera e la finiera? Così si uccide la democrazia. Ricordo che lo stesso Benedetto Croce, in un suo libro, poi “nascosto”, “La filosofia della pratica” del 1905, aveva attaccato in maniera forte e pesante la democrazia liberale. E non fu il solo. C’era un movimento antidemocratico, variamente definibile e definito, agli inizi del Novecento, che solo per gli ingenui e gli ignoranti dei nostri giorni non doveva finire per travolgere la democrazia. Che poi l’abbia travolta il fascismo piuttosto che il comunismo non è imputabile se non alla realtà delle cose, che non chiede mai il permesso a nessuno di imporsi e determinare. Oggi, proprio quelli che dovrebbero difendere strenuamente la democrazia, la stanno affossando. Monti in quest’opera di becchinaggio gioca su tavoli diversi, ora su quello del rispetto formale, alla Cincinnato, con la restituzione della “dittatura”, ora su quello della scriteriata avventura: “Napolitano me l’ha data e guai a chi me la tocca!”.
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Monti ha detto che è grazie alla durezza della Germania se noi abbiamo fatto i sacrifici che abbiamo fatto. Bel modo di dire! Cosicché noi abbiamo bisogno se non proprio della frusta quanto meno di sentire lo schiocco? Francamente questo signore sconcerta. Non che dica delle falsità, anzi; il fatto è che un Presidente del Consiglio non può parlare come parla lui. La Germania, che a lui è sì cara come sa chi per lei libertà rifiuta, potrebbe prenderlo in parola e da questo momento in poi farci un concerto di sibili con qualche toccatina sulle orecchie. Avrebbe dovuto dire, interprete del popolo italiano: cari italiani, col vostro sacrificio, abbiamo dimostrato di saper fare le cose come si deve. La Germania avrebbe capito quel che doveva capire. Invece, ancora una volta, si è fatto interprete dei sentimenti altrui e freudianamente svelare quello che è veramente il suo “mandante causa”: l’Europa dei poteri forti, delle banche, dei mercati e del loro massimo beneficiario che è la Germania.
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Certo, che il danno fatto dagli scandali della politica in Italia sono enormi al cospetto delle altre nazioni! Finalmente lo ha detto pure lui, il Monti dell’antipolitica. A chi conviene infatti che si faccia tanto rumore per nulla? C’è, in questo paese, una nuova campagna di Mani Pulite, solo che a condurla non sono più i magistrati ma la Guardia di Finanza, che obbedisce agli ordini del governo. Tutto deve andare nella stessa direzione. Verso una conferma di Monti a furor di popolo, infuriato per quanto sta accadendo. Siamo capaci in questo Paese di utilizzare tutto, financo gli scandali, le ruberie, la corruzione, per indirizzare l’elettorato verso la direzione che vogliamo. La Rai è in servizio permanente effettivo al servizio di questo piano, nel mostrarci i volti della corruzione e dell’arroganza, dei falsi ciechi e dei falsi invalidi, degli evasori fiscali. Siccome il popolo non sa fare distinzione, ecco che per lui tutti i politici sono gli stessi, come dire che tutti i gatti al buio sono bigi. Di questo passo la politica, per recuperare il suo ruolo, ha bisogno di anni, salvo che non trovi qualche scorciatoia.
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Adornato ha scritto un libro. Beh, e qual è la novità? La novità è che non c’è alcuna novità. Adornato è da anni che è una delle espressioni del nomadismo politico, dalla sinistra spaccamondo all’Udc di Casini incollacocci per l’approdo editoriale di questo suo “Sos Italia”. La tesi è che il montismo non dovrebbe essere una parentesi, ma dovrebbe essere la norma, la regola base della vita politica. Ecco un altro che la democrazia, di cui per decenni si è riempito la bocca, si riduce ad un tecnocrate che prende ordini dai sinedri internazionali per garantire il pareggio di bilancio sulla pelle dei cittadini, occupati, disoccupati, esodati, oppressi e vessati. Ecco un altro che scambia una campagna di antipolitica, mirata a trasformare una contingenza transitoria in una condizione permanente,  come le inchieste e gli arresti di politici, per una autentica campagna moralizzatrice. Adornato – ma adornato di che? Non sempre il nomen è omen – fa in tempo per altri approdi. L’unica regola che dovrebbe vigere in questo Paese è che i ladri, politici o meno, dovrebbero essere sempre messi in galera, ma non dieci, vent’anni dopo, subito! Perché si aspetta tanto per accorgersi dei Belsito, dei Lusi, dei Fiorito? Stroncati sul nascere, i ladri neppure avrebbero l’opportunità mediatica di una notizia in ventesima pagina o in coda a qualche notiziario d’emittente locale.
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L’Italia dei guru. Ognuno va in giro a fare la sua brava lectio magistralis. Oggi chiamano così qualche sgangherato intervento, tipo venditore di pentole. De Benedetti ne ha tenuta una agli studenti del Collegio di Milano, per l’inaugurazione dell’anno accademico. Ha concionato su tutto e su tutti. E dulcis in fundo anche sull’uomo del momento, su Monti, che, dovrebbe, secondo l’illuminato pensiero dell’ex presidente della Olivetti, continuare in un Monti bis, se non altro per aver risarcito gli italiani del danno procurato dal bunga bunga berlusconiano. Al termine della sua lectio ha raccontato che la Merkel, secondo quanto gli ha riferito l’ex ambasciatore tedesco in Italia, avrebbe difficoltà ad incontrare Mario Monti perché non lo capisce quando le pone problemi economici. Sarà vero? Lui dice di sì, perché lui non racconta barzellette, come il suo nemico Berlusconi, ma aneddoti. Ma io penso che se qualcuno spiega alla Merkel, probabilmente risentita con Berlusconi per gli apprezzamenti fatti sul suo lato B, che avere culo in Italia significa una cosa ben diversa da quella che lei ha capito, la buona Angela chiamerà subito Silvio e l’asse italo-tedesco è ricomposto.