domenica 28 ottobre 2012

Monti e la democrazia novant'anni dopo la Marcia su Roma



Ma come si fa? Come si può pensare di aumentare il numero settimanale di ore ad un insegnante, portarle da diciotto a ventiquattro, senza creare il disordine, la confusione nell’ambiente scolastico, invivibile così concepito, e mettere i presupposti per non assumere insegnanti di qui a non si sa quanti anni ancora? Ebbene, il governo Monti lo ha fatto nella cosiddetta – senza ironia – legge di stabilità. Stabilità di conti, ovviamente; ma instabilità sociale e politica. I partiti che sostengono il governo, già in fibrillazione per l’aumento dell’iva e per il taglio delle detrazioni, sono decisi ad opporsi. Il Pd ha fatto sapere che non voterà quelle misure. Ma, al di là degli aspetti politici e sociali, pur importanti, ci sono aspetti di merito, che sono assolutamente prioritari. Questi signori del governo, cosiddetti tecnici – ma sono tutti ragionieri e commercialisti? – dimostrano di non conoscere il mondo dell’istruzione o se lo conoscono di avere uno smisurato disprezzo. Cosa pensano, che i professori vadano a scuola per passare il tempo, sicché stare diciotto o ventiquattro ore la settimana è solo una questione di prolungamento di noia? Non sanno questi signori – ma a scuola, quando frequentavano da ragazzi, che facevano? – che occorre preparare le lezioni, eseguirle in classe frontalmente, far svolgere compiti in classe, correggerli e riportarli in classe per farli rivedere dai ragazzi, fare le verifiche orali? Non sanno che è sufficiente aumentare da due a tre prove scritte, da due a tre verifiche orali per quadrimestre per mettere in crisi il normale andamento didattico di una classe, che oggi si compone di circa trenta alunni? Monti ha perso quella che Vittorio Feltri chiama la sinderesi, con linguaggio filosofico medievale, e che a me piace chiamare, con un termine più musicale, trebisonda.  
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Ora anche Renzi attacca Monti. Neppure a lui piace la legge sulla stabilità per gli stessi motivi per i quali non piace a Pdl, Pd e Udc. Ma il suo è solo un mettersi in coda, tanto perché non si dica che non s’interessa dei problemi della gente. E’ incredibile come uno che non fa che polemizzare, insultare i suoi stessi compagni di partito solo perché di lui più anziani possa avere tanto credito in tanta gente che dovrebbe avere ben altro equilibrio valutativo. Da perfetto toscano è vocato all’insulto e alla battuta. Ma finora non è riuscito mezza volta a parlare di problemi politici, sociali, economici, culturali, quasi che tutto l’universo politico suo si riduca a fare polemiche con gli altri. Un po’ somiglia a Monti. Anche lui è ad una sola dimensione, quella economico-finanziaria; e di lì non esce neppure per andare al bagno. E un po’ somiglia a Berlusconi, che ha fatto davvero scuola. I Di Pietro, i Grillo, i Renzi e lo stesso Monti sono tutte anomalie che hanno i caratteri del berlusconismo; tutti hanno fatto irruzione nell’agone politico, chi con le pantofole e chi con gli anfibi; e tutti per salvare l'Italia. 
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La recidiva Fornero, ministro del welfare del governo Monti, è tornata sul luogo del delitto. Luogo virtuale, s’intende. A Nichelino, comune in provincia di Torino, lunedì, 22 ottobre, in un’assemblea pubblica ha affrontato i giovani dicendo che non devono essere “choosy”, ossia pignoli, esigenti, schizzinosi in tema di lavoro. E subito fischi ed urla che l’hanno costretta ad abbandonare la sala. La Fornero non è nuova ad imprese del genere. Rotto il “muro del pianto” della sua prima uscita, dopo è andata spedita come una caterpillar. Sul “Corriere della Sera” di martedì, 23 ottobre, ha risposto ad un precedente articolo di Piero Ostellino, il liberale, critico nei confronti del governo, che, a suo dire, pensa poco ai poveri. La Fornero ha spiegato che la sua riforma delle pensioni oltre che rigorosa è anche equa. Ostellino in quattro righe di risposta si è detto soddisfatto, augurandosi che anche Monti sia equo e liberale come il suo ministro. Bah! Cosa abbia voluto dire l’Ostellino si capisce poco. Qui due sono i punti sui quali, gira e rigira, si torna. Il primo è quello continuamente rivendicato dal governo Monti, ossia quadrare i conti. Il secondo è quello continuamente denunciato dalla gente, ossia il peggioramento in tutti i sensi e in tutti i modi della sua condizione. Vero l’uno e vero l’altro. Uno è figlio dell’altro. Sull’equità la Fornero ha torto se non altro perché è legge di natura che uno stesso provvedimento non colpisce tutti allo stesso modo, il debole lo accusa più del forte. Un governo di rigore è come un inverno di rigore. Chi mette in più difficoltà, il povero o il ricco? Si capisce che l’Ostellino stia con “l’’amica Elsa”, sono entrambi della stessa scuola.
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Eugenio Scalfari, il fondatore della “Repubblica”, di recente “meridianizzato” da Mondadori, ha detto a Lecce che è augurabile che Monti finisca al Quirinale anche se non è Napolitano. E Monti dove andrà a trovare un altro Monti, un “Montino”? Scalfari avrebbe dovuto suggerirlo. In verità queste esternazioni, per quanto comprensibili nell’hic et nunc anche della piaggeria, rivelano l’incertezza del momento. Dove si va, dove si possa andare resta un mistero. Le elezioni costituiscono una pausa di buoni propositi, una boccata di ossigeno. Ma dopo? L’Italia sta dimostrando al mondo, se mai ve ne fosse bisogno, che chi giunge al potere e lo tiene più di qualche anno, è un malfattore. Negli ultimi anni presidenti del consiglio sono finiti sotto processo con accuse gravissime e infamanti. Andreotti, per mafia; Craxi, per tangenti; Berlusconi per una interminabile serie di reati. Tutti più o meno condannati. Perfino alcuni ministri del governo “tecnico”, scelti da Monti, come dire: i santi della nuova chiesa, quando erano alti dirigenti di banche, hanno dovuto patteggiare col fisco; due si son dovuti dimettere per pregressi comportamenti illegali. E’ allora proprio irrimediabile il nostro Paese? Premesso che il male fa parte della realtà e in quanto tale non è del tutto eliminabile, è bensì vero che noi ci ostiniamo a darci leggi e istituzioni inadeguate alla nostra natura e che pertanto abbiamo bisogno di periodiche terapie d’urto. Che fanno male, ma riportano il Paese nella sua giusta carreggiata. 
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Oggi, domenica, 28 ottobre 2012, cade il 90° anniversario della Marcia su Roma: 28 ottobre 1922. Novant’anni dopo ci ritroviamo con un governo, quello di Mario Monti, una persona chiamata dal presidente Napolitano come re Vittorio Emanuele III chiamò Benito Mussolini, che almeno era stato eletto deputato, non espressamente votato dal popolo, come democrazia insegna e vuole. Altri tempi, altre atmosfere, con un comun denominatore, però: la nostra precaria democrazia. Ha scritto Piero Ostellino sul “Corriere della Sera” di sabato, 27 ottobre, che “Evidentemente, c’è qualcosa che non va nella nostra democrazia. Che molti italiani, soprattutto di una certa età, non sappiano cosa sia la democrazia liberale, e non la amino, è un residuo storico” (Tecnocrazia al potere e scarsa cultura politica). C’è, caro Ostellino, che gli italiani non smettono mai di essere partigiani, per cui non credono in qualcosa che è fuori o sopra le parti, sicché è bene sempre tutto ciò che sta dalla mia parte, è male tutto ciò che sta dall’altra. E se si tratta in maniera lampante della stessa cosa? Non cambia niente! E lo dimostra quell’Eugenio Scalfari – ha ragione di non credere in Dio! E come potrebbe credere in Dio uno di quelli? – che con grande disinvoltura si mette sotto i piedi idee e principi democratici pur di vedere i suoi avversari più immediati nella polvere e i suoi amici sugli altari. Lo dimostrano i tanti giudici che sfilano con la Costituzione in mano quando conviene e la nascondono quando è di intralcio ai loro desiderata del momento. Non diamo la colpa alle idee. Sono gli uomini inadeguati a gestirle con decoro e coerenza. No, nessuna eccezione! Perché chi tace di fronte ad un torto è responsabile ugualmente di quel torto. E chi beneficia di quel torto, come Monti, è ancor peggio che responsabile.  

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