domenica 29 aprile 2018

Cinquestelle-Pd: politica è parlare, ma non per nulla




Tanto tuonò che piovve? Hanno tanto sollecitato il Pd a sedersi a parlare coi Cinquestelle che presto lo faranno? Sì, ma se piove e nessuno si bagna; se Pd e Cinquestelle s’incontrano e non succede nulla, che piove a fare, che s’incontrano a fare?
Ora si fa strada una nuova strategia. Parliamo! Parliamo! Perché nessuno ci possa dire che non volevamo parlare. Tanto, parlare non costa nulla. E intanto il tempo passa. E – chissà ! – può essere che la base dei vari partiti incominci a stancarsi. Soprattutto che si stanchi la base dei Cinquestelle, che aspetta redditi di cittadinanza e profende varie, che vuole vedere i vecchi privilegiati dei vitalizi all’angolo di strada col cappello rovesciato a chiedere l’elemosina.
Ma intanto aumentano i soliti scettici, che hanno sempre ragione. Te lo dicevo io, che questi non sono diversi da tutti gli altri! Finora si sono lasciati guidare da un comico e da un neobottegaio. Ora non sanno dove andare. Figurarsi se sanno cosa andranno a fare!
Il presidente del Pd, Matteo Orfini, ospite della Gruber, venerdì sera, 27 aprile, ha escluso nella maniera più assoluta qualsiasi ipotesi di accordo coi Cinquestelle. Invano Travaglio lo incalzava con sorriso beffardo e parola tagliente. Aho – ha sbottato ad un certo punto Orfini – ci siamo incontrati tante volte, che ce dobbiamo di’ ancora noi due?
Semmai stupisce l’insistenza con cui Cinquestelle e seguitanti cercano di trovare il modo per portare Di Maio a Palazzo Chigi, come non ha importanza, dovesse addirittura arrivare a pezzi per un improbabile rimontaggio in loco.
E’ l’ennesima farsa italiana. I Cinquestelle dovevano rivoluzionare la politica, non dovevano fare maggioranze con nessuno, dovevano governare da soli. Duri e puri. Dovevano! Oggi sono disposti a mettersi con chiunque accetti di far loro da seguito, come se si trattasse di una processione. Oggi non riescono neppure a correggere l’interlocutore che continua a chiamarli onorevoli, quando per statuto devono farsi chiamare cittadini. I cachielli dello struscio!
Ora tutti se la prendono con la legge che ha favorito il proporzionale. E perché? Non potevano i Cinquestelle raggiungere il 40 % come sostenevano? A quel punto avrebbero fatto da soli o quasi il governo, senza piatire compagnie, che una volta consideravano lebbrose. Se l’elettorato, che pure li ha premiati, li ha inchiodati ad un inutile 32 % vuol dire che perfino un popolo, che in quanto soggetto plurale è irresponsabile, mette un limite alla fessagginità.
Di Maio ora è nervoso. Minaccia Berlusconi dopo averlo insultato e ingiuriato per anni. Continua a preoccupare i probabili partner, non per paura ma per incapacità di stare in politica da cristiano. Per quello che questa parola significa nella comunicazione popolare, di persona seria e assennata! 
La settimana prossima ci sarà la Direzione Nazionale del Pd. Per decidere cosa? Vedere le carte dei Cinquestelle? Andiamo, qui si prende per il culo la gente e sé stessi.
La politica non dovrebbe mai rinunciare alla sua funzione pedagogica. I Cinquestelle vanno puniti per quello che stanno dicendo e facendo da dieci anni a questa parte. Bisogna finirla di considerarli come dei ragazzi discoli. Hanno sbagliato e quel che è peggio i loro sbagli gli hanno fruttato caterve di consensi. E’ giunto il momento di far perdere loro il mal credito che in questi anni si sono procurato.
Se i Cinquestelle non sono disposti a fare un governo col centrodestra, come risultato elettorale comanda, non c’è altra soluzione. Allora è giusto che si vada in direzione di un governo d’emergenza nazionale, che onori le scadenze italiane in Europa e nel mondo e intanto approvi una legge elettorale maggioritaria, in modo che la notte stessa dello spoglio si sappia chi ha vinto e chi ha responsabilità di fare il governo.
Il Paese, a questo punto, deve sapere di chi è la colpa. Deve provvedere ad emendarsi da ogni fumisia e torni a votare per processi politici fattibili, per camminare coi piedi per terra, magari tra mille difficoltà. Ormai è chiaro a tutti che i Cinquestelle hanno fallito. Non perché non siano riusciti a fare quanto hanno promesso; ma perché non sono riusciti neppure ad essere quello che dicevano di essere. Sono impreparati, ben al di là dell’essere senza arte né parte. Non sanno come stare in politica, come comportarsi. A questo punto insistere con loro significa mettere a repentaglio il Paese, significa creare un clima di scontro che non porta nulla di buono. 

sabato 21 aprile 2018

Il Movimento 5 Stelle? Come nasci, sei!




C’era un modo di dire nel Salento rurale e arcaico di una volta: come nasci, sei! A voler rimarcare il fatto che se uno nasce da una certa genitura e cresce in una certa famiglia, ché si spera possa mai essere? Associando alla filosofia popolare salentina l’acutezza toscana del Guicciardini, il quale diceva nei suoi Ricordi che da cosa nasce cosa, il prodotto non cambia: dal culo può venir fuori solo merda o qualche scorreggia. Il riferimento è spontaneo. Ognuno lo faccia.
L’insistenza del premier pentastellato, nobilitazione eccessiva di grillino, Luigi Di Maio a non voler neppure vedere Berlusconi e la Meloni e neppure altri dei loro partiti, o ha ragioni politiche, specificamente di incompatibilità coi suoi programmi, o è del tutto inaccettabile.
Di Maio spieghi perché ritiene che con Forza Italia e Fratelli d’Italia non si può fare un discorso nuovo e poi ritiene di poterlo fare col Pd. Partito, questo, che, dopo un’infinità di nomi cambiati, riconduce a due dei più gloriosi e vecchi partiti italiani: la Democrazia cristiana e il Partito comunista. Delle sue attribuzioni, passi la nobiltà della sua storia, non la novità della sua proposta politica! Il Pd è composto da due soggetti, che, pur con tutti i loro vizi, erano il lusso della politica italiana, cose che né Di Maio né altri dell’accozzaglia grillina possono mai capire. Fortunati loro che non sanno!
Proviamo a spiegare a questi citrulli della nuova scuola politica dell’obbligo che la coalizione del centrodestra non è un espediente elettorale, come asseriscono senza sapere quello che dicono. Esiste dalla prima metà degli anni Novanta, è passata attraverso tantissime prove elettorali, governa regioni, città grandi e piccole, comuni grandi e piccoli, isole e isolette e scogli. Forza Italia fa parte del Ppe (Partito popolare europeo). E’ una realtà innegabile. Chi la nega ha la fortuna di essere uno che pubblicamente dice di non aver votato Mattarella alla Presidenza della Repubblica solo perché non lo conosceva. Meglio l’Aretino, che qualcosa del genere disse a proposito di Dio nel suo epitaffio: “Qui giace l’Aretin poeta tosco, / che di tutti disse mal, fuorché di Dio, / scusandosi col dir: non lo conosco”. Fosse stato un altro, invece di essere lo zerbinotto pentastellato, viscido e lucente come una limaccia ai primi raggi del sole, la condutttrice della trasmissione, l’austro-ungarica Gruber, che farebbe bene a rivendicare l’Umlaut sulla u, toltole dal fascismo, lo avrebbe stoppato di brutto.
Siamo alle solite. Quest’ondata di grilli e cavallette, come si è ampiamente previsto, sta dimostrando che senza esperienze e conoscenze non si va da nessuna parte. In politica non si può iniziare il lavoro ogni giorno, ma continuare da dove si è lasciato interrotto il giorno precedente. Sapere è essenziale. Si sa che è sbagliato per un politico incartarsi nei veti: io con quello mai! Ma in politica mai dire mai. Se Di Maio per un verso e Salvini per un altro non si fossero autoammanettati coi loro “mai” oggi avremmo già il governo.
Si obietta: ma i programmi del centrodestra non sono compatibili con quelli del Pd e sull’altra ipotesi di alleanza i programmi dei Cinquestelle non sono compatibili con quelli del centrodestra. Compatibili sono invece Forza Italia-Pd e Cinquestelle-Lega. E, allora, come la mettiamo?
E’ di tutta evidenza che delle due l’una: o i Cinquestelle si alleano con tutto il centrodestra o tutto il centrodestra si allea col Pd; o cede Di Maio o cede Salvini. Berlusconi non è candidato a cedere, ma al suicidio, che è cosa ben diversa. Sempre che i conti non vengano poi ribaltati dall’oste Pd, che potrebbe pure dire: non ne voglio sapere, ho perso e mi faccio una terapia all’opposizione. 
Ora si spera che Mattarella si attivi per un governo istituzionale, che assicuri al Paese un minimo di governabilità e nel frattempo faccia fare una legge elettorale, che non abbia desinenze in emme, perché qui non si scherza più, ma una legge che porti ad un risultato chiaro e netto. Essa, probabilmente, favorirà nell’immediato una delle forze politiche in campo; ma poi, entrata a regime, potrà ribaltare il risultato come avviene in tutti i paesi dell’Occidente democratico. Ormai è una costante che chi è al governo va incontro all’ostilità del Paese, che, alle successive elezioni, vota a favore di chi ha fatto opposizione. Di che hanno paura, allora, i vari soggetti politici: oggi a me, domani a te. Più democrazia e alternanza di così!
E’ bensì vero che non è una legge elettorale a realizzare il sogno dell’alchimista politico, di trasformare ogni stronzo in tartufo pregiato.

sabato 14 aprile 2018

Centrodestra, è tempo di Berlusconexit




Il secondo giro di consultazioni da parte del Presidente Mattarella, per dare inizio ad un governo dopo il voto del 4 marzo, ha fatto registrare l’ennesima berlusconata. Che ha spiegato anche perché al primo giro le tre componenti del centrodestra si erano presentate separatamente. Meglio primo in casa sua, avrà pensato Berlusconi, che comprimario in casa d’altri.
Come ha spiegato bene Bruno Vespa su “La Gazzetta del Mezzogiorno” di sabato, 14 aprile, Berlusconi non è assolutamente capace di adattarsi al ruolo di spalla. Ed ora, costretto dagli eventi ad esserlo, avendo preso alle elezioni del 4 marzo meno voti di Matteo Salvini, leader della Lega, si abbandona a comportamenti tanto infantili quanto patetici. Spesso non si rende conto che a voler dimostrare di essere ancora protagonista mette maggiormente in evidenza il suo essere comparsa.
Usciti dal colloquio con Mattarella, i tre rappresentanti del centrodestra, Salvini Berlusconi Meloni, dovevano fermarsi per il breve comunicato alla stampa. Prima che Salvini prendesse la parola, Berlusconi, rivolto ai giornalisti, ha detto che a leggere il comunicato sarebbe stato Salvini e raccomandava l’alleato di essere preciso sulle parole. Rimarcando l’evidenza. Non contento faceva teatro, con smorfie e gesti, mentre Salvini leggeva; e al termine, spostando fisicamente Salvini e la Meloni, tornava indietro, riprendeva il microfono per invitare i giornalisti a saper distinguere tra chi è veramente democratico e chi non conosce neppure l’abc della democrazia, alludendo ai Cinquestelle. Insomma Berlusconi, che non doveva parlare, ha finito per essere il protagonista assoluto. Gli è andata male, non solo perché la Meloni uscendo lo ha atteso dietro una tenda per dirgliene quattro, ma anche perché la Lega ha fatto sapere al M5S di aver preso le distanze da quella che Di Maio avrebbe poi definito una “battutaccia”.
Francamente Berlusconi, al netto di tutte le cose subite, a torto o a ragione, non è qui la sede per parlarne, ora, a ottantuno anni suonati, è tempo non che si metta da parte ma che faccia la persona seria. Accetti di essere quello che realmente è o, se non gli aggrada la cosa, allora sì, si metta da parte. Se già il Berlusconi verde era discutibile, il Berlusconi grigio lo è ancora di più. Se il primo faceva arrabbiare, il secondo fa ridere gli avversari e fa diventare rossi di vergogna gli amici e i sostenitori.  
La percezione che ora ha di lui il Paese è di essere non solo un ostacolo al formarsi di un governo ma un impedimento a che gli stessi uomini e donne del suo e dei partiti alleati siano liberi di esprimersi e di comportarsi come più opportuno. La sceneggiata del Quirinale ha fatto arrabbiare anche gli elettori del centrodestra. Coi suoi comportamenti la coalizione non è una cosa seria.
Detto questo, nulla cambia nel considerare Forza Italia, il partito del quale ancora è incontrastato leader, una componente centrale dello schieramento. Condivisibile o meno, è certo rispettabilissima, con voce in capitolo nelle scelte politiche e nella rappresentanza in un probabile governo che la comprenda. Senza Berlusconi leader invadente, protagonista di sceneggiate mortificanti, il partito avrebbe più credibilità e rispetto. Cose delle quali oggi Forza Italia ha più bisogno, trovandosi ad uno snodo importante e decisivo della sua storia.
La sua personalità, egocentrica e straripante, rischia di danneggiare il partito. Di questo dovrebbe preoccuparsi, non della sua posizione all’interno dello schieramento. Il suo braccio di ferro con Di Maio lo vede purtroppo soccombere non per sua debolezza ma per le condizioni ambientali in cui si verifica. Ogni cosa ha il suo tempo. Il tempo di oggi non lo favorisce. La fuga degli elettori verso la Lega, già avvenuta il 4 marzo, potrebbe diventare esodo di massa se dovesse continuare a proporsi come un vecchio don poponico, versione maschile della pirandelliana donna poponica. E sarebbe veramente una perdita importante per la coalizione, perché Forza Italia rappresenta la componente moderata, sicura difesa degli interessi europei e occidentali; bilancia degli spostamenti antieuropeisti e filorussi della Lega.
Ormai appare assai probabile che, dopo le elezioni regionali nel Friuli-Venezia Giulia di domenica, 29 aprile, quando probabilmente la spunterà il candidato della Lega, Massimiliano Fedriga, coi voti della coalizione, Salvini si sentirà libero di fare il governo con Di Maio, con o senza Forza Italia.
Allora inizierà un’altra storia, nella quale Berlusconi potrebbe avere solo l’opportunità di chiudere in maniera seria e dignitosa la sua esaltante carriera politica. 

P.S. Alessandro Di Battista ha dato del dudù a Salvini per il suo rapporto con Berlusconi. Da quale pulpito! Lui e tutti gli altri del M5S sono ancora cagnolini al guinzaglio di Grillo. Buon per loro che, non rendendosene conto, sono dispensati dal vergognarsene.   

sabato 7 aprile 2018

Si torni alla Costituzione!




E’ venuta la tentazione anche a illustri politologi di paragonare le elezioni del 4 marzo 2018 a quelle del 18 aprile del 1948. Fra gli altri Angelo Panebianco, che alla vigilia del voto sul “Corriere della Sera” del 28 febbraio (La posta in gioco per il Paese) scrisse: “Oggi come allora la posta in gioco è la democrazia. Non nel senso che ci sia oggi (a differenza dell’altra volta) una immediata minaccia alla sua sopravvivenza ma nel senso che queste elezioni potrebbero spingere il Paese lungo un piano inclinato, percorso il quale (magari solo fra qualche anno) diventerebbe pressoché inevitabile qualche aggiustamento autoritario”.
Quando Panebianco parla di “sopravvivenza” e di “aggiustamenti” pensa ad aspetti giuridici, di ordinamento; non già agli aspetti più squisitamente politici quali possono essere colti nel costume politico reale. Di qui il senso di una minaccia spostata a “fra qualche anno”. Se consideriamo la realtà delle cose invece ci accorgiamo che, aspetti legali a parte, la democrazia italiana, per come è sentita e praticata oggi, è già diversa dalla democrazia delineata nella Costituzione della Repubblica. Ci sono evidenti cambiamenti di costume e forzature che potrebbero diventare guasti. Ernesto Galli Della Loggia e Giuseppe De Rita sul “Corriere della Sera” di sabato, 3 marzo, puntarono l’attenzione su due grandi differenze, l’uno per denunciare la mancanza di impegno degli intellettuali, l’altro la mediocrità politica che genera indifferenza.
Nelle elezioni del 1948 si fronteggiarono due idee di democrazia e direi due idee di paese, di nazione, di società. Dove sta oggi il confronto? E soprattutto, dove stanno gli uomini a rappresentare i due modelli in contrapposizione? Li vogliamo ricordare, tanto per farci un’idea, quelli di settant’anni fa? De Gasperi, Nenni, Togliatti, Saragat, La Malfa. Ed oggi? Renzi, Di Maio, Berlusconi, Salvini, Grasso! Dove, i cittadini mobilitati a difendere il partito di appartenenza con una spinta civile quale mai c’era stata prima e mai ci sarebbe stata dopo? 
C’era nel 1948 la consapevolezza che il proprio voto e il proprio impegno erano determinanti per portare l’Italia in una direzione anziché in un’altra, dall’intellettuale allo spazzino. Nella scorsa campagna elettorale c’è stata, invece, l’indifferenza assoluta, la convinzione dell’inutilità del voto, il disgusto per dei politici in gran parte screditati (i vecchi), e in gran parte inattendibili (i nuovi). Maschere grottesche gli uni, autentici sbandati gli altri. I grillini, che pure rappresentano il nuovo, hanno l’aria così stranita e spaesata da sembrare immigrati giunti su questa immensa Lampedusa che è l’Italia.
E dove stanno i grandi commentatori, i giornalisti che si ponevano nei confronti dei politici dalla parte della Costituzione appena varata? Oggi sono uomini spettacolo, leggeri e frivoli, mischiano politica e comicità, come se, dopotutto, divertirsi viene prima di qualunque altro interesse. I Crozza e i Gene Gnocchi sono più credibili dei Travaglio e dei Floris; fanno più opinione di loro.
Per buttare qualcosa di serio sul tavolo politico i cosiddetti leader non hanno avuto di meglio che tirar fuori il fascismo e l’antifascismo, armando la mano dei soliti fanatici e sconsiderati che hanno teso agguati a normali cittadini colpevoli solo di avere idee politiche diverse.    
Gli spazi elettorali, i galoppini di una volta, se li contendevano con le unghie e coi denti e notte tempo si affiggevano manifesti su manifesti per far sì di essere gli ultimi a farlo prima che si chiudesse il tempo della propaganda elettorale e dare maggiore visibilità al proprio partito. In questa campagna elettorale i pannelli predisposti dai comuni per la propaganda elettorale sono rimasti vuoti o quasi, con qua e là qualche manifesto, soprattutto di candidati al collegio uninominale. E del resto perché scomodarsi per dei partiti che non sono neppure lontanamente riconducibili ad uno straccio di connotazione politica? Perché i candidati si sarebbero dovuti sforzare dal momento che i loro nomi erano nei listini bloccati e si sapeva già chi sarebbe stato eletto?
Questa campagna elettorale ha certificato veramente lo stato confusionale – staremmo per dire comatoso – della democrazia. Abbiamo assistito alla farsa dei grillini che prima ancora che si votasse hanno proposto al Presidente della Repubblica i loro ministri, ignorando che c’è l’articolo 92 della Costituzione che attribuisce al Presidente della Repubblica la nomina degli stessi su proposta del Presidente incaricato, il quale a sua volta riceve l’incarico dal Presidente della Repubblica. Non è stata una cosa da niente, sulla quale glissare. Hanno precorso il voto e l’incarico, quasi riconoscendo al voto popolare l’esclusiva legittimità a conferire l’incarico di governo. Se il gesto non fosse stato compiuto da un povero avventato, furbetto anzichenò, sarebbe stato un grave vulnus istituzionale. Ma so’ regazzi, dicono a Roma; goliardi a tempo indeterminato! In fondo sono figli dei vaffanculo di un comico, non vengono mica da una scuola di politica, non sanno neppure bene le cose di Dio. Questi, men che capire il dettato costituzionale, non sanno neppure che esista la Costituzione. E non sono i soli, a dire il vero. Quanti sono stati gli intellettuali e gli opinionisti a indignarsi in un paese in cui tutti si indignano per cose da niente?
Lo spettacolo dei tanti candidati premier che hanno sgomitato per tutta la campagna elettorale lo prova. Come già nella Firenze di Dante una turba di gente sanza chiamare, ha gridato i’ mi sobbarco. Nel Pd Renzi e Gentiloni, in Liberi e Uguali Grasso e Bersani o D’Alema, nel centrodestra Salvini, Meloni e in ultimo Tajani. Mai visti tanti candidati premier in un paese in cui la Costituzione dice che è il Presidente della Repubblica a dare l’incarico. Si dirà: ma è puramente formale, perché in sostanza è il popolo che lo indica.
No! No! E ancora No! La forma è sostanza. Guai a pensare che la forma non conti niente! Anche questo è segno dei tempi. La Costituzione, che è quanto di più laicamente sacro possa esprimere un popolo in fondazione o rifondazione dello Stato, oggi è carta straccia. 
Non so se fra qualche anno, in considerazione di quanto già c’è oggi, si farà, come dice Panebianco, “qualche aggiustamento autoritario”. Quel che mi auguro è che l’intervento autoritario, se sarà necessario, lo sia non per qualche aggiustamento, ma per il ritorno alla Costituzione.