E’ venuta la tentazione anche a
illustri politologi di paragonare le elezioni del 4 marzo 2018 a quelle del 18 aprile
del 1948. Fra gli altri Angelo Panebianco, che alla vigilia del voto sul
“Corriere della Sera” del 28 febbraio (La
posta in gioco per il Paese) scrisse: “Oggi come allora la posta in gioco è
la democrazia. Non
nel senso che ci sia oggi (a differenza dell’altra volta) una immediata
minaccia alla sua sopravvivenza ma nel senso che queste elezioni potrebbero
spingere il Paese lungo un piano inclinato, percorso il quale (magari solo fra
qualche anno) diventerebbe pressoché inevitabile qualche aggiustamento
autoritario”.
Quando Panebianco parla di
“sopravvivenza” e di “aggiustamenti” pensa ad aspetti giuridici, di ordinamento;
non già agli aspetti più squisitamente politici quali possono essere colti nel
costume politico reale. Di qui il senso di una minaccia spostata a “fra qualche
anno”. Se consideriamo la realtà delle cose invece ci accorgiamo che, aspetti
legali a parte, la democrazia italiana, per come è sentita e praticata oggi, è
già diversa dalla democrazia delineata nella Costituzione della Repubblica. Ci
sono evidenti cambiamenti di costume e forzature che potrebbero diventare
guasti. Ernesto Galli Della Loggia e Giuseppe De Rita sul “Corriere della Sera”
di sabato, 3 marzo, puntarono l’attenzione su due grandi differenze, l’uno per
denunciare la mancanza di impegno degli intellettuali, l’altro la mediocrità
politica che genera indifferenza.
Nelle elezioni del 1948 si
fronteggiarono due idee di democrazia e direi due idee di paese, di nazione, di
società. Dove sta oggi il confronto? E soprattutto, dove stanno gli uomini a
rappresentare i due modelli in contrapposizione? Li vogliamo ricordare, tanto
per farci un’idea, quelli di settant’anni fa? De Gasperi, Nenni, Togliatti,
Saragat, La Malfa. Ed
oggi? Renzi, Di Maio, Berlusconi, Salvini, Grasso! Dove, i cittadini mobilitati
a difendere il partito di appartenenza con una spinta civile quale mai c’era
stata prima e mai ci sarebbe stata dopo?
C’era nel 1948 la consapevolezza
che il proprio voto e il proprio impegno erano determinanti per portare
l’Italia in una direzione anziché in un’altra, dall’intellettuale allo
spazzino. Nella scorsa campagna elettorale c’è stata, invece, l’indifferenza
assoluta, la convinzione dell’inutilità del voto, il disgusto per dei politici
in gran parte screditati (i vecchi), e in gran parte inattendibili (i nuovi).
Maschere grottesche gli uni, autentici sbandati gli altri. I grillini, che pure
rappresentano il nuovo, hanno l’aria così stranita e spaesata da sembrare
immigrati giunti su questa immensa Lampedusa che è l’Italia.
E dove stanno i grandi
commentatori, i giornalisti che si ponevano nei confronti dei politici dalla
parte della Costituzione appena varata? Oggi sono uomini spettacolo, leggeri e
frivoli, mischiano politica e comicità, come se, dopotutto, divertirsi viene
prima di qualunque altro interesse. I Crozza e i Gene Gnocchi sono più
credibili dei Travaglio e dei Floris; fanno più opinione di loro.
Per buttare qualcosa di serio sul
tavolo politico i cosiddetti leader non hanno avuto di meglio che tirar fuori
il fascismo e l’antifascismo, armando la mano dei soliti fanatici e
sconsiderati che hanno teso agguati a normali cittadini colpevoli solo di avere
idee politiche diverse.
Gli spazi elettorali, i galoppini
di una volta, se li contendevano con le unghie e coi denti e notte tempo si
affiggevano manifesti su manifesti per far sì di essere gli ultimi a farlo
prima che si chiudesse il tempo della propaganda elettorale e dare maggiore
visibilità al proprio partito. In questa campagna elettorale i pannelli
predisposti dai comuni per la propaganda elettorale sono rimasti vuoti o quasi,
con qua e là qualche manifesto, soprattutto di candidati al collegio
uninominale. E del resto perché scomodarsi per dei partiti che non sono neppure
lontanamente riconducibili ad uno straccio di connotazione politica? Perché i
candidati si sarebbero dovuti sforzare dal momento che i loro nomi erano nei
listini bloccati e si sapeva già chi sarebbe stato eletto?
Questa campagna elettorale ha
certificato veramente lo stato confusionale – staremmo per dire comatoso –
della democrazia. Abbiamo assistito alla farsa dei grillini che prima ancora
che si votasse hanno proposto al Presidente della Repubblica i loro ministri,
ignorando che c’è l’articolo 92 della Costituzione che attribuisce al
Presidente della Repubblica la nomina degli stessi su proposta del Presidente
incaricato, il quale a sua volta riceve l’incarico dal Presidente della
Repubblica. Non è stata una cosa da niente, sulla quale glissare. Hanno
precorso il voto e l’incarico, quasi riconoscendo al voto popolare l’esclusiva
legittimità a conferire l’incarico di governo. Se il gesto non fosse stato
compiuto da un povero avventato, furbetto anzichenò, sarebbe stato un grave vulnus istituzionale. Ma so’ regazzi, dicono a Roma; goliardi
a tempo indeterminato! In fondo sono figli dei vaffanculo di un comico, non vengono mica da una scuola di politica,
non sanno neppure bene le cose di Dio.
Questi, men che capire il dettato costituzionale, non sanno neppure che esista la Costituzione. E
non sono i soli, a dire il vero. Quanti sono stati gli intellettuali e gli
opinionisti a indignarsi in un paese in cui tutti si indignano per cose da
niente?
Lo spettacolo dei tanti candidati
premier che hanno sgomitato per tutta la campagna elettorale lo prova. Come già
nella Firenze di Dante una turba di gente sanza
chiamare, ha gridato i’ mi sobbarco. Nel Pd Renzi e Gentiloni, in Liberi e
Uguali Grasso e Bersani o D’Alema, nel centrodestra Salvini, Meloni e in ultimo
Tajani. Mai visti tanti candidati premier in un paese in cui la Costituzione
dice che è il Presidente della Repubblica a dare l’incarico. Si dirà: ma è puramente
formale, perché in sostanza è il popolo che lo indica.
No! No! E ancora No! La forma è
sostanza. Guai a pensare che la forma non conti niente! Anche questo è segno
dei tempi. La Costituzione, che è quanto di più laicamente sacro possa
esprimere un popolo in fondazione o rifondazione dello Stato, oggi è carta
straccia.
Non so se fra qualche anno, in
considerazione di quanto già c’è oggi, si farà, come dice Panebianco, “qualche
aggiustamento autoritario”. Quel che mi auguro è che l’intervento autoritario,
se sarà necessario, lo sia non per qualche aggiustamento, ma per il ritorno
alla Costituzione.
Nessun commento:
Posta un commento