sabato 31 marzo 2018

5 stelle. fatti per volare non per camminare




Qualche settimana prima delle elezioni del 4 marzo non c’era benpensante del nostro gotha intellettual-politico disposto a dare un minimo di credito a Luigi Di Maio. Perfino Eugenio Scalfari disse in una puntata di Floris che gli avrebbe preferito Berlusconi. Oggi tutti corrono in “soccorso” di Di Maio. Due pezzi da novanta della politologia di sinistra, ospiti della Gruber su “La 7”, Cacciari e Pasquino, smaniano dal vedere il Pd mettersi d’accordo coi Cinquestelle. Non lo fanno per amore nei confronti dei Cinquestelle ma per odio alla destra.
I politologi hanno uno strano privilegio, quello di non dover mai rispondere delle loro geniali intuizioni, che a volte si risolvono in colossali minchiate. Gli crescesse almeno il naso come a Pinocchio per le bugie o le orecchie d’asino come al re Mida! Al contrario dei politici, i quali se sbagliano pagano di persona.
La situazione postelettorale è oggettivamente difficile. I Cinquestelle, che hanno vinto le elezioni ben oltre il dato quantitativo dei voti, perché interpretano un’aspirazione, si trovano in un momento cruciale della loro brevissima storia. Avendo predicato al mondo di essere i soli puri e bravi del panorama politico italiano e che loro non si sarebbero mai messi con gli altri, in quanto, questi, responsabili del disastro nazionale, oggi, non avendo i numeri per governare da soli, sono obbligati a “sporcarsi” con gli altri; in alternativa tornare al voto, magari con una legge elettorale che preveda un premio di maggioranza.
Obiezioni. Prima, come prenderebbe l’elettorato la loro incapacità politica di risolvere una situazione financo da una posizione di forza? Seconda, veramente i Cinquestelle vogliono governare da soli? E se dovessero fallire, non potendo soddisfare le attese dell’elettorato per ragioni anche importanti e oggettive? Non sarebbe forse il caso di avere un alleato sul quale scaricare i temuti fallimenti? I Cinquestelle si travagliano con questi interrogativi.
Mettiamo che decidano di “sporcarsi”. Con chi? Coi meno sporchi verrebbe di dire. Allora, niente Forza Italia e Berlusconi, neppure da incontrare per una stretta di mano. Sì alla Lega di Salvini, che però, in quanto tale, ossia fuori dall’alleanza di centrodestra, sarebbe indebolita e costretta a subire le scelte dell’alleato più forte. Sarebbe disposta? È improbabile.
L’ipotesi di un accordo dei Cinquestelle col Pd, ritenuto ormai sulla china della sparizione, non è voluto da una larga parte di questo partito. E si capisce perché. Sarebbe una resa incondizionata; una punizione troppo forte per chi pure se la fosse meritata. Lo stesso Renzi dovrebbe rinunciare a qualsiasi ipotesi di ritorno a Palazzo Chigi. E poi, con quali prospettive per i Cinquestelle e con quali per il Pd? No, è un progetto, questo, che non trova fattibilità. Un partito che ha ancora il 18 % dei voti ha ancora il dovere quanto meno della dignità.
Viene di considerare quanto si è sempre detto sul Movimento di Grillo, per quanto oggi cerchi disperatamente di trasformarsi in un partito normale. Disperatamente perché il suo elettorato non è d’accordo. Lo ha dimostrato coi mugugni e con le critiche per quanto accaduto con l’elezione dei presidenti di Camera e Senato. Niente accordi con Berlusconi, ma intanto hanno votato per eleggere alla seconda carica dello Stato una, l’Alberti Casellati, che è considerata una sua pasdaran, da lui imposta.
I nodi stanno venendo al pettine. Si è sempre detto ed oggi trova conferma che il Movimento 5 Stelle difficilmente può governare perché le stesse ragioni per le quali ha vinto gli impediscono di farlo. Ricorda l’Albatros ferito di Baudelaire, meraviglioso in cielo mentre vola per conto suo, come natura gli consente, ridicolo e impacciato sulla tolda della nave dove quelle stesse imponenti ali ora gli impediscono perfino di camminare.
Di qui la ragione principale di chi spinge il Pd ad appoggiare dall’esterno un monocolore Cinquestelle: è l’assoluta necessità di vedere di che sono capaci questi “marziani”. Il Pd dovrebbe, a questo punto, sacrificarsi e consentire ai Cinquestelle o di dimostrare che sanno fare le cose che gli altri non sono riusciti a fare o bruciarsi fallendo. Molti pensano – se addirittura non sperano – la seconda.

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